La pandemia di COVID 19 ha colpito duramente l’Europa, alimentando le crisi già esistenti e generando una profonda recessione sull’Italia e i Paesi membri. L’impatto sociale ed economico della pandemia sui lavoratori e sui cittadini è stato devastante.
Allo scopo di contenere gli effetti della crisi e facilitare la ripresa, la scorsa estate il Consiglio Europeo ha adottato Next Generation Europe, un piano straordinario di 750 miliardi per rilanciare il vecchio continente. Come indicato dall’Unione, abbiamo il dovere di proteggere i cittadini europei, la loro salute e i loro posti di lavoro, garantendo allo stesso tempo equità, resilienza e stabilità macroeconomica. In sintesi, quello a cui l’Unione fa riferimento è un paradigma diverso rispetto a quello che ha predominato in Europa negli ultimi due decenni. Un nuovo paradigma economico e sociale che, tanto a livello nazionale che europeo, rivendichiamo da oltre un decennio. Personalmente ricordo che circa dieci anni fa eravamo in piazza a Bruxelles, con i colleghi di tutti i sindacati europei, per chiedere il superamento dell’approccio di austerity che stava falcidiando i servizi pubblici e i diritti sociali in molti Paesi europei.
Next Generation Europe, per come concepito, rappresenta una straordinaria innovazione e un significativo step nel processo di integrazione Europea. Per la prima volta vengono introdotti gli eurobond; anche se la strada era già stata aperta dall’emissione delle obbligazioni sociali necessarie a finanziare il programma SURE, sul quale torneremo successivamente.
Come organizzazione sindacale abbiamo seguito tutto l’iter di approvazione di Next Generation Europe, sia a livello comunitario, attraverso il fondamentale lavoro della Confederazione Sindacale Europea, che ha insistito sulla previsione del coinvolgimento delle parti sociali nei regolamenti attuativi del Piano, sia a livello nazionale. Fin dalla scorsa estate, abbiamo chiesto ai Governi succedutisi nel corso dell’ultimo anno un confronto sostanziale sulle scelte strategiche che guideranno la ripresa attraverso l’implementazione del PNRR. La nostra è una storia profondamente ancorata alle radici europee e al modello sociale europeo il cui strumento cardine è rappresentato dal Dialogo Sociale. Abbiamo chiesto questo, non la cogestione. Pensiamo che il dialogo sociale sia uno strumento essenziale per dare seguito alle Raccomandazioni specifiche che riguardano il nostro Paese.
Il piano italiano approvato dalla Commissione è ambizioso, 190 misure tra riforme e investimenti, con 525 obiettivi strategici, soprattutto per quanto riguarda i temi più all’avanguardia e sui quali abbiamo registrato nel tempo profondi ritardi come ambiente e transizione verde, digitalizzazione, mobilità, sanità, politiche attive del lavoro e istruzione. Scelte che strategicamente condividiamo, ma come abbiamo giù avuto occasione di ripetere riteniamo inadeguato il confronto avuto con il Governo in ordine alla definizione degli obiettivi e in particolare sulle riforme che accompagneranno il Piano. Quella delle riforme sarà una partita chiave dalla quale dipenderà lo stanziamento dei fondi. Per tali ragioni riteniamo che non si possa prescindere dall’indicazione, chiara ed esplicita, della garanzia di un confronto con le Organizzazioni Sindacali nel quadro del Dialogo Sociale. Ciò vale soprattutto per le Riforme che riguardano i temi del lavoro e dell’occupazione, della pubblica amministrazione, della semplificazione, della concorrenza, delle politiche industriali e delle infrastrutture, dell’istruzione e formazione, della giustizia, del fisco, delle pensioni, della sanità e delle politiche sociali. Al pari delle riforme abbiamo più volte rivendicato un cronoprogramma chiaro ed esaustivo in grado di quantificare impatti sociale e occupazionali del Piano.
