1.La passione per il diritto e la giustizia del lavoro é stata, non solo per me , la ragione fondamentale della scelta di fare il giudice del lavoro.
Senza mai trascurarne, tuttavia, la compatibilità con il ruolo e le funzioni di giudice .
Gli ideali pro labour – sottesi a quella passione – incidono, in modo diverso, sulla funzione di giudice, appunto, e su quella di parlamentare: ho avuto occasione di sperimentarle entrambe.
Per dirla in breve: il parlamentare contribuisce alla formazione della legge, alla quale il giudice è soggetto (art. 101 cost.).
E, peraltro, l’interpretazione, anche giudiziale, della legge è scoperta - non già invenzione - del diritto.
2.Ad integrare la legge – alla quale il giudice è soggetto – concorre il patrimonio costituzionale comune, nel quale coesistono fonti nazionali e fonti sovrannazionali.
Ne risulta un adeguato sistema di tutela multilivello (anche) per i diritti dei lavoratori.
Resta, tuttavia, la conoscenza inadeguata delle fonti sovrannazionali da parte dei giudici ordinari italiani e segnatamente - per quel che qui interessa – dei giudici del lavoro.
Ho avuto occasione di accertarne e denunciarne (nel 1985), addirittura, l’ignoranza della normativa comunitaria in materia di lavoro.
Più di trent’anni dopo (2018), tuttavia, ho accertato e riferito che i giudici del lavoro avevano progressivamente acquisito sempre maggiore conoscenza del diritto comunitario – ed ora eurounitario – del lavoro, pur restando livelli diversi di sensibilità, talora di maturità culturale, tra gli stessi giudici.
Profonde lacune nella conoscenza del diritto dell’Unione europea – segnatamente in materia di autonomia processuale dei paesi membri dell’Unione, da un lato, e di efficacia diretta vincolante per il giudice del rinvio delle sentenze della Corte di giustizia, dall’altro – risultano addebitate, ora, alla nostra Corte di cassazione – anche a sezioni unite – dalla stessa Corte di giustizia e dalla nostra Corte costituzionale.
Il problema, pertanto, resta aperto.
3.Il contrasto di qualsiasi eccesso di formalismo si impone, vieppiù (se possibile!), al giudice del lavoro.
Soccorrono, in tale prospettiva, i poteri d’ufficio – che gli sono conferiti, anche per l’acquisizione delle prove – in funzione della giustizia sostanziale, che ne risulta perseguita.
Non può essere, tuttavia, sconvolto il sistema della legge, alla quale il giudice è soggetto.
In tale prospettiva, il potere istruttorio d’ufficio non può cancellare, in radice, il riparto dell’onere probatorio (art. 2697 c.c. e deroghe relative nel contenzioso del lavoro) – all’uopo supponendo, tra l’altro, una semiplena probatio – né, tantomeno, la stessa parità tra le parti nel processo.
3.1. “E’ una regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un'ipotesi residuale”.
Sono le sezioni unite a ribadirlo – nella sentenza , che compone il contrasto apparente in tema di specificità dei motivi d’appello, (anche) dopo la più recente novella – invocando, a sostegno, un proprio precedente specifico.
Né deve dimenticarsi – ammoniscono le stesse sezioni unite, ancora una volta invocando a sostegno, un proprio precedente specifico – che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiarito in più occasioni che “le limitazioni all'accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, Corte eur. diritti dell'uomo 24 febbraio 2009, Cgil e Cofferati c. Italia,)”.
Ne risulta, quindi, fugato – ancora una volta – il rischio dell’eccesso di formalismo.
Palesi ne risulterebbero, invero, le ricadute negative sulla strumentalità del processo e. con essa, sulla effettività della tutela giurisdizionale.
Né potrebbero essere compensate dalla finalità – talora predicata – di deflazione del contenzioso.
3.2.Il rischio paventato riguarda, beninteso, l’eccesso di formalismo – appunto – nella interpretazione delle norme processuali.
Resta ferma, invece, la difesa delle stesse norme a fronte dell’overruling processuale della Corte di cassazione, che – nel primo decennio di questo secolo – è pervenuta a conclusioni in palese contrasto – con il tenore letterale delle norme e con la precedente giurisprudenza della stessa Corte (e, talora, anche della Corte costituzionale) – motivando in punto di principi costituzionali ed, in particolare, sul principio di ragionevole durata del processo.
