testo integrale con note e bibliografia
A Torino le prime buone prassi per il processo del lavoro sono state messe a punto nel 2013. È stato il lavoro di un gruppo ristretto di giudici e avvocati che si è riunito qualche volta ed ha stilato un documento di poche pagine che conteneva l’indicazione di alcuni comportamenti utili e qualche dichiarazione di intenti.
Nel settembre 2017, in occasione di un seminario dedicato alle “Prassi virtuose nell'ambito del Diritto del Lavoro” organizzato dalla Fondazione dell’Avvocatura torinese Fulvio Croce, è nata l’idea di mettere nuovamente mano al tema, ma più “in grande”.
L’operazione, che è durata circa un anno, è stata organizzata e gestita congiuntamente da parte delle sezioni piemontesi del CSDN e di AGI con la preziosa collaborazione del presidente della sezione lavoro del Tribunale.
Onde evitare equivoci ed impostare in modo corretto i lavori, innanzi tutto ci si è fermati a riflettere su cosa fossero - e non fossero - le buone prassi che ci accingevamo ad elaborare e, in tale contesto, sono stati messi a fuoco alcuni punti fermi essenziali.
Le buone prassi “vivono” negli spazi del processo lasciati vuoti dalle regole del codice di procedura civile, all'interno dei quali i vari soggetti processuali – giudice, avvocato, personale amministrativo – possono tenere più comportamenti alternativi non direttamente regolati dalla legge.
Per tale motivo, ciò che può derivare da un lavoro sulle buone prassi è, comunque, soltanto un elenco di comportamenti reciprocamente apprezzati dai soggetti processuali, in quanto consentono loro di lavorare con minor fatica a parità di risultato, che non può e non deve avere alcun carattere di obbligatorietà.
La violazione delle indicazioni ivi contenute non può essere passibile di alcuna sanzione, così come il suo rispetto non può comportare alcun premio.
Un premio in realtà esiste - indiretto, ma prezioso - e consiste nel lavorare tutti meglio.
La relazione tra i soggetti processuali, infatti, è una sorta di ingranaggio in cui, nel muoversi, ogni ruota aggancia l'altra ed è indispensabile al suo movimento.
Mettere in atto comportamenti apprezzati dalle altre parti processuali è attuazione del generalissimo obbligo di solidarietà che impone a ciascuno di agire in modo da preservare anche gli interessi dell'altro e che costituisce l’essenza del principio giuridico di buona fede e correttezza contrattuale ed è specificamente ripreso anche in ambito processuale dal dovere di comportarsi con lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c.
Prestare attenzione alle esigenze degli altri soggetti processuali e dare il proprio contributo al miglioramento del loro lavoro, tuttavia, significa anche concorrere a renderlo il più proficuo possibile, nel comune interesse di far funzionare nel modo migliore il processo: che gli avvocati lavorino meglio è anche interesse del giudice, così come è interesse degli avvocati e dei loro clienti che il giudice lavori meglio.
Per realizzare tale obiettivo è essenziale impostare i lavori sulle Buone prassi in termini di aperta e sincera collaborazione, creando un contesto in cui i soggetti processuali possano reciprocamente raccontarsi, con calma, come vivono il processo e come potrebbero viverlo meglio e, così, segnalare i comportamenti degli altri che possono soddisfare esigenze o anche solo rappresentare utilità e, in tal modo, agevolare il loro lavoro.
Ogni categoria vive la medesima realtà processuale, ma da un altro punto di vista ed è concentrata sui propri incombenti e problemi. Non è scontato essere consapevoli dei problemi e delle esigenze degli altri.
Al di là di coloro che hanno frequentato uno studio d’avvocato prima di diventare giudici e di coloro che, prima di intraprendere la professione di avvocato, hanno effettuato un tirocinio in Tribunale, in effetti, la conoscenza della vita lavorativa altrui solitamente posseduta da ciascun soggetto processuale è limitata a ciò che prevede il codice e che emerge in udienza. Nella vita lavorativa quotidiana, in effetti, non vi sono grandi occasioni per “mettersi nei panni altrui”.
