TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Il contesto storico della legge 11 agosto 1973, n. 533.
L’epoca dell’emanazione della legge 11 agosto 1973, n. 533 sul processo del lavoro evoca una fase storica del nostro Paese caretterizzata da una forte richiesta dei cittadini di partecipazione civile alla vita pubblica, di spinta ideale su valori di solidarietà, uguglianza e tutela delle classi lavoratrici.
L’autunno caldo del 1969, durante il quale gli studenti si erano schierati a sostegno degli operai, condividendone alcune rivendicazioni quali l’antiautoritarismo e l’egualitarismo, diede inzio al formarsi di una serie di movimenti di azione collettiva dei lavoratori, dei giovani e delle donne, coinvolgenti vari strati della popolazione, che chiedevano mutamenti strutturali della società. Ebbe così inizio un decennio di partecipazione civile e di riforme. Sullo sfondo però, e non si può dimenticare, si erano andate formando le organizzazioni eversive che progressivamente elevarono il livello dello scontro, ma questa è un'altra storia.
È di quei primi anni Settanta, appunto, la legge sul divorzio, l’attuazione delle Regione e dell’istituto del referendum, la riforma sanitaria e del diritto di famiglia e, soprattutto, per quello che riguarda il mondo del lavoro, lo statuto dei lavoratori. Non era, però, sufficiente riconoscere ai lavoratori diritti sindacali e tutele se non si predisponeva uno strumento processuale idoneo ad assicurare, in tempi brevi, l’effettività delle riconosciute garanzie.
Superata, infatti, (con il Regio Decreto 26 febbraio 1928, n.471) l’esperienza dei probiviri (di cui alla Legge 15 giugno 1893, n. 295) e, poi, quella del periodo corporativo, il rito del lavoro, sempre disciplinato fuori dal codice di procedura civile, fù ricondotto, pur conservando una sua peculiarità, (poteri istruttori officiosi art. 439 c.p.c.) con il c.p.c. del 1940 nell’alveo del processo ordinario e come questo, con la cotroriforma degli anni cinquanta (Legge 14 luglio 1950, n.581), tornò a essere scritto e privo di decadenze, e, quindi, non più caratterizzato dai principi Chiovendiani dell’oralità, concentrazione e immediatezza che pur avevano ispirato il codice del 1940.
La legge n.533 del 1973 apparve da subito agli operatori del dritto come uno strumento processuale duttile e idoneo a essere modulato, secondo le necessità, per l’accertamento tempestivo dei fatti aderente alla realtà, fondante di diritti e obblighi. Pur essendo regolato dai principi generali che disciplinano il processo ordinario, ossia quello della domanda, del contraddittorio, del giudizio fondato sull’onere della prova e del libero convincimento del giudice, il processo del lavoro in questione si contraddistinse per la sua rapidità. Due sostanzialmente erano, e sono tuttora, gli atti su cui s’incentra il rito del lavoro, ossia il ricorso introduttivo e la memoria difensiva, nei quali le parti hanno l’onere di dedurre ogni domanda, ogni eccezione e ogni prova, ai quali possono aggiungersi, ma solo se autorizzate, le note difensive. Tratti peculiari del processo erano, e sono, anche l’esercizio di poteri istruttori del giudice, la lettura del dispositivo in udienza o pronuncia immediata della decisione e l’esecutorietà della sentenza di primo grado che pronuncia condanna al pagamento di una somma di denaro in favore del lavoratore.
La drastica riduzione degli atti di parte (basti pensare che nel rito ordinario si prevedevano fino a sei atti per ciascuna parte), il rigido sistema delle preclusioni, i poteri officiosi del giudice e l’immediata esecutività della sentenza, costituiscono un insieme di regole di cui i giudici del lavoro immediatamente avvertono la funzionalità per assicurare una giustizia rapida. Sono proprio loro che, all’indomani dell’approvazione della legge n.533 del 1973, credono fortemente in questo nuovo apparato processuale e lo applicano iinterpretando le regole processuali in modo da garantire appieno i richiamati principi Chiovendiani dell’oralità, concentrazione e immediatezza.
