1. Riflessioni sui progetti di ricerca.
Mi associo ai ringraziamenti al Comitato scientifico dei Seminari di Bertinoro/Bologna, in particolare al professor Franco Carinci, per la preziosa opportunità offerta dalla XVI edizione di condividere con la nostra comunità “Temi e approdi della ricerca scientifica giuslavoristica” in relazione ai Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (ormai noti come PRIN) finanziati dal Ministero dell’Università e della Ricerca a seguito del Bando 2017.
Approfitto del clima e dello spirito dei Seminari di Bertinoro per condividere qualche riflessione sullo stato dell’arte dei PRIN, e più in generale sulla valutazione della qualità della ricerca e sulle dinamiche che condizionano il futuro dell’università.
Il sostegno finanziario alla ricerca va calato nel contesto di un mondo universitario in grande trasformazione in cui è necessario imparare a richiedere fondi – cioè gareggiare e preferibilmente vincere per ottenere le risorse – al fine di colmare le lacune delle note politiche ultradecennali di definanziamento agli atenei e alla ricerca “priva di vincoli di scopo” . Finanziamenti, questi, destinati, in larga misura a creare opportunità di ricerca (seppur precaria) per i giovani studiosi. Ricerca, questa, non finalizzata a immediate ricadute pratiche che per tale caratteristica appare in controtendenza rispetto ai modelli dell’economia capitalistica, pur essendo pienamente coerente con il modello costituzionale di cui all’art. 9, appena rinvigorito con l’ingresso di ulteriori profili di tutela per promuovere uno sviluppo sostenibile.
2. La tempistica dei bandi.
Le mie riflessioni sul sistema PRIN prendono le mosse dalla critica alla tempistica troppo incerta e dilatata. Basti pensare che in questo seminario, del 2021, condividiamo i risultati, ancora parziali, di progetti di ricerca pensati, elaborati e presentati in virtù di un bando datato 2017, con attività iniziate – per effetto dei tempi di valutazione e di validazione ministeriale – soltanto nel 2020.
Nel frattempo, si è verificato un imprevisto passaggio epocale per il mondo del lavoro tra il prima e il durante della pandemia.
Come intuibile, in un mondo sempre più complesso caratterizzato da innovazioni e trasformazioni accelerate, questo lungo lasso di tempo tra il “pensare” e il “fare” ricerca influisce in modo pesante sulla selezione delle tematiche e quindi sul tipo di indagine. Da qui la tendenza dei ricercatori a mantenere le linee di ricerca sempre più orizzontali e larghe per intercettare i temi del mondo, della tecnica e della società “che verrà”.
Mentre presentiamo i risultati della ricerca in itinere del bando 2017, sono in corso di pubblicazione le graduatorie del successivo bando 2020 che dovrebbe inaugurare un diverso modo di programmare i progetti PRIN, con bandi c.d. “a sportello”, come già previsto per la abilitazione scientifica nazionale (ASN) .
La certezza della tempistica e la prevedibilità delle regole dei contenuti dei bandi, nonché una loro cadenza più ravvicinata potrebbe agevolare una migliore programmazione delle politiche e strategie della ricerca scientifica.
Gli ambiti della competizione PRIN, individuati seguendo le logiche dei bandi internazionali ed europei, sono dati dai tre macro settori del consiglio delle ricerche europeo (ERC): “Scienze fisiche e ingegneristiche”, “Scienze della vita” e “Scienze sociali e umanistiche”.
I giuristi partecipano ai bandi di quest’ultimo macro-settore identificato come SH. Adottando le regole del sistema anglosassone e tedesco, gareggiamo, quindi, in un contesto scientifico molto ampio, andando anche “a scalvalco” dei saperi disciplinari, con progetti interdisciplinari.
