Testo integrale con note e bibliografia
1. Robotizzazione, Industry 4.0 e le relazioni di lavoro. Il problema posto: tecnologia avanzata come ordinamento giuridico in sé. L’accordo quadro europeo di giugno 2020
Il cambiamento che l’impresa sta vivendo si potrebbe facilmente percepire se si potesse confrontare un filmato degli anni ’70-’80, relativo alla produzione o alla distribuzione con un’attuale linea di assemblaggio o di logistica. Ci si renderebbe conto che, oggi, robot e sistemi digitali interagiscono attivamente con i lavoratori. Anzi, essi permettono un’interazione nuova nei team assegnati alle produzioni o alla distribuzione. È un’interazione che avviene nell’ambito della catena di valore tra i lavoratori delle PMI e i lavoratori della grande impresa, o ancora tra i lavoratori in fabbrica e i lavoratori che sono posti in altre unità produttive, geograficamente lontane, persino in altri paesi. Tutto ciò viene rilevato, e per alcuni versi anche rafforzato, dal piano nazionale industria 4.0, di cui all’art. 1, co. 9-10, l. 11 dicembre 2016, n. 236, All. A e B, il quale non è solo funzionale a un rinnovamento delle infrastrutture produttive, intese come beni strumentali, impianti, hardware e software per le fabbriche. Il piano industria 4.0 è altresì volto a costituire un nuovo modo di organizzare il lavoro. Al di là delle macchine intelligenti, dei processi di business e di servizi, c’è un sistema complesso, che è connesso in virtù dei big data, i quali circolano velocemente, imponendo modelli organizzativi armonizzati in tutta la catena di valore. Industry 4.0 non si limita a riconfigurare il sistema industriale, ma comporta la trasformazione del lavoro. Industry 4.0 è l’insieme di algoritmi, macchine intelligenti, robot e tecnologie avanzate che operano nell’impresa che produce, vende, distribuisce e gestisce .
Tale sistema incide, indirettamente e a livello transnazionale, sulle mansioni, qui intese come operazioni con implicazioni economico-sociali. C’è un piano Industry 4.0 – al quale si affianca quasi sempre una sistema Value Chain 4.0 – da cui deriva la necessità di organizzare il lavoro in ragione della tecnologia avanzata. Per gli aspetti di diritto del lavoro si avvera quella divaricazione, già segnalata da alcuni studiosi negli anni ’80, tra lavoro professionalizzante, cioè capace di dominare la tecnica, e lavoro non professionalizzante che è dominato dalla tecnica . Il lavoratore che domina la tecnica, interagendo attivamente con la macchina intelligente, è anche un lavoratore cyborg .
Ci sono almeno due elementi che caratterizzano i diritti del lavoratore cyborg nell’Industry 4.0 e, di conseguenza, le relazioni di lavoro, individuali e collettive: la velocità e l’ubiquità. Ciò è altresì confermato dall’accordo quadro europeo sul lavoro digitale di giugno 2020 .
La velocità è la ragion economica che giustifica il ricorso all’algoritmo e alla macchina intelligente. La velocità è alla base del valore aggiunto che algoritmo e macchina intelligente offrono nell’ambito del sistema produttivo globale, e, di conseguenza, nell’ambito del sistema della distribuzione e della finanza. La velocità crea efficienza economica e ri-crea, per alcuni versi, l’impresa. Essa certamente decide il modo in cui il lavoro si svolge. La velocità incide sullo spazio dei flussi informativi, creando forme organizzative dell’industria e del lavoro che sono de-materializzate o, più verosimilmente, non più disgiungibili dalla dimensione digitale. Si tratta di forme organizzative spesso basate su scambi e interazioni che sono ripetitivi, programmabili, gestibili dalla macchina intelligente, con o senza la persona umana. La velocità dell’algoritmo/macchina intelligente non neutralizza la realtà aziendale. Anzi, la velocità crea un nuovo modo di organizzare il contesto aziendale, basando tutto sull’interfaccia tra persona e macchina nell’organizzazione della produzione e nel modo di vivere la quotidianità. La macchina aumenta, nel senso di potenziare, la persona umana, nonché aumenta/potenzia l’organizzazione aziendale, con l’effetto che il lavoratore cyborg sarà sempre superiore a sistemi che sono solo umani o solo digitali.