I Pretori del lavoro, all’epoca a loro era devoluta la competenza per le controversie di lavoro e di previdenza sociale in primo grado, si pongono così come soggetti attivi nel garantire una giustizia sostanziale conforme alle previsioni astratte delle norme delle leggi che in quel periodo si andavano promulgando, prima fra tutte quella dello Statuto dei lavoratori.
2. L’ evoluzione del processo del lavoro.
La disciplina del processo del lavoro non è rimasta immutata nel tempo.
Un primo importante intervento del legislatore si è avuto con il Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 che ha attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario in funzione del giudice del lavoro le controversie di una parte consistente dell’impiego pubblico (art.29) individuando il relativo foro territoriale (art.40) e disciplinando la difesa delle pubbliche amministrazioni (art. 417 bis c.p.c.).
Il predetto decreto ha, altresì, reso obbligatorio il tentativo stragiudiziale di conciliazione che viene previsto quale condizione di procedibilità della domanda (art.412 bis c.p.c.) e ha disciplinato l’arbitrato stabilito dai contratti collettivi (art. 412 ter c.p.c.) regolando anche l’impugnazione e l’esecutorietà del lodo arbitrale (art. 412 quater c.p.c.).
L’attribuzione alla giurisdizione al giudice ordinario di una parte considerevole delle controversie di lavoro del pubblico impiego, pur necessaria a seguito della c.d. privatizzazione del relativo rapporto, ha avuto una ricaduta non indifferente sul funzionamento del processo del lavoro perché, non solo ha evidentemente ampliato il carico di lavoro dei giudici, ma li ha anche impegnati in nuove tipologie di controversie sulla base di una disciplina sostanziale di nuovo conio, non sempre di facile interpretazione, che solo dopo non pochi anni si è iniziata ad assestare, per tutte basti pensare al contenzioso dei precari della scuola.
Un ulteriore modifica dell’originario impianto del processo del lavoro si è avuta con il Decreto legislativo 2 febbraio 2006, n.40 che ha introdotto l’art. 420 bis del c.p.c. riguardante l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali. Questa pregiudiziale, va detto, era già prevista dall’art. 30 del citato decreto n. 80 del 1998, poi modificato e integrato dall’art. 64 del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 relativamente alle controversie riguardanti rapporti di lavoro di pubblico impiego contrattualizzati.
Nell’ipotesi di cui all’art. 420 bis c.p.c. il giudice pronuncia sulla questione con sentenza impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa o comunque per la sua prosecuzione. Contro tale sentenza, emessa in via pregiudiziale, è ammissibile solo il ricorso immediato per cassazione da proporsi nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza. Specularmente, lo stesso decreto ha modificato l’art. 360 n. 3 c.p.c., prevedendosi tra i motivi del ricorso quello relativo, appunto, alla violazione e falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.
L’istituto, tuttavia, non ha avuto grande fortuna, forse perché i giudici del merito hanno ritenuto di pronunciarsi su tutta la causa evitando eventuali interferenze di altri organi giurisdizionali.
Un successivo rilevante intervento si è avuto con il Collegato lavoro, di cui alla Legge 4 novembre 2010, n.183, che ha introdotto nuove disposizioni in materia di rilevanza per il giudice delle c.d. certificazioni del contratto di lavoro, di esperimento del tentativo di conciliazione stragiudiziale che da obbligatorio è divenuto facoltativo, salvo che non si tratti di contratti certificati, e di utilizzazione della procedura arbitrale per le controversie individuali di lavoro.
La previsione di una procedura arbitrale ad hoc, avente il chiaro intento di deflazionare il contenzioso, per vero, non avuto riscontro positivo, probabilmente perché è vista ancora con sfavore da parte dei lavoratori in ragione dei relativi costi e della maggior fiducia riposta nella funzione del giudice.
In correlazione all’intervenuta abrogazione dell’obbligatorietà del tentativo stragiudiziale di conciliazione, l’art. 31, comma 4°, della Legge 183 del 2010 in parola, inoltre, ha modificato, il testo dell’art. 420, comma 1°, c.p.c. (udienza di discussione della causa), disponendo che il giudice nel tentare la conciliazione “formula alle parti una proposta transattiva”, e il rifiuto di questa proposta, senza giustificato motivo, si è disposto, costituisce al pari della mancata comparizione, comportamento valutabile ai fini del giudizio.
