Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa: il thema decidendum della sentenza n.112/2021.
Con la sentenza n. 112 del 2021 la Consulta ha operato un intervento mani-polativo, di tipo additivo, accogliendo la questione di legittimità costituzionale promossa dal T.A.R. della Lombardia (Sezione quarta) e dichiarando l'incostituzio-nalità dell’art. 31, comma 3, ultimo capoverso, e comma 4, lettera a), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27 (Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica), nella parte in cui le predette disposizio-ni non consentono di inquadrare nell’area della protezione, ai fini della determina-zione del canone di locazione sopportabile, i nuclei familiari con redditi da lavoro autonomo con ISEE-ERP di valore corrispondente a tale area .
Per indicazioni di sintesi dell’annotata pronuncia, anticipate con l’ormai con-sueto comunicato stampa della Corte reso noto il 28 maggio 2021, nella richiamata pronuncia si individuano alcuni profili violativi dell’art. 3 Cost. da parte delle suin-dicate disposizioni censurate nella parte dispositiva in cui riservavano i canoni di locazione più bassi esclusivamente agli assegnatari di alloggi il cui reddito provenga da pensione, da lavoro dipendente o assimilato. Nello specifico, il giudizio di irra-gionevolezza posto alla base dell’intervento manipolativo, prende le mosse proprio dalla finalità della disciplina volta a garantire il diritto inviolabile all’abitazione a persone che versano in condizioni di particolare fragilità economica, così da ritene-re non ragionevole escludere dai canoni di locazione più bassi per gli alloggi di edi-lizia residenziale pubblica i nuclei familiari il cui reddito provenga, come nel caso della parte ricorrente, da lavoro autonomo.
La Corte ha dunque ravvisato una disparità di trattamento, in danno della ca-tegoria del lavoratore autonomo, anzitutto non ravvisando una ragionevole giustifi-cazione della diversa disciplina nel differente meccanismo impositivo cui sono sot-toposti i redditi in questione ed escludendo, inoltre, che la disparità di trattamento possa motivarsi in ragione del risalente e parziale contributo finanziario erogato, a beneficio del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica, dai cosiddetti fondi Ge-scal, alimentati con prelievi sui redditi dei lavoratori dipendenti. La Corte è perve-nuta al provvedimento additivo richiamando i diritti inviolabili costituzionalmente tutelati all’abitazione e al rispetto del lavoro in tutte le sue forme, parametri che «impongono che il principio di eguaglianza si dispieghi pienamente, applicando le stesse modalità di calcolo del canone di locazione in favore di assegnatari che ver-sino in situazioni di grave fragilità economica».
2. I rilievi emersi nel giudizio a quo e la ragioni prospettate dalle parti nel processo ad quem.
Il Tribunale amministrativo rimettente con provvedimento («sentenza non definitiva») decideva di rimettere gli atti al vaglio della Corte, sospendendo il giudi-zio riveniente da ricorso depositato in data 9 gennaio 2019 e contrassegnato dall’impugnazione di un provvedimento con il quale la M.M. S.p.a., azienda pubbli-ca che gestisce il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP) del Comune di Milano, respingeva il reclamo relativo alla determinazione dei nuovi canoni di lo-cazione per il biennio 2018-2019, con riguardo all'abitazione di edilizia popolare assegnata al soggetto privato ricorrente . Nello specifico, M.M. S.p.a., avendo rite-nuto che la ricorrente, alla luce del suo reddito effettivo e della sua situa-zione anagrafica, e del corrispondente valore Isee-Erp, dovesse essere collocata in una classe (B1 dell'area «accesso») che determina un canone di locazione, per gli anni 2018 e 2019, pari a euro 101,44 mensili, concludeva, a seguito del precitato reclamo, che «la valutazione dei dati anagrafici e reddituali per l'anno 2018 non consente l'applicazione di un canone inferiore».