Scorrendo la graduatoria 2020, nel settore SH2 (in cui figura, fra le tante altre, la parola-chiave del diritto) tra i 21 progetti finanziati (18 sui fondi ordinari e 3 nella quota riservata agli under 40) segnalo 2 PRIN riconducibili al nostro settore scientifico disciplinare IUS/07, aventi come Principal Investigator i colleghi Vincenzo Bavaro e Valeria Filì, rispettivamente al 9° e al 14° posto. Inoltre sono orgogliosa di segnalare che si può vincere anche valicando i confini tradizionali, esplorando nuove frontiere di ibridazione: ai 2 vincitori 2020 di SH2 va aggiunto il progetto da me coordinato, che si è piazzato al 5° posto, nel diverso settore SH1, meno frequentato dai giuristi e che mi permette di “praticare” un esercizio di interdisciplinarità della ricerca.
3. La classificazione dei saperi.
Qui entra in gioco la seconda riflessione sull’articolazione dei saperi accademici, in Italia, in una folta serie di settori scientifico-disciplinari (SSD), frutto di una compartimentalizzazione amministrativa delle scienze.
La “frammentazione” dei saperi, con la sua rigidità, potrebbe subire un ridimensionamento per effetto della revisione delle classi di laurea richiesta dal PNRR per renderle più flessibili e per un ampliamento (e una internazionalizzazione) dell’offerta formativa universitaria in base a criteri “multidisciplinari” .
L’idea di una ri-mappatura dei saperi circolava da tempo: in particolare, il Consiglio Universitario Nazionale, presieduto da Carla Barbati, su sollecitazione della Ministra dell’Università Valeria Fedeli, aveva elaborato un parere generale sulla classificazione dei saperi (CUN parere generale n. 22 del 2 maggio 2018) per renderla meno rigida, più aderente agli attuali sviluppi culturali, nonché più funzionale e coerente con gli indirizzi europei.
Come intuibile, la revisione necessariamente coinvolge non solo la didattica ma pure i parametri e i criteri di valutazione della produzione scientifica. Anche per questo l’ambiziosa ipotesi di riforma aveva incontrato forti resistenze nella comunità accademica.
Ora l’occasione economica del PNRR (430 milioni di euro) potrebbe agevolare l’accorpamento di alcuni ambiti di saperi, certamente non fino all’allineamento ai soli 3 macro-settori ERC dei progetti della ricerca e presumibilmente con un mero maquillage dell’area giuridica più omogenea rispetto ad altre aree CUN.
4. Valutazioni: chi, cosa e come.
In primo luogo, va segnalato che il Ministero dell’Università e della Ricerca, per valutare i progetti PRIN, si serve del Reprise, registro di esperti scientifici indipendenti italiani e stranieri, istituito presso lo stesso MUR. A parte la macchinosità delle procedure di inserimento dei nominativi, segnalo che la lista dei revisori Reprise è formata per adesione spontanea degli “esperti”, senza una verifica della loro produzione scientifica e/o condivisione da parte della comunità scientifica della loro reputazione. Pertanto nelle liste dei valutatori possono figurare persino persone non attive scientificamente chiamate, però, a valutare l’eccellenza dei progetti di ricerca .
In secondo luogo, segnalo l’esigenza di una riflessione dell’area 12, delle scienze giuridiche, sulla metrica della valutazione scientifica, tenendo conto della sua natura di indicatore non solo di prestigio e di influenza, ma anche economico di distribuzione di fondi e risorse.
Seppur consapevole che tutti i sistemi di valutazione della ricerca tendono a orientare o indirizzare la politica della ricerca , condivido l’idea che “un sistema di valutazione appropriato, che usi criteri metodologicamente fondati e coerenti, costituisce uno strumento importante per i sistemi avanzati di istruzione superiore, rafforzando le attività di ricerca di tutti gli Atenei ed enti di ricerca e la credibilità nazionale del sistema della ricerca” .
Quindi la ricerca nel senso pieno del termine può essere giudicata, seppur con un consolidamento graduale della cultura della valutazione, e questo può determinare un impatto, diretto o indiretto, sui vari piani dell’economia della conoscenza.