Ma c’è anche una trasferibilità, o ubiquità, del posto di lavoro, non più solo quella del lavoratore, che prescinde dalla stessa fisicità del posto di lavoro e, per alcuni versi, anche dall’ordinamento giuridico: l’ufficio è potenzialmente ovunque, con l’ausilio di protesi digitali che velocizzano ogni attività umana (si rinvia alla disciplina del lavoro agile – l. 22 maggio 2017, n. 81) . Luogo e tempo di lavoro assumono, almeno per la regolazione giuslavoristica, una dimensione diversa da quella che è ancora connotata dalla necessaria fisicità del posto di lavoro. Viene meno la distanza nel lavoro e si crea una città industriale che è una specie di villaggio globale, sempre vivo, interconnesso con altre città produttive, dove l’algoritmo e la macchina, tra le altre cose, gestiscono il flusso dei dati, coordinano il lavoro, monitorano la produzione, impongono la logistica, sviluppano il marketing, etc.. Pur riducendosi la distanza, aumenta lo spazio urbano perché esso attrae tutti coloro che intendono produrre con quella velocità. Le città sono in sé già magneti umani e industriali. Le città diventano “macchine” da abitare, non più solo città in cui vivere, macchine che attraggono industrie che producono con la velocità 4.0. Ci sono sensori ovunque, algoritmi che metabolizzano i dati raccolti dalla città, dispositivi che reagiscono, attuando le scelte che l’algoritmo dispone. In quella città industriale del futuro opera l’impresa 4.0, caratterizzata da sensori intelligenti, algoritmi e attuatori delle scelte di questi ultimi che, interagendo con il lavoratore, coordinano l’organizzazione produttiva, si interconnette continuamente con la città industriale.
Si crea un nuovo processo sociale che può essere regolato con norme di legge e di contratto collettivo. Si deve regolare, secondo un meccanismo di desiderabilità sociale, tenendo al centro del discorso giuridico i principi di tutela dignità umana, il rapporto tra macchina intelligente e lavoratore nonché il complesso sistema che viene a costituirsi tra città industriale, lavoratore cyborg e datore di lavoro algoritmico. Il che può avvenire anche oltre lo Stato. La domanda da porsi attiene alla capacità della tecnologia avanzata di divenire essa stessa un ordinamento giuridico in sé, con le relative discipline sul lavoratore cyborg, sul datore di lavoro algoritmico, sullo spazio in cui i diritti si concretizzano (legal cyberspace) e sulla giurisdizione. Anzi, in tema di giurisdizione, si dovrà segnalare che interessi normalmente confliggenti, tra dimensione giuslavoristica e aspetti contrattuali-commerciali, conducono a forme di contenzioso, gestite da giudici o arbitri, in cui il consumatore cerca giustizia e, nel contempo, l’impresa impugna provvedimenti pubblici per ottenere la rimozione o l’inibizione dei correlati effetti giuridici, il lavoratore, con il sindacato, chiede il riconoscimento di diritti a contenuto economico nella catena di valore, etc. Tutto ciò crea problemi che attraversano i limiti geografici del diritto, vanno al di là del singolo ordinamento, richiedono giurisdizioni transnazionali, oltre lo Stato .
Industry 4.0 è la sintesi di tale dinamica, rappresentando un processo sociale in cui gli effetti di tale desiderabilità sociale si stanno concretizzando. Per questa ragione, prima di definire il campo di analisi di questo saggio, è utile presentare un quadro sintetico su Industry 4.0 e sui relativi sviluppi.
Il 21 settembre 2016 è stato presentato il piano nazionale Industry 4.0. Esso prospettava alcune azioni orizzontali, tra cui misure a sostegno degli investimenti innovativi, stimolando la crescita degli investimenti privati da 80 a 90 miliardi nel 2017 e incrementando di circa 11,3 miliardi di euro la spesa privata per ricerca e sviluppo, misure a sostegno dello sviluppo delle competenze, e misure per le infrastrutture abilitanti. Il piano stabiliva la proroga del super-ammortamento al 140% ad eccezione di veicoli ed altri mezzi di trasporto, con una maggiorazione ridotta al 120% e l’iper-ammortamento fino al 250% sugli investimenti in tecnologie, agrifood, bio-based economy, a supporto dell'ottimizzazione dei consumi energetici. Venivano impostati il raddoppio del credito di imposta per ricerca e sviluppo (aliquota spesa interna dal 25% al 50%) e massimale annuo di spesa da 5 a 20 milioni, la partecipazione di CDP - Cassa Depositi e Prestiti mediante la costituzione di fondi di investimento dedicati all'industrializzazione di idee e brevetti a alto contenuto tecnologico, l’incremento della detrazione fiscale (fino al 30%) per investimenti fino ad 1 milione in start-up e PMI innovative. Nel luglio 2018 sono stati diffusi alcuni risultati dell'anno 2017 delle misure introdotte dall'indagine MISE-MET. Il campione costituito da circa 23.700 imprese. Mediante tale indagine si è rilevato come sul totale dell’industria italiana l’8,4% delle imprese utilizza almeno una delle tecnologie 4.0. A questa quota si aggiungeva il 4,7% di imprese che avevano in programma investimenti specifici nel triennio 2018 – 2020 .
