TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

La descrizione delle misure organizzative per la nomofilachia di recente attuate dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, ad opera del Presidente Vincenzo Di Cerbo e dal Consigliere Fabrizio Amendola, nell’articolo apparso sul n°2/2019 di LDE, ha suscitato un fecondo scambio di vedute tra i lettori della rivista.
Per esprimere un punto di vista consapevole a riguardo, occorre, a mio avviso, prendere le mosse dalle riflessioni dei più attenti osservatori della realtà giuridica contemporanea, ponendone in evidenza gli effetti che concretamente si riverberano sul funzionamento dell’intero sistema di amministrazione della giustizia e, derivatamente, sul tessuto economico-imprenditoriale del nostro Paese.
Le linee direttrici (varie ma tutte, in una certa misura, rilevanti per la nostra disamina) lungo le quali si sono sviluppati i contributi dei più autorevoli studiosi, hanno infatti sollevato questioni e rilevato mutamenti che, a vari livelli, incidono sul ruolo del giudice civile e, in particolar modo, su quello delle Corti Supreme, cui è demandato il compito di garantire la certezza del diritto e l’uniformità nell’interpretazione della legge.
Segnatamente, non si può omettere di considerare, in primo luogo, che nel graduale abbandono del “riduzionismo” tipico della modernità giuridica, la seconda metà del secolo scorso abbia visto una graduale complicazione e stratificazione della realtà giuridica in cui, accanto allo strato legale e a quello costituzionale, sono progressivamente emersi “quello fattuale (per la presenza virulenta di fatti carichi di effettività e, quindi, incidenti a livello della giuridicità), quello sovranazionale europeo e, negli ultimi decennii, quello della cosiddetta globalizzazione giuridica” .
Tale fenomeno, generatosi spontaneamente ad opera dei principali attori della vita economica, ha determinato il ritorno ad una complessità non sempre positiva e ad un “pluralismo” liquidissimo ed esasperato delle fonti del diritto che ha visto riemergere prepotentemente il ruolo centrale dei giuristi e, segnatamente – per intuibili ragioni legate all’impegno nella pratica applicativa quotidiana – del giudice .
Si è autorevolmente affermato, per altra via, che il tempo presente vede sovvertiti i consolidati paradigmi concettuali delle categorie del diritto civile, su cui si sono formate generazioni di giuristi, in quanto, nella stagione contemporanea, il diritto non nasce più “dall’alto, nella rarefatta atmosfera di palazzi dove si fa sintesi dei conflitti sociali […] ma semmai dal basso dei luoghi in cui questi conflitti si consumano e trovano composizione […] nel delicato crogiuolo del giudizio” . In tale situazione di crisi, accentuata dall’impatto con il diritto comunitario (e, sia consentito, talvolta irreversibilmente compromessa dall’inestricabile coacervo di imponenti e minuziose regolamentazioni che poco o punto hanno a che vedere con la nostra tradizione giuridica), la giurisprudenza è dunque divenuta “fonte del diritto, anzi probabilmente la principale delle fonti” .
Sono, infine, altrettanto noti gli studi in merito alla calcolabilità giuridica quale fattore costitutivo del capitalismo , il cui venir meno impedisce, fatalmente, agli attori del sistema economico (che dalle dinamiche capitalistiche, comunque la si pensi, non può prescindere ) “di far conto su ciò che verrà, ossia di considerare il futuro giuridico fra le ragioni delle proprie scelte”, a cui va aggiunta la considerazione secondo cui “un capitalismo che […] non calcola” ci espone al rischio di “scorribande finanziarie e pirateria mercantile” .
In tale contesto, si avverte sempre più forte “l’esigenza di recupero del valore della certezza del diritto e della prevedibilità delle decisioni, ed è solo sul piano del c.d. diritto vivente (cioè del diritto che emerge dall’insieme delle decisioni giudiziali)” che tale obiettivo può essere perseguito.
In sostanza, il bisogno di (tendenziale) calcolabilità è innegabilmente affidato alla chiarezza e dalla prevedibilità delle soluzioni date dalla giurisprudenza e, pertanto, sostanzialmente, dall’efficiente esercizio della funzione coerenziatrice da parte della Suprema Corte.