È solo sentendo sviluppare con calma dai diretti interessare il “backstage” dei loro vari comportamenti processuali che è possibile rendersi conto appieno della fatica che essi comportano e delle difficoltà che si incontrano nel porli in atto ed è possibile dare pienezza alla comprensione delle altrui esigenze e conferma all’utilità di certi propri comportamenti, altrimenti rimesse all’intuizione e alla sensibilità personali e spesso compromesse dalla fretta e dal sovraccarico di lavoro e, a volte, anche dal timore di essere fraintesi o risultare sgraditi.
Non è certo, ad esempio, che il giudice, quando individua nella propria agenda più o meno affollata uno spazio al 10 settembre per la prima udienza di una causa, abbia in mente le difficoltà che incontra la difesa della parte convenuta nel costituirsi entro la fine di agosto, tanto maggiori quanto minore è il tempo tra notifica e udienza. Se sensibilizzato al riguardo (come avviene attraverso il punto 27 del documento sulle Buone prassi contestualmente pubblicato), però, quel giudice può scegliere di destinare le udienze dei primi giorni dopo il periodo feriale principalmente ad attività istruttoria o discussioni, fissandovi le prime udienze solo per cause urgenti.
Non è scontato, d’altronde, che il giudice, nel tentare la conciliazione e nel formulare un eventuale suggerimento conciliativo, “osi” entrare nel merito delle questioni che formano oggetto della controversia per evidenziare alle parti i rispettivi rischi (come espressamente caldeggiato nel punto 42), essendo comprensibile il timore che in un tale comportamento sia ravvisata dalle parti un’anticipazione di giudizio.
Non è scontato neanche che gli avvocati abbiano ben presente l’utilità di avvisare subito il giudice del fatto che, ad esempio, è intervenuta una procedura di liquidazione giudiziale o le parti hanno già raggiunto un accordo (come previsto dai punti 33 e 45), senza attendere il momento dell’udienza, così evitandogli uno studio della causa del tutto inutile e, magari, consentendogli anche di occupare con un’altra causa il tempo di udienza originariamente riservato a quella conciliata o da interrompere.
Non è affatto scontato, più in generale, che gli avvocati “osino” scrivere un’e-mail al giudice per avvisarlo di simili eventi (come espressamente previsto nei medesimi punti 33 e 45), temendo piuttosto di essere considerati inopportuni o invadenti.
Ebbene, un tavolo delle buone prassi ben impostato offre a ciascuno l'occasione di comprendere le altrui necessità, riflettere su di esse e sui risvolti dei comportamenti che gli sono richiesti per soddisfarle, valutare con calma se è possibile adottarli o, comunque, utilizzare degli accorgimenti equivalenti che possano condurre ad un risultato analogo.
Perché il lavoro sia proficuo è essenziale un’atmosfera rilassata e collaborativa.
È per questo che, oltre a prevedere tempi e modalità adeguati, bisogna avere cura che i lavori sulle buone prassi non si riducano ad un’occasione per “togliersi i sassolini dalla scarpa” e cioè per accusare e criticare singole persone e singoli comportamenti, vissuti come sgraditi o addirittura scorretti.
In ogni contesto lavorativo capita a chiunque di dare adito, prima o poi, a critiche e malumori più o meno forti e più o meno giustificati. Tali situazioni accadono anche nelle relazioni tra i soggetti processuali e vanno principalmente affrontate e risolte nei rapporti tra i diretti interessati o, se ciò non funziona, nelle opportune sedi superiori.
Ove non siano meramente occasionali ed individuali, tali comportamenti possono costituire un utile spunto per proporre un approfondimento in generale su varie tematiche. È opportuno, però, che si facciano meno nomi e cognomi possibili e, comunque, si usino toni rispettosi e cordiali, onde evitare di irrigidire “in difesa” i rappresentanti della categoria corrispondente al rispettivo autore.
Anche le modalità operative sono state accuratamente pensate.
Alla luce delle dimensioni della sezione lavoro del Tribunale di Torino (organico teorico di 14 giudici) e del foro torinese, si è deciso che esistevano le condizioni per ripartire da zero, pur tenendo presenti le buone prassi del 2013 e quelle già messe a punto in altri Tribunali, e che era importante non avere fretta e coinvolgere in qualche modo tutti i possibili interessati.