In un’ottica giuslavoristica, in attesa di studiare anche i dati MISE di cui si è detto, sono stati selezionati alcuni casi di studio, da cui dedurre alcuni elementi che, permettendo lo studio della relazione tra contratto collettivo e Industry 4.0, indicano una linea di sviluppo per il futuro: ci sono decisioni robotiche o algoritmiche che, nei luoghi di lavoro, sono manifestazione di un modo di organizzare il lavoro e, dunque, di realizzare quanto disposto dall’art. 2103 c.c. Ciò, in termini esemplificativi, viene dimostrato dal funzionamento di una catena di assemblaggio o una logistica integrata con tecnologia avanzata nella quale l’intersecazione tra manualità umana e operazioni robotiche dipende dalla micro-elettronica e dai sistemi digitali (display, sensori, segnalatori, etc.). Qui che viene a crearsi l’integrazione lavoratore-macchina in relazione alla quale si possono introdurre regole, secondo un meccanismo di desiderabilità sociale, tenendo al centro del discorso giuridico i principi di tutela dignità umana, il rapporto tra macchina intelligente e lavoratore nonché il sistema che viene a costituirsi tra città industriale, lavoratore cyborg e datore di lavoro algoritmico. Il lavoratore in molti casi coadiuva la macchina intelligente; in altri, la macchina intelligente coadiuva il lavoratore, coordinandone le attività; in altri casi, la macchina svolge ciò che il lavoratore non è più capace di fare; in altri contesti, il lavoratore svolge attività che la macchina non sa ancora fare.
Questo è anche il problema che qui si intende analizzare. Il saggio, a tal fine, è composto dall’introduzione (paragrafo 1) che pone il problema che alla base dello studio: la tecnologia avanzata che caratterizza i contesti produttivi è collegata a una macchina la quale potenzia la persona umana e, contestualmente, l’organizzazione aziendale, con l’effetto che il lavoratore cyborg sarà sempre superiore a sistemi che sono solo umani o solo digitali. Si viene a creare, per l’effetto un processo sociale che può essere regolato con norme di legge e di contratto collettivo, anche in una prospettiva transnazionale. Di qui si cerca di comprendere il livello di desiderabilità sociale nella regolazione di tali fenomeni. Per tale ragione la disamina muove dal piano di investimenti pubblici in tecnologia più importante degli ultimi anni (Industry 4.0) nel sistema italiano. Nel paragrafo 2, si analizzano alcuni casi di studio riferibili alla contrattazione aziendale che ha regolato l’introduzione di tecnologia 4.0 in contesti produttivi specifici, mettendo in rilievo punti di forza e criticità. Il paragrafo 3 orienta il discorso sull’art. 2103 c.c. e sulla mobilità endo-aziendale, essendo questo tema il fulcro di ogni discorso sul lavoro nell’impresa 4.0. Il tema più rilevante, con Industry 4.0 e intelligenza artificiale, riguarda la correlazione tra mansioni e fabbrica del futuro, e, nello specifico, tra relatività della classificazione del personale di cui al contratto nazionale, possibile polivalenza delle prestazioni lavorative e schemi di classificazione adottati in azienda. Il problema riguarda l’oggetto del contratto in quanto esiste l’esigenza di non far dilatare, sine limite, il debito del prestatore di lavoro per non comportare lesioni alla libertà personale. Anche su questo tema sono stati selezionati alcuni casi di studio da cui è possibile comprendere come la contrattazione collettiva decentrata si stia muovendo nella definizione della mobilità endo-aziendale e della formazione professionale, tendendo in considerazione il bilanciamento con le tecnologie avanzate. Nelle conclusioni (paragrafo 4) si indicano alcune linee di tendenza della contrattazione collettiva aziendale e possibili sviluppi di essa nell’interazione con Industry 4.0, facendo leva sulla proposta di introduzione di una nozione giuridica di unità produttiva “digitale”, con elementi di transnazionalità.
2. Casi di studio sulla contrattazione collettiva aziendale che regola i diritti del lavoratore cyborg nei piani Industry 4.0, anche oltre lo Stato.
Il piano Industry 4.0, che a oggi è un fenomeno prevalentemente collegato alla manifattura, richiede al diritto del lavoro la regolazione delle flessibilità interne (orario, retribuzione, mansioni). Industry 4.0 è volto a creare sistemi di produzione e, successivamente, commercializzazione di beni/servizi, logistica e distribuzione, che siano capaci di auto-gestire i dati disponibili, mediante l’utilizzo di tecnologie avanzate e digitali. La macchina intelligente in Industry 4.0 permette di sviluppare modelli organizzativi dell’impresa che sono molto evoluti. Con quella macchina, in altre parole, si possono raggiungere margini di profitto simili a quelli della mass customization e contestualmente soddisfare le esigenze del singolo cliente.
