Testo integrale con note e bibliografia

Nonostante la Direzione locale della Timken abbia sempre sostenuto che il reparto torneria fosse quello più redditizio, nel 2008/2009 è arrivata la decisione della Corporate di chiudere il reparto ed avvalersi di un fornitore esterno. Il processo ha coinvolto una decina di persone, ricollocate negli altri reparti.

Da almeno dieci anni la Direzione comunicava sia negli incontri con il sindacato, che nelle riunioni con i lavoratori che il reparto rulli era costantemente in perdita e che la volontà della Dirigenza locale sarebbe stata quella di dismetterlo, in quanto incideva in maniera negativa sui risultai economici dell’azienda. La Corporate invece ha deciso di continuare a produrre rulli in questo stabilimento.

Nel 1998 l’allora direttore Stunf era riuscito a raddoppiare la produttività del reparto restando nelle tolleranze richieste dal cliente, mentre dopo il suo disimpegno in azienda si era tornati ad una produttività dimezzata.
Nonostante la decisione iniziale di chiudere il reparto, la Corporate ha poi più volte fatto marcia indietro, chiedendo di continuare a produrre rulli e boccole fino poi alla chiusura, per accontentare il cliente Trenitalia.

Negli ultimi anni la Direzione aveva deciso di cambiare organizzazione del lavoro, in un’ottica di soddisfazione del cliente. Ciò comportava la produzione anche di piccoli lotti, che richiedevano tempi di attrezzaggio macchina di gran lunga superiori al tempo di produzione del singolo lotto. Nonostante il Sindacato abbia più volte espresso preoccupazione per l’incidenza economica di simili scelte, la Direzione ha sempre sostenuto che fosse una decisione consapevole della Corporate per soddisfare i clienti, pur perdendo profitto.

Dal 2017 circa è stato introdotto anche il sistema di controllo della qualità denominato Double Etch, in base al quale, dopo ore di cambio tipo, i lavoratori dovevano aspettare per avviare la produzione il benestare del collaudo, dopo il controllo double etch. Il collaudo però non poteva prendersi questa responsabilità in quanto non c’era personale formato per questo. Di conseguenza si creavano molto spesso dubbi sulla conformità dell’anello testato, con coinvolgimento di tutti i preposti aziendali e perdite ingenti di tempo prima di prendere una decisione e partire con la produzione (a volte questo processo richiedeva fino a 16 ore per ogni lotto).

Negli ultimi due anni sono state installate tre linee di montaggio che hanno ridotto notevolmente la produttività del reparto rispetto al passato, quando la produttività dipendeva solo dalla manualità dei lavoratori, in quanto le nuove linee subiscono continui fermi macchina.

Da quantd, quattro o cinque anni fa, la Direzione ha comunicato la costruzione e l’apertura di un nuovo stabilimento Timken in Romania, gemello rispetto a quello di Villa Carcina, il Sindacato ha chiesto in ogni occasione che impatto avrebbe avuto sul sito bresciano, ma la Direzione ha sempre tranquillizzato sostenendo che la Romania avrebbe gestito una tipologia diversa di clientela e che i nostri clienti volevano una produzione italiana, quindi non avrebbe compromesso la continuità del nostro stabilimento.
Tutto ciò nonostante la Corporate continuasse ad investire in macchinari all’avanguardia in Romania per la stessa tipologia di prodotto di Villa Carcina, mentre a Brescia non arrivava alcun investimento. Lo stabilimento rumeno è entrato a regime non più tardi dello scorso anno.

Dal 2014 al 2016 l'Azienda ha fatto ricorso complessivamente a n.21 settimane di Cig ordinaria per fronteggiare situazioni contingenti di calo dei volumi di vendita. Queste settimane ad oggi risultano escluse dal quinquennio mobile di riferimento per l'utilizzo degli ammortizzatori sociali.

