TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Premessa sulla trattazione cartolare in genere.
Il d.lgs. 149 del 2022 ha apportato talune rilevanti novità alle disposizioni inerenti alle controversie lavoristiche. Eppure, probabilmente uno dei temi più controversi a seguito dell’intervenuta riforma c.d. Cartabia attiene proprio ad una novella che non ha riguardato specificamente il rito lavoro, ma le disposizioni generali all’interno del Libro I del codice di rito: l’estensione della trattazione scritta o c.d. cartolare di cui all’art. 127 ter c.p.c. anche a tale rito.
Brevemente ricordando la genesi di questa disciplina, va premesso che il sistema giustizia, messo alla prova dall’improvviso avvento della pandemia da Covid-19, aveva reagito con una legislazione d’emergenza al fine di contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria . In un primo momento, l’art. 83, comma 7°, lett. h), d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, aveva attribuito ai capi degli uffici giudiziari la possibilità, tra l’altro, di adottare le misure per lo svolgimento delle udienze civili che non richiedessero la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice. In seguito, l’art. 221, comma 4°, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, aveva attribuito tale potere al giudice in relazione alle medesime udienze, prevedendo l’applicazione dell’art. 181, comma 1°, c.p.c. in caso di mancato deposito da parte di tutte le parti.
Quest’ultima legislazione era destinata a cessare, venuto ormai meno lo stato d’emergenza, al 31 dicembre 2022 . E’ per tale ragione che, diversamente dalla regola generale, che vede l’applicazione delle novità della riforma c.d. Cartabia ai procedimenti avviati successivamente al 28 febbraio 2023 (art. 35, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), i nuovi artt. 127, 127 bis e 127 ter c.p.c. entrano in vigore sin dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai procedimenti civili in corso (comma 2° del cit. art. 35), assicurando continuità con la precedente omogenea legislazione emergenziale.
In virtù dell’inedito 3° comma dell’art. 127 c.p.c. il giudice ha facoltà di disporre, rispettivamente in base ai nuovi artt. 127 bis e ter c.p.c., che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte.
Non è questa la sede per approfondire funditus tutte le questioni poste dalla trattazione cartolare delle udienze, cui può soltanto accennarsi, poiché esse sono comuni a qualsivoglia processo e oltrepasserebbero i limiti del presente lavoro.

2.- Caratteristiche della sostituzione cartolare dell’udienza.
Va innanzitutto rilevato che l’art. 127 ter c.p.c. delimita l’ambito di operatività della trattazione cartolare (coincidente con quella da remoto) alle udienze in cui non sia richiesta la presenza di soggetti diversi da difensori, parti, pubblico ministero e ausiliari del giudice, in ciò differenziandolo dalla legislazione emergenziale, ove le udienze sostituibili erano quelle che non richiedessero la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti.
Il decreto con cui il giudice dispone la c.d. trattazione scritta pare avere natura soppressiva dell’udienza e, dal versante del magistrato, determina una situazione in tutto analoga a quella in cui, all’esito dell’udienza, questi decida di riservarsi. D’altronde, in virtù dell’ult. comma il giudice è tenuto a provvedere entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note e il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito «è considerato data di udienza a tutti gli effetti». Da questa disciplina dovrebbe pacificamente derivare che non sarà redatto un verbale d’udienza, ma il fascicolo sarà considerato in riserva da quella data, con calcolo a partire da quel momento o a ritroso per ogni adempimento legato all’udienza .
L’elemento maggiormente significativo dell’istituto in esame è il ruolo attribuito all’iniziativa nella sostituzione dell’udienza.
La sostituzione dell'udienza in presenza (anche se precedentemente fissata) con la trattazione scritta può derivare tanto dalla scelta del giudice quanto dalla richiesta di tutte le parti costituite.
