Tante volte, in tempi più o meno recenti, abbiamo ascoltato, letto, abbiamo anche detto, che l’Italia si trova di fronte ad un bivio. Mai come oggi, dopo oltre un anno di pande-mia, con una crisi economica e sociale che continua a far sentire i suoi pesanti effetti mordendo la carne viva di milioni di lavoratrici e di lavoratori, questa espressione corri-sponde al vero, senza che si possa considerare in alcun modo esagerata o troppo enfati-ca.
Dobbiamo portare avanti una profonda opera di ricostruzione, con la stessa consapevo-lezza, con lo stesso responsabile sforzo di unità nazionale che seppero profondere i padri costituenti. Sapendo che non c’è affatto un passato di benessere al quale fare semplice-mente ritorno.
La verità, infatti, è che la crisi in cui siamo precipitati ha acceso un gigantesco riflettore sulle tante, troppe tare antiche del nostro Paese. Su decenni di riforme mancate, sulle enormi zavorre che da tempo immemore ci impediscono di imboccare con decisione la strada della crescita e del progresso sociale: divari in costante aumento, tagli a settori come sanità e scuola che proprio in quest’ultimo periodo hanno dimostrato più che mai di essere decisivi, indebolimento del welfare, politiche industriali assenti, giustizia lenta, burocrazia asfissiante, complessiva perdita di competitività…
In una situazione di stallo di questo genere, il nostro obbligo è inevitabilmente quello di un nuovo inizio. È quello di delineare un nuovo paradigma, un nuovo modello di svilup-po. Che tenga insieme crescita economica e coesione sociale. Che sia sostenibile ed equo.
La strada è lunga ed è piena di ostacoli, lo sappiamo. Ma possiamo riuscire. Le risorse civili e morali le abbiamo, lo dimostrano le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno tenuto in piedi il Paese in questi mesi. Medici, infermieri e operatori sanitari che hanno fatto enormi sacrifici e rischiato in prima persona. Donne e uomini delle Forze dell’Ordine, della Protezione civile, degli Enti locali, delle scuole. Il vasto e frastagliato esercito di lavoratori che opera quotidianamente nelle “filiere della vita”, nella logistica, nei trasporti, nell’industria, nell’agroalimentare, nella distribuzione. Tutti coloro che hanno continuato a garantire servizi e beni essenziali anche nei periodi di lockdown più duro. Davvero non può bastare un algoritmo, a far girare il mondo al posto loro.
L’attuale novità positiva è che anche le risorse economiche, per una volta, ci sono: natu-ralmente il Recovery Plan, i fondi del Next Generation Eu. Ma anche il Fondo Sure e una flessibilità sul Patto di stabilità che va confermata nei prossimi anni, senza indecisioni e sguardi all’indietro.
Non basta “riaccendere la luce” dopo il buio di questi mesi complessi e devastanti. Bi-sogna aprire una nuova stagione, approdare a un nuovo modello di crescita, ad una Re-rum Novarum della nostra economia. Con nuovi equilibri tra capitale e lavoro, tra istitu-zioni e corpi intermedi. Verso relazioni sociali e industriali nel segno dell’autonomia, del pragmatismo, della condivisione. Con al centro la persona e il principio della partecipa-zione. Ad animare una vera politica della concertazione.
In questa prospettiva, nel PNRR le parti sociali vanno coinvolte su due fronti; da una parte sulla valutazione degli impatti economici, sociali e occupazionali; dall’altra nella ve-ra e propria governance, con uno spazio stabile ed effettivo di confronto per garantire forti condizionalità sociali e occupazionali agli investimenti, buona qualità della spesa, traspa-renza e legalità, tempi certi di realizzazione, eventuale esercizio di flessibilità negoziate per accelerare i cantieri.
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Entrando in una disamina di merito dei contenuti lavoristici, va detto che il Piano non sempre fornisce risposte adeguate. La parte preponderante dei 6,66 miliardi di euro de-stinati alle politiche per il lavoro è indirizzata ad una riforma delle politiche attive e della formazione professionale (4,4 miliardi di euro per il triennio 2021-2023) da realizzare, d’intesa con le Regioni, entro il quarto trimestre 2021.
