Testo integrale con note e bibliografia
Sintetizzare cinquant’anni di storia non è facile ed anzi spesso può apparire uno sforzo tanto inutile quanto velleitario; non così per l’art. 28 Stat. lav. la cui biografia si può iconicamente rappresentare ricorrendo alla figura architettonica della chiave di volta.
Elemento centrale della costruzione voluta dal legislatore del 1970, la norma che reprime la condotta antisindacale chiude l’arco, o meglio il cerchio, delle disposizioni introdotte dallo Statuto dei Lavoratori in tema di diritti sindacali ed al tempo stesso mette in atto efficaci spinte di contrasto che consentono al sistema ivi delineato non solo di reggersi, attraverso la tutela processuale introdotta dalla norma, ma anche di diventare la base propulsiva per lo sviluppo dell’intera costruzione di un diritto sindacale statuale (nonché, aderendo alla teoria del prof. Giugni , dell’ordinamento intersindacale).
Se, dunque, è vero che, come più volte osservato, con lo Statuto l’organizzazione sindacale entra in azienda, imponendo al datore di lavoro un pati rispetto ai diritti agiti dal sindacato, è altrettanto innegabile, e non meno importante, che attraverso l’art. 28 lo Statuto ha permesso al diritto sindacale di uscire da una prospettiva individualizzante incentrata sul rapporto di mandato. La norma statutaria ha, infatti, configurato il sindacato quale soggetto titolare di un autonomo ed originario interesse che è diventato il perno su cui ruota il diritto sindacale.
Non solo, ma l’art. 28 SL ha dato al sindacato la legittimazione ad azionare direttamente tale interesse, senza dover passare per l’iniziativa del singolo lavoratore , garantendo così direttamente effettività ai diritti che gli sono stati concessi. Si compie con lo Statuto la piena concretizzazione ai principi costituzionali in tema di libertà sindacale e diritto di sciopero, sino a quel momento riconosciuti e tutelati in una prospettiva prevalentemente individualistica.
A queste caratteristiche l’art. 28 SL aggiunge, poi, una forza propulsiva che lo ha reso un volano capace di sviluppare il sistema sindacale e di disegnarne i confini. Ogni pronuncia che dichiara il carattere antisindacale di un comportamento, infatti, acquisisce terreno alle prerogative sindacali, inverando le previsioni astratte di cui agli artt. 39 e 40 Cost. in specifici diritti .
Del pari, a fronte della dichiarazione di legittimità di una condotta datoriale che è in contrasto con gli interessi del sindacato, si delinea il limite all’esercizio dei diritti sindacali ed il punto oltre il quale essi arretrano a mere aspettative.
Ma l’art. 28 non è solo l’arco di volta del sistema sindacale, nelle accezioni che abbiamo anticipato di chiusura del cerchio e forza propulsiva del sistema: esso ne è al contempo il termometro. Come si dirà, infatti, le controversie azionate ex art. 28 SL misurano per quantità e qualità lo stato delle relazioni sindacali, portando spesso alla luce i nodi irrisolti di un ordinamento al momento ancora privo di disciplina legale e quindi rimesso per gran parte ai rapporti di forza tra le parti.
Si darà conto nel prosieguo delle caratteristiche sinteticamente attribuite all’art. 28 SL definendolo norma “volano” e norma “termometro” attraverso una prospettiva che osserva dall’alto la storia cinquantennale della norma, senza, cioè, soffermarsi sulle specifiche questioni decise, ma cercando di coglierne il senso generale ed il disegno complessivo che esse tracciano.
L’art. 28 SL, una norma “volano”
Ancora oggi la manualistica , riprendendo un’espressione che fu di Gianni Garofalo , descrive la fattispecie individuata nell’art. 28 SL come strutturalmente aperta e teleologicamente determinata. Lo Statuto non si cura, infatti, di individuare cosa il datore di lavoro deve fare perché il suo comportamento venga considerato antisindacale, né con quali modalità egli deve agire , e dunque non delinea uno o più comportamenti tipici. La norma, invece, focalizza la sua attenzione sui beni che la condotta deve intersecare per collocarsi nel perimetro dell’antisindacalità.
Questa felice tecnica di costruzione della fattispecie, in uno con un interprete che si è da subito dimostrato attento a valorizzare il dato sostanziale dell’art. 28 SL più che le (peraltro scarne) prescrizioni di struttura , ha consentito alla norma di fungere dal polmone del sistema sindacale. Essa ha, infatti, introiettato i precetti programmatici di cui agli artt. 39 e 40 cost. - che l’art. 28 SL richiama espressamente individuando in essi i beni protetti - per restituirli sotto forma di dichiarazione di antisindacalità o legittimità della condotta che li ha intersecati, e quindi di diritti o vincoli al sindacato.