In linea di massima il giudice può sostituire l’udienza a propria discrezione assegnando alle parti il termine perentorio non inferiore a 15 giorni per il deposito delle note. Ciascuna parte costituita, però, può opporsi alla scelta giudiziale entro 5 giorni dalla comunicazione del provvedimento sostitutivo e su di essa il giudice provvede nei 5 giorni successivi con decreto non impugnabile.
E’ evidente il diverso rilievo riconosciuto dal legislatore alla volontà di alcuna delle parti costituite rispetto alla richiesta congiunta di tutte, posto che quest’ultima limita la discrezionalità del giudice imponendogli di disporre in conformità .
Infine, la circostanza che il deposito delle note surroghi la partecipazione all’udienza, ha condotto il legislatore a prevedere che, come già ipotizzato in passato nel silenzio del dato normativo, trovi applicazione mutatis mutandis l’estinzione per duplice diserzione d’udienza sulla falsariga dell’art. 181, comma 1°, c.p.c.: l’adattamento al diverso contesto, fa sì che in virtù del 4° comma dell’art. 127 ter c.p.c., se nessuna parte deposita tempestivamente le note, il giudice assegnerà un nuovo termine perentorio per il deposito, potendo parimenti optare per un ritorno all’udienza in presenza; ove nuovamente nessuna delle parti depositi tempestivamente le note ovvero, nella seconda opzione, compaia all’udienza fissata, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo .
La sostituzione dell’udienza, in cui si realizza il contraddittorio tra le parti, con lo scambio delle note solleva il problema della possibilità di autorizzare, diversamente dalla lettera della norma, uno scambio di note a termini sfalsati.
Al riguardo taluna dottrina ha ritenuto che, per assicurare un reale contraddittorio tra le parti e un dialogo con il giudice è necessario correggere la disciplina nel senso che sia assegnato un termine per note e uno per repliche oppure termini differenziati per consentire anche le repliche , o ancora una successiva udienza a ciò destinata, prima che il giudice assuma le conseguenti determinazioni, altrimenti profilandosi la violazione del contraddittorio e l’incostituzionalità della disposizione se intesa ad litteras . In senso opposto, si è evidenziato che osta a tale conclusione la lettera e la ratio della norma e nello specifico la circostanza che le note in parola siano circoscritte alle sole istanze e conclusioni in sostituzione del verbale di udienza, e non assumano il contenuto di memorie .

3.- Dubbi sull’applicazione in genere: la compatibilità con i termini della fase introduttiva.
Valutare la compatibilità dell’art. 127 ter c.p.c. con il rito lavoro pone imponenti dubbi ideologici e strutturali.
L’apparentemente ampio dettato dell’art. 127 c.p.c., dal quale sembrerebbe dedursi che qualsivoglia udienza sia sostituibile dai fungibili metodi di svolgimento da remoto o cartolare, trova una sua delimitazione, per quel che qui rileva, nell’art. 127 ter c.p.c.
Sarebbe quasi banale liquidare la questione della compatibilità della trattazione scritta con il rito del lavoro richiamando le caratteristiche di cui esso è intriso e che con quel modello di trattazione nettamente confliggono: l’oralità, la concentrazione, l’immediatezza che si concretano nella tendenziale unicità dell’udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. e nella lettura in udienza sempre del dispositivo e, salve le ipotesi di particolare complessità della controversia, della motivazione contestuale, impedendo al giudice di riservarsi; e sul presupposto che secondo una consolidata giurisprudenza, la disciplina della fase introduttiva del giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo .
Questi principi, sottesi ad assicurare un processo che più di ogni altro tenda alla ricerca della verità materiale, devono affrontare la prova di resistenza di altri principi e interessi da tutelare, alcuni aventi anche rilievo costituzionale: si pensi alla ragionevole durata del processo ovvero alla tutela della salute che hanno permesso il ricorso alla trattazione cartolare nel mentre della pandemia .
Sicché evitando petizioni di principio nell’uno o nell’altro senso , sembra opportuno interrogarsi sulla concreta compatibilità tecnica, strutturale ed ontologica tra trattazione cartolare come specificamente delineata dall’art. 127 ter c.p.c. e gli adempimenti che sono svolti nel corso del processo del lavoro.