Due le direttrici: da un lato l’adozione del Programma Nazionale per la Garanzia Occu-pabilità dei Lavoratori (GOL), mirato alla presa in carico e progettazione professionale personalizzata ed esplicitamente indirizzato - con un approccio basato sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni - a superare l'eccessiva eterogeneità dei servizi ero-gati nei territori; dall’altro l’adozione del Piano Nazionale Nuove Competenze, promos-so per rafforzare il sistema della formazione professionale e definire livelli essenziali di qualità per le attività di upskilling e reskilling in favore dei beneficiari di sussidi di disoccu-pazione (NASPI e DIS-COLL), dei beneficiari del reddito di cittadinanza e dei lavoratori in CIGS, a cui si aggiungono misure in favore dei giovani e dei NEET, oltre che le azio-ni per le competenze degli adulti, a partire dalle persone che le hanno molto basse. Per i lavoratori occupati viene rafforzato il Fondo nuove competenze, istituito sperimental-mente nel 2020, per consentire alle aziende di rimodulare l’orario di lavoro, al fine di fa-vorire attività di formazione sulla base di specifici accordi collettivi con le organizzazioni sindacali, rifinanziato da REACT-EU per 1 miliardo.
Il PNRR mette in campo risorse adeguate, che però devono essere investite in tempi ra-pidi e nella giusta direzione. Per poter cogliere le potenzialità della ripresa post-covid, ed avviare finalmente un percorso combinato e virtuoso tra politiche passive ed attive del lavoro, che dia vita ad un sistema efficiente e garantito sul territorio perlomeno nei livelli essenziali, serve uno scatto che possa recuperare il grave ritardo italiano. Siamo invece preoccupati proprio dalla tempistica perché è da subito che sarebbe necessario disporre di un sistema del genere.
Sarebbe importante, fintantoché il nuovo strumento GOL non sarà disegnato e messo in campo, dirottare una parte delle risorse verso il rifinanziamento, nell’immediato, dell’assegno di ricollocazione. Lo strumento introdotto dalla riforma del 2015 e mai de-collato, consistente in un importo, graduato in funzione del profilo personale di occupa-bilità, che i soggetti possono utilizzare esclusivamente presso i Centri per l’impiego o al-tri enti accreditati per ottenere un’assistenza intensiva nella ricerca del lavoro nonché un piano di riqualificazione necessario a colmare il proprio fabbisogno formativo.
Si dovrebbe dedicare alla gestione esclusiva di questo strumento una parte del personale, in modo da renderlo una misura ad utilizzo automatico, dal primo giorno di disoccupa-zione, anziché dal quarto mese, come previsto dalla norma vigente, così da profilare le politiche attive come un vero e proprio diritto-dovere, senza aver timore di dire che i la-voratori che percepiscono una indennità di disoccupazione debbano essere tenuti ad ac-cettarlo. In definitiva si dovrebbe intanto lavorare con quello che c’è, non essendoci il tempo di attendere la riforma.
Nel contempo va ripreso immediatamente il percorso di potenziamento delle risorse umane e strumentali dei Centri per l’impiego sia avviando le 11.600 assunzioni previste dalla legge di bilancio di due anni fa, per le quali, nonostante vi fosse già stato apposta-mento di risorse finanziarie, in molte Regioni non si è neppure partiti, sia mettendo in campo i relativi percorsi formativi per il nuovo personale, sia approntando un sistema informativo unico.
Se i centri pubblici per l’impiego devono restare il motore del sistema, essi vanno soste-nuti da una spinta sinergica rappresentata dai rapporti “bilaterali” fra pubblico e privato.
Condivisibile che il nuovo sistema delle politiche attive preveda un Piano nazionale per nuove competenze, ma auspichiamo che ciò sia realizzato con l’azione coordinata dei Fondi Interprofessionali delle parti sociali nonché valorizzando maggiormente il Fondo Nuove Competenze per prevenire e gestire situazioni di crisi, prorogando la data del 30 giugno per la stipula degli accordi aziendali ed eliminando temporaneamente il divieto di utilizzo per lavoratori in CIG, in modo che possa fungere da reale disincentivo alle ridu-zioni di personale per le aziende in ristrutturazione.
Infine c’è il tema della governance del sistema. Come è noto, l’assetto istituzionale conse-guente alla revisione, effettuata nel 2001, del titolo V della Costituzione, attribuisce le politiche attive alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, con effetti da sem-pre problematici. La creazione di ANPAL, l’agenzia nazionale, avrebbe dovuto assicura-re il coordinamento dei diversi sistemi regionali, ma i risultati sono stati scarsi. La scelta di tornare parzialmente indietro, riaffidando direttamente al Ministero del lavoro i poteri di coordinamento, non pare di per sé risolutiva. Ciò che conta, al di là dello strumento, è che lo Stato non solo fissi i livelli essenziali delle prestazioni, ma sostenga le Regioni e allo stesso tempo vigili sul loro operato per assicurare la effettiva erogazione delle pre-stazioni stesse, intervenendo in caso di inottemperanza.