Ulteriore modifica al codice di rito si è avuta con l’art. 38 del Decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni nella Legge 15 luglio 2011, n. 111, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, con il quale si è inserito, dopo l’art. 445 c.p.c., l’art. 445 bis introducendo, in controtendenza rispetto all’abolizione dell’obbligatorietà del tentativo stragiudiziale di conciliazione, l’istituto del c.d. accertamento tecnico preventivo, cercando in tal modo di deflazionare il contenzioso in materia previdenziale.
Da ricordare, poi, è la Legge 28 giugno 2012, n.92 con la quale si è attuata una complessa riforma del mercato del lavoro e si è previsto (art. 1, commi dal 47 al 69), al di fuori del codice di procedura civile, per le controversie aventi a oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, un nuovo processo che trova applicazione (art. 1, comma 67) solo per le controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge, ossia successivamente al 18 luglio del 2012.
In questo nuovo rito, c.d. Fornero, il primo grado è distinto in due fasi, la prima delle quali si conclude con ordinanza di accoglimento o rigetto e la seconda, eventuale, con l’opposizione dinanzi allo stesso giudice che ha emesso l’ordinanza, che si definisce con sentenza. Contro la sentenza è proponibile reclamo dinanzi alla Corte di Appello che decide con sentenza ricorribile in cassazione.
Si tratta all’evidenza di un rito speciale che si pone accanto al rito del lavoro e stupisce un po’ che il legislatore, dopo aver eliminato dal nostro ordinamento, con il Decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, emanato sulla base della legge delega n. 69 del 2009, circa trenta riti diversi, prevedendone solo tre (quello di cognizione, quello del lavoro e quello sommario di cognizione), abbia poi, introdotto un rito speciale per le sole controversie relative ai licenziamenti ex art.18 dello Statuto dei lavoratori, intaccando l’unicità del processo del lavoro che pur aveva fornito prova di un buon funzionamento in chiave di concentrazione procedimentale, non senza considerare che in quasi tutti gli uffici giudiziari era ed è prassi riservare all’impugnazione giudiziale del licenziamento una corsia preferenziale per garantire un’accelerazione della tempistica processuale. D’altro canto l’aver previsto per il primo grado una procedura bifasica, certamente non può giovare alla rapidità del processo.
Dell’incongruenza di un rito del lavoro ulteriore a quello previsto dal codice di procedura civile si è reso conto anche il legislatore che con il Decreto legislativo 4 marzo 2015, n.23, nel prevedere il regime a tutele crescenti dei licenziamenti, ha sancito (art.11) l’inapplicabilità agli stessi del rito Fornero, ma solo per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 e cioè dall’entrata in vigore del suddetto Decreto (art.1, comma 1).
Di qui la coesistenza, in materia di licenziamento, di regimi diversi di rito in ragione della data di assunzione e d’instaurazione della controversia. Tutto questo certo non contribuisce alla celerità del processo.
3. La riforma del processo civile di cui al Decreto legislativo n.149 del 2022 e il processo del lavoro.
Come è noto con il Decreto legislativo del 10 ottobre 2022, n. 149, attuativo della Legge delega 26 novembre del 2021, n. 206 si è posto mano alla riforma del processo civile che ha coinvolto il processo del lavoro quasi esclusivamente in via indiretta poiché le modifiche apportate al rito del lavoro sono molto limitate.
A tale ultimo proposito, va, innazitutto, segnalato che, a decorrere dall’entrata in vigore della riforma, il rito Fornero non è più azionabile. Viene, infatti, introdotto, al Libro II, Titolo IV, del codice di procedura civile dopo il Capo I, il Capo I bis rubricato “Delle controversie relative ai licenziamenti”.
In questo nuovo capo viene inserito il novello art. 441 bis c.p.c. a norma del quale la trattazione e decisione delle controversie sull'impugnazione dei licenziamenti con domanda di reintegrazione, anche aventi a oggetto questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, hanno priorità rispetto alle altre cause. E’ previsto che per tali controversie, il giudice può ridurre i termini del procedimento fino alla metà (fermo restando il termine minimo di venti giorni tra la notifica del ricorso al convenuto e la fissazione dell'udienza), stabilendosi, inoltre, che all'udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità (anche) prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali, ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. In base all’ultimo comma del richiamato articolo, poi, i giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione.