Un primo profilo di incompatibilità generale è legato alla difficoltà di combinare i tempi della scelta per la trattazione cartolare e le cadenze temporali della fase introduttiva del rito del lavoro, vuoi in primo grado che in appello, atteso che il convenuto può costituirsi sino a 10 giorni prima dell’udienza di cui all’art. 420 c.p.c., ove astrattamente ammissibile.
Infatti, la sostituzione dell'udienza di discussione con il deposito di note scritte non potrebbe essere disposta dal giudice nel decreto di fissazione di cui all'art. 415, comma 2°, c.p.c., poiché altrimenti il convenuto non ancora costituito al momento dell'emanazione del predetto decreto e della sua comunicazione non potrebbe opporsi alla sostituzione ai sensi del 2° comma . D’altronde sembra difficile che il giudice prima di conoscere compiutamente le difese delle parti possa determinarsi sulla trattazione scritta .
In alternativa, si è ipotizzato uno sfasamento della decorrenza del termine per il deposito delle note da ricondurre per il ricorrente alla comunicazione del decreto, per il convenuto alla ricezione della notifica di quest’ultimo in una col ricorso introduttivo, momento dal quale potrebbe decorrere per questi anche il termine per opporsi .
Nell’ipotesi in cui il provvedimento sostitutivo dovesse intervenire a seguito del decorso del termine per la costituzione del convenuto ex art. 416 c.p.c., l’udienza dovrebbe essere inevitabilmente differita per assicurare alle parti termini non inferiori a quelli previsti dall’art. 127 ter c.p.c. per il deposito delle note scritte e per la proposizione dell’eventuale opposizione delle parti . Una simile incompatibilità strutturale e ontologica non sembra superabile con una norma, quale l’ultimo inciso del 2° comma dell’art. 127 ter c.p.c., dal carattere eccezionale e improntata a «particolari ragioni di urgenza», che consente al giudice dandone atto nel provvedimento di abbreviare i termini di cui si è detto : non potrebbe evidentemente il suddetto giudice dare atto nel provvedimento della scelta di abbreviare i termini per rendere funzionante la trattazione cartolare in un rito specifico e nel rispetto del termine di cui all’art. 416 c.p.c., compito non certo legato a ragioni d’urgenza e non spettante al giudice ma bensì al legislatore.
Altra soluzione potrebbe essere rintracciata nel mutuare la disciplina relativa alla proposizione della domanda riconvenzionale ex art. 418 c.p.c., con possibilità per il giudice ancora una volta di differire la prima udienza una volta costituitesi entrambe le parti e valutata in concreto la migliore modalità per lo svolgimento dell’udienza .

4.- La (in)compatibilità con le udienze in cui è prevista la comparizione personale delle parti.
Come visto la trattazione cartolare durante l’emergenza pandemica era riservata alle sole udienze che non prevedessero la partecipazione di soggetti diversi dai difensori delle parti. Ciò conduceva ad escludere quelle udienze in cui fosse imposta la partecipazione personale delle parti al fine, tra l’altro, dell’esperimento del tentativo di conciliazione e dell’interrogatorio libero .
Diverso è il testo dell’art. 127 ter c.p.c. Se allora in linea di massima la presenza delle parti non rappresenta un ostacolo ontologico allo svolgimento cartolare post pandemico delle udienze in cui siano previsti la comparizione personale delle parti, l’interrogatorio libero ovvero il tentativo di conciliazione, ciononostante buona parte della dottrina ha escluso (o quanto meno ritenuto sconsigliabile o inadatto ) che la modalità in esame possa validamente applicarsi all’udienza ove nella stessa sia prevista la comparizione personale delle parti, .