È proprio il giudizio di Cassazione che, dunque, nella sua declinazione di Cassazione “delle sentenze” – e, quindi, con preciso riferimento alle controversie che, ai sensi del neointrodotto comma secondo dell’art. 375 c.p.c., in ragione della “particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare”, vengono trattate con udienza pubblica e decise con sentenza – rivolgendosi al futuro, “soddisfa, mercé l’unità interpretativa del diritto, il principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (eguaglianza, che sarebbe vulnerata dalla difformità di applicazione) e il bisogno, proprio alla civiltà europea, di calcolabilità giuridica” .
Occorre tenere in conto, poi, che un altro elemento di rilievo che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento è senz’altro costituito dall’accesso di massa alla giustizia; un fenomeno, questo, indubbiamente positivo se visto dall’angolo visuale della sua portata intrinsecamente democratica, che ha però generato un aumento esponenziale della domanda di giustizia e, con esso, un imponente aggravio del contenzioso .
Ne è derivata, inevitabilmente, una moltiplicazione del numero delle decisioni che ha coinciso con il sovrapporsi del contemporaneo lavoro dei collegi e ha reso oltremodo difficoltoso (quando non impossibile) il mantenimento di un’accettabile uniformità d’indirizzi , talvolta anche all’interno della singola sezione .
Di tali mutamenti e delle problematiche che ne conseguono appaiono pienamente coscienti Di Cerbo e Amendola; e ciò, non solo e non tanto per averne dato atto in alcuni passaggi del loro contributo ma, preminentemente, per aver saputo congegnare, unitamente agli altri colleghi della Sezione lavoro, una serie di interventi riorganizzativi che – in ausilio alle modifiche apportate dalla Legge 25 ottobre 2016, n°197, di riforma del giudizio civile di Cassazione – si confida possa contribuire a rendere omogenea l’interpretazione della legge in quella che è stata a ragion veduta definita “materia fra le più magmatiche dell’ordinamento giuridico” .
L’elemento di maggiore novità (anche dal punto di vista concettuale) delle approntate misure organizzative della Sezione Lavoro è senz’altro costituito dall’obiettivo di prevenire il conflitto prima che esso si manifesti, individuando strumenti operativi che consentano, auspicabilmente, di limitare il rischio di contrasti occulti o inconsapevoli.
In particolare, appare condivisibile e meritoria l’idea di valorizzare adeguatamente l’attività dell’esame preliminare dei ricorsi (c.d. “spoglio”) l’effettivo coinvolgimento di tutti i magistrati componenti la sezione e il previo (consapevole perché informato) confronto (mediante scambio delle opinioni a mezzo posta elettronica e successivo dibattito finale) sulle questioni giuridiche più controverse o di maggior impatto sul contenzioso sezionale.
Di qui, l’idea di “assicurare la conoscenza delle questioni giuridiche comuni e delle reciproche opinioni dei consiglieri su di esse [quale] […] pre-condizione di qualsivoglia uniformità interna alla giurisprudenza della S.C.” . Il tutto, beninteso, senza comprimere o condizionare l’autonomia decisionale del singolo collegio.
In conclusione, tralasciando – come suggerito dal Presidente Renato Rordorf – ogni astrazione o approccio ideologico in merito a quel che il giudizio di cassazione dovrebbe essere e volendo, invece, confrontarsi con la realtà oggettiva in cui esso, oggi, effettivamente versa, le misure organizzative adottate dalla Sezione Lavoro non possono che considerarsi condivisibili poiché improntate al serio proponimento di fornire una risposta concreta alle oggettive difficoltà che affliggono il quotidiano lavoro dei collegi.
Il taglio essenzialmente pratico delle iniziative intraprese, peraltro, non deve ingannare posto che – come si è visto supra – non si tratta qui di mere technicalities procedimentali volte a rendere più agile l’attività dei magistrati, ma di soluzioni meditate e consapevoli che, più profondamente, si atteggiano in maniera coerente rispetto alle esigenze dettate dalle complesse problematiche che caratterizzano il nostro tempo; un dato, questo, che trova conferma nell’esplicito (e significativo) riferimento, operato da chi dette misure le ha congegnate e rese note al pubblico, a “una nomofilachia forte, non verticistica ma autorevole nella forza degli argomenti” vista quale “argine alla fluidità ed alla precarietà dell’esperienza giuridica contemporanea” .

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