Tra le riforme di accompagnamento al PNRR figura quella relativa al sistema degli am-mortizzatori sociali volta ad ampliare l’ambito dei destinatari degli interventi e a sempli-ficare le procedure, definendo un sistema più equo, sostenibile e capace di far fronte alle trasformazioni, integrato con le politiche attive. In particolare vengono esplicitati sia l’obiettivo di ampliare le prestazioni in costanza di rapporto, garantendo a tutti i lavora-tori trattamenti ordinari e straordinari di integrazione salariale, differenziando durata ed estensione sulla base delle soglie dimensionali dell’impresa e tenendo conto delle caratte-ristiche settoriali, sia l’obiettivo di rafforzamento della rete di sicurezza contro la disoc-cupazione, implementando le protezioni dei lavoratori discontinui e precari. Per quanto riguarda i lavoratori autonomi l’obiettivo è quello di elaborare un sistema di tutele dedi-cate.
Quanto prospettato accoglie le evidenze emerse dal tavolo di confronto tra il Ministro del lavoro e le parti sociali, dove la Cisl ha chiesto che il sistema di ammortizzatori so-ciali sia coerente con i criteri di universalità ed equità, senza tuttavia smantellare, per la cassa integrazione, un sistema, diversificato e articolato, che risponde alle specificità dei settori produttivi e delle diverse dimensioni aziendali, anche con l’utilizzo della bilaterali-tà.
E’ poi fondamentale che gli ammortizzatori sociali, per garantire continuità delle presta-zioni e tenuta nel tempo, continuino ad essere finanziati su base assicurativa, pur se con forti elementi solidaristici. Nella fase di ingresso dei datori di lavoro con meno di 6 ad-detti, i veri esclusi dall’attuale sistema, l’elemento solidaristico dovrebbe prevalere, tra-sferendo per un certo periodo i costi alla fiscalità generale, per poi definire una aliquota di finanziamento da adeguare gradualmente.
Una ulteriore considerazione è relativa al ruolo del contratto di solidarietà e del contrat-to di espansione, da potenziare ed incentivare rispetto alla cassa integrazione a zero ore, per evitare in ogni modo le riduzioni di personale e favorire l’esodo dei lavoratori anziani ed il ricambio generazionale.
Per quanto riguarda, infine, la seconda gamba del sistema di ammortizzatori sociali, è necessario un consolidamento di Naspi e DisColl calibrando meglio questi strumenti at-traverso un forte allentamento del decalage, che attualmente scatta dal quarto mese, e il miglioramento del sistema del calcolo della durata per fare in modo che siano tutelati maggiormente i lavoratori con rapporti discontinui (ad es. gli stagionali), Va inoltre ga-rantito l’ aumento della durata massima per lavoratori al di sopra di certe soglie di età.
E’ evidente che anche per i lavoratori autonomi va immaginata una rete di tutela in caso di riduzione o sospensione dell’attività, ritagliata sulle esigenze specifiche che sono di-verse da quelle dei dipendenti emerse pesantemente durante il COVID, migliorando l’indennità (ISCRO) introdotta dall’ultima legge di bilancio.
Naturalmente a tutto questo deve corrispondere la grande svolta consistente nel rendere concreta la condizionalità degli ammortizzatori sociali alle politiche attive.
Altro tema centrale è quello dell’occupazione femminile e giovanile. Riguardo la prima questione, il PNRR appare carente. Poche e non risolutive le misure specifiche. Ad esempio il Piano sembra riporre aspettative eccessive sui progetti per l’imprenditoria femminile e sul Fondo Impresa Donna, ma il tema non può certo considerarsi determi-nante.
Importante il Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, che dovrà ac-compagnare e incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di gene-re in tutte le aree maggiormente "critiche"(opportunità di crescita in azienda, politiche di gestione delle differenze di genere, tutela della maternità), e non alla sola parità salariale. La parità di genere va infatti indagata a tutto campo, essendo il gap salariale solo un por-tato di altre forme di discriminazioni, in un contesto in cui sia la legislazione che la con-trattazione collettiva impongono parità di trattamento retributivo a parità di mansioni.
Di forte impatto avrebbe dovuto essere la condizionalità relativa all’assunzione di donne e giovani, stabilita dal PNRR e regolamentata nel Decreto “Semplificazioni”, chiesta alle imprese che parteciperanno ai progetti finanziati dal PNRR, che devono assicurare che una quota del 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la rea-lizzazione di attività ad esso connesse o strumentali sia riservata a giovani under 36 e donne. Misure ulteriori possono prevedere l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo. Pensiamo ad esempio all’assenza nei tre anni precedenti di accertamenti relativi ad atti o comportamenti discriminatori e rispetto dei principi di parità di genere, all’utilizzo di strumenti di conciliazione per i dipendenti, a modalità innovative di organizzazione del lavoro, all’impegno ad assumere giovani e donne in una percentuale superiore rispetto a quella prevista...