Le medesime riserve sono state espresse dall’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, che – nella Relazione esplicativa della riforma – esclude la compatibilità tra trattazione cartolare e prima udienza ex art. 183 c.p.c. novellato a fronte della circostanza che la nuova disposizione prevede, con l’ennesimo ritorno all’antico, «che le parti compaiano personalmente e che il giudice tenti la conciliazione ai sensi dell’art. 185 c.p.c. L’obbligo del tentativo di conciliazione appare incompatibile con la trattazione scritta».
Potrebbe forse ipotizzarsi non già una cartolarizzazione della conciliazione ma una rinuncia ad essa, implicita nell’assenza di opposizione. Ciò tuttavia sembra difficilmente giustificabile in un procedimento in cui il legislatore ha volutamente mantenuto e arricchito il tentativo di conciliazione nella prima udienza, senza che sia permesso rinunciarvi (al fine della sostituzione cartolare) come oggi accade ai sensi del nuovo art. 473 bis.51 c.p.c. nei procedimenti di separazione, scioglimento degli effetti civili ecc. su domanda congiunta .

5.- La (in)compatibilità con la discussione (e decisione) della causa: la pubblicità…
Ulteriori perplessità pone la possibilità di affrontare con modalità cartolare l’udienza pubblica, come quella in cui si discute la causa.
Un ostacolo di natura testuale deriva dal mero raffronto tra gli artt. 127 bis e ter c.p.c.: mentre nel primo l’incipit della norma testualmente consente lo svolgimento mediante collegamenti audiovisivi a distanza «dell’udienza, anche pubblica», nel secondo tale precisazione difetta.
A ciò si aggiunga l’altrettanto chiara lettera dell’art. 128 c.p.c. – in ciò opposto all’art. 84 disp. att. c.p.c. - ove si afferma che l’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità, e il giudice che la dirige può disporne lo svolgimento a porte chiuse non già per una mera miglior gestione dell’udienza ma «se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume».
Sotto un profilo sistematico, però, le conclusioni potranno divergere sensibilmente ove si ritenga che la pubblicità, funzionale a perseguire la tutela di interessi che prescindono quelli delle parti, consentendo il controllo sull’operato del giudice ovvero che la nullità che consegua a tale mancanza sia relativa e rinunciabile dalle parti o che la garanzia della pubblicità dell’udienza sia nel potere delle parti di opporsi, rectius di non opporsi al provvedimento del giudice .

6.- (segue) … e la lettura della decisione.
E’ d’altronde ben noto che l’udienza tendenzialmente unica di cui all’art. 420 c.p.c. spesso si scinde in diverse udienze, sicché potrebbe accadere che il giudice fissi un’udienza, successiva a quella o a quelle che sono state deputate agli adempimenti di cui ai primi tre commi di quest’ultima norma, il cui contenuto potrebbe essere surrogato dalla trattazione cartolare . Fermo restando che ciò impedirebbe che quella udienza, surrogata dal deposito di note, possa condurre ad ulteriori attività con quella incompatibili e in particolare alla discussione e decisione della controversia, ove si giunga ad una simile conclusione.
In relazione alla decisione della causa è profondo il divario che si profila tra la previsione per cui il giudice provvede entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note (art. 127 ter c.p.c.) e quella per cui in udienza il giudice pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo o anche della motivazione esaurita la discussione e udite le conclusioni delle parti (art. 429, comma 1°).
Innanzitutto, per ammettersi la sostituzione cartolare della fase decisoria, dovrebbe innanzitutto darsi una lettura correttiva ed estensiva del contenuto delle note scritte come individuato dall’art. 127 ter c.p.c.: esse sono per legge limitate alle istanze e conclusioni, difficilmente adattabili a sostituire la discussione orale e l'ascolto delle conclusioni delle parti in udienza di cui all’art. 429, comma 1°, primo periodo .
Ma soprattutto la pedissequa applicazione della trattazione cartolare infliggerebbe un duro colpo alla essenza del rito lavoro, che nella conseguenzialità senza cesure tra discussione e deliberazione vede una sua caratteristica fondamentale .