A nostro avviso non esiste ancora una chiara integrazione tra riforme e investimenti programmati. Siamo fermamente convinti che solo attraverso questo binomio si possano mitigare gli effetti socioeconomici della crisi, supportare la crescita, assicurare la giustizia sociale, realizzare la transizione ecologica e digitale e aumentare la resilienza sociale, economica, sanitaria e occupazionale. D’altronde, molte delle nostre proposte sono assolutamente in linea con le Raccomandazioni europee, tra cui: interventi volti a ridurre il carico fiscale sul lavoro, a contrastare l’evasione e l’elusione fiscale e le disuguaglianze di reddito, la disoccupazione e la crescente povertà.
Il regolamento attuativo del Piano votato a Bruxelles chiede il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione e nell’implementazione del Piano. Non chiediamo altro che rispettarlo. Alcuni Paesi, come la Francia, lo hanno già definito, noi restiamo in attesa.
Lo ho detto prima, le nostre radici sono profondamente europee, legate indissolubilmente al modello sociale europeo che ha garantito il benessere del nostro continente per oltre mezzo secolo. La UIL è tra i soci fondatori del movimento sindacale europeo e riteniamo la politica europea complementare a quella nazionale. Tuttavia, la partita europea non riguarda solo Next Generation, ma un percorso strutturale di riforma che auspichiamo possa essere portato a termine nel corso della Conferenza sul Futuro dell’Europa appena apertasi. Abbiamo le nostre proposte che cerchiamo di portare avanti nei confronti con il Governo e in Europa attraverso la Confederazione Europea dei Sindacati. Vorrei tornare su SURE, il meccanismo che durante la pandemia ha permesso per la prima volta nella storia europea di emettere EuroBond e che è intervenuto attraverso una dotazione di oltre 100 miliardi a sostegno del lavoro e dei sistemi di cassa integrazione dei diversi Paesi. Gli attenti osservatori sapranno che SURE è una nostra proposta; avanzata già diversi anni fa dal movimento sindacale europeo e sostenuta dai sindacati confederali italiani. Qualche settimana fa abbiamo partecipato a un dibattito organizzato dalla rappresentanza dell’Unione Europea in Italia con il Commissario al Lavoro Schmit e mi sono permesso di lanciare una proposta al Governo italiano che qui ribadisco: lavoriamo a un progetto di stabilizzazione permanente e riforma di SURE tutto italiano da presentare in Europa. Un progetto di riforma che renda il meccanismo di finanziamento strutturale e possa intervenire a sostegno dei Paesi lungo tre assi: per supportare i sistemi di cassa integrazione, per sostenere il reddito di chi ha perso il posto di lavoro e per sviluppare politiche attive del lavoro. Un simile meccanismo avrebbe non solo un importante impatto sociale, ma contribuirebbe anche a rafforzare il sentimento di integrazione europea. I cittadini e i lavoratori, infatti, vedrebbero il logo dell’Unione Europea su questi provvedimenti di sostegno e percepirebbero visivamente e concretamente gli effetti positivi dell’appartenenza all’Unione.
Lo scorso mese di maggio si è tenuto un importante vertice sociale a Porto, in occasione della presidenza portoghese, al quale hanno partecipato tutti i capi di Stato europei, e dove si è concordato di accelerare il processo di implementazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Quella del Pilastro, per noi, è una questione dirimente. Abbiamo già chiesto al Governo italiano un impegno concreto e fattivo affinché esso diventi vincolante per tutti gli Stati e venga recepito all’interno dei Trattati. Perché misure come quelle legate al Fiscal Compact che hanno falcidiato i sistemi pubblici e sociali europei sono state rese vincolanti mentre misure sociali come la parità salariale, i salari dignitosi, la sicurezza sul lavoro, devono restare mere enunciazioni di principio?
Ultima, ma non in ordine di importanza, è la questione relativa al Patto di Stabilità perché, nonostante in Italia tutti si affrettino a criticarlo e a chiederne una riforma, non tutti poi si comportano di conseguenza in sede europea. La riforma del Patto di Stabilità sarà la rappresentazione plastica di quel cambio di paradigma sociale, economico e di crescita che citavamo prima.