Quanto alla “rilevanza” della questione di costituzionalità, il giudice a quo aveva preliminarmente precisato come soltanto l'eventuale accoglimento della me-desima questione dinanzi alla Consulta, con la conseguente caducazione della nor-ma censurata, avrebbe consentito allo stesso giudice di prime cure di annullare il provvedimento impugnato.
In merito al requisito della “non manifesta infondatezza”, la questione solle-vata dalla difesa della parte ricorrente, con riferimento all'art. 31 della l.r. n. 27/2009, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui le disposi-zioni sopra richiamate - comma 3, ultimo capoverso, e comma 4, lettera a) e lette-ra b) - non consentono la collocazione nell'area della protezione a soggetti che percepiscono redditi da lavoro autonomo (come la ricorrente nella fattispecie), a prescindere dall'ammontare del reddito percepito. A parere del collegio rimettente, il profilo violativo dell'art. 3 Cost. da parte delle disposizioni censurate, si sarebbe perpetrato nel trattamento diverso di situazioni sostanzialmente uguali e nella irra-gionevolezza della scelta operata dal legislatore regionale. In ordine al primo profi-lo, le disposizioni in questione avrebbero integrato la violazione dell'art. 3 Cost. sottoponendo ad un trattamento differenziato (deteriore) situazioni di precarietà economico-reddituale analoghe o addirittura identiche (contraddistinte dal posses-so di un reddito in entrambi i casi al di sotto di determinate soglie) rispetto a quelle prefigurate dal comma 4, lettera a), dell'art. 31 della l.r. n. 27/2009, sol perché il reddito posseduto derivi da lavoro autonomo, anziché da pensione, lavoro dipen-dente o assimilato.
Per invero, le situazioni di debolezza economica non appaiono dissimili tra loro, «non potendosi distinguere, sotto il profilo della capacità di far fronte al pa-gamento di un canone locatizio ERP, la condizione del soggetto che percepisca en-trate esigue dalle fonti di cui al citato comma 4, lettera a), dalla condizione di altro soggetto che tragga un reddito di pari ammontare dallo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo». In tal senso, risulterebbe manifestamente illogica la scelta del legislatore di sottoporre situazioni così simili a trattamenti così differenziati, preve-dendo la collocazione degli interessati in aree di assegnazione distinte e l'applica-zione agli stessi di canoni di importo ben diverso, così omettendo di valutare che entrambe le situazioni esprimono sostanzialmente un'analoga situazione di biso-gno.
Vi è poi un altro profilo che il giudice a quo ha evidenziato sul piano della non manifesta infondatezza della questione, ossia che il trattamento deteriore ri-servato ai soggetti percettori di reddito da lavoro autonomo possa trovare valida ragione giustificatrice nella differente tipologia di rapporto lavorativo che viene in rilievo. Peraltro, non appariva sostenibile che il differente trattamento riservato alle entrate da lavoro dipendente, pensionistiche e provenienti da enti pubblici potesse trovare giustificazione nel fatto che «le stesse provengono da tipologie lavorative o soggetti che vengono sottoposti a un controllo a monte, mentre tipologie diverse di entrate non sarebbero soggette ad alcun tipo di verifica». E ciò inconsiderazione del fatto che l'ordinamento contempli varie tipologie di verifiche e controlli che possono essere svolti, con altrettanta efficacia, anche per l'accertamento delle entrate derivanti da attività di lavoro autonomo; in tal senso, fino a quando i redditi provenienti da lavoro autonomo non saranno oggetto di rettifiche, si dovrà ritenere presunta la loro veridicità e si dovrà seguire gli stessi effetti che derivano da redditi di egual misura, sebbene di diversa origine.