Condivido la tradizione della nostra area di adottare il metodo di valutazione dei progetti e delle pubblicazioni in base alla revisione tra pari attraverso la valutazione di “qualificati” specialisti del settore (c.d. referee) dei meriti intrinseci dei singoli prodotti della ricerca, senza cedere alle lusinghe delle statistiche citazionali e alla cultura del ranking e alle loro tendenze distorsive.
Conservo qualche dubbio, invece, sulla tipologia di valutazione usata per selezionare i PRIN, c.d. “a singolo cieco” (con il referee che resta anonimo), dato che questo può implicare un rischio di evaporazione della responsabilità di chi si impegna nel giudizio.
Ma l’appello che voglio lanciare dal seminario di Bertinoro riguarda la valutazione dei prodotti della ricerca e deriva dall’esperienza in corso nel ruolo di coordinatrice del gruppo di esperti per la valutazione (GEV) della qualità della ricerca (VQR 2015-2019) dell’area 12-Scienze Giuridiche.
Con riguardo alla distribuzione dei “prodotti” nelle categorie più elevate (A e B), la diversità tra il metodo classico di valutazione, la peer review “pura” (utilizzato della nostra area) determina di per sé una distorsione delle classi di merito rispetto ai risultati delle aree che usano il metodo bibliometrico o di peer review “informata” creando le premesse per una disparità di trattamento nella classificazione dei prodotti.
I colleghi GEV che hanno partecipato ai due precedenti esercizi VQR (2004-2010, 2011-2014) hanno denunciato, dati alla mano, che la bibliometria è più generosa della peer review , dato che i suoi automatismi spingono la valutazione verso l’alto.
Dalla consapevolezza della distorsione, nonché del suo impatto economico (in primis la distribuzione di una parte crescente della quota premiale del FFO e l’individuazione dei dipartimenti di eccellenza) e sistematico propongo due ipotesi: una proposta tecnica, di usare tabelle di transcodifica per comparare i risultati frutto di metodologie differenti ; un’esercizio culturale, nel senso di abituare i nostri revisori a usare l’intera scala del merito, specie nella parte alta. Nel breve periodo, la prima contromisura, più complicata, potrebbe risultare più facile da realizzare. In ogni caso, è importante non sprecare l’occasione di un allineamento alle logiche europee.
5. Pubblicazioni open access: la questione dell’“embargo”.
A fini burocratici di rendicontazione dei finanziamenti pubblici su base competitiva, rilevano le modalità di pubblicazione dei risultati dei progetti (art. 4, c. 2 e 2 bis, d.l n. 91/2013, conv. con mod. dalla l. n. 112/2013).
In virtù del bando PRIN 2017, i "prodotti scientifici del finanziamento ministeriale" – per poter essere contati come tali – devono essere accompagnati da una formuletta standard, contenente il numero assegnato al PRIN di riferimento, e pubblicati in modalità open access e on line .
Il citato bando ammette due modalità di accesso aperto: a) quella c.d. “green access” che consiste nella possibilità per l’Autore di catalogare il proprio contributo in formato “open” nella banca dati della propria Università (per es. IRIS), senza gravare di alcuna incombenza l’editore; b) quella “con embargo”, cioè con un periodo durante il quale il contributo depositato rimane ad accesso chiuso e risultano visibili all’esterno solo i metadati bibliografici, quindi si conterà soltanto a partire dal momento dello sblocco (cioè da quando diventa open).
Per la seconda modalità rileva sia la durata del periodo di embargo, previsto dagli editori, dopo la pubblicazione del contributo, sia il lasso temporale, previsto dal bando di finanziamento, per la riconducibilità dei prodotti al progetto.
Il tema dell’open access è quindi complesso e sconta una disinformazione sul punto da parte di molti editori (specie di riviste di ambito giuridico) che potrebbe danneggiare la rendicontazione dei risultati delle nostre ricerche.