Industry 4.0, in Italia e in altri paesi europei, richiede un aggiornamento digitale dell’intera filiera: dalla produzione, alla logistica, dalle vendite alla ricerca e allo sviluppo, sino alla distribuzione . Industry 4.0 crea un sistema sinergico tra ambienti, macchine, materiali e lavoratori. Nell’Industry 3.0 il controllo del lavoratore sulla macchina era determinante nella dinamica della fabbrica. Nell’Industry 4.0 c’è una comunicazione bidirezionale tra lavoratore e macchina intelligente: il lavoratore riceve istruzioni dalla macchina, la quale è in grado di conoscere (persino predeterminare) gli effetti dell’attività del lavoratore, di suggerire le alternative, di controllare la mansione, di imporre mansioni diverse da quelle in corso di svolgimento. E’ un sistema pro-attivo, non più re-attivo. Osservando la realtà di imprese che hanno introdotto tecnologie 4.0, si può esemplificare la relativa organizzazione nel modo che segue: produzione (in tempo reale c’è la possibilità di rilevare e modificare la produzione, ottimizzandone esiti e controllando l’utilizzo delle risorse); logistica interna (le merci sono movimentate da macchine intelligenti; viene registrata ogni movimentazione e gestito digitalmente ogni flusso); acquisti (gli ordini sono svolti in modo automatizzato, con verifica contestuale delle merci in esaurimento; l’acquisto è svolto con tecnologia blockchain che certifica direttamente la compravendita); manutenzione (si attuano protocolli di manutenzione predittiva, si offre maggiore sicurezza ai lavoratori, si riducono i costi e i tempi di fermo macchina); logistica esterna (il sistema gestionale è modellato dalla macchina intelligente nei flussi di uscita, con controllo sul trasportatore, sino alla destinazione); distribuzione e vendita (dalla macchina intelligente vengono acquisiti i dati e elaborate le strategie di vendita più adatte al prodotto; viene automatizzata la fatturazione e viene digitalizzato il recupero dei crediti); servizi post-vendita (l’assistenza al cliente è offerta dalla macchina intelligente, con personalizzazione e update automatico).
Analizziamo, a tal fine, alcuni casi di studio, riferiti a contrattazione collettiva decentrata che ha regolato l’introduzione di tecnologia avanzata 4.0, in azienda, bilanciando i piani di riorganizzazione digitale con le tutele dei lavoratori.
Il contratto collettivo aziendale I.M.A. S.p.A. del 28 luglio 2017 sottoscritto dalle RSU, assistite dalle segreterie territoriali FIOM-CGIL, FIM-CISL e UILM-UIL, è relativo al periodo 1 gennaio 2017 - 31 dicembre 2019. IMA Group è un gruppo di aziende che si occupa della progettazione e produzione di macchine automatiche per il processo e il confezionamento di prodotti farmaceutici, cosmetici, alimentari, caffè. Occupa circa 6.000 dipendenti, di cui circa 3.600 in Italia, e si avvale di 45 stabilimenti di produzione tra Italia, Germania, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, India, Malesia, Cina e Argentina. IMA Group ha intrapreso importanti iniziative sul fronte delle tecnologie 4.0 mediante l’implementazione del progetto “IMA Digital”. L’obiettivo è quello di coniugare l’evoluzione digitale e dell’automazione in azienda con lo sviluppo proattivo delle competenze specifiche dei lavoratori. Tra le tecnologie 4.0 che IMA ha implementato si possono segnalare (i) “MAX” una interfaccia uomo-macchina, funzionale al controllo delle linee di produzione che consente all’operatore di controllare e automatizzare i macchinari e le loro linee di produzione e (ii) “ODY” l’assistente virtuale del Gruppo IMA volto a facilitare l’esperienza di navigazione sui propri canali di Comunicazione Web, per rispondere con immediatezza e gentilezza alle richieste degli utenti. ODY è un chatbot, un software intelligente progettato per simulare una conversazione con una persona reale. Le relazioni industriali stanno accompagnando i processi di riorganizzazione connessi all’innovazione tecnologica, la formazione continua e la gestione della professionalità dei lavoratori. Nel contratto collettivo aziendale ci sono regole connesse all’innovazione tecnologica e alla digitalizzazione in azienda. È stata stabilita l’assegnazione al comitato di indirizzo sindacale interaziendale della competenza consultiva sui temi connessi al progetto industria 4.0. Sono stabiliti contributi economici in favore di quei lavoratori che conseguano un titolo di studio su materie tecniche (elettronica, elettrotecnica, etc..). Sotto il profilo organizzativo sono regolate un insieme di dotazioni informatiche (postazioni PC) da istituire in favore dei lavoratori, alla luce della sempre maggiore digitalizzazione dei processi aziendali.
