TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Gli obiettivi della riforma
Occorre prendere le mosse dal fatto che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha attuato la legge delega 26 novembre 2021, n. 206 - recante delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata - il cui art. 1, co. 1, espressamente prevede «il governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti il riassetto formale e sostanziale del processo civile, mediante novelle al codice di procedura civile e alle leggi processuali speciali, in funzione di obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio, attenendosi ai principi e criteri direttivi previsti dalla presente legge».
Che dunque l’organizzazione sia tema strettamente connesso alla riforma è già scritto, a chiare lettere, nell’art. 1 della legge delega, oltre che ricavabile dai singoli principi di delega, ivi inclusi – seppur con alcune peculiarità, di cui si dirà infra – quelli inerenti al processo del lavoro.
A monte della riforma risiede l’input proveniente dall’Europa che ha chiesto all’Italia tempi ragionevoli dei processi ed eliminazione dell’arretrato anche attraverso la digitalizzazione. E che peraltro la dimensione europea permei di sé la riforma è un dato che si ritrova non solo negli obiettivi della stessa, ma anche in norme processuali specifiche, quali l’introduzione di una nuova ipotesi di revocazione della sentenza civile per il caso in cui il contenuto di una decisione passata in giudicato sia stato poi dichiarato dalla Corte EDU, in tutto o in parte, contrario alla Convenzione ovvero a uno dei suoi Protocolli (art. 391-quater cpc) .
Ancora, confrontando i principi di delega con le previsioni del PNRR , è agevole ritrovare il richiamo agli obiettivi di trasparenza, prevedibilità della durata dei processi, per superare la lentezza di questi ultimi «con interventi di riforma processuale e ordinamentale. A questi fini è necessario anche potenziare le risorse umane e le dotazioni strumentali e tecnologiche dell’interno sistema giudiziario». In particolar modo, nella sezione del PNRR dedicata alla giustizia, il fattore tempo è stato ritenuto fondamentale. Fermo restando che l’esigenza di speditezza deve andare di pari passo con quella di effettività delle tutele.
Nel PNRR si legge che, per risolvere queste criticità, gli interventi non dovranno essere soltanto «di carattere processuale», ma dovranno riguardare anche «i nodi organizzativi irrisolti».
In che modo? Sul punto le indicazioni sono state diverse: - stabilizzare alcune esperienze della fase emergenziale; - agire sul piano organizzativo, portando a piena attuazione l’ufficio del processo e potenziando l’amministrazione; - rafforzare e adeguare la digitalizzazione; - intervenire sul rito (o sui riti); - operare in ambito extra-processuale, anche favorendo le modalità alternative di risoluzione delle controversie.
Si può ragionevolmente affermare dunque che la questione organizzativa sia nell’impianto complessivo della riforma non secondaria, ma del tutto principale.
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2. La questione organizzativa alla prova del processo del lavoro
Un conto è però discutere della questione organizzativa nel processo civile in generale, altro conto è discutere della questione organizzativa nel processo del lavoro, che ha già una propria specialità . Una specialità che non è soltanto “processuale”, ma attiene da una parte all’effettività delle tutele anche attraverso quei principi che governano il rito (oralità, immediatezza e concentrazione) e dall’altra alla figura del giudice del lavoro .
Posto questo, è opportuno domandarsi se e come la riforma abbia “agito” sul processo del lavoro (ovviamente dal punto di vista degli obiettivi e dell’organizzazione, tralasciando il merito dei singoli istituti che esula dal presente scritto) e se, a seguito di tali interventi, i caratteri di oralità, immediatezza, concentrazione quali presìdi di garanzia e la centralità della figura del giudice del lavoro siano stati mantenuti.
In linea generale si può affermare che la riforma, avendo soltanto “ritoccato” il rito del lavoro (abrogazione del rito Fornero e introduzione di una corsia preferenziale per i licenziamenti; affidamento al giudice del lavoro della cognizione di ogni questione inerente al licenziamento del socio di cooperativa; una doppia modalità di azione quando si deduce la natura discriminatoria del licenziamento , ferme le preclusioni che maturano quando si è scelto un modus procedendi invece che l’altro in un’ottica comunque di razionalizzazione delle risorse; la negoziazione assistita quale “sede protetta” ex art. 2113, ult. co., c.c.; le udienze da remoto e udienze in modalità cartolare, comuni comunque a tutto il rito civile ) e anzi avendo attratto a questo modello altri riti, abbia consegnato oggi l’immagine di un rito ancora moderno e capace di adeguamento.