Anche in tal caso diversa sarà la soluzione ove si ritenga che la decisione contestuale alla chiusura della discussione e la lettura della sentenza in udienza sia imposta a pena di nullità insanabile e non nella disponibilità delle parti , ovvero che le parti, depositando le note scritte e omettendo di chiedere la fissazione dell’udienza «in presenza», abbiano implicitamente e legittimamente non soltanto rinunciato alla discussione ma a far valere la nullità derivante dall'omissione della lettura del dispositivo e eventualmente della motivazione.
Ove, allora, si giunga a ritenere che l’udienza di discussione quale quella di cui all’art. 429 c.p.c. (o 437 c.p.c.), poiché è pubblica ed al contempo sostituisce il complesso di difese e repliche conclusionali, non possa essere sostituita dalla trattazione cartolare malgrado il tenore generalizzante dell’art. 127-ter c.p.c. che sembra limitare l’applicazione di tale modalità soltanto sotto un profilo soggettivo, senza riguardo al contenuto dell’attività d’udienza, si è altresì concluso che una diversa scelta giudiziale potrebbe essere contestata attraverso una impugnazione per nullità del provvedimento finale del processo , pur se taluno fa salva l’ipotesi in cui le parti abbiano congiuntamente chiesto la trattazione scritta, poiché in tal caso avranno ritenuto di non essere pregiudicate dalla modalità alternativa .
Nessun ausilio ermeneutico sembra possa trarsi dalla novella che ha investito l’art. 430 c.p.c., come alcuni commentatori pur ritengono , la quale nel prevedere che «Quando la sentenza è depositata fuori udienza, il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti», non ha inteso ammettere una deliberazione a seguito di riserva, ma dichiaratamente - come riconosciuto dalla Relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022 – eliminare il difetto di coordinamento con l’art. 429 c.p.c. venutosi a creare quando il legislatore ha consentito al giudice, nei casi di particolare complessità della controversia e in alternativa alla lettura contestuale della sentenza, di emettere in udienza il solo dispositivo riservandosi il deposito della sentenza entro un termine non superiore a 60 giorni evidentemente confliggente con il termine di 15 giorni rimasto nell’art. 430 c.p.c. .
Anche in relazione alla normativa emergenziale, la Suprema corte e la dottrina avevano ritenuto la lettura di dispositivo e motivazione elementi indefettibili e quindi non sostituibili dalla previsione della trattazione cartolare, che si traduce in una riserva di decisione.
Questa impostazione è stata ribadita in relazione all’attuale contesto ed anzi esce rafforzata dal fatto che la trattazione scritta non è più imposta da esigenze sanitarie. Sicché la stessa dovrebbe essere limitata al minimo, soprattutto sul terreno del rito speciale del lavoro, e dunque mai dovrebbe poter sostituire le udienze dedicate alla discussione della causa assicurando il rispetto dell’art. 128 c.p.c. Ciò altresì alla luce della giurisprudenza della Corte Edu ove si ricerca il punto di equilibrio tra la ragionevole durata e l’esigenza di assicurare la trasparenza dell’operato e della decisione finale del giudice, sicché il principio della pubblicità dell’udienza appartiene all’ordine pubblico processuale .
Diversamente la dottrina ha percorso altre strade per consentire l’operatività della trattazione scritta nella fase decisoria.
Un primo orientamento ha configurato l’art. 127 ter come un nuovo e ulteriore modello di udienza che non dovrebbe adattarsi alle previsioni degli artt. 420 o 429 c.p.c. ma ad essi sovrapporsi e sostituirsi. Rispetto a questo autonomo modello di svolgimento di udienza allora le norme sull’udienza pubblica (relative al rito del lavoro, nel caso di specie) non troverebbero applicazione per le fasi disciplinate dall’art. 127 ter c.p.c. e quindi la sostituzione dell’udienza di discussione con quella c.d. cartolare comporterebbe anche la sostituzione di tutte le norme sullo svolgimento dell’udienza pubblica, ivi compresa la lettura del dispositivo e dei motivi della sentenza .