Il contratto collettivo aziendale SCM Group S.p.A. dell'8 novembre 2017 è stato sottoscritto dal coordinamento delle RSU, congiuntamente alle segreterie nazionali e territoriali FIOM-CGIL, FIM-CISL e UILM-UIL. Il contratto è efficace sino al 31 dicembre 2019. SCM Group è a capo di un gruppo di aziende che produce macchinari e sviluppa tecnologie per i processi della seconda lavorazione del legno e, successivamente, di materiali compositi, plastica, vetro, metallo e marmo, occupa circa 4.000 dipendenti in Italia e all’estero ed ha tre poli produttivi principali. SCM si è impegnato a implementare le tecnologie 4.0 principalmente in due ambiti: innovazione di prodotto e digitalizzazione dei processi. Relativamente all’innovazione di prodotto è in corso di sviluppo il progetto IOT (internet of things) che consentirà ai clienti di utilizzare la connettività e il data mining delle tecnologie e dei macchinari SCM per la lavorazione dei diversi materiali. Con riferimento alla digitalizzazione dei processi, SCM ha individuato nelle relazioni industriali il metodo più adeguato per l’implementazione delle tecnologie 4.0 e per la gestione dell’organizzazione del lavoro. Mediante il contratto collettivo aziendale si è stabilito l’avvio di un progetto pilota nel reparto del legno (lanciato all’esito dell’implementazione del nuovo ERP aziendale Microsoft) che ha come obiettivo ridurre le attività a "non valore aggiunto" legate agli attuali flussi informativi non ancora digitali e consentire una maggiore applicazione del principio "zero-difetti" per ridurre errori legati a una mancata sincronizzazione delle informazioni. Per rendere efficace e sostenibile nel tempo tale processo di cambiamento il datore di lavoro ha negoziato con il sindacato le necessarie modifiche organizzative e della professionalità dei lavoratori impegnandosi a formare alcuni lavoratori (senior trainer) e a formare successivamente, per il tramite di tali senior trainer, lavoratori coinvolti nei progetti di digitalizzazione delle informazioni nei reparti produttivi con corsi di almeno 8 ore pro-capite. Inoltre, in ragione dei cambiamenti sull’organizzazione del lavoro si è deciso di introdurre figure professionali ulteriori rispetto a quelle stabilite dalla classificazione fissata dal CCNL .
I casi di studio ci indicano che nell’impresa 4.0 le relazioni di lavoro a livello aziendale assumono un ruolo centrale. L’assetto delle regole giuslavoristiche per i lavoratori cyborg, si muovo su alcune linee direttrici. Industry 4.0 impone schemi complessi volti a rendere più efficienti i processi, anche a livello transnazionale, a coinvolgere i lavoratori nelle decisioni, a migliorare la flessibilità interna, con regole che possono riguardare perimetri aziendali non solo nazionali, ma anche europei e transnazionali. I modelli organizzativi che hanno caratterizzato la fabbrica del passato, tra cui il Drive System of Management e lo Scientific Management, non spiegano più la dinamica aziendale 4.0.
Industry 4.0, con le proiezioni tecniche di big data e internet of things, sposta l’attenzione dell’elaborazione giuslavoristica verso nuovi modelli di organizzazione del lavoro, metodi e tempi 4.0, che hanno quasi sempre elementi di transnazionalità per il tipo di collegamento produttivo e commerciale che viene a crearsi tra unità produttive e piattaforme digitali, ubicate di diversi ordinamenti giuridici .
3. Riflessioni sulla regolazione, anche transnazionale, della mobilità endo-aziendale nell’ambito dei piani Industry 4.0.
Di qui muove l’idea che Industry 4.0 stia prevalentemente interpellando la disciplina della mobilità dei lavoratori endo-aziendale. Il quadro rappresentato permette di comprendere che l’impresa 4.0 influisce, da una parte, sulla cultura aziendale e sui processi (interni e esterni) dell’organizzazione aziendale e, dall’altra, sulle relazioni di lavoro.
L’impresa 4.0 è caratterizzata dalla presenza della macchina intelligente, la quale è da intendersi come un terzo elemento del rapporto di lavoro . Dalla tecnologia 4.0 consegue una nuova relazione tra macchina intelligente e lavoratore che non è assimilabile a quanto sinora conosciuto: la macchina intelligente può governare il lavoro, controllare la prestazione, dirigere e coordinare le attività della persona umana. E ciò non è sufficiente per comprendere la relazione complessa che verrà a costituirsi tra macchina intelligente, organizzazione del lavoro e persona umana. Verrà, con buona probabilità, a crearsi una sorta di ibridismo macchina/lavoratore che chiede una riflessione sul contenuto giuridico della relazione tra macchina intelligente, datore di lavoro e lavoratore. Alcune impostazioni teoriche che riguardavano l’assetto organizzativo post-Statuto dei lavoratori , pur mantenendo ancora oggi una forte rilevanza scientifica, non sono più del tutto adatte a spiegare i riflessi giuslavoristici di questa rivoluzione tecnologica 4.0.