Un rito che conserva grande attualità a 50 anni dalla legge n. 533/1973 .
Del pari, in alcune norme di carattere (anche) organizzativo, la figura del giudice del lavoro mantiene inalterata la propria centralità.
Basti pensare in tal senso al fatto che la riforma si affida nella materia dei licenziamenti proprio al polso organizzativo del giudice del lavoro.
Non sono poste prescrizioni normative sempre uguali, come era avvenuto con il rito Fornero, ma è il giudice che, ai sensi del co. 3, dell’art. 441-bis cpc, “può” ridurre i termini sulla base delle circostanze concrete.
V’è da tener conto che, mentre nel rito Fornero (come anche nei processi cautelari) non operavano le decadenze degli artt. 414 cpc e 416 cpc, nell’art. 441-bis cpc esse operano senza eccezioni. Dunque termini eccessivamente ristretti andranno valutati attentamente perché le parti non saranno in condizione di fare in un secondo momento ciò che non hanno fatto negli atti introduttivi, proprio in ragione della piena operatività delle decadenze e delle preclusioni .
È sempre il giudice che, valutando il caso e le esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, ai sensi del co. 4 del medesimo articolo, “può” trattare congiuntamente le domande connesse o riconvenzionali o procedere alla loro separazione.
Ed è il giudice che, compiendo uno sforzo organizzativo, riserva particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze ed assicura la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria.
Uno sforzo organizzativo non da poco, visto che non è neppure possibile sapere in anticipo quante domande di impugnativa di licenziamento con richiesta di reintegra saranno proposte e dunque quanto spazio riservare ad esse nel calendario, correndosi così il rischio organizzativo di riservare giorni in eccesso, giorni che avrebbero potuto essere dedicati ad altro (ciò nel caso di domande di impugnativa di licenziamento con richiesta di reintegra che pervengano in numero inferiore rispetto al numero ipotizzato) o di riservarne pochi rispetto alle necessità in seguito effettivamente riscontrate.
È poi sempre alla capacità organizzativa del giudice che la riforma affida le esigenze di concentrazione tra la fase istruttoria e quella decisionale, nonché la scelta di separare o tenere insieme le domande, e dunque anche il bilanciamento tra la speditezza della corsia preferenziale e l’economia processuale quale risorsa pubblica da maneggiare con particolare cautela .
Norma centrale sull’organizzazione è infine l’art. 144-quinquies disp. att. cpc, secondo cui «Il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al capo I-bis del titolo IV del libro secondo del codice. In ciascun ufficio giudiziario sono effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentono di valutare la durata media dei processi di cui all’articolo 441-bis del codice, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro».
Si tratta di una previsione finalizzata a individuare strumenti organizzativi perché la celerità sia assicurata.
La previsione, di tipo organizzativo, presuppone però a monte la correttezza dell’evidenza statistica, basata su criteri uniformi. Sul punto occorrerà lavorare per far sì che essa raggiunga gli obiettivi voluti, obiettivi da leggersi peraltro in combinato disposto con quei criteri di “trasparenza” e “misurabilità” indicati nel PNRR.
Non c’è dunque, nell’organizzazione del lavoro richiesta al giudice nell’ambito della materia dei licenziamenti, alcuna attenuazione dei principi classici del rito del lavoro, né alcun depotenziamento del ruolo del giudice alla cui capacità è anzi affidato il grado di accelerazione della corsia preferenziale.
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3. Necessità di adeguamento dei modelli informatici
Ciò tuttavia presuppone, dall’esterno, non soltanto l’adeguamento dei sistemi di rilevazione statistica, ma anche dei modelli informatici: detto in altri termini, ad esempio, la nota di iscrizione a ruolo quando, nel caso di impugnativa di un licenziamento, sia richiesta la reintegrazione nel posto di lavoro, dovrebbe essere contrassegnata da un codice particolare in grado di consentirne l’immediata individuazione.
Guardando ad alcune esperienze concrete invece, almeno nelle prime battute applicative, si è registrato uno scollamento tra il modello informatico e lo schema processuale.
Molte cancellerie delle sezioni lavoro dei tribunali italiani hanno comunicato che i sistemi non sono in grado di accettare, pena l’emissione di un messaggio di errore bloccante, gli atti che presentino all’interno del file “dati atto” la scelta (attraverso l’apposita spunta) “rito Cartabia”, tanto che sono stati diffusi vari avvisi affinché i depositi avvengano con il meccanismo tradizionale e anzi barrando la voce “atti pre-Cartabia” o similari .