La percentuale stabilita (30%) resta piuttosto bassa, tanto più che si tratta di una quota complessiva (giovani più donne) e rischia di non assicurare assunzioni sufficienti di lavo-ratrici. Ma soprattutto non si comprende la ratio della norma che consente alle stazioni appaltanti di escludere l’inserimento delle previsioni riguardanti l’assunzione di giovani e donne o stabilirne una quota inferiore qualora vi siano elementi nel progetto che ne ren-dano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, ef-ficienza, economicità e qualità del servizio, ottimale impiego delle risorse pubbliche. Si tratta di una previsione totalmente in contrasto con gli obiettivi dichiarati del Piano.
Infine sono inadeguati i finanziamenti per gli asili nido e per la riforma della non auto-sufficienza (qui facciamo un salto nelle Missioni 4 e 6 del PNRR), nonostante si affermi nel Piano che sono interventi centrali per favorire l’occupazione femminile. Sul primo punto in particolare, l’intervento previsto mira alla costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza degli asili e delle scuole dell’infanzia, puntando a creare 228.000 posti di asi-lo nido, un passo in avanti importante ma non ancora sufficiente a raggiungere in tutte le regioni italiane, soprattutto quelle meridionali, l’obiettivo Ue di copertura del 33% dei bambini, che richiederebbe almeno altri 70.000 posti, secondo una stima di Alleanza per l'Infanzia. È da segnalare inoltre la scomparsa di qualsiasi riferimento ai servizi integrati. Si è persa nuovamente l’occasione per investire in un sistema integrato 0-6 con una vi-sione e risorse umane, finanziarie e strutturali adeguate.
L’occupazione femminile non appare, in definitiva, essere al centro del Piano, come an-nunciato. Soprattutto quello che salta agli occhi è che sono del tutto assenti misure sui tempi e le modalità di lavoro, come è del tutto assente il ruolo della contrattazione col-lettiva. A non convincere è la filosofia che c’è dietro. Da qualche tempo sembra infatti prevalere nel dibattito pubblico una visione delle misure per l’occupazione femminile, che il PNRR sposa in pieno, tutta spostata sulla de-familizzazione del lavoro di cura. La Cisl, pur considerando fondamentale il potenziamento dei servizi all’infanzia, ritiene che non basti esternalizzare il lavoro di cura ma che sia altrettanto importante condividerlo tra i generi, attraverso forme di organizzazione e/o flessibilizzazione del lavoro che diano maggiori gradi di libertà nella gestione del tempo.
E’ vero che in passato questa strada in tanti casi non ha dato gli effetti sperati perché le misure in campo sono state spesso utilizzate in prevalenza dalle lavoratrici (part-time), o addirittura indirizzate ad esse in partenza (congedi parentali). Ma se ci sono stati aspetti trascurati o errori nel passato, non è detto che non si possano superare. E soprattutto oggi abbiamo uno strumento in più che si è imposto con prepotenza: il lavoro agile, che dopo l’utilizzo in chiave emergenziale, ora va recuperato alla contrattazione individuale e soprattutto collettiva per superarne le criticità emerse nell’utilizzo forzato e continuativo e valorizzarne le grandi potenzialità anche in chiave di conciliazione vita-lavoro.
L’idea della Cisl è quella di sostenere con incentivi mirati le aziende che introducano, tramite la negoziazione collettiva aziendale, misure di conciliazione vita-lavoro, a condi-zione che siano utilizzate in maniera paritaria da lavoratori e lavoratrici. Tra tali misure va particolarmente valorizzato lo smart working, proprio in quanto strumento di concilia-zione vita-lavoro che, per la prima volta, piace anche agli uomini e, per ciò stesso favori-sce la condivisione del lavoro di cura. Più in generale questo strumento riduce il ricorso delle donne al part-time, riduce la necessità di trasferte, più facilmente accettate dagli uomini, aumenta la consapevolezza degli uomini circa i carichi di lavoro domestico, ren-de il fattore tempo assai meno determinante a fini retributivi, riduce le difficoltà di con-ciliazione alla base di quel 25% di abbandono del lavoro alla prima gravidanza, che l’Istat continua da anni a registrare rimasto scandalosamente immutato.