Affinché il lavoro fosse più approfondito e, al contempo, non troppo gravoso per i singoli partecipanti, abbiamo operato separatamente per il processo di primo grado e di appello e, in merito al primo, abbiamo distinto tre fasi – fase introduttiva, comprensiva dei procedimenti monitori; fase istruttoria, comprensiva dell'interrogatorio delle parti; tentativo di conciliazione e decisione – ed affrontato separatamente le peculiarità del processo previdenziale.
Sono stati dunque costituiti altrettanti gruppi di lavoro la cui composizione minima, onde vedervi rappresentati tutti i punti di vista, è stata individuata in almeno un magistrato e quattro avvocati, due che solitamente difendono il ricorrente e due che solitamente assistono il convenuto. Ovviamente nel gruppo dedicato al processo previdenziale, erano presenti avvocati specializzati nella tutela degli assicurati e l’avvocatura INPS.
Per creare i gruppi di lavoro, oltre a cooptare i componenti dei due direttivi AGI e CSDN, è stata richiesta la partecipazione ai giudici della sezione lavoro del Tribunale e della Corte d’appello e agli avvocati iscritti alle due associazioni.
Sono state proposte varie forme di collaborazione: entrare a far parte del gruppo di lavoro, offrendo una partecipazione di una certa continuità, oppure intervenire senza impegno alle riunioni dei gruppi, essenzialmente come “spettatori”, o, infine, limitarsi a segnalare spunti di riflessione.
A tale scopo è stato creato un apposito indirizzo e-mail a cui scrivere ed individuato un termine entro il quale chi fosse interessato poteva candidarsi per far parte di uno dei gruppi oppure manifestare l'interesse ad essere informato delle riunioni che i vari gruppi man mano avrebbero tenuto in modo da poter assistere e partecipare, ma senza un impegno di continuità particolare, o infine dare suggerimenti ai vari gruppi sui temi da affrontare e su come affrontarli.
Una volta creati, i gruppi di lavoro si sono organizzati in autonomia, fissando un calendario di riunioni e comunicandolo a coloro che si erano candidati come “spettatori”. Il verbale delle riunioni veniva poi comunicato sia ai componenti dei direttivi, sia agli “spettatori” per consentire di seguirne l’andamento dall’esterno.
Nei lavori è stato coinvolto sin dall’inizio anche l’Osservatorio sulla Giustizia civile di Torino che, mettendo a disposizione l’esperienza maturata in altri settori con simili iniziative, ha fornito consigli e materiali nella fase iniziale e formulato osservazioni e suggerimenti sulla bozza finale ed ha anche partecipato ai lavori per il tramite di qualche suo componente.
La modalità operativa di fondo è stata quella di partire da una riflessione interna alla categoria dei giudici ed alla categoria degli avvocati sui comportamenti dell’altra che potessero ritenersi apprezzati, per poi sottoporne l’esito ad essa e, ottenuta una riflessione da parte di quest’ultima, ragionare tutti insieme sui risultati.
In tale contesto, essendo un numero limitato, è stato possibile interpellare direttamente tutti i giudici della sezione lavoro. Essendo in numero consistente ed avendo già offerto tale possibilità all’ampia platea dei soci AGI e CSDN attraverso il citato indirizzo e-mail, invece, gli avvocati hanno sviluppato tale riflessione all’interno dei gruppi stessi.
L’elenco dei “desiderata” di ciascuna categoria è stato sottoposto per iscritto all’altra, illustrandone poi i punti e le ragioni a voce in apposita riunione. Analogamente è avvenuto per le risposte sviluppate dall’altra categoria.
Realizzato questo scambio, ciascun gruppo ha tirato le fila dei risultati affrontando in riunione le varie questioni sia per verificare la possibilità di trovare una soluzione anche per quelle su cui non era maturata una condivisione sia, comunque, per mettere a punto il modo migliore per formalizzare i punti già condivisi.
Laddove si trattasse di aspetti che coinvolgono direttamente la cancelleria (come, ad esempio, la questione della capienza massima delle buste affrontata al punto 10), le soluzioni ipotizzate sono state sottoposte anche al personale amministrativo per verificare l’impatto sul suo lavoro e/o l’esistenza di eventuali controindicazioni o possibili miglioramenti.