Nel corso del giudizio ad quem, la difesa regionale ha afferma che le situa-zioni dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi sarebbero soltanto appa-rentemente simili, atteso che la differenziazione sarebbe fondata su ragioni storiche a tutt’oggi rilevanti . Peraltro, la stessa Corte (sentenze nn. 424 del 1995 e 241 del 1989) aveva già evidenziato come l’ammissione alla fruizione di una parte dei con-tributi (Gescal – Gestione case per i lavoratori) di soggetti individuati soltanto in funzione della subita incidenza nel loro patrimonio immobiliare degli effetti distrut-tivi provocati da determinate calamità naturali, a prescindere quindi dalla qualità di lavoratori dipendenti, oltre che irragionevole in sé, determinava anche la violazione del principio di uguaglianza, equiparando il trattamento di situazioni diverse.
In conformità, a parere della Regione costituita, si erano espressi altri prov-vedimenti dello Stato nonché previsioni di altre leggi regionali, che introdurrebbero regimi differenziati per categorie di lavoratori nella disciplina degli alloggi pubblici .
Quanto alla posizione assunta dalla difesa della parte ricorrente nel procedi-mento a quo, l’accoglimento della questione sollevata è stato fondato sull’irragionevolezza della discriminazione operata dalla disposizione censurata, che applicherebbe un trattamento deteriore ai lavoratori autonomi con redditi partico-larmente bassi, la cui situazione economica e lavorativa sarebbe, in realtà, «ben peggiore di coloro che risultano garantiti dalla norma impugnata, non avendo ri-spetto a questi né la certezza di stipendi e pensioni mensili, né la certezza della continuità della collaborazione» .
3. Gli snodi fondamentali del decisum.
Dopo aver ricostruito dettagliatamente la vicenda processuale dall’ordinanza di rimessione alle singole ragioni difensive delle parti costituite, in via preliminare, il giudice delle leggi ha esaminato nella parte motiva (punto 3 del considerato in dirit-to), il profilo afferente alla forma dell’atto di promovimento del giudizio di legitti-mità costituzionale trattandosi, nel caso di specie, di sentenza non definitiva. Sul punto la Corte è pervenuta alla decisione che l’adozione di una sentenza non defi-nitiva, ai fini della remissione della questione non può inficiare l’ammissibilità della questione stessa, dovendosene riconoscere l’equiparazione anche sul piano sostan-ziale, anche in considerazione del fatto che il giudice a quo aveva comunque sospe-so il procedimento principale, effettuando una valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione. Sul punto, a simili conclusioni la Corte era pervenuta in altri giudizi costituzionali, precisando che la forma di sentenza non definitiva, anziché di ordinanza, dell’atto di promovimento non comporta l’inammissibilità delle questioni, allorché il giudice a quo – dopo la positiva valuta-zione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della stessa – aveva disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte. Tali determinazioni, anche se assunti con la forma della sentenza, inducono a ritenere che debba essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto riconosciuto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 .
Nel merito, la Corte costituzionale perviene alla declaratoria di fondatezza della questione attraverso un inquadramento minuzioso della fattispecie in esame, il cui apparato normativo si inserisce nel quadro di una disciplina regionale finaliz-zata alla determinazione del canone di locazione “sopportabile” (cioè alla capacità massima del nucleo familiare di sostenere il costo di un affitto, a prescindere dal valore dell’alloggio.), relativo ad immobili che rientrano nell’edilizia residenziale pubblica. Tali beni sono finalizzati ad assicurare un bisogno primario, il diritto invio-labile all’abitazione, alle categorie di soggetti “economicamente deboli” per garantire loro un’esistenza dignitosa, per il tramite di un servizio pubblico preposto alla “provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti” .
Le norme censurate, pertanto, devono porsi tra gli obiettivi primari quello di garantire l’effettività della tutela del diritto all’abitazione, «incluso nel catalogo dei diritti inviolabili», come consacrato dalla stessa Corte in alcune significative pro-nunce ove era stato affermato che tra i compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso, vi è quello creare le condizioni minime di uno Stato sociale e concor-rere a garantire ai cittadini il fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazio-ne, così da «…contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana…» . Se, dunque, la disci-plina censurata è ispirata, attraverso canoni di locazione particolarmente vantag-giosi, a garantire il godimento effettivo di un diritto inviolabile a beneficio di nuclei familiari che versano in condizioni di notevole fragilità economica, è proprio sullo sfondo di un simile obiettivo che deve essere esaminata la disparità di trattamento evocata dal rimettente quale parametro di incostituzionalità.