Ma l’opera dell’art. 28 non si è arrestata ad interpretare ed inverare i diritti già esistenti: essa, ne ha altresì ampliato la portata, quando non creati di nuovi .
Ciò è stato possibile innanzitutto attraverso la presa di coscienza che la nozione dei beni protetti di cui all’art. 28 SL non dev’essere intesa in un’accezione aprioristica, trovando, invece, il suo contenuto nell’evoluzione e quindi nel concreto atteggiarsi delle relazioni sindacali .
Il connubio tra una norma costruita su beni da tutelare anziché su fattispecie predefinite ed un interprete votato a cogliere dalle dinamiche concrete il contenuto dei beni protetti, ha dato all’art. 28 SL la duttilità necessaria per agire sul sistema sindacale con funzione creativa, anziché restare vincolato alla sola protezione dei diritti già riconosciuti dalla legge.
Per questa via è stata data, quindi, piena legittimazione nel sistema sindacale statale, oltre che nell’ordinamento intersindacale, non solo ai diritti sindacali espressamente riconosciuti in azienda dalle norme dello Statuto ma anche a quelli destinati a svilupparsi fuori del contesto endoaziendale nonché a quelli che trovano la propria fonte nella contrattazione collettiva o anche nella prassi .
E’, infatti, noto che a fronte delle iniziali perplessità espresse da chi riteneva l’art. 28 SL uno strumento processuale dettato solo per i diritti sindacali previsti dalla stessa legge 300 , si è ben presto affermato l’orientamento per cui la tutela coinvolge qualunque condotta che interferisca su uno dei beni protetti, anche qualora ciò avvenga fuori del luogo di lavoro .
In questo modo, attraverso, cioè, la riconduzione all’interno dell’art. 28 SL della violazione di obblighi derivanti dal contratto collettivo, hanno trovato posto nel sistema sindacale, e quindi tra i diritti riconosciuti dall’ordinamento, anche una serie di prerogative che hanno la loro fonte nel contratto collettivo, cioè in un atto di autonomia privata.
Ma l’art. 28 SL non ha avuto solo un ruolo inclusivo. Come si è detto, invece, la norma ha realizzato un actio finium regundorum chiarendo che non ogni comportamento che si pone quale antagonista dell’interesse sindacale è per ciò stesso giuridicamente antisindacale e quindi vietato . Per questa via le pronunce ex art. 28 SL hanno tracciato il confine tra i diritti e le mere aspettative del sindacato. A differenza dei primi, che trovano legittimazione nell’ordinamento e tutela nell’art. 28 SL, quest’ultime sono prive di copertura giudiziaria e dunque possono essere soddisfatte solo se ed in quanto il datore di lavoro vi acconsenta, liberamente o a fronte di un confronto/conflitto che si svolge, però, sul terreno dei rispettivi rapporti di forza tra le parti.
In massima sintesi si può quindi affermare che la strada percorsa dall’art. 28 SL in questi cinquant’anni ha disegnato l’area di operatività dei principi di libertà ed attività sindacale, includendo nell’ambito della garanzia statutaria ogni istanza sindacale diretta ad impedire che il datore di lavoro con il proprio comportamento incida sul fisiologico svolgersi delle relazioni sindacali .
Al contempo tali decisioni, sancendo la legittimità del rifiuto del datore di lavoro a trattare con il sindacato quando non vi sia un obbligo espresso in tal senso , hanno chiarito che nella fisiologia delle relazioni sindacali sta la libertà del datore di lavoro di non riconoscere il sindacato come interlocutore necessario.
Per la stessa via l’art. 28 SL ha anche delineato i confini dello sciopero che la Costituzione riconosce come diritto senza però darne una definizione.
Come per la libertà ed attività sindacale, il quadro che emerge dall’esame della giurisprudenza chiamata a pronunciarsi in ordine a condotte asseritamente lesive di quel diritto porta ad ammettere un’accezione molto vasta della nozione di sciopero, superando le tesi di chi , sul presupposto che ex art. 28 SL la legittimazione ad agire spetta al sindacato, inizialmente riteneva che lo sciopero tutelato dall’art. 28 SL fosse solo quello indetto dal sindacato stesso e non invece quello nato da un’iniziativa spontanea dei lavoratori. Non solo, ma l’opera interpretativa realizzata dall’art. 28 SL ha consentito di liberare la nozione di sciopero dai limiti interni che inizialmente erano stati individuati .