Al termine del lavoro, ciascun gruppo ha predisposto una bozza dei punti relativi alla fase o ambito processuale di cui si è occupato, che è stata sottoposta alla riflessione degli altri gruppi.
Ad eccezione di quella relativa all’appello, rimasta indietro per le ragioni accennate nello scritto di Clotilde Fierro, le bozze predisposte dai vari gruppi sono state quindi assemblate in un unico documento che è stato dapprima sottoposto ai componenti dei direttivi AGI e CSDN, ai giudici della sezione ed all’Osservatorio della Giustizia Civile e, poi, presentato ai soci AGI e CSDN a fine 2018, in occasione di un apposito incontro congiunto in cui è stato anche simbolicamente sottoscritto dai relativi presidenti.
Il documento è stato quindi pubblicato sul sito del Tribunale di Torino ed è espressamente menzionato nei decreti ex art. 415 c.p.c., in cui viene inserito anche un collegamento ipertestuale che rinvia direttamente al testo pubblicato.
Nel 2023, cogliendo l’occasione delle novità processuali scaturite dalla legislazione emergenziale del periodo Covid, si è sentita l’esigenza di un nuovo momento di riflessione.
Attraverso passaggi analoghi a quelli già descritti per il 2018, affidati però a gruppi di lavoro più snelli, ne è nata la nuova versione delle Buone Prassi che viene contestualmente pubblicata nel presente numero di LDE e che è in corso di inserimento nel sito del Tribunale di Torino.
Ancora qualche considerazione a posteriori.
Come avevamo già ben chiaro all’inizio, a fronte delle richieste che ciascuna categoria ha presentato all’altra, la risposta non è stata sempre la stessa.
Ognuno, avvocato o giudice, ha le sue prassi personali. Alcune sono frutto di ragionamento e convinzione e non si è facilmente disposti a cambiarle solo perché qualcun altro propone qualcosa di diverso. Ce ne sono altre, tuttavia, che sono solo il frutto dell’abitudine e vengono mantenute essenzialmente perché non si ha il tempo di pensare a qualcosa di diverso.
Alcune “richieste” di revisione del comportamento, dunque, sono facilmente accoglibili, dovendosi semplicemente vincere la resistenza del “ma io ho sempre fatto così”. A volte è possibile che la modifica si riveli vantaggiosa anche per chi, fino a quel momento, ha tenuto un comportamento diverso.
Altre volte, invece, si è costretti a dire di no, perché ciò che viene chiesto non si può proprio fare o perché il beneficio altrui è inferiore allo sforzo che esige.
Nell’ambito dei lavori del 2018 e del 2023, in effetti, non tutte le richieste presentate dai giudici e dagli avvocati hanno trovato l’immediata e perfetta adesione dell’altra parte.
In molti casi, in particolare, è emersa la forte riluttanza dell’una e dell’altra categoria ad aderire a richieste che, di fatto, avevano ad oggetto un impegno che non lasciava spazio a comportamenti diversi.
Pur avendo concordato che, comunque, nessun impegno sarebbe stato cogente e assistito da sanzione, hanno pesato al riguardo la consapevolezza della varietà delle situazioni contingenti, in cui può anche maturare la necessità di deviazioni dal comportamento abituale, e - aspetto rilevante soprattutto per l’avvocatura, ma che tiene anche conto del normale turn over dei giudici - che si stavano mettendo a punto comportamenti di un’intera categoria i cui componenti, però, non partecipavano tutti ai lavori.
In tutti questi casi la soluzione è stata normalmente trovata sotto il profilo linguistico.
Si spiega così la scelta di espressioni letterali che si limitano a sottolineare l’esigenza (come, ad esempio, la frase “Si invitano gli Avvocati ove possibile a evitare di inserire in un unico allegato più documenti” o “I Giudici invitano gli Avvocati ad inserire eventuali istanze … nella prima pagina dell’atto …” o “Gli Avvocati domandano che, ove possibile, per i procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo i Giudici fissino le prime udienze in tempi più brevi …” di cui ai punti 3, 12 e 28, rispettivamente utilizzate per esigenze comuni dei giudici e dell’avvocato di controparte o solo dei giudici o solo degli avvocati) o descrivono il comportamento richiesto soltanto in termini di sua valutazione da parte di chi dovrebbe porlo in essere (come, ad esempio, la frase “il Giudice valuterà la possibilità di fissare le udienze successive …” di cui al punto 31) o di sua opportunità (come ad esempio, la frase “Gli Avvocati convengono sull’opportunità di … procedere celermente … alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza” di cui al punto 26).