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4. Trattazione cartolare e organizzazione
Altra novità che può avere effetti sull’organizzazione del lavoro riguarda la possibilità, anche per il giudice del lavoro, di disporre la trattazione scritta dell’udienza .
Nessun problema particolare pone invece lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza, visto che tutti i soggetti collegati da remoto, salvi problemi di collegamento o di connessione alla rete, possono compiere lo stesso tipo di attività che potrebbero svolgere in presenza.
La trattazione cartolare è stata prevista dal criterio di delega contenuto nell’art. 1, co. 17, lett. m, della legge n. 206/2021, in linea con gli obiettivi del PNRR di stabilizzare alcune misure assunte nella fase emergenziale: «(m) prevedere che, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, il giudice può, o deve in caso di richiesta congiunta delle parti, disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni da effettuare entro il termine perentorio stabilito dal giudice)».
Senz’altro, nella scelta di disporre la trattazione cartolare dell’udienza, gioca un ruolo importante l’organizzazione del calendario delle udienze, molto meno – a livello astratto (ma non così in concreto) - il tipo di udienza, visto che ormai la sostituzione può avvenire sempre se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal PM, dagli ausiliari.
La scelta compete al giudice, salvo il diritto delle parti di opporsi e al quel punto il giudice dispone in conformità o di una parte sola di opporsi e allora il giudice valuta e decide con decreto non impugnabile. Le parti ancora possono, se d’accordo tra loro, imporre al giudice la trattazione scritta dell’udienza, anche se già fissata in presenza in un momento precedente.
Il potere assegnato alle parti di imporre o di impedire la trattazione scritta può essere esercitato, appunto, in relazione a qualsiasi udienza eccetto quelle che richiedano la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal PM, dagli ausiliari. Esso può essere esercitato (non essendoci preclusioni di segno opposto) anche negli atti introduttivi.
Il ricorrente, in calce al ricorso, potrebbe infatti domandare che l’udienza ex art. 420 cpc sia tenuta in modalità cartolare e il resistente, costituendosi eventualmente in anticipo perché non ci sia contrazione dei tempi previsti dall’art. 127-ter cpc, potrebbe proporre la medesima istanza. A quel punto il giudice dovrebbe disporre la trattazione scritta, non potendo discostarsi dalla scelta proveniente da entrambe le parti congiuntamente.
Il che, ancora, imporrebbe sotto il profilo organizzativo un adeguamento del modello informatico a quello processuale, aggiungendo l’istanza ex art. 127-ter cpc nell’ambito del deposito telematico, sì che sia immediatamente individuata all’atto della ricezione della busta telematica.
Le note di trattazione cartolare possono contenere istanze e conclusioni e dunque non le difese, e il termine non inferiore a 15 giorni è un termine in avanti che decorre dalla data di comunicazione del provvedimento. I termini assegnati alle parti sono perentori, quelli assegnati al giudice sono invece ordinatori.
Se da una parte la norma si pone in linea con il criterio di delega e con gli obiettivi del PNRR, dall’altra essa può dirsi altrettanto in linea con “oralità”, “immediatezza” e “concentrazione” e dunque con l’effettività del rito del lavoro?
Probabilmente la risposta non può che trovarsi recuperando la “centralità” della figura del giudice del lavoro che, in ragione dell’oggetto del processo e del tipo di udienza, dovrà valutare attentamente quando sostituire l’udienza in presenza con la trattazione cartolare e quando ciò non sia invece opportuno, fermi naturalmente i limiti derivanti dalla richiesta che provenga da tutte le parti costituite.
Concentrando ancora l’attenzione sugli aspetti squisitamente organizzativi, quali sono i problemi sull’applicazione dell’art. 127-ter cpc?
Sicuramente quelli temporali. Si è obiettato infatti che non potrebbe essere disposta la sostituzione dell’udienza di discussione ex art. 420 cpc con il deposito di note scritte già nel decreto di fissazione dell’art. 415 cpc, perché il convenuto, non ancora costituito nel momento dell’emanazione del decreto, non potrebbe né chiedere, né opporsi alla trattazione cartolare; se invece si volesse dare tempo al convenuto di opporsi o chiedere la trattazione cartolare, allora ne deriverebbe inevitabilmente uno spostamento in avanti dell’udienza, con depotenziamento della celerità. Ne discenderebbe che il giudice non potrebbe disporre mai l’udienza ex art. 420 cpc in modalità cartolare, essendo vincolato però a disporla ove il ricorrente ne abbia fatto richiesta nel ricorso e il convenuto, costituendosi per propria scelta in anticipo, abbia aderito all’istanza; oppure quando, costituendosi nei termini, il convenuto abbia aderito, chiedendo il differimento dell’udienza. È chiaro infatti che, se il ricorrente domanda la trattazione scritta nel ricorso, accetta o quanto meno ha già fatto i conti con il possibile (se non addirittura) necessario differimento dell’udienza.