Alternativamente, si è ipotizzato che l’art. 127 ter sia applicabile senza stravolgere la struttura del rito e quindi senza riserva e il giudice debba emettere sentenza all’esito della c.d. udienza cartolare. In tal caso, risulterebbe inattuabile che la sentenza venisse depositata nella stessa data in cui scade il termine per il deposito delle note scritte posto che queste lo sarebbero fino alle ore 23.59 del giorno di deposito considerato come giorno d’udienza, sicché nella prassi si registra la soluzione di specificare nel provvedimento un diverso orario del giorno in cui scade il termine, consentendo al giudice di scaricare gli atti e depositare la sentenza entro la mezzanotte del medesimo giorno in cui, appunto, il termine é scaduto .

7.- La incompatibilità cumulata e la compatibilità pratica.
A ciascuno dei dubbi sinora sollevati si aggiunge, la loro sommatoria, sol che si consideri la caratteristica del processo del lavoro e di quell’udienza tendenzialmente unica delineata dall’art. 420 c.p.c. . E la circostanza stempera il rilievo dell’eventuale distinzione in fasi dell’udienza, utile a limitare ad alcune di esse la pubblicità .
Nell’ambito di tale udienza potrebbero cumularsi tutti gli adempimenti che escludono o rendono fortemente dubbia l’applicabilità dell’art. 127 ter c.p.c.: l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione; l’assunzione dei testimoni per espressa disposizione di legge (l’immediata assunzione di cui all’art. 420, comma 5°); la discussione orale e la pronuncia del solo dispositivo o della decisione nella sua interezza.
Sta di fatto che consta che in ripetute occasioni i giudici del lavoro abbiano dichiarato di far utilizzo della trattazione cartolare, di ritenerla ontologicamente compatibile. Sicché sembra opportuno prendere atto che la pratica potrebbe restituirci uno scenario alternativo e raffrontarci con esso, per impedire che ne risulti pregiudicata la funzionalità di rilevanti istituti come il tentativo di conciliazione e interrogatorio libero delle parti, e in linea di principio della stessa oralità, anima del rito del lavoro. E per tale ragione di tali possibili applicazioni pratiche si è dato conto nel testo.
Al tentativo di individuare spazi applicativi della trattazione scritta che non ledano i principi essenziali del processo del lavoro, a conclusione di tale lavoro sembra doversi affermare che pur ove si giunga a ritenerla ontologicamente compatibile, essa sarebbe in massima parte esclusa sotto un profilo di opportunità anche da buona parte di coloro che non la escludano in linea di principio.
E’ invece alquanto costante l’apertura all’utilizzo della trattazione cartolare in talune controversie che sembrerebbero porre minori problemi di compatibilità. Si è ipotizzato che questa forma procedimentale nell’udienza di lavoro sia applicata nei soli procedimenti documentali in cui la discovery non necessiti un confronto orale, effettivo tra le parti e, nelle udienze previdenziali ed assistenziali , quando la serialità della trattazione rendano tale forma strutturale ai fini della celerità della trattazione .
La disamina sinora condotta sembra a chi scrive rendere chiara una sola conclusione: l’errore in cui è incorso il legislatore nel non regolare l’eventuale cartolarità del rito lavoro. La giurisprudenza di merito e la dottrina, nel tentativo di permettere l’ampliamento delle modalità di svolgimento d’udienza anche nel rito lavoro sono spesso costrette a voli pindarici e forsanche contraddittori, sol che si pensi che da un lato si afferma l’essenzialità dei principi del processo del lavoro e si riconosce l’indefettibilità della pubblicità dell’udienza di discussione o della lettura della decisione, dall’altro si tenta di rinvenire scappatoie per consentire in talune controversie non legate alla tutela del lavoratore la trattazione scritta che con quegli insegnamenti si scontra.

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