Sempre in tema di contenuto del diritto di esercitare lo sciopero, è ancora opportuno ricordare le decisioni in tema di crumiraggio interno ed esterno, che dichiarano antisindacale la condotta del datore di lavoro che per far fronte allo sciopero attinge lavoratori dal mercato, ovvero assegna a mansioni inferiori, non marginali né accessorie, i propri dipendenti non scioperanti. Da tali decisioni emerge che rientra sotto l’ombrello di tutele da garantire all’esercizio del diritto di sciopero, e dunque è parte di quell’diritto nella sua dimensione dinamica, anche il dovere del datore di astenersi da condotte che di fatto ne annullano gli effetti attraverso il ricorso a strumenti che si pongono fuori del conflitto .
E’ poi noto che la giurisprudenza ha reso irrilevante ai fini della fattispecie di cui all’art. 28 SL l’intento lesivo del datore di lavoro, che le Sezioni Unite hanno chiarito non essere né sufficiente né necessario a configurare una condotta antinsindacale .
Questa interpretazione della norma statutaria apre ad una nozione oggettiva di lesione dei beni protetti affrancata, sul piano sostanziale, dal ruolo che può svolgere la volontà o anche solo la mera consapevolezza del datore di lavoro e, sul piano processuale, dall’onere della prova di tale volontà.
Ne escono inevitabilmente rafforzati i tre beni protetti, che vengono tutelati di per sé, quali valori assoluti, e non in quanto entrati nel “mirino” del datore di lavoro.
Detto in altre parole, la dichiarata irrilevanza dell’elemento soggettivo ai fini della fattispecie di cui all’art. 28 SL comporta che la volontà del datore di lavoro non è il mezzo necessario per assicurare la tutela ai beni protetti dalla norma statutaria.
Quanto, poi, al ruolo operato dall’art. 28 SL in tema di integrazione o creazione di nuovi diritti sindacali, è sufficiente rinviare al contenzioso in ordine alla possibilità di indizione dell’assemblea ad opera della singola RSU, che ha sancito il diritto del singolo componente ad azionare tale prerogativa sindacale .
Nel fare propria tale opzione interpretativa la giurisprudenza ha sdoppiato la natura della RSU, collegiale quanto a composizione, elezione e durata ma disaggregata quanto all’esercizio dei diritti sindacali, con un’articolazione che è dubbio se fosse nell’intenzione, almeno iniziale, delle parti sociali.
Ed ancora, non può dimenticarsi che attraverso l’art. 28 SL il sindacato ha ottenuto il riconoscimento a livello ordinamentale di un nuovo titolo di legittimazione alla rappresentanza in azienda, che, dopo la sentenza della Consulta del 2013 , può incardinarsi anche nel soggetto che ha partecipato alle trattative senza sottoscrivere il contratto collettivo in quanto dissenziente.
Da ultimo, occorre segnalare che l’art. 28 SL non solo ha definitivo ed arricchito i diritti sindacali all’interno del rapporti rivendicativi tra datore di lavoro e organizzazione sindacale. E’, infatti, ben nota la tendenza di matrice più recente, di utilizzare il ricorso all’art. 28 Stat. Lav. anche come strumento di affermazione del pluralismo sindacale . In questa prospettiva il datore di lavoro, convenuto formalmente in giudizio, non è il reale antagonista del sindacato che, invece, promuove l’azione per vedersi riconosciuto un ruolo nei confronti, o a dispetto, delle altre organizzazioni.
La legittimazione attiva ex art. 28 SL e le sue ricadute
L’art. 28 SL attribuisce agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiamo interesse, la legittimazione ad agire per far riconoscere il carattere antisindacale di una condotta.
Il legislatore del 1970 dimostra, così, la piena consapevolezza del fatto che il dare cittadinanza ai diritti collettivi resta operazione sterile se non accompagnata da un’efficace tutela processuale di quei diritti, affidata al loro diretto titolare .
La scelta, rivelatasi vincente, ha però posto una serie di problemi interpretativi la cui soluzione ha, ancora una volta, contribuito alla costruzione del sistema sotto il profilo dell’individuazione della nozione di “sindacale” e della sua portata.
Sintetizzando le principali tematiche affrontate, occorre innanzitutto ricordare che alle iniziali tesi interpretative che ipotizzavano che il sindacato agisse come sostituto processuale del lavoratore o alla stregua di una sorta di Pubblico Ministero , si è poi sostituita la consapevolezza che la legittimazione attiva del sindacato deriva dal fatto che esso tutela un interesse proprio.
