TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
La Riforma Cartabia ha inciso anche sul mondo giuslavoristico aprendo la negoziazione assistita alle controversie che coinvolgono i rapporti di lavoro elencati nell’art. 409 c.p.c., vale a dire ad ogni controversia di competenza del giudice del lavoro. Non è una condizione di procedibilità per adire all’autorità giudiziaria, ma un ulteriore strumento deflattivo del contenzioso offerto per tentare di definire bonariamente una lite, la cui regia, per la prima volta, è stata assegnata agli avvocati. La negoziazione assistita è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 2014 ed è una procedura che consente di avviare un confronto stragiudiziale tra le parti coinvolte in una controversia. La procedura è semplice: il legale della parte che ha interesse ad ottenere la soddisfazione di un proprio diritto trasmette alla controparte un invito a sottoscrivere una convenzione di negoziazione assistita, ossia un accordo mediante il quale le parti stesse convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo forense. La controparte ha la facoltà di aderire o di rifiutare la negoziazione: nel caso di rifiuto o di mancata risposta entro trenta giorni dalla ricezione dell’invito, la procedura si intende esperita con esito negativo. Se però la controparte è interessata alla procedura di negoziazione, la stessa dovrà sottoscrivere, unitamente al proprio legale, la convenzione, i cui contenuti essenziali sono l’indicazione del termine concordato per l'espletamento della procedura (che non potrà essere inferiore a un mese né superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti) e l’indicazione dell'oggetto della controversia, che chiaramente non deve riguardare diritti indisponibili. Elementi non essenziali, ma che potrebbero essere inseriti nella convenzione sono la previsione della possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia; la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste; la possibilità di svolgere la negoziazione con modalità telematiche; la possibilità di svolgere gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza.
La particolarità della negoziazione in materia lavoristica è la facoltà della parte di essere assistita, oltre che da un avvocato, anche da un consulente del lavoro, professionalità essenziale per questa tipologia di controversie, soprattutto quando terreno di scontro sono differenze retributive o aspetti contributivi, previdenziali e/o fiscali.
Nel disciplinare la negoziazione assistita in materia lavoristica il legislatore ha voluto espressamente fare salva la possibilità delle parti di conciliare le controversie anche presso le sedi sindacali e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell’art. 412 – ter c.p.c.: la negoziazione assistita dunque non sostituisce la conciliazione sindacale ma si aggiunge ad essa, offrendo alle parti un’ulteriore modalità per concludere accordi transattivi non impugnabili ai sensi dell’art. 2113 cod. civ.. Non si comprende francamente il motivo per cui, tra i tanti strumenti deflattivi del contenzioso che esistono e che non sono certo stati abrogati dalla Riforma Cartabia, il legislatore abbia tenuto a ricordare solo quello previsto all’art. 412-ter. Oltre a questo, infatti, le parti potranno sempre ricorrere alla procedura facoltativa di conciliazione avanti alla Commissione istituita presso l’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente oppure alle commissioni di conciliazione e certificazione istituite a norma dell’art. 76, D. Lgs. n. 276/2003. La negoziazione assistita è un’opzione che si aggiunge a tutte quelle che sino ad oggi abbiamo utilizzato per definire una lite in via stragiudiziale.
