Mi unisco agli amici e colleghi che mi hanno preceduto nel plauso alle due relazioni: esse hanno scandagliato nuovamente il nostro diritto sindacale, sottolineandone assai bene le criticità. La relazione di Pier Antonio Varesi propone alcuni interventi, che mi verrebbe da definire “chirurgici”. Nel dibattito dottrinale che ormai da anni domina il diritto sindacale e vede contrapporsi i fautori della legislazione di sostegno hard, i fautori delle virtù autopoietiche dell’ordinamento intersindacale (plotone sempre più sparuto) e i fautori della legislazione di sostegno soft, mi pare che le proposte di Pier Antonio possano a buon titolo collocarsi in quest’ultimo ordine di idee . Mi pare una posizione saggia, che cerca di conservare gli aspetti più positivi del nostro sistema di relazioni industriali, in termini di flessibilità e capacità di adattamento, ponendo rimedio alle criticità più evidenti.
Qui mi vorrei brevemente soffermare soltanto sul tema della rappresentanza dei lavoratori in azienda, con particolare riferimento a uno dei tormentoni ricorrenti del diritto sindacale, ovvero il tema della partecipazione dei lavoratori . Com’è noto, la Corte costituzionale ammonisce il legislatore a intervenire sull’art. 19 dello Statuto dei lavoratori quanto meno dalla sentenza n. 30 del 1990: con la 231/2013, la Corte, dopo la capriola dialettica con la quale ha sostanzialmente sconfessato il proprio precedente del 1996 (la sentenza n. 244), legittimando alla costituzione di RSA anche chi ha partecipato alle trattative senza poi sottoscrivere il contratto collettivo, ritorna con forza nelle ultime battute sulla necessità della riscrittura delle regole. Suggerisce addirittura diverse vie, pur sottolineando che la scelta spetta al legislatore: si va dal diritto dei lavoratori di eleggere propri rappresentanti sui luoghi di lavoro, in analogia con quanto accade con i RLS, alla previsione di una soglia di iscritti, a formule intermedie per vero non chiarissime .
L’urgenza di provvedere in materia, che pare non turbi i sonni del legislatore, deriva anche dalla circostanza che sul punto il nostro sistema è inadempiente alla direttiva 2002/14 sull’informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese e unità produttive nazionali . La direttiva attua il diritto all’informazione e consultazione dei lavoratori sancito a livello costituzionale, tra l’altro, dall’art. 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea . Ma il d.lgs. n. 25/2007 , che dà attuazione alla direttiva nel nostro Paese, fa riferimento a RSA e RSU che nel caso concreto ben potrebbero essere assenti per fatti indipendenti dalla volontà dei lavoratori: più precisamente, per la circostanza che il datore si rifiuta di partecipare al sistema di relazioni industriali. Non si tratta più di casi di scuola, negli anni della crisi economico-finanziaria ipotesi di questo tipo si sono andate moltiplicando anche tra imprese di discrete dimensioni. La giurisprudenza della Corte di giustizia, penso alle due decisioni relative al Regno Unito degli anni ’90 , ci insegna che in casi di questo tipo lo Stato è inadempiente agli obblighi imposti dalla direttiva .
Concludo rapidamente: il d.lgs. n. 25/2007 aveva suscitato molte speranze in una parte della dottrina, e penso al mio compianto maestro Mario Napoli, che fu tra i pochissimi a dedicarvi addirittura un commentario . Si tratta di speranze mal riposte: il testo è anodino e la contrattazione collettiva non è stata capace di rivitalizzarlo. La questione della rappresentanza in azienda deve essere risolta insieme al tema della partecipazione dei lavoratori, intesa come diritti di informazione, consultazione, negoziazione e, se si vuole, cogestione. Non dico nulla di nuovo: di questa seconda fase della legislazione di sostegno si parla nel nostro Paese quanto meno dalla seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso . Speriamo di non dover aspettare ancora 50 anni perché il nodo sia sciolto dal legislatore.
Intervento di Matteo Corti
- Di : Matteo Corti
- Categoria: Principi e fonti