Raggiunto questo primo, fondamentale, traguardo, l’attenzione si è spostata sulla individuazione del soggetto legittimato ad agire, identificazione non facile trattandosi di un soggetto che non solo non ha personalità giuridica - configurandosi, invece, quale associazione non riconosciuta - ma è altresì privo di una propria specifica identità definitoria: il principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 comma 1 cost. vieta, infatti, al legislatore di prescrivere un modello di sindacato .
In questo contesto, la decisione del legislatore del 1970 di selezionare i soggetti sindacali che hanno accesso all’azione ex art. 28 SL attraverso il rinvio a coloro che operano all’interno di un’associazione avente carattere nazionale, è stata sospettata di illegittimità costituzionale, sospetto che la Consulta ha respinto con la sentenza 54 del 1974 chiarendo, come noto, che la norma del 1970 non toglie nulla all’attività del sindacato, bensì aggiunge un particolare strumento a quei soggetti collettivi che hanno certe caratteristiche prefigurate dal legislatore.
Acquisita la piena compatibilità del filtro posto dall’art. 28 SL con la tutela costituzionale dell’organizzazione sindacale, la giurisprudenza si è trovata in più occasioni a dover decidere se una certa organizzazione rivestisse le caratteristiche prescritte dall’art. 28 SL.
Al proposito si è affermato che al fine della legittimazione attiva è irrilevante che il sindacato rivesta il carattere della maggiore rappresentatività atteso che l’unico requisito richiesto dalla norma è l’essere la struttura più periferica di un’associazione di livello nazionale la quale può ben essere monocategoriale . Quanto, poi, all’accezione di “nazionale” è costante l’affermazione in giurisprudenza per cui l’aggettivo in questione ha carattere contenutistico e non formale e va quindi verificato attraverso un puntuale esame degli elementi che in concreto dimostrano la diffusione dell’associazione sul territorio . Infine, sul versante dell’organizzazione più periferica, è stato affermato che è tale l’articolazione di un sindacato nazionale che, in base alla struttura che esso si è dato, risulti prossima al luogo ove la condotta è stata tenuta con esclusione, però, della legittimazione attiva in capo alle RSA o RSU dal momento che esse non sono organismi delle OOSS ma strutture aziendali dei lavoratori .
Al di là del merito delle singole decisioni, una lettura di esse con la lente di chi guarda dall’alto degli ultimi cinquant’anni porta a concludere che, anche con riferimento all’individuazione del soggetto, la disposizione è stata interpretata oltre il dato letterale ed avendo quale riferimento il suo fine nella dichiarata consapevolezza che al legittimato attivo ex art. 28 SL è rimesso uno strumento che ha evidenti ricadute in termini di costruzione del sistema sindacale e come tale deve esser affidato a soggetti responsabili in grado di azionarlo a tutela di interessi di natura collettiva.
L’art. 28 SL una norma “termometro”
Infine, l’art. 28 SL ha rappresentato, e tuttora rappresenta, il termometro che misura lo stato delle relazioni sindacali sotto molteplici profili.
Innanzitutto da un punto di vista quantitativo: il numero di controversie promosse ai sensi della norma statutaria è certamente un dato che può rivelare non solo lo stato di salute delle relazioni industriali, ma anche la forza del sindacato ed il peso che esso ha in un certo momento storico.
Si può infatti affermare senza paura di essere smentiti che maggiore è il ricorso del sindacato al giudice, minore è la sua forza sul piano delle relazioni sindacali e dell’ordinamento intersindacale.
L’art. 28 SL è altresì un termometro qualitativo, facendo emergere i punti di sofferenza, i nervi scoperti, delle relazioni sindacali che, non riuscendo a trovare composizione all’interno dell’ordinamento intersindacale, devono rivolgersi a quello statale.
Così, ad esempio, il contenzioso sorto in merito all’efficacia della contrattazione separata e al rilievo del dissenso del singolo o della organizzazione sindacale ha dato il segnale che fosse giunto il momento, a lungo avversato, di un intervento volto a disciplinare la materia dei soggetti e del contratto, intervento con cui sinora si sono misurate le parti sociali ma che il legislatore non dà segno di sapere o volere affrontare.
Ad uno sguardo di insieme il termometro indica che, superate nei primi anni di vigenza dello Statuto le questioni attinenti l’esercizio dei diritti sindacali nei confronti del datore di lavoro, ora le maggiori tensioni del sistema si scaricano sui temi legati al pluralismo sindacale ed alla concorrenza tra sindacati che da esso deriva.