Nel Capo I bis sono, poi, inntrodotti l’art. 441 ter, dedicato al licenziamento del socio della cooperativa, dove si sancisce che le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche ove ne consegua la cessazione del rapporto associativo, sono decise con il rito del lavoro e l' art. 441 quater, relativo al licenziamento discriminatorio, il quale stabilisce che le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell'articolo 414 del c.p.c., possano essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i rispettivi riti speciali , stabilendo che la proposizione dell'azione, nell'una o nell'altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso.
Lo scopo del legislatore è chiaramente quello di voler ridare centralità al processo del lavoro e porre fine alla proliferazione di riti che hanno a oggetto l'impugnazione dei licenziamenti.
Non è chiaro, però, se per l’adozione di questa procedura accellerata è sufficiente la mera prospettazione da parte del ricorrente di aver diritto alla reintegrazione ovvero sarà necessario un giudizio preliminare sulla fondatezza della domanda di reintegrazione, reintegrazione questa che comunque, e soprattutto per gli assunti con contratto a tutele crescenti, anche dopo gli interventi della Corte costituzionale e della Cassazione, risulta tuttora un’ipotesi residuale.
Ulteriore novità è da registrare relativamente all’art. 430 c.p.c. che secondo la nuova formulazione prevede la comunicazione a cura del cancelliere alle parti della sentenza solo nell’ipotesi di deposito della stessa fuori udienza.
Per quello che riguarda il giudizio di appello l’art. 434 c.p.c. viene riscritto e, allineandolo alla nuova formulazione dell’art.342 c.p.c., si sancisce che il ricorso di appello deve contenere le indicazioni prescritte dall'articolo 414 c.p.c. e deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi si deve indicare, a pena d’inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: il capo della decisione di primo grado che viene impugnato, le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado e le violazioni di legge denunciate nonchè la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Anche l’art. 436 bis c.p.c. sull’inammissibilità, improcedibilità e manifesta fondatezza o infondatezza dell'appello viene riformulato prescrivendosi che, nei casi previsti dagli articoli 348, 348 bis e 350, terzo comma, c.p.c., all'udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi. Gli artt. 437 e 438 c.p.c sono infine integrati con il raccordo al novellato 436 bis c.p.c.
Da ultimo va ricordato che con l’art. 9 del Decreto legislativo n.149 del 2022, in un’ottica di deflazione del contenzioso giudiziario, si estende alla materia lavoristica l’istituto della negoziazione assistita, in ordine alla quale si dispone che le parti, ciascuna con l’assistenza di almeno un avvocato e anche eventualmente di un consulente del lavoro, possono pervenire a un accordo equiparato a tutti gli effetti alle conciliazioni raggiunte in sede protetta costituente titolo esecutivo non impugnabile ex art. 2113 c.c.
Tra le nuove disposizioni relative al processo ordinario che hanno una ricaduta anche sul rito del lavoro meritano di essere segnalate quelle relative alla stabilizzazione delle udienze a distanza e cartolari, proprie del periodo emergenziale, nonché quelle relative al rinvio pregiudiziale su questioni di diritto.
Alla menzionata stabilizzazione vi provvede il nuovo terzo comma dell’art. 127 c.p.c. stabilendo che il giudice può disporre che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o che sia sostituita dal deposito di note scritte, secondo quanto stabilito dai successivi artt. 127 bis e 127 ter c.p.c., che disciplinano le modalità di svolgimento di queste udienze.
L’udienza telematica o quella cartolare può essere disposta, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, solo quando non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Sull’eventuale opposizione decide il giudice con decreto non impugnabile.
Trattandosi di normativa inserita nel libro primo del c.p.c. dedicato ai principi generali ambedue gli istituti dovrebbero essere di generale applicazione. Tuttavia devesi sottolineare che l’udienza cartolare, mal si concilia con l’udienza di discussione del rito del lavoro essendo questa destinata alla comparizione personale delle parti e al tentativo di conciliazione. Non può però, non considerarsi che quando il legislatore ha ritenuto l’inapplicabilità lo ha fatto espressamente, come per quanto riguarda il giudizio di cassazione in ordine al quale è, ora, espressamente disposto ex art. 379 c.p.c. che l’udienza si svolge sempre in presenza.