Dunque, attraverso la procedura di negoziazione, nei tempi e nei modi stabiliti nella convenzione, le parti hanno la possibilità di comporre la lite tra loro insorta, grazie all’attività di mediazione svolta dai legali, nonché alle competenze tecniche dei consulenti del lavoro eventualmente coinvolti e all’attività istruttoria che può essere anticipata rispetto al giudizio, che spesso porta ad una migliore consapevolezza dei fatti e delle prove a disposizione. Nel caso in cui la procedura abbia esito negativo, ossia non si raggiunga un accordo che definisca la lite, le parti sono libere di adire l’autorità giudiziaria, potendo allegare al ricorso giudiziale la convenzione e la dichiarazione del mancato accordo, che sarà valutato dal giudice al fine della condanna alle spese di lite. Qualora invece si raggiunga un accordo, il legislatore della riforma ha espressamente previsto che – al pari degli accordi conclusi innanzi al giudice, all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, alle commissioni di certificazione o in sede sindacale – anche questo è sottratto al regime di impugnazione previsto dai primi tre commi dello stesso art. 2113 c.c.. Pertanto, l’accordo non potrà più essere impugnato in nessuna sede, fatta salva la facoltà di impugnazione in base ai principi civilistici generali, ossia qualora esso sia nullo (in quanto avente ad oggetto diritti assolutamente indisponibili o per contrarietà a norme imperative di legge) ovvero annullabile per vizio della volontà (errore, violenza o dolo). L'accordo che compone la controversia sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono costituisce immediatamente titolo esecutivo e titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
Altra peculiarità tutta giuslavoristica è che l’accordo raggiunto a valle della procedura di negoziazione deve essere trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, “ad uno degli organismi di cui articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”. Si tratta di una norma che ha sollevato molte critiche tra gli operatori, soprattutto perché non se n’è compresa la finalità, né le conseguenze ricollegate ai casi di mancata o ritardata trasmissione. La dottrina ha escluso che un simile adempimento possa considerarsi essenziale ai fini della validità della procedura e che quindi, in caso di inosservanza, l’accordo rimarrebbe comunque perfettamente valido e inoppugnabile. Tuttavia, in mancanza di chiarimenti, è bene che gli avvocati si scadenzino questa ulteriore attività e le commissioni di certificazione – centinaia nel nostro Paese – si attrezzino a ricevere migliaia di accordi, per poi non sapere bene cosa farne. C’è chi sostiene che l’invio serva unicamente per dare data certa all’intesa o a consentire un controllo, da parte delle competenti autorità, sul corretto adempimento degli obblighi contributivi e fiscali derivanti da tale accordo, verifica che non sarebbe possibile se quest’ultimo rimanesse unicamente nella disponibilità delle parti e/o dei rispettivi legali. Vero è che per la data certa poteva prevedersi la trasmissione tra legali dell’accordo tramite pec e se invece un simile obbligo fosse propedeutico ad un controllo da parte delle autorità, forse, il legislatore avrebbe dovuto imporre un unico destinatario, l’Ispettorato del lavoro e non tutto il novero delle commissioni di certificazioni. Ma neanche è possibile, per le sedi di certificazione, effettuare alcun controllo sui verbali di conciliazione depositati o segnalazione di alcun genere ad Enti o Istituti, perché non sono compiti che il legislatore ha voluto. La responsabilità di quanto sottoscritto resta alle parti, compreso i legali. Si auspica un chiarimento sul punto.
Le novità introdotte dalla Riforma Cartabia in materia di negoziazione assistita nelle controversie di lavoro non possono che valutarsi positivamente, soprattutto perché viene riconosciuto agli avvocati e ai consulenti del lavoro un ruolo che hanno sempre svolto, ossia quello di preparati negoziatori, perfettamente in grado di garantire quella tutela del lavoratore che assicuri la piena consapevolezza e conoscenza dei diritti di cui lo stesso – che è parte debole del rapporto contrattuale - disporrà mediante la sottoscrizione dell’accordo. A parere di chi scrive questo nuovo strumento deflattivo del contenzioso non eroderà più di tanto il ricorso alle altre procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie, questo perché – a differenza degli altri strumenti – la negoziazione è un procedimento che ha un suo iter ben strutturato, una durata considerevole (di almeno un mese) e spesso simili accordi che definiscono ogni aspetto del rapporto di lavoro dal quale è sorto il contenzioso necessitano di essere sottoscritti rapidamente, per “fermare” le determinazioni. Il tempo ci dirà che riuscita avrà questo ulteriore, possibile filtro al contenzioso e che posto prenderà rispetto alle altre possibili “sedi” di conciliazione.