Pertanto la lettura di norme processuali – in senso non formalistico, appunto – deve coniugarsi, per quanto si è detto, con il rispetto del loro tenore letterale, anche sua evoluzione diacronica.
Né può essere trascurato che la libera interpretazione delle stesse norme – a prescindere, cioè, dal loro tenore letterale – si risolve nella “abolizione del diritto stesso, almeno in quanto l’idea del diritto si riconnette alla ... garanzia di certezza e di eguaglianza, conquista insopprimibile della civiltà”.
3.3. Le palesi ricadute negative dell’eccesso di formalismo – sulla strumentalità del processo e, con essa, sulla effettività della tutela giurisdizionale – non .potrebbero, in nessun caso, essere compensate dalla finalità – talora predicata – di deflazione del contenzioso.
La deflazione buona, infatti, è solo quella che nasce dal lato dell’offerta.
Si tratta, invero, di opinione largamente condivisa nella scienza economica, dalla quale attinge, appunto, la metafora della deflazione del contenzioso.
Non può essere, tuttavia, estesa alle norme processuali, con funzione deflattiva del contenzioso.
Suggerisce, però, doverosa cautela dinanzi a manovre deflattive, che – incidendo sulla domanda di giustizia – possono determinarne, addirittura, la frustrazione di ga¬ranzie, che sono offerte dal patrimonio costituzionale comune.
Si tratta, quindi, di privilegiare manovre deflattive, che – promuovendo la efficienza – incidano sulla offerta di giustizia: le regole del processo si coniugano, in tale prospettiva, con interventi – parimenti virtuosi – sulla organizzazione giudiziaria.
3.4. La nostra giurisprudenza – dichiaratamente ispirata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – pare, quindi, consolidata nel senso che ne risultano fugati i rischi paventati.
Né sembra privo di rilievo il riconoscimento esplicito della ispirazione – proveniente da giurisprudenza sovrannazionale (e, segnatamente, dalla Corte EDU).
Ne risulta, infatti, un virtuoso affrancamento da una sorta di autarchia giuridica e giurisprudenziale – basata, talora, sulla asserita sufficienza delle garanzie costituzionali – che viene, non di rado, predicata e praticata dalla stessa Corte di cassazione e, talora, anche dalla nostra Corte costituzionale.
Il caso Taricco ne costituisce l’esempio più recente .
Con esso concorrono, tuttavia, le questioni attinenti alle leggi interpretative retroattive , al nostro precariato pubblico e tante altre.
4.La nomofilachia resta funzione della Corte di cassazione (art. 65 dell’ordinamento giudiziario).
Pare auspicabile, tuttavia, che la uniforme interpretazione della legge – che ne risulta perseguita – diventi dovere di tutti i giudici – compresi quelli del lavoro – senza frustrarne, tuttavia, il potere di interpretazione, anche evolutiva.
La uguaglianza dinanzi alla legge (art. 3 cost.) – che la nomofilachia concorre a garantire - si coniuga, infatti, con la prevedibilità e predittività della giurisprudenza e, con essa, con la tutela dell’affidamento e con la certezza del diritto.
4.1.A sostegno della uniforme interpretazione della legge – che la nomofilachia persegue – soccorrono, tuttavia, le prospettate critiche all’overruling processuale della Corte di cassazione, che – nel primo decennio di questo secolo – è pervenuta, per quanto si è detto, a conclusioni in palese contrasto – con il tenore letterale delle norme e con la precedente giurisprudenza della stessa Corte (e, talora, anche della Corte costituzionale) – motivando in punto di principi costituzionali ed, in particolare, sul principio di ragionevole durata del processo.
Tanto più la conclusine ora proposta si impone ove si consideri che l’overruling continua ad occupare – e preoccupare – la giurisprudenza delle sezioni unite civili e della sezione lavoro della Corte di cassazione, insieme alla esigenza di contrastare – affidata, ora, al prospective overruling – le conseguenze pregiudizievoli, che ne derivano, per la tutela giurisdizionale dei diritti (anche ) dei lavoratori.
5.La riflessione potrebbe continuare.
Tanto basta, tuttavia, per concentrare – intorno ad alcuni punti di sintesi – il messaggio sincero di un giudice del lavoro del passato remoto, ispirato tuttora dalla passione – per il diritto e la giustizia del lavoro – e dagli ideali pro labour.