Il rinvio pregiudiziale da parte del giudice del merito alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione di diritto viene stabilito dal legislatore del 2022 inserendo l’art. 363 bis nel codice di procedura civile.
Sia pure attraverso un diverso iter procedurale il rito del lavoro, come sottolineato in precedenza, prevede già con l’art. 420 bis c.p.c. (ex art 18 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n.40 e prima ancora per le controversie del pubblico impiego contrattualizzato), un accertamento pregiudiziale sull’efficacia e validità e interpretazione dei contratti collettivi nazionali.
Tuttavia, mentre nell’art. 420 bis del c.p.c. il giudice del lavoro risolve in via pregiudiziale la questione con sentenza impugnabile con ricorso immediato per cassazione, nel caso dell’art. 363 bis c.p.c. non vi è una sentenza ricorribile in cassazione, ma un rinvio diretto della questione di diritto alla Corte di Cassazione da parte del giudice del merito disposto con motivata ordinanza, sentite le parti.
È evidente l’intenzione del legislatore di creare un raccordo tra la Corte di Cassazione e i giudici di merito al fine di preventivamente risolvere questioni di diritto di particolare difficoltà interpretative che si possano porre in numerosi giudizi.
Lo scopo della norma è anche di deflazionare il contenzioso considerato che il principio di diritto espresso dalla Cassazione, ancorchè vincolante solo per il giudice del merito che ha disposto il rinvio, ha pur sempre una valenza nomofilattica.
L’aspettativa è certamente quella di un utilizzo diffuso di questo nuovo strumento che potrebbe ben assolvere lo scopo per il quale il Legislatore lo ha normato, ma il risultato avuto in ordine all’accertamento pregiudiziale di cui al citato art. 420 bis c.p.c., induce a ritenere che ci sarà da parte dei giudici del merito un uso parsimonioso del rinvio pregiudiziale, probabilmente perché in giudici del merito non sono tendenzialmente disposti a spogliarsi della soluzione di importanti questioni di diritto con ampia ricaduta nel sociale.
4. L’attualità del processo del lavoro.
Sono passati cinquant’anni dalla prima stesura del testo del processo del lavoro e a distanza di mezzo secolo, durante il quale sono pure intervenute delle modifiche, la struttura del rito del lavoro è rimasta sostanzialmente inalterata. Anzi la vocazione espansiva del modello processule lavoristico del 1973 trova riscontro anche nella legislazione processuale più recente.
Quello che è mutato oggi è il quadro socioeconomico: si è passati da una era industriale 3.0 a una 4.0 dominata dall’intelligenza artificiale e dalla gig economy.
Il lavoratore prima agiva prevalentemente per tutelarsi nel rapporto rivendicando una tutela reale, oggi questa tutela è prevalentemente indennitaria.
Il lavoro precario prevale sul lavoro a tempo indeterminato, il lavoro subordinato è sostituito da nuovi modelli contrattuali, il luogo della prestazione non è sempre all’interno dell’azienda, il rapporto di lavoro è gestito da un algoritmo.
La tipologia del contenzioso giudiziario si è modificata e continua a modificarsi in parallelo all’evolversi delle applicazioni teconologiche. Il punto di equilibrio tra interessi dell’impresa e dei lavoratori rispetto al passato si sposta verso nuovi assetti e nuove modalità di espressione.
È con riferimento a questi mutamenti in atto che bisogna chiedersi se il processo del lavoro è un modello alla prova del tempo.
Il rito del lavoro, indubbiamente, anche se nato in un contesto lavoristico completamente diverso da quello attuale, resiste per le sue caratteristiche intrinseche di oralità, concentrazione e speditezza all’evolversi della domanda di giustizia.
Certo la conservata funzionalità nel tempo del processo del lavoro la si deve anche, e soprattutto, ai giudici del lavoro che sin dall’inizio hanno creduto in questo modello processuale estramente duttile in grado di assicurare una giustizia sostanziale aderente alle previsioni astratte delle norme.
