Testo integrale con note e bibliografia
Sono convinta che il ricordo non sia un esercizio nostalgico, ma serva a quanti operano nel presente per rinsaldare le fondamenta delle istituzioni. Per questo è tutt’altro che simbolico il ricordo di Giugni nel Senato della Repubblica.
Giugni è stato Senatore dal 1983 al 1994 e ha presieduto la Commissione Lavoro per tre legislature.
In quell’esperienza istituzionale Giugni ha riversato il suo sapere e le sue molte competenze. È sentita la riconoscenza verso il Presidente del Senato che, con il suo saluto introduttivo e con la sua presenza, ha inteso confermare un vincolo di appartenenza.
L’archivio Giugni è conservato a Roma presso la Fondazione Pietro Nenni. Una prima raccolta delle carte si deve a Mariangela Felicioli e Andrea Ricciardi. Il riordino e l’inventario del fondo sono stati curati da C.P. Di Martino e O. Nicodemo e rientrano nel progetto ‘Senato on line’, che prevede l’archiviazione e la digitalizzazione di documenti appartenuti a personalità politiche, senatori della Repubblica. Altre carte sono giunte recentemente alla Fondazione, grazie a Mario Giugni, e saranno presto riordinate. La Fondazione Nenni è un luogo ospitale per quanti intendono consultare l’archivio e ha promosso un incontro di approfondimento su Giugni, sulla sua opera scientifica e sul suo impegno politico.
Giugni ha lasciato alcuni pungenti scritti autobiografici e una lunga intervista pubblicata da Pietro Ichino. Ha ripercorso alcune tappe del suo cammino in due libri che mi fa piacere ricordare: il libro intervista scritto con Alberto Orioli ‘Fondata sul lavoro?’ e ‘La memoria di un riformista’, scritto con Andrea Ricciardi.
Due raccolte di scritti – una per i suoi ottanta anni, l’altra dopo la sua morte – sono state pubblicate nel Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, rivista da lui fondata nel 1979, poi diretta da Franco Liso e da chi scrive, ora diretta da Luca Nogler, pubblicata dall’editore Franco Angeli.
Si tratta di due occasioni corali di ricostruzione del clima culturale che, in fasi diverse, Giugni ha attraversato e ha contribuito a creare.
Ora disponiamo di altre riflessioni: un lungo saggio di Franco Liso che si sofferma sulle molte connessioni create da Giugni fra attività scientifica, consulenza al legislatore, militanza politica; un libro di Roberto Voza, ospitato in una collana promossa da un editore pugliese, che ripercorre gli anni – dal 1960 al 1975 – trascorsi presso l’Università di Bari; un numero speciale di ‘mondoperaio’, autorevole rivista cui Giugni ha a lungo collaborato; un accurato studio storico, che si deve a Bruno Settis, incentrato sull’esperienza statunitense di Giugni, giovane borsista Fulbright, partito nel 1951 alla scoperta del nuovo mondo, e tornato temprato dopo l’esperienza di studio presso la scuola del Wisconsin, ansioso di intervenire nel dibattito politico di quei tempi.
La storia dell’incontro con Federico Mancini sulla nave che li conduceva verso l’avventura americana è divenuta rappresentativa del diritto del lavoro italiano in trasformazione: non un luogo della memoria, ma un luogo del progetto e del futuro. Ancora di più: l’inizio di una collaborazione che porterà al confronto fra due scuole, quella bolognese e quella barese, con una forte impronta di apertura al mondo dei fatti e con il ripudio di una dogmatica astratta.
Dallo studio di Bruno Settis, che usa la sapienza dello storico per selezionare i dettagli, si apprende quanto fosse vasta, fin dagli esordi della sua esperienza di studioso e di uomo attratto dalla politica, la rete di rapporti e quanto sorprendenti alcune opportunità. Ad esempio, l’incontro negli Stati Uniti con Manlio Rossi Doria che lo chiamerà più tardi a collaborare, con Giuseppe Pera, a una ricerca sul collocamento in agricoltura, svolta a Gravina di Puglia nel 1954-55. Quasi un presagio che la Puglia sarebbe divenuta per Giugni terra accademica di elezione.
E poi nel 1953, trasferitosi da Genova a Roma, Giugni dirige il ‘Centro di preparazione politico-amministrativa’, fondato da ‘esponenti della sinistra cristiana vicini a Felice Balbo, un gruppo che in quello stesso periodo dava vita alla breve esperienza della rivista Terza Generazione’.
È molto attuale questo impegno rivolto alla buona politica e a favorire progetti non divisivi.