Pertanto sarebbe opportuno che le associazioni scientifiche (vuoi a livello di SSD, vuoi a livello di conferenza delle associazioni CASAG), con il coinvolgimento dei direttori, crei un tavolo di concertazione con i principali editori di riviste di area giuridica per agevolare la fissazione di una durata ragionevole dell’embargo (per es. 3 mesi) per i prodotti della ricerca finanziata.
Nel frattempo, l’Unione Europea ha creato una piattaforma di pubblicazione – completamente gratuita (dato che le spese sono a carico della stessa UE) – degli articoli che riproducono, in modalità open access, i risultati ottenuti nei progetti europei . Per rendere immediatamente pubblici i risultati delle ricerche, i saggi sono caricati nella “publishing platform” ancor prima della loro valutazione tra pari (completamente pubblica), previa una verifica di mera ammissibilità formale (per es. con la verifica che il lavoro non è copiato, ecc.).
Questa modalità di pubblicazione presenta un approccio innovativo, rapido e trasparente, ma, per ora, non risulta allineata con i requisiti di “misurazione” dei “prodotti” del sistema italiano, a partire da quelli stabiliti ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale.
La condivisione immediata e ampia dei risultati della ricerca è uno strumento importante per costruire il futuro, ma non può esserlo a danno del lavoro e della carriera dei ricercatori e delle ricercatrici.
6. La ricerca “PRIN 2017” Nsui bisogni dei lavoratori poveri.
In questo frame, presento il progetto intitolato “WORKING POOR N.E.E.D.S.: New Equity, Decent work and Skills”, da me coordinato, come Principal Investigator, e condotto assieme alle unità locali degli atenei di Bologna (referente Carlo Zoli), Milano-Statale (referente Marco Biasi) l’Aquila (referente Pietro Lambertucci) – con il coinvolgimento di una quarantina di accademici – che ha avuto il riconoscimento (e il correlato finanziamento) di ricerca di “rilevante interesse nazionale” (PRIN).
Con tale progetto, il gruppo di ricerca, già nella metà degli anni ‘10, aveva manifestato una forte preoccupazione per il paradossale fenomeno dei lavoratori poveri (c.d. in-work poverty) al punto da identificarla come una riemergente questione sociale (non solo meridionale, ma) nazionale.
In contemporanea con il varo del PRIN, il Covid-19 ha determinato un aggravamento e una differenziazione delle povertà, facendola diventare a carattere multidimensionale (per es. aggiungendo quella educativa, culturale, di conoscenze o di competenze). Nel mondo del lavoro, inoltre, la pandemia ha colpito in modo più elevato le persone già vulnerabili: a partire dalla componente femminile e giovanile.
Questo ha accentuato le diseguaglianze economiche, lavorative e sociali, con il loro intreccio sì da costituire un grave freno per le prospettive di crescita sostenibile sul piano sociale. Pertanto, oggi la situazione è diventata ancor più critica e complessa e quindi va studiata in un’ottica interdisciplinare, incrociando le fonti disponibili, incluse quelle statistiche e amministrative
Il fenomeno della povertà (individuale e/o familiare, assoluta o relativa) nonostante l’occupazione (dipendente o autonomo, standard o flessibile) contraddice la promessa di un diritto al lavoro dignitoso prevista dalla Costituzione (artt. 3, 4, 35, 36 e 41 Cost.), dall’Agenda ONU 2030 (obiettivi nn. 1 e 8) e dai pilastri europei dei diritti sociali .
A conti fatti, la povertà nel lavoro mette in discussione lo stesso fondamento della nostra democrazia. Pertanto, il fenomeno merita una grande attenzione, specie in relazione agli strumenti e politiche per contrastarlo e promuovere il lavoro dignitoso.