A Novembre 2019, a fronte di un calo produttivo stimato nella misura del 25% per l'anno successivo, Azienda e Sindacato hanno concordato il ricorso al Contratto di Solidarietà dal 18/11/2019 al 17/11/2020 ai sensi dell'art. 21 comma 1 lett. c) e comma 5 del d.lgs. 148/2015, con percentuale massima di riduzione di orario di lavoro del 60%. Di questo ammortizzatore in realtà sono state utilizzate solo poche giornate, concentrate soprattutto nel primo periodo, in quanto, a differenza delle previsione effettuate in sede di business plan dalla Direzione, la riduzione dei volumi è stata nettamente inferiore, tant'è che già dal mese di Gennaio 2020 non si è più fatto ricorso al Contratto di Solidarietà. A fronte poi del lockdown dovuto alla diffusione della pandemia da Covid19 la Società ha fatto ricorso a 6 settimane di Cigo Covid, sospendendo pertanto il Contratto di Solidarietà così come previsto dalla normativa fino alla data del 01/06/2020. In data 25/06/2020 le parti hanno concordato la chiusura anticipata dell'ammortizzatore, in quanto non più necessario, anche al fine di salvaguardare la possibilità di fruire in futuro dei mesi restanti, qualora si fosse reso necessario.

Al netto di quanto già utilizzato nel quinquennio di riferimento a titolo di ammortizzatore sociale, residuavano ancora circa 30 mesi da poter fruire con il ricorso al Contratto di Solidarietà, di cui come Sindacato abbiamo chiesto l'attivazione, al fine di salvaguardare i posti di lavoro oggi messi a rischio dalla scellerata decisione della multinazionale di chiudere lo stabilimento.

Nella serata di venerdì 16 luglio 2021 siamo stati avvisati, come O.S., della necessità di incontrarci urgentemente con la Società e pertanto è stato fissato un incontro per lunedì 19 luglio alle ore 9.00.

Durante l’incontro, a cui per la prima volta oltre al Direttore Generale di stabilimento ed ai Consulenti del Lavoro era presente anche il Direttore Europeo di Timken Mr. Andy Dillon, il suddetto ci leggeva un comunicato in cui veniva riportata in maniera asettica la decisione da parte della multinazionale di chiudere lo stabilimento di Villa Carcina, in quanto i relativi costi non erano più sostenibili ed in ottica di una migliore soddisfazione dei clienti. Ci veniva inoltre chiesto di collaborare per la sicurezza degli impianti, del vicinato e dell’ordine pubblico. Nel comunicato mai venivano menzionati i lavoratori e le conseguenze sociali di tale decisione. Dillon dichiarava inoltre che si sarebbe trattenuto per seguire la gestione di questa fase delicata. Il giorno seguente era già in volo per gli Stati Uniti.

Nonostante la richiesta di procedere con l’utilizzo degli ammortizzatori sociali ancora a disposizione, l’Azienda chiudeva ogni possibilità, senza peraltro fornire motivazioni.
Immediatamente le Rsu avvertivano i lavoratori di uscire sui cancelli, dove si svolgeva un’assemblea per comunicare la decisione della Corporate ed attivare un presidio in difesa dei posti di lavoro fino alla decisione di occupare lo stabilimento, insediando un presidio permanente.

Sono state quindi avvisate tutte le Istituzioni e le Forze dell’Ordine, oltre che la stampa, e da lì in poi veniva convocata una serie di incontri istituzionali (Comune di Villa Carcina, Comunità Montana di Valle Trompia, Provincia di Brescia, Regione Lombardia, richiesta di convocazione al Mise), con la partecipazione anche della Curia, in cui si sollecitava su più fronti una soluzione che salvaguardasse i posti di lavoro, richiamando l’Azienda alla responsabilità sociale prevista dalla Costituzione italiana, anche dal momento che Timken si era peraltro prodigata nel corso degli anni in opere di beneficienza sul territorio. L’unica soluzione proposta dall’Azienda era la Cigs per cessazione di attività, soluzione non condivisa dalle Rappresentanze Sindacali in quanto comportante la previsione dei licenziamenti alla fine dei 12 mesi di un ammortizzatore sociale predisposto peraltro in casi di crisi di impresa e non per favorire le delocalizzazioni delle multinazionali.