In un libro ora in stampa presso l’editore Laterza, intitolato ‘Idee per il lavoro’ anch’io ho inteso dare voce a una, ormai diffusa, consapevolezza dei molti ruoli che Giugni ha ricoperto, scegliendo brevi estratti di alcuni suoi scritti, con l’intento di porre in risalto l’attualità del suo pensiero, la sua capacità di dialogare e unire, di rendere la ricerca scientifica funzionale al rinnovamento del diritto del lavoro e alla crescita delle parti sociali.
Il fervore di iniziative editoriali che ho citato conferma la grande opportunità di ricordare, sia pure brevemente, alcuni passaggi della vita di Giugni, per contribuire a rivitalizzare le sue idee.
La sua storia personale è strettamente intrecciata con una storia collettiva e con fasi importanti nella storia del nostro paese. Nel libro di cui ho appena detto ho usato l’aggettivo ‘riformatore’ per descrivere i molti percorsi di Giugni e per evidenziare la concretezza e il pragmatismo del suo metodo.
Provo a illuminare con qualche flash alcuni lati del suo profilo di giurista riformatore, che ha intrecciato la politica con un alto percorso scientifico.
Giugni è un laico dialogante con i cattolici. Collabora con Mattei all’ENI. Scrive, ancora molto giovane, per Cronache sociali, la rivista di Dossetti e di Glisenti. È Glisenti a chiamarlo all’Ufficio studi del lavoro presso l’IRI; è Glisenti che lo include nel gruppo elitario di giuristi che pubblicano nella collana in più lingue della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). In quella collana si colloca un libro rappresentativo della sua propensione a studiare il diritto del lavoro attraverso l’evoluzione della contrattazione collettiva.
Giugni non trascura altre esperienze. Partecipa nel 1954 al gruppo fondatore della rivista il Mulino. È dunque presente in più luoghi, dovunque si creino occasioni per proporre e costruire, in ambienti che favoriscono il pluralismo delle posizioni.
Alla formazione dei quadri sindacali della CISL Giugni dedica molte energie, nella scuola fiorentina di Via della Piazzola. Nello stesso tempo avvia, anche attraverso il rapporto con quel sindacato, un percorso di apprendimento, che progressivamente si allarga, per arrivare al cuore dei problemi che caratterizzano le relazioni sindacali del tempo e per perseguire fin da allora l’obiettivo dell’unità sindacale, smussando gli angoli di alcune contrapposizioni.
Dall’osservatorio privilegiato dell’IRI, e in particolare delle aziende petrolchimiche, Giugni vive in prima persona le grandi trasformazioni del sistema di contrattazione collettiva e contribuisce a determinarne il successo, con la firma nel 1962 dello storico Protocollo Intersind-Asap, che dà vita al decentramento della contrattazione collettiva. Si scopre allora l’azienda come luogo di confronto e talora di scontro, ma soprattutto come luogo in cui i diritti devono prendere forma ed essere affermati.
Siamo agli inizi degli anni Sessanta: sullo sfondo gli anni Cinquanta e il lento distacco delle incrostazioni corporative che ancora segnavano il diritto del lavoro. La scoperta del livello decentrato della contrattazione è anche il prologo di una storia che porterà più tardi alla garanzia di diritti individuali e collettivi e al contemporaneo controllo dei poteri imprenditoriali.
Sparisce, come Giugni ha scritto, ogni visione autoritaria dell’impresa.
Gli avvenimenti di quegli anni colpiscono l’osservatore di oggi per vari motivi. La ripresa economica si affianca all’innovazione dell’organizzazione del lavoro; le ‘idee per il lavoro’ sono create da coloro che in concreto gestiscono quelle trasformazioni; le parti sociali si ascoltano, nonostante alcune profonde differenze.
Si viene a creare una straordinaria simultaneità di presenze ai vertici delle imprese pubbliche e del sindacato, un raccordo, certamente non privo di asperità, e tuttavia sinergico. Il risultato è una visione non conflittuale delle relazioni sindacali, che intende innovare la pratica della negoziazione, regolando il conflitto.
In questa visione l’intermediazione delle parti sociali si nutre di molti ingredienti: ad esempio la formazione, una risorsa inesauribile, cui il dibattito contemporaneo dovrebbe continuare ad attingere, per cogliere il nesso fra aule universitarie e mondo produttivo; la creazione di percorsi professionali di crescita, la valorizzazione della produttività attraverso una remunerazione adeguata. Non è un caso che Giugni scriva una poderosa monografia su mansioni e qualifica e studi, allo stesso tempo, il cottimo e i sistemi di incentivazione alla produttività.