Abbiamo parlato genericamente di incentivi alle aziende che introducono contrattual-mente strumenti di conciliazione, che possono concretizzarsi in sgravi contributivi, ma che per lo smart working potrebbero assumere la forma di contributo alla strumentazione o a spazi di coworking, perché il lavoro agile non sia un “privilegio” utilizzabile solo da chi dispone di dispositivi adeguati o di abitazioni o situazioni familiari compatibili. In questo senso sono importanti le misure individuate nella Missione 1 volte a colmare il gap di connettività delle famiglie (per aumentare il tasso di copertura con reti ultra-veloci, oggi pari al 24%, rispetto a una media UE28 del 60%).
In definitiva, servono scelte più incisive e coraggiose, che abbiano un impatto reale sulla vita delle lavoratrici.
Per i giovani, più che le misure specifiche, a fare la differenza è il contesto generale, e quello italiano è sfavorevole da ogni punto di vista. Ci limitiamo qui ad osservare che nel PNRR conteranno il potenziamento del sistema di istruzione ed una ripresa massiccia degli investimenti. Abbiamo già detto della percentuale di assunzioni legate ai progetti del PNRR. Entrando in alcune singole misure, apprezziamo particolarmente il focus sul sistema duale, ma manca una proposta maggiormente circostanziata che per la Cisl do-vrebbe concretizzarsi in un forte investimento sui percorsi formativi e su figure di facili-tatori del rapporto tra scuole/università e imprese, in un potenziamento degli incentivi ai datori di lavoro che lo utilizzino, nella semplificazione procedurale.
Anche il progetto di rafforzamento del Servizio civile rappresenta una importante scommessa sul piano della responsabilità civile e dell’educazione civica praticata nonché del potenziamento delle soft skill.
Infine, la sicurezza, che resta una grande priorità nazionale e un fattore di crescita per l’azienda. La prima parola d’ordine, allora, deve essere prevenzione. Non è possibile che ogni anno si effettuino solo alcune migliaia di ispezioni, quando poi, peraltro, il numero delle violazioni raggiunge l’80% dei casi. Si trovino le risorse per assumere nuovi ispetto-ri e nuovi medici del lavoro, e si proceda subito su questa strada. Si investa in ricerca e in formazione: chi inizia a lavorare ha bisogno di tempi certi per l’apprendimento, per non essere mandato allo sbaraglio. Lo abbiamo visto, purtroppo: l’addestramento senza affiancamento porta a tragedie. Si dia poi piena attuazione al Testo Unico del 2008, per-ché è assurdo che dopo tredici anni stiamo ancora aspettando i decreti attuativi che dia-no gambe a norme che potrebbero funzionare e invece restano sulla carta.
Altro punto da tenere ben fermo: in tema di appalti, guai ad abbassare il livello di traspa-renza e di controllo. Per questo abbiamo fatto sentire la nostra voce, con successo, sulle norme contenute nel decreto “Semplificazioni”: quelle sul massimo ribasso sono state stralciate e la disciplina sulla soglia nei subappalti è stata cambiata.
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Quel che è certo, è che creare lavoro sicuro, ben tutelato, produttivo, è la chiave di volta per la ripresa del Paese. Da qui passano la sua cura e le possibilità di guarigione. Dalla vitalità dei corpi intermedi, dalla promozione di relazioni industriali e sociali più parteci-pative.
C’è un grande terreno su cui muoversi: innovare la contrattazione nazionale e decentra-ta, allargandone il perimetro alle piccole e medie aziende, definendo nuove flessibilità, rafforzando la conciliazione vita-lavoro, costruendo un welfare negoziato universale e in-clusivo anche delle famiglie, lavorando insieme sull’aumento della produttività, arginan-do le ingerenze delle leggi nella regolazione di materie che sono proprie della contratta-zione. E poi, i tempi sono maturi per un grande disegno di democrazia economica, per una effettiva partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche d’impresa.
È la via della corresponsabilità che ci condurrà fuori dalla tempesta. La via del dialogo. Questo è davvero il momento di avere uno “sguardo lungo” sul domani. Dobbiamo ar-rivare a un nuovo e moderno Patto Sociale, che consenta all’Italia di approdare ad un modello di sviluppo che coniughi solidarietà e competitività, coesione e produttività.
“Peggio di questa crisi”, ci ha avvertiti Papa Francesco, “c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. È così, sarebbe un delitto mancare questa occasione. Faccia-mo tutti in modo che i mesi e gli anni che verranno servano, invece, per procedere verso un nuovo e sostenibile modello di crescita, verso la frontiera di una compiuta economia sociale del benessere.