Si sostiene che il giudice, per evitare differimenti, potrebbe comunque utilizzare la previsione dell’ultimo periodo del co. 2 dell’art. 127-ter cpc che consente l’abbreviazione dei termini se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento; in questo caso, nel decreto di fissazione dell’udienza, il giudice potrebbe abbreviare i termini e farli coincidere con quelli della memoria ex art. 416 cpc.
Tuttavia, ad avviso di chi scrive, questa soluzione non potrebbe essere generalizzata solo per adattarla, o meglio per “piegarla”, alle diverse cadenze processuali del rito del lavoro, potendo invece essere utilizzata solo in ragione di specifici motivi di urgenza del caso concreto, da indicare nel decreto. Diversamente non si tratterebbe più delle particolari ragioni di urgenza cui si riferisce l’art. 127-ter cpc, ma di un’urgenza forzatamente estesa che ricorrerebbe sempre e comunque sol che si voglia disporre l’udienza ex art. 420 cpc in modalità cartolare già con il decreto dell’art. 415 cpc. E lo stesso vale per il processo d’appello.
Vi è poi un problema che solo indirettamente è organizzativo, ma che riguarda essenzialmente l’espressione discussione “orale” nell’art. 429, co. 1, cpc, che si ritiene compressa dalla trattazione cartolare dell’udienza di discussione, assumendosi altresì compressa la concentrazione tra la discussione e la decisione.
Si obietta che il nuovo testo dell’art. 430 cpc – che non contempla più il termine per il deposito della sentenza, ma si limita a stabilire le modalità e i tempi della comunicazione alle parti del deposito della sentenza – non ha toccato il criterio della concentrazione temporale tra discussione e decisione, né l’oralità della discussione. In realtà è da riconoscere che ormai da molti anni, specie laddove vi sia stata attività istruttoria, è stata prassi di molti tribunali assegnare (e degli avvocati richiedere) note difensive finali, si ché la discussione si è nei fatti spesso tradotta in via di prassi nel mero richiamo alle note. Ed è da evidenziare che la discussione orale è alternativa alla trattazione cartolare, sicché la questione della compatibilità tra le previsioni dell’art. 127-ter cpc e dell’art. 429 cpc potrebbe essere, proprio a monte, mal posta, integrando due modi diversi di svolgere l’udienza.
Alla domanda se la trattazione scritta si ponga in contrasto con i principi classici del rito del lavoro, la risposta allo stato (e fermo quanto si vedrà in corso d’opera) è “relativa”.
Nel senso che essa dipende dall’utilizzo che in concreto ne sarà fatto in ragione delle attività connesse alle udienze.
Si tenga conto che le note di trattazione cartolare possono contenere solo istanze e conclusioni e dunque, se un’udienza – ad esempio di discussione – fosse affidata esclusivamente ad esse potrebbe essere compromessa la facoltà di difesa delle parti .
Laddove la trattazione cartolare sia utilizzata quando il tipo di attività lo consenta e l’udienza in presenza sia invece utilizzata per attività che, pur non avendo un’incompatibilità legale con la trattazione scritta, ne abbiano una ontologica (si pensi al libero interrogatorio o al tentativo di conciliazione), il problema potrebbe non avere ragione di porsi.
Sta dunque ai giudici avere la sensibilità di adottare un meccanismo invece che un altro a seconda dei casi e sta alla leale cooperazione delle parti di evidenziare, eventualmente opponendosi alle trattazioni cartolari già disposte, le ragioni che rendono opportuna la celebrazione di udienza in presenza.
Un ruolo importante potrà avere, anche dal punto di vista organizzativo, il calendario del processo, uno strumento che potrebbe aiutare le parti ad avere contezza della durata del processo e delle varie tappe di esso, per realizzare quell’obiettivo di cui si legge nel PNRR ossia “la trasparenza”, che non può che investire anche i tempi.

 

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