Tale indagine richiede, a parere della Corte, un giudizio in termini di ragionevolez-za sulla scelta del legislatore regionale di «…aver riservato l’accesso alla categoria della protezione ai soli nuclei familiari con redditi da pensione, da lavoro dipenden-te o assimilato, escludendo gli assegnatari che, a parità di reddito, abbiano entrate derivanti da un’attività di lavoro autonomo...» . Proprio in considerazione delle fi-nalità sottese alle disposizioni censurata, non emerge alcuna ragionevole giustifica-zione che sorregga la diversa determinazione del canone di locazione tra gli asse-gnatari titolari di redditi da pensione o da lavoro dipendente, rispetto a coloro che percepiscano entrate fonte di lavoro autonomo.
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte si è distinto per la disamina accurata delle ragioni addotte dalle parti, pedissequamente passate al setaccio, prima di per-venire al giudizio di irragionevolezza delle norme censurate; due i profili di indagi-ne sottesi alla parte motiva che conducono a ravvisare la disparità di trattamento.
In particolare, a parere della Corte, la ragionevolezza della disparità di trattamento non emerge «né sotto il profilo della differente disciplina tributaria che caratterizza le varie tipologie di reddito, né avendo riguardo al contributo finanziario offerto dai soli lavoratori dipendenti, in un risalente passato, alla realizzazione dell’edilizia re-sidenziale pubblica». Ed infatti, come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, non vi è attinenza tra la disciplina censurata ed il meccanismo impositivo che caratte-rizza i redditi da lavoro autonomo, differenziandoli da quelli da pensione, da lavoro dipendente o assimilato. Diversamente opinando, andrebbe ad integrarsi una pre-sunzione (iuris et de iure) di non veridicità delle dichiarazioni fiscali effettuate dai la-voratori autonomi, inquadrando tale categoria di assegnatari, con un giudizio aprioristico, meno meritevole di beneficiare di politiche di giustizia sociale.
Escludendo tale chiave di lettura, la disparità di trattamento perde ogni giustifica-zione connessa alla fonte del reddito. In caso di trattamento differenziato nella quantificazione dei canoni di locazione, si determinerebbe una discrepanza nel go-dimento di un diritto inviolabile, sulla base della diversa fonte di reddito del nucleo familiare e della sua provenienza da distinte tipologie di lavoro, in difformità da quanto disposto dall’art. 35, primo comma, Cost., ove è sancito che il lavoro deve essere tutelato “in tutte le sue forme”.
In ordine al secondo profilo esaminato (contributo finanziario offerto dai soli lavo-ratori dipendenti), disattendendo le argomentazioni offerte dalla difesa regionale, la Corte ha escluso si trattasse di una giustificazione ragionevole della disparità di trattamento denunciata. L’irragionevolezza della disparità di trattamento determi-nata dalle disposizioni censurate si evince nella scelta di dare rilevanza a un risalen-te e neppure esclusivo contributo erogato dai lavoratori dipendenti per la realizza-zione dell’edilizia residenziale pubblica, così pregiudicando nuclei familiari econo-micamente fra i più deboli, per il solo fatto che essi sono sostenuti dal reddito di un’altra categoria di lavoratori .
Parimenti privo di pertinenza, infine, è stato valutato il rilievo della difesa regionale finalizzato a rimarcare la differenza che intercorre tra leggi regionali e provvedi-menti statali in ordine alla disciplina delle locazioni nell’edilizia residenziale pubbli-ca, in considerazione della tipologia di reddito percepito dal conduttore. Infatti, le norme evocate presentano anzitutto un differente tenore rispetto a quelle oggetto di censura, limitandosi a dettare un criterio preferenziale; peraltro, si tratta di di-sposizioni «del tutto inidonee a plasmare il parametro della legittimità costituziona-le…peraltro mai sottoposte al sindacato di legittimità costituzionale» .