Ci sono problemi generali di diritto civile posti dall’eventuale soggettività giuridica di tale macchina intelligente . Ci sono, però, anche questioni di rilievo giuslavoristico che hanno una rilevanza specifica. Tra queste possiamo segnalarne alcuni: nella relazione tra macchina e lavoratore cyborg, i poteri datoriali ex art. 2103 c.c. da chi sono esercitati? Chi decide cosa? Chi assegna mansioni? Quali mansioni si associano a una macchina intelligente nella interazione dell’ecosistema di cui si è detto sopra? Si rende necessario regolare ciò che concerne il legittimo rifiuto di cooperazione da parte del lavoratore nei confronti della macchina intelligente per ragioni riferibili alla tutela della dignità, della sicurezza, della riservatezza, i limiti entro i quali la condotta della macchina intelligente sia contenuta rispetto alla libera decisione del lavoratore nel contesto aziendale e all’organizzazione del lavoro, la riservatezza da imporre alla macchina intelligente, i limiti rispetto alla possibile manipolazione da parte della macchina intelligente dei lavoratori, che per disabilità fisiche o psichiche, potrebbero divenire totalmente dipendenti da essa, nonché, da ultimo, il diritto individuale alla formazione digitale.
Per definire tali regole, la contrattazione collettiva, anche di livello decentrato, può divenire lo spazio più adatto. È una regolazione che deve intervenire nell’ambito della correlazione dati e catena di valore, tra dimensione spazio-temporale e strategie digitali, tra funzioni della macchina intelligente e diritti dei lavoratori. Il che significa focalizzare l’attenzione sull’art. 2103 c.c., post-riforma 2015 (d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81), il quale è parte di un sistema più ampio di tutela della mobilità del lavoratore. Lo jus variandi è dal 2015 funzionalmente collegato alla contrattazione collettiva. E ciò è un bene perché la riforma del 2015 ha spostato l’asse del potere di variazione delle mansioni da un rimedio meno adattivo (quello giurisdizionale che aveva caratterizzato l’art. 2103 c.c. dal 1970 in poi) a un rimedio, per definizione, più adattivo in quanto rimesso all’autonomia privata (anche collettiva). Sussiste, infatti, un potere che il sindacato potrà esercitare nel controllo ex ante della mobilità, non solo geografica, che dipenderà significativamente dalla contrattazione collettiva. La garanzia principale della mobilità ex art. 2103 c.c. è, infatti, di tipo formale-procedimentale, inviduale e collettivo. La formazione diviene contenuto essenziale del rapporto individuale, anche in ragione degli standard che verranno fissati nella contrattazione collettiva.
Osserviamo, anche con riferimento a tali temi, alcuni casi di studio che permettono di comprendere che la contrattazione collettiva aziendale ha già avviato una riflessione sui problemi posti dalla macchina intelligente, facendo leva su percorsi di formazione 4.0 rivolti alla definizione di competenze e professionalità nuove. Tale contrattazione collettiva ha anche avviato un aggiornamento delle regole sulla mobilità endo-aziendale collegata a modelli organizzativi di un’industria 4.0. L’art. 2103 c.c., post-riforma 2015, ha determinato una procedimentalizzazione, a più livelli, del potere di modificazione delle mansioni, con un ruolo centrale della contrattazione collettiva nel fissare i limiti del potere datoriale rispetto alla potenziale mobilità endo-aziendale del lavoratore. Industry 4.0 consolida l’intuizione del 2015, relativa all’art. 2103 c.c., secondo cui è la contrattazione collettiva la sede corretta per definire il piano di formazione professionale più adeguato all’aggiornamento delle competenze 4.0 dei lavoratori (si v. il nesso tra art. 2103 c.c. e art. 1, co. 46-56, l. 27 dicembre 2017, n. 205).
Nei casi di studio si nota che la formazione 4.0 è generalmente riferibile alla regolazione della mobilità endo-aziendale e alla polivalenza. Industry 4.0, se collegato all’art. 2103 c.c., ci indica che la professionalità è un bene della contrattazione collettiva, al pari della formazione professionale e del salario, da gestire nel medesimo contesto negoziale, tenendo presente simultaneamente la riorganizzazione tecnologica 4.0, la formazione 4.0, il salario minimo e di produttività . Industry 4.0 conferma che la mobilità endo-aziendale è correttamente effettuata se permette un bilanciamento delle diverse posizioni giuridicamente rilevanti. Il che si determina se si abbina, nei fatti, a livello di unità produttiva, la tecnologia 4.0 con una mobilità endo-aziendale, inserita in una delle forme-procedimento ex art. 2103 c.c. (nel senso di modificazione unilaterale o consensuale) , volta a tutelare la dignità della persona e lo sviluppo professionale.