Diagnosi e prognosi dell’art. 28 SL
Come ogni anniversario che si rispetti, anche il cinquantesimo dello Statuto dei Lavoratori impone di tirare le somme su ciò che esso ha significato per, e ciò che esso può ancora dare al, diritto del lavoro. Con riferimento nello specifico all’art. 28 SL, il giudizio non può che essere positivo e la prognosi fausta.
Grazie al suo polimorfismo, la norma ha potuto collocarsi al centro del sistema sindacale ed abbracciarne tutte le variegate sfaccettature, facendosi trovare sempre preparata ad affrontare le tempeste che lo hanno attraversato.
L’art. 28 SL ha così potuto dare risposta a tutti i nodi che il sistema sindacale ha portato alla luce negli anni, fossero essi relativi ai soggetti – emblematica la questione dell’art. 19 SL ma, prima ancora, anche quella dell’inquadramento e rilievo del sindacato non confederale - all’oggetto – e non si possono non richiamare le numerose pronunce in tema di efficacia soggettiva o temporale del contratto collettivo - o, infine, allo strumento principe del confronto sindacale, lo sciopero.
Ma soprattutto i primi cinquant’anni dell’art. 28 SL hanno tracciato una strada che resta maestra per dirimere anche le future questioni che si porranno in tema di diritto sindacale, specie fino a quando esso manterrà il carattere di informalità che oggi lo connota.
Esiste, infatti, nelle pronunce rese in questi primi cinquant’anni ex art. 28 SL un comune denominatore pur nella variegata molteplicità delle fattispecie portate all’attenzione dei giudici. Tale filo conduttore può essere indicato nel porsi l’art. 28 SL come arbitro a tutela di uno svolgimento corretto e fisiologico del confronto tra le parti, quale momento tipico e caratterizzante le relazioni sindacali anche quando esso assume la forma del conflitto.
Lo sguardo al passato ed il giudizio positivo che se ne trae autorizzano anche una prognosi fausta sul futuro della norma in commento: la duttilità garantita dalla sua formulazione aperta rappresenta certamente il polmone che consente a quella disposizione di inalare ancora aria nuova e mantenere la sua forza propulsiva.
Se quelli descritti sono il passato ed il futuro dell’art. 28 SL è allora lecito chiedersi se è vero che, come è stato affermato , la norma ha valenza meramente processuale ma nulla toglie e nulla aggiunge al corpo del diritto sindacale .
Questa lettura appare invero riduttiva e dimentica della spinta che la norma statutaria ha dato allo sviluppo del sistema sindacale.
Come si è cercato di argomentare, infatti, senza una disposizione strutturalmente aperta e costruita su beni protetti che a loro volta rinviano al concreto atteggiarsi delle relazioni industriali, il diritto sindacale si sarebbe arrestato all’enunciazione delle prerogative previste dallo Statuto e dalle, per il vero poche, disposizioni di legge, lasciando fuori dal suo campo di azione e tutela tutto ciò che non era da essi disciplinato. Ed è noto che nel diritto sindacale lo spazio dell’anomia è ancora ampio. Sarebbe, ad esempio, rimasta fuori dal panorama di indagine la questione del diritto del singolo RSU ad indire l’assemblea, essendo quel soggetto sindacale di matrice contrattualcollettiva e quindi risolvendosi il rifiuto in una violazione di una norma di contratto e non di legge.
Ed allora, se ad ogni anniversario è doveroso un regalo, il più corretto è riconoscere all’art. 28 SL la natura di norma (anche) sostanziale, di fattispecie, nel senso di una norma che consente di acquisire al perimetro delle prerogative sindacali anche tratti che, sulla base delle sole fattispecie legali, gli sarebbero estranee.
La natura sostanziale dell’art. 28 SL non rimette in discussione la legittimità costituzionale della selezione dei soggetti ivi operata ai fini della legittimazione attiva al ricorso. I due temi, infatti, si muovono su piani paralleli: i soggetti selezionati ex art. 28 SL sono gli unici legittimati a portare le istanze davanti al giudice ma i diritti e le prerogative che derivano dalla decisione di quelle istanze sono acquisiti al sistema e dunque appannaggio di tutti i soggetti che possono definirsi sindacali, nel pieno rispetto della libertà sindacale di cui all’art. 39 co 1 Cost sia sotto il profilo dell’agibilità dei diritti sia sotto quello della determinazione ad opera del legislatore del modello di sindacato che tali diritti può agire.
In questa prospettiva si può serenamente augurare all’art. 28 SL altri cento di questi anniversari con la ragionevole convinzione che esso continuerà a rappresentare un polmone essenziale del sistema di relazioni sindacali ed al contempo la sua migliore garanzia di effettività.