Più in generale, l’attenzione al linguaggio è stata molto alta per rimanere coerenti alla premessa condivisa di non attribuire carattere obbligatorio ad alcuno dei comportamenti presi in esame che non fosse già tale per legge.
Ecco che, dunque, si è anche fatto largo uso dell’inciso “ove possibile”, mentre sono rari i casi in cui sono stati utilizzati il verbo “impegnarsi” o l’espressione “si concorda”.
Il bilancio dell’esperienza così sommariamente descritta è decisamente positivo.
Anche nei momenti in cui non ci si è trovati subito d’accordo su un qualche punto, i lavori si sono sempre svolti con grande disponibilità, rispetto reciproco e cordialità che hanno consentito di trovare comunque punti di equilibrio soddisfacenti.
Il fatto di riunirsi con calma in gruppi di dimensioni adeguate, infatti, ha consentito di spiegare diffusamente le ragioni del “no” a chi non le aveva presenti e ragionare insieme alla ricerca di un’altra soluzione che coniugasse al meglio le esigenze di tutti.
Sia nel 2018, sia nel 2023, all’esito dei lavori ci siamo resi conto che non stavamo proponendo grandi novità.
Molte buone prassi illustrate nel documento finale, infatti, erano già in atto presso la sezione lavoro del Tribunale di Torino, in parte suggerite dalle buone prassi precedenti e, in parte, nate spontaneamente da un sano atteggiamento reciproco di richiesta ed offerta, alimentato dal clima di cordialità che caratterizza i rapporti nel foro di Torino.
Metterle a punto ed inserirle in un documento è comunque servito a perfezionarle e sottolinearne il valore e, aspetto di grande utilità per tutti, a metterle a disposizione di chi non abbia ancora avuto modo di conoscerle nel suo lavoro quotidiano, cioè avvocati che non esercitano abitualmente la loro professione davanti ai giudici torinesi e nuovi giudici che arrivino man mano in sezione.
Non ultima è l’utilità derivata dalla stessa partecipazione ai lavori, ben espressa dal presidente dell’AGI Piemonte, avvocato Corrado Guarnieri, in occasione della presentazione del progetto del 2018 evocando la nota riflessione secondo cui, più della destinazione, ciò che conta è il viaggio in sé.
Lavorare insieme per un obiettivo di interesse comune, e senza esservi obbligati, dà infatti concretezza all’idea, non sempre adeguatamente diffusa, che l’unica giusta relazione tra tutti i soggetti processuali è la collaborazione ed aiuta a combattere l’idea, purtroppo ancora esistente, di una inevitabile contrapposizione tra le categorie, sostituendola con la consapevolezza che ciò che viene vissuto come tale è costituito, in realtà, solo da singole situazioni di difficoltà nei rapporti personali.
Le riunioni dei vari gruppi, d’altronde, sono state anche un’occasione per i vari partecipanti appartenenti ad entrambe le categorie degli avvocati e dei giudici per conoscersi meglio e scoprire, grazie al motivo degli incontri ma anche ad un contesto meno formale dell’udienza, aspetti delle rispettive personalità, difficoltà professionali e disponibilità che in udienza non trovano lo spazio per emergere ed esprimersi.
E ciò ha indubbiamente rafforzato il rispetto, la simpatia e la collaborazione che aleggiano da sempre nelle aule, negli uffici e nei corridoi del Tribunale ed ha concorso a creare un contesto in cui è più facile, ed anche più piacevole, svolgere ognuno il proprio ruolo professionale.
Per riprendere la metafora già utilizzata, si è trattato sotto molti profili di un efficace intervento di manutenzione straordinaria dell’ingranaggio con cui avvocati, giudici e personale di cancelleria forniscono tutti insieme il “servizio giustizia”.