Il primo caso riguarda il contratto collettivo aziendale GD S.p.A. dell’11 ottobre 2017, relativo al periodo 1 gennaio 2017 - 31 dicembre 2021. Esso muove dal presupposto che la macchina intelligente debba essere in grado, a livello aziendale, di svolgere “attività di auto-diagnosi, di auto-regolarsi e di auto-adattare la linea in base alla tipologia di lavorazione, con importanti implicazioni in tema di tempi, costi e previsione”. La macchina intelligente, con altre parole, considerata dalla contrattazione collettiva un terzo elemento delle relazioni di lavoro. Per questa ragione, il contratto aziendale precisa che la strategia Coesia Digital si deve sviluppare su due linee di azione: sviluppo di partnership con i clienti e investimenti su competenze trasversali sulla digitalizzazione. Con una contrattazione collettiva aziendale, che fa leva anche sull’art. 2103 c.c., si è convenuto di avviare percorsi formativi sulla cybersecurity, anche volti a permettere ai lavoratori di creare applicazioni di intelligenza artificiale e di sviluppare internamente software, incidendo sulle figure professionali, sulle competenze e sulle mansioni.
Il secondo caso attiene al contratto collettivo aziendale Fabbrica d'armi Pietro Beretta S.p.A. del 27 marzo 2018, sottoscritto dalla RSU, è efficace dalla data di sottoscrizione sino al 31 dicembre 2021. Nel 2018 Beretta ha presentato un piano di investimenti volto al recupero di competitività per il sito produttivo volto, tra le altre cose, al completamento dell’implementazione di nuovi macchinari, dei sistemi operativi IOT ed il completamento del nuovo ciclo produttivo e della nuova organizzazione del lavoro. Beretta e RSU hanno sottoscritto il contratto collettivo aziendale del 27 marzo 2018 mediante il quale hanno strutturato, anche in forza dell’art. 2103 c.c., post-riforma 2015, un nuovo sistema di relazioni industriali basato sul coinvolgimento paritetico dei lavoratori e sull’introduzione di figure professionali, con mansioni polivalenti. Sulle tecnologie 4.0 si è stabilito di incentrare la formazione professionale 4.0 su un percorso relativo all’interfaccia persona umana-macchina.
I casi di studio ci segnalano che la contrattazione collettiva, che si modella sul fatto e sulle situazioni peculiari, è mobile, come è mobile l’organizzazione del lavoro nella fabbrica del futuro. Si comprende che la norma della contrattazione collettiva, anche aziendale, che regola la mobilità endo-aziendale e modifica le strutture classificatorie del personale, è già orientata a incidere sulle interazioni tra persona umana e macchina intelligente, dando una risposta più veloce e efficiente della norma di legge. Il che, a ben vedere, può avere anche una proiezione transnazionale nei gruppi aziendali che hanno unità produttive dislocate in vari ordinamenti.
4. Conclusioni. Sull’introduzione della nozione di unità produttiva “digitale”. Comparazione con la nozione di “appropriate bargaining unit” di cui alla disciplina sindacale statunitense. Elementi di una proposta di diritto transnazionale
La complessità tecnologica deriva dalla compresenza nel medesimo sistema aziendale di un numero variegato di tecnologie rispetto a cui il medesimo lavoratore deve gestire i tanti e plurali aspetti tecnici con mansioni operative, manuali, di intervento e, nel contempo, con mansioni a contenuto conoscitivo elevato. Tale integrazione tra mansioni tecniche-operative e gestionali-intellettuali trasforma il lavoro, inserendo le mansioni in una logica di controllo del risultato, anche al di là della mera ripetizione esecutiva di mansioni semplici o codificate. I sistemi fordisti richiudevano il lavoro in spazi operativi circoscritti e chiusi, con una sola relazione, quella tra lavoratore e capo, basata sul controllo e sulla gerarchia.
Industry 4.0 impone, invece, forme organizzative molto diverse: è il team di lavoro, con l’ausilio della macchina intelligente e dei dati, che gestisce le isole di montaggio, le catene di montaggio, i bracci robotici, le linee automatizzate, di dimensione nazionale e transnazionale, che vanno oltre il perimetro della fabbrica, così come tradizionalmente intesa. Le mansioni si vengono a delineare, nei sistemi industriali 4.0, per una maggiore autonomia, una maggiore responsabilità nonché per l’integrazione di esse nella catena di valore, con importanti contributi di conoscenza innovativa per la produzione, per la vendita, per il marketing e per la distribuzione. Industry 4.0, in questa prospettiva teorica, incide, da una parte, sull’equilibrio tra professionalità e retribuzione, e, dall’altra, sulla dimensione spazio/temporale mediante cui tali diritti possono essere esercitati e negoziati.