7. Il progetto e i primi risultati in itinere.
Il progetto “WORKING POOR N.E.E.D.S.”, coordinato dall’Ateneo udinese, intende combattere la povertà nonostante il lavoro ricercando nuove eguaglianze, coltivando il lavoro dignitoso e valorizzando la professionalità come strumento di tutela attiva, non solo redistributiva ma anche preventiva.
Il progetto ha una durata triennale: la ricerca è iniziata ufficialmente il 1° marzo 2020 e dovrebbe terminare il 28 febbraio 2023, con una dilazione di 6 mesi (fino al 28 agosto 2023) a causa dei rallentamenti dovuti alla pandemia.
Con orgoglio e soddisfazione segnalo che, in tutte le unità locali di ricerca, la parte più significativa delle risorse finanziarie del PRIN è stata destinata all’assunzione di nuovo personale per l’effettuazione dell’indagine interdisciplinare, per lo più con lo strumento degli assegni di ricerca, quindi con collaborazioni a termine.
A ridosso del primo anno di ricerca, i risultati parziali sono stati condivisi con un ciclo di webinar interdisciplinari – uno per ogni unità di lavoro – aperti al pubblico in diretta streaming, registrati e successivamente resi disponibili sul canale YouTube, di divulgazione scientifica dell’Università di Udine, “Play Uniud” .
Nella prima serie incontri on line primaverili sì è fatto il punto sulla situazione del lavoro povero in Italia e in Europa, attraverso un confronto interdisciplinare su macro temi: dall’individuazione della povertà dei lavoratori sulla base di evidenze empiriche e approcci teorici (in una prospettiva interdisciplinare) al concetto di lavoro decente, quale antagonista del fenomeno del lavoro povero, concentrandosi, in particolare, sulle politiche di contrasto al lavoro povero.
Rinviando ai contributi dei tre coordinatori (Zoli, Lambertucci, Biagi) per un bilancio in itinere dell’attività delle loro unità locali, anticipo le linee di indagine dell’unità udinese.
Per una ricostruzione sintetica e prospettica del fenomeno della povertà nonostante il lavoro mi affido all’abbinamento tra la paura e la speranza.
La pandemia ha accentuato la paura collettiva ancestrale della povertà, accentuando le sue dimensioni moderne di rischio, in relazione al reddito familiare, di esclusione sociale nonostante la presenza del lavoro.
Secondo la relazione del gruppo di lavoro, nominato dal Ministro Orlando, sugli “interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia”, tenendo conto dei dati Eurostat, “in Italia un quarto dei lavoratori ha una retribuzione individuale bassa (cioé inferiore al 60% della mediana) e più di uno su dieci si trova in situazione di povertà (cioé vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana)” .
La povertà nel lavoro, e nonostante il lavoro, è una questione socio-economica cruciale, di assoluta rilevanza, ancor di più dopo la crisi pandemica che ha colpito le persone più vulnerabili (specialmente donne e giovani) in maniera sproporzionata ampliando il grado delle diseguaglianze.
La speranza dell’unità di ricerca udinese è che, grazie al piano di finanziamento (senza precedenti) del Recovery Fund, ci sia un’attivazione vigorosa di politiche di contrasto al lavoro povero, de jure condendo, ma anche de jure condito.
Fra queste ultime, nel nostro cantiere di lavori sta maturando l’idea che la formazione, nella sua declinazione di c.d. life long learning, vada considerata come un investimento sul futuro per accrescere sia la domanda (e l’utilizzo) di competenze per le imprese, sia l’occupabilità delle persone.
Questo percorso porta ad interrogarsi e a ridisegnare il ruolo delle parti sociali nel contrasto al lavoro povero. Qui pare iniziare una nuova storia di relazioni industriali, tutta da scrivere, forse in una nuova ottica di partecipazione.
Per l’ulteriore percorso di ricerca, l’appuntamento è per il secondo ciclo di 4 seminari primaverili dal 25 febbraio al 23 giugno 2022, sempre disponibili sul canale “Play Uniud”.