Questi ingredienti, con molti e opportuni adeguamenti, si ritrovano in un’altra fase e in un altro clima, quello della concertazione sociale e della legislazione negoziata. Anche in questo quadro di riferimento Giugni è protagonista, tanto da suscitare la violenta attenzione di terroristi inconsapevoli, che hanno paradossalmente temuto la costruzione del consenso.
Mi accingo a fermare rapidamente qualche altra immagine.
Giugni è un osservatore arguto di altri sistemi giuridici. Dalla comparazione attinge intuizioni.
Impara a osservare le regole del lavoro studiando le prassi aziendali – le working rules di John Commons e Selig Perlman, i suoi maestri statunitensi – e attinge conoscenze dall’evoluzione della contrattazione collettiva. Al tempo stesso sceglie di contribuire a scrivere quelle regole. Crea in questo modo un travaso benefico fra scienza giuridica e mondo del lavoro, anche attraverso la lente della comparazione. I going concerns, la comprensione delle regole del mercato che Giugni ha sempre contemperato con una cultura dei diritti.
Il giurista Giugni cresce sul terreno del diritto in azione, cresce in modo diacronico con le grandi riforme del diritto del lavoro. Dall’osservazione del diritto dei privati come ‘realtà fluida’ da fissare e mettere in contatto con lo Stato, contribuisce a generare un diritto del lavoro sganciato dall’influenza di altre discipline, autonomo nel metodo e pertanto più aperto nel recepire e interpretare le trasformazioni esterne.
Uno sguardo a questa consonanza fra progetto e azione, fra teoria e pratica è in realtà uno sguardo lanciato su snodi cruciali nella storia del nostro paese.
Ecco dunque il flash che illumina Giugni nelle istituzioni.
Nel 1961 il Ministro Fiorentino Sullo affida a Giugni, affiancato da Federico Mancini e Umberto Romagnoli, l’incarico di elaborare tre disegni di legge in materia di sciopero nei servizi pubblici, minimi salariali e libertà sindacale. Al Ministro Sullo Giugni aveva fornito un quadro di esperienze comparate, attingendo informazioni dall’Ufficio Studi dell’IRI.
Nel 1965 partecipa a una commissione di esperti presso il Ministero del lavoro per studiare un progetto di legge sulla giusta causa nella disciplina dei licenziamenti. Dirà, orgogliosamente, nell’intervista a Orioli ‘ho inventato il giustificato motivo di licenziamento’, quella nozione che poi confluì nella legge n. 604 del 1966.
Nel giugno del 1969 il Ministro del lavoro Brodolini presentò al Senato una prima bozza di un disegno di legge, frutto del lavoro di una Commissione presieduta da Giugni, per redigere lo Statuto dei diritti dei lavoratori. Con Brodolini, del resto, Giugni aveva frequentato l’ ‘ufficio di massa’ del PSI, partito cui era iscritto dal 1945 e in cui aveva fatto ritorno nel 1960. Poco dopo la presentazione al Senato, Brodolini morì, senza poter vedere il compimento della sua opera riformatrice.
Giugni proseguì la collaborazione con il Ministro Donat Cattin, con cui condivise l’esperienza dell’’autunno caldo sindacale’, per essere poi chiamato a dirigere l’ufficio legislativo. Così approdò in Parlamento il progetto finale dello Statuto.
L’annuncio del suo incarico al Ministero del lavoro, fatto in un’aula dell’Università di Bari, è ancora molto vivo nella mia memoria: forte il dilemma, che emergeva dalle sue parole, fra passione per la didattica e richiamo istituzionale. Altrettanto indimenticabile per me è la proiezione nell’Università del documentario girato nelle fumose stanze del Ministero del lavoro durante il rinnovo del contratto dei metalmeccanici nel 1969. Quel documentario, meglio di qualunque manuale, spiega il ruolo della mediazione del Ministro e la dialettica costruttiva che si instaura fra le parti sociali. Anche questo metodo innovativo nella didattica universitaria è coerente con la costante attenzione ai fatti, intrecciati con il diritto.
Numerose sono state per Giugni le incursioni nella politica legislativa: la legge di riforma del processo del lavoro, con Mauro Cappelletti; la riforma dell’indennità di anzianità, con Valcavi e De Luca Tamajo, su incarico di Spadolini; il Protocollo sul rientro dall’inflazione e sulla ‘scala mobile’ con il Ministro del lavoro Vincenzo Scotti.