Tale dimensione spazio/temporale è definita, nel nostro ordinamento, dall’art. 35 l. 20 maggio 1970, n. 300, il quale si limita a elencare le unità produttive da cui può essere formata un’impresa (sede, stabilimento, filiale, etc.), determinando indirettamente il contenuto giuridico della nozione su cui fanno leva altre norme della l. 20 maggio 1970, n. 300, volte a permettere l’esercizio di diritti sindacali, individuali e collettivi (artt. 18, 20, 21, 23, 25, 27 e 29), o a definire la bargaining unit (art. 19). Poniamo alcune domande per esemplificare: può essere considerata unità produttiva, ex artt. 35, la piattaforma digitale di un’impresa che opera transnazionalmente, attorno a cui si raccolgono lavoratori per svolgere un certo servizio? Se fosse considerata unità produttiva, sarebbe possibile l’iniziativa dei lavoratori nella costituzione della RSA ex art. 19 o della RSU di cui al Testo Unico 10 gennaio 2014? Sarebbe ammissibile un referendum ex art. 21 o un’assemblea ex art. 22 riferiti ai lavoratori di quella unità produttiva “digitale”?
La nozione di unità produttiva è stata elaborata dalla giurisprudenza costituzionale secondo metodi e criteri adatti ai tempi in cui è stato scritto lo Statuto dei lavoratori, che difficilmente sono applicabili, oggi, a un’impresa a tecnologia avanzata 4.0. La giurisprudenza costituzionale utilizza il criterio di autonomia, inteso, da una parte, in senso economico-strutturale e, dall’altra, in senso finalistico, osservando il risultato produttivo: è unità produttiva la filiale o lo stabilimento di un’impresa che possieda una struttura organizzativa autonoma e abbia la capacità di produrre beni/rendere servizi secondo una certa indipendenza tecnica, almeno rivolta a una parte/frazione del ciclo produttivo. Ma ciò non basta più, se si osserva un’impresa 4.0, in relazione alla quale l’unità produttiva è data dall’interazione complessa tra corporate governance , contratti commerciali, anche transnazionali, modelli di organizzazione del lavoro di nuova generazione, macchina intelligente e lavoratori. In altre parole, i contratti commerciali sono connessi ai modelli di organizzazione del lavoro di nuova generazione (in particolare, Lean Production, Quality Focused Investment, Teamwork Production, Modular Production e Acceluction), i quali hanno la capacità di incidere sulla nozione di unità produttiva, mettendola fortemente in crisi. Probabilmente il diritto statunitense, con il National Labor Relations Act, facendo riferimento alla nozione di “appropriate bargaining unit” intesa come “sufficient community of interests”, potrebbe superare con maggiore facilità i problemi qui posti .
Tale crisi si gioca nella relazione giuridica tra mercato (contratti di vendita, trasporto, etc.), piattaforme digitali (contratto di appalto) e beni aziendali (contratto di locazione o diritti di proprietà): se si sceglie di sviluppare un certo mercato si necessita, da una parte, di una efficiente piattaforma digitale gestionale, atta a cogliere le migliori opportunità in quel mercato e a collegare i fattori produttivi/commerciali, e, dall’altra, di rendere complementari tra unità produttive i beni e i servizi rispetto alla strategia transnazionale prescelta. I nuovi modelli di produzione, collegati al sistema contrattuale e all’organizzazione digitale del lavoro, hanno una simbolicità profonda per lo studioso del diritto del lavoro. Da essi dipendono una serie di elementi. In particolare, si pensi alla dinamica della creazione di valore che va ben oltre il classico schema di analisi industriale (cliente, azienda, fornitore, partners commerciali). La creazione di valore dipende dall’uso digitale degli strumenti di lavoro che creano ubiquità, nuovi spazi, dati, mobilità virtuale, etc. e dalla molteplicità delle funzioni e delle attività lavorative che è insita nella modalità di produzione. Nella medesima prospettiva si pone anche la connessione telematica che crea liquidità del contesto istituzionale ove si presta il lavoro. Il management, la produzione, i lavoratori, i fornitori e i clienti sono collegati da link digitali, costantemente rinnovati, veloci, accelerati. C’è una tensione nella gestione del personale tra l’essere mobile (telematico/connesso) e la fissità dell’azienda (installazioni, uffici, sale comuni, etc.) .
Si rende, dunque, necessario fare un passo avanti, anche nel nostro ordinamento giuridico: si dovrà ridefinire al più presto la nozione di unità produttiva, tenendo presente la trasformazione in atto e volgendo la regolazione anche verso le relative forme digitali. Cioè, si sta proponendo di definire unità produttive digitali, create mediante piattaforme evolute, che mettono insieme figure professionali e nuovi modelli organizzativi, con l’obiettivo di creare attorno a esse il quadro mediante cui si possono esercitare, da una parte, diritti sindacali, individuali e collettivi, e, dall’altra, permettere l’avvio di negoziati aziendali, avendo considerato l’unità produttiva digitale una bargaining unit ex artt. 35 e 19 l. 20 maggio 1970, n. 300. Di qui muoverebbero anche le nuove possibilità di una contrattazione collettiva aziendale transnazionale, riguardante i lavoratori assoggettati a diversi ordinamenti giuridici, con regole armonizzate e procedimenti condivisi.