Per stare al passo con i tempi, tuttavia, il giudice in genere e in particolare quello del lavoro deve prendere atto che interpretazioni contrastanti delle norme sostanziali e processuali moltiplicano solo i numeri del contenzioso e vanificano il principio di effettività, disincentivando l’accesso alla giustizia che nel rapporto di lavoro, a struttura gerarchica, è chiesta, quasi prevalentemente, dal lavoratore il quale non sempre è in grado di sostenere le spese per più gradi del giudizio.
Il rinnovato ordinamento del processo civile, si è visto, oggi offre uno strumento efficace per assicurare una certa omogeneità nella soluzione delle questioni giuriche di particolare rilevanza, ci si riferisce ovviamente al rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ex art. 363 bis c.p.c.
L’utilizzazione di questo mezzo processuale potrebbe garantire orientamenti interpretativi comuni idonei ad assicurare una parità di trattamento e a valorizzare il principio della certezza del diritto.
Del resto in alcune Corti di Appello e Tribunali si stanno sperimentando, attraverso l’utilizzazione dell’intelligenza artificiale, sistemi c.d. di giustizia predittiva, o di diritto calcolabile, che permettono di prevedere l’esito giudiziale di una controversia sulla base di un calcolo probabilistico.
Vi sono, infatti, allo stato cinque progetti in via di sperimentazione rispettivamente della Corte di Appello di Bari, della Corte d’appello di Venezia con l’Università Ca’ Foscari, dei Tribunali di Genova e Pisa con l’Università S. Anna di Pisa, della Corte di appello e del Tribunale di Brescia con la locale Università e ancora del Tribunale di Firenze. Anche il Centro Elettronico di documentazione della Corte di Cassazione ha stipulato nel 2021 una convenzione con la Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia finalizzata allo sviluppo di un sistema di ricerca avanzata per la raccolta e l’organizzazione informatizzata del materiale giuridico digitale.
La stessa Commissione Europea per l’efficienza della Giustizia (CEPEJ), nel corso della 31^ Riunione plenaria tenutasi a Strasburgo il 3-4 dicembre 2018, nell’adottare la Carta etica europea sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi, ha riconosciuto alla cybergiutizia la funzione di migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia e ha sancito, per un suo uso responsabile, i principi del rispetto dei diritti fondamentali, di non discriminazione, di qualità e sicurezza, di trasparenza imparzialità ed equità e di controllo da parte dell’utilizzatore.
Il nostro stesso sistema processuale, d’altro canto, si va sempre più orientando nella direzione della valorizzazione del precedente giudiziario. Si pensi ad esempio all’art. 374 c.p.c. (come sostituito dall’art. 8 del Decreto legislativo 2 febbraio 2006, n.40) ove è sancito che se la sezione semplice della Corte di cassazione ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezione unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso (art. 374 c.p.c.); all’art. 350 bis c.p.c. (introdotto dal Decreto legislativo n. 149 del 2022) che nel giudizio di appello prevede, nelle ipotesi d’inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza, una forma semplificata di sentenza motivata anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi e all’art. 118 disp. att., c.p.c. (così come modificato dall´art. 52, comma 5, della Legge n. 69 del 2009, n. 69) che, nel dettare la disciplina della motivazione della sentenza, stabilisce che essa contenga, l’esposizione succinta dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi.
L’auspicio è, per concludere, che i giudici, e in particolare i giudici del lavoro, con la loro professionalità e sensibilità contribuiscano alla realizzazione di una giustizia 4.0 utilizzando tutti gli strumenti processuali, predisposti anche dalla recente riforma del processo civile, per una giustizia certa ed equa perché come ha osservato Natalino Irti “Calcolabilità e affidamento si tengono insieme: il diritto calcolabile è un diritto su cui fare affidamento, su cui riporre aspettative: la fiducia nella legge è attesa di rigorosa applicazione, di stabilità nel tempo, di continuità interpretativa. Soltanto ciò che dura merita affidamento” (Natalino Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Calcolabilità giuridica, a cura di Alessandra Carleo, Bologna 2017 pag. 22).