Timken avviava quindi in data 24/08/2021 la procedura per il licenziamento collettivo di tutti i lavoratori in forza al sito di Villa Carcina.
Durante la fase sindacale non è stato possibile raggiungere alcun accordo, mentre durante la fase amministrativa si è trovata una soluzione che prevede la salvaguardia dei posti di lavoro attraverso il ricorso ad un anno di Cigs per reindustrializzazione del sito, stanti le manifestazioni di interesse pervenute alla Società ed alle Istituzioni, e comunque la rioccupazione in altre aziende del territorio attraverso l’impegno e l’opera di sensibilizzazione da parte di Confindustria Brescia, anch’essa parte dell’accordo insieme ad Azienda, Fiom ed Istituzioni. Nell’accordo è inoltre previsto un incentivo ai lavoratori in caso di dimissioni.

Alla luce di quanto accaduto alla Timken e dell’esperienza avuta, due osservazioni sull’opportunità di avere un percorso regolamentato per legge

Innanzitutto crediamo che se un’azienda decide di cessare l’attività per delocalizzare e non perché in crisi, comunque debba analizzare congiuntamente al sindacato e alle istituzioni preposte (Ministero del Lavoro, Mise, Provincia, Regione, istituzioni locali) eventuali soluzioni di continuità dell’attività lavorativa. Solo dopo e solo nel caso non ci siano possibili soluzioni di continuità, riteniamo necessario un piano che tenda a ridurre l’impatto sociale non solo con incentivi all’esodo ma con la ricerca, attraverso eventuali investitori, della possibilità di un passaggio dell’azienda e delle sue attività. Nel caso della Timken, e non solo, laddove l’azienda non intenda cedere l’attività in quanto trasferita in stabilimenti esteri, è allora opportuno parlare di reindustrializzazione. Qui nascono comunque le prime difficoltà che riguardano i tempi lunghi per trovare un’eventuale investitore, trattare la cessione con tutte le perizie del caso, il confronto sindacale, le pratiche burocratiche. Emerge il problema dell’assenza di ammortizzatori sociali adeguati, essendoci oggi come unico strumento la Cigs di 12 mesi per cessata attività (decreto Genova ) che viene rifinanziata di anno in anno e per la quale serve l’accordo ministeriale. Accordo nel quale, dove però a parte il caso Timken in cui si è solo sospesa la procedura di licenziamento collettivo, viene sempre posta come pregiudiziale la condivisione dei licenziamenti totali dei lavoratori durante o alla fine dei 12 mesi di Cigs in cambio di quelle che oggi sono le politiche attive.

Serve un ammortizzatore specifico per accompagnare la transizione, magari con il costo a carico della multinazionale che se ne va, perché non crediamo sia giusto caricare sulla collettività il costo di una delocalizzazione. Una cosa che abbiamo sempre ripetuto più volte è che non crediamo sia giusto che lo Stato paghi i costi di aziende che chiudono dopo aver spremuto il territorio, questo vuol dire aiutare le delocalizzazioni. La Cigs è una cassa per aiutare le aziende in crisi e che non ce la fanno, non multinazionali miliardarie che guardano solo al profitto.

L’altro impegno non indifferente è il favorire la reindustrializzazione perché quello che stiamo vedendo nel caso Timken è che, dopo l’accordo del 29 Ottobre con il coinvolgimento di Confindustria Brescia e delle istituzioni locali, noi abbiamo sciolto il presidio o meglio l’assemblea permanente e da quel momento nonostante le numerose manifestazioni di interesse tra le quali alcune di buona qualità con il pieno mantenimento occupazionale, manifestazioni che tra l’altro arrivano proprio in seguito all’azione sindacale che ha visto un intero territorio mobilitarsi e non solo perché il sito è interessante, l’azienda sta prendendosi dei tempi a nostro avviso troppo lunghi rispetto agli impegni presi per arrivare o comunque iniziare concretamente a attuare le azioni necessarie per la cessione del sito. Crediamo che questo sia un aspetto sul quale lo Stato possa e debba intervenire con forza.

Il ruolo dello stato è fondamentale per proteggere il sistema produttivo e i lavoratori, obbligando l’Azienda a favorire il passaggio sia sul piano dei tempi che sul piano economico, non cercando di ricavare il massimo possibile anche dalla vendita.

 

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.