L’assenza di una causa giustificativa idonea a rendere ragionevole la censurata di-sparità di trattamento, comporta che il comma 3, ultimo capoverso, e il comma 4, lettera a), dell’art. 31 della legge reg. Lombardia n. 27 del 2009, integrino la viola-zione dell’art. 3, primo comma, Cost., determinando un’irragionevole disparità di trattamento.
4. Considerazioni conclusive.
L’interesse che la pronuncia in esame suscita è sicuramente correlato alla riaf-fermazione dei diritti inviolabili all’abitazione e al lavoro in tutte le sue forme. L’intervento additivo della Corte costituisce un’ulteriore occasione per rafforzare la funzione della disciplina normativa censurata volta a promuovere l’effettività della tutela del diritto all’abitazione e per evidenziare come diritto all’abitazione e al la-voro impongano che il principio di eguaglianza si dispieghi pienamente, senza che siano consentite irragionevoli disparità di trattamento e si pervenga, come nel caso di specie, all’applicazione delle medesime modalità di calcolo del canone di locazio-ne, in favore di assegnatari che versino in situazioni di grave fragilità economica, al di là delle categorie lavorative di appartenenza.
Ogni occasione di chiarimento e rafforzamento della cornice dei diritti inviola-bili garantiti dalla Carta costituzionale non può che essere recepita in termini posi-tivi, sia che si tratti di principi consacrati esplicitamente ed in via diretta - come nel caso del diritto al lavoro e alla qualità e dignità dello stesso (art. 4 e 35 ss. Cost.) - sia nei casi in cui la tutela investa categorie di diritti di “nuova generazione”, il cui fondamento si ricava attraverso la lettura sistematica delle stesse norme costitu-zionali o per il tramite della giurisprudenza costituzionale.
La creazione di “nuovi diritti”, come il diritto all’abitazione è apparsa come un tentativo di cogliere le opportunità offerte da questo nuovo mondo senza doverne patire i rischi e gli abusi, cercando di riportare così sotto il controllo del diritto e dei cittadini processi che altrimenti potrebbero travolgere, insieme, le persone e la democrazia. La proclamazione di un diritto non ne assicura rispetto ed effettività e la tendenza in graduale affermazione è di costruire una rete di convenzioni, proto-colli e accordi che trasferiscano nella dimensione sovranazionale poteri e responsa-bilità legati appunto alla tutela dei diritti, che portino al rafforzamento delle Corti internazionali, al fine di elidere le profonde disuguaglianze materiali e gli ostacoli che limitano, di fatto, la libertà degli individui . I diritti umani di seconda genera-zione, essenzialmente di natura economica, sociale e culturale, si sono affermati proprio come garanzia dell’uguaglianza tra gli individui ed in questa cornice insi-stono il diritto ad avere un’occupazione, un’abitazione, il riconoscimento di cure sanitarie, sicurezza sociale e indennità di disoccupazione, come riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
La tutela del diritto all’abitazione è ormai entrata in una dimensione di “tutela multilivello dei diritti” e necessita di un intervento del legislatore, statale e regiona-le, contraddistinto da nuovi modelli di politiche abitative che possano garantire una maggiore effettività del diritto all’abitazione, più assimilabile ai parametri indicati dalle Carte e Corti sovranazionali, cui sempre più incessantemente si sta confor-mando anche la Corte costituzionale .
In un quadro così univocamente indirizzato verso il consolidamento dei diritti inviolabili in esame, la sentenza n.112 del 2021 si colloca in piena conformità e po-trebbe fungere da apripista per ulteriori interventi finalizzati ad una maggiore effet-tività di tutela.