Il flash che fotografa Giugni Ministro del lavoro nel governo presieduto da Ciampi, è particolarmente luminoso. La strada, prima asfaltata dal Governo Amato, portò alla firma del Protocollo del 23 luglio 1993, l’accordo che forse più di altri ha ridefinito il quadro complessivo delle relazioni sindacali, ispirandosi a valori costituzionali. La scelta di fondo consisteva nell’avviare una solida politica dei redditi negli anni in cui l’Italia si apprestava a entrare nel sistema della moneta unica. Il contrasto a qualunque adeguamento automatico delle retribuzioni per rivalutare dinamiche negoziali ordinate si affianca, in quel progetto, alla creazione di una cultura del conflitto che accompagni le scadenze della contrattazione e, nello stesso tempo, alla costruzione di regole sulla rappresentatività dei soggetti negoziali.
Si devono ricordare ancora altre tappe di un cammino coerente: la Presidenza della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (1996-2002); la presidenza nel 1991 di un Comitato per il rilancio della Carta Sociale Europea, che porterà a una parziale revisione della stessa con l’adozione del Protocollo sui reclami collettivi. Questi sono i molti fronti del giurista riformatore.
Con l’ultimo flash fermo un’immagine che mi è particolarmente cara: Giugni Professore, il mio Professore e Professore di tanti studiosi della materia, anche fuori della stretta cerchia dei suoi allievi; il Maestro fondatore di una scuola numerosa e molto variegata al suo interno, il Maestro mai geloso delle sue scoperte accademiche, anzi pronto a condividerle e a coinvolgere anche i più giovani nella ricerca.
Giugni è Professore a Bari nel senso più completo. In quegli anni coordina un innovativo progetto multidisciplinare di ricerca sulla formazione extra-legislativa del diritto del lavoro, finanziato dal CNR.
E poi partecipa, in quegli stessi anni, seguendo l’insegnamento di Otto Kahn-Freund, alla ricerca comparata condotta dal Comparative Labour Law Group, che si caratterizza, fin dagli esordi, per un metodo assai originale. La pubblicazione dei volumi collettanei scritti da questi studiosi resta un capitolo brillante nella storia della materia e in generale della comparazione giuridica.
La comparazione lo portò ad aprire strade di riforma anche in altri paesi, ad esempio in Spagna. Molti giuslavoristi spagnoli sono stai ospitati a Bari e poi a Roma. Il manuale ‘Diritto sindacale’, pubblicato in molte edizioni dall’editore barese Cacucci, è stato tradotto in spagnolo; alcune leggi spagnole hanno trovato ispirazione in leggi italiane.
La comparazione lo ha anche condotto a coltivare terreni da cui non sono emerse proposte legislative compiute, e che, tuttavia, hanno animato la scena della politica del diritto e delle politiche sindacali, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta dello scorso secolo. Mi riferisco, in particolare, al confronto sulla democrazia industriale e sulle forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, che ha visto Giugni in particolare sintonia con Bill Wedderburn, divenuto poi Lord Wedderburn of Charlton, per designazione del partito laburista. I due erano legati da una consonanza di intenti politici, oltre che da una condivisione di scelte nel metodo dell’analisi giuridica e hanno costruito negli anni un rapporto di profonda amicizia.
Giugni è stato professore a Roma La Sapienza, infine alla LUISS senza cessare di costruire e innovare, per rendere l’Università permeabile, aperta al mondo reale. Alla LUISS ha fondato il CESRI, un centro interdisciplinare di ricerca in cui ha riversato la sua vecchia – mai tramontata – idea di una formazione universitaria affiancata alla conoscenza delle relazioni industriali e dunque dialogante con le parti sociali.
Chiudo questo mio breve ricordo con un’espressione personale di gratitudine.
L’incoraggiamento migliore da parte di un Maestro consiste nel dare fiducia. Quando nel 1974 ho lasciato Bari per un lungo soggiorno negli Stati Uniti, avevo con me una borsa di studio e una sua calorosa lettera di presentazione per il Professor Benjamin Aaron, che insegnava diritto del lavoro nell’Università di Los Angeles (UCLA), Università presso cui avevo scelto di svolgere parte della mia ricerca. Ritrovai in quell’ambiente accademico molte delle formule didattiche che Giugni aveva introdotto a Bari, presso l’ ‘Istituto di diritto del lavoro’ e presso la ‘Scuola di perfezionamento in diritto del lavoro e di previdenza sociale’. Il diritto del lavoro italiano si è straordinariamente arricchito per l’apporto multidisciplinare convogliato in modo coerente e originale in questi luoghi di erogazione del sapere.
A Los Angeles, proprio perché avevo respirato l’aria dell’ateneo barese, non mi sentivo spaesata. Ero una piccola parte di un progetto condiviso. Il Maestro mi aiutava a emanciparmi dalla mia città, dalla mia famiglia, dal mio ambiente, senza esitazioni. Mi dava fiducia. Per questo lo ricordo con gratitudine.