Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita del tasso di digitalizzazione anche nello svolgimento delle attività legali, sia in ambito giudiziale – come testimoniato dall’avvento del Processo Civile Telematico – sia stragiudiziale.
Tale circostanza e l’emergenza sanitaria che abbiamo affrontato negli scorsi mesi, la quale ha comportato l’adozione di particolari misure restrittive delle libertà personali su tutto il territorio nazionale, hanno contribuito in modo convergente ad accelerare la definizione di un nuovo modello di dialogo conciliativo, instaurato in luoghi e con modalità non canonici, sino ad ora sconosciuti o pressoché ignorati. Trattasi, in particolare, delle conciliazioni da remoto, svolte attraverso la connessione a distanza delle parti coinvolte – e talvolta anche dei rispettivi legali – nonché della figura del conciliatore, sia esso, nell’ambito giuslavoristico, il Funzionario dell’Ispettorato del Lavoro, il Giudice, il sindacalista, ovvero il Commissario Conciliatore in ipotesi di transazione sottoscritta dinnanzi alle Commissioni di Certificazione dei contratti di lavoro.
Negli scorsi mesi si è infatti assistito al proliferare delle conciliazioni telematiche, come segnalato anche da Il Sole 24 Ore , ove la conciliazione in sede protetta, inevitabilmente telematica, è stata individuata come una “soluzione di buon senso” per ovviare non solo agli ostacoli alla formalizzazione delle conciliazioni in presenza, rese impossibili dalle misure restrittive della libertà di movimento, bensì, addirittura, al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo imposto dal legislatore con la normativa emergenziale (art. 46 D.L. 18/2020, conv. in L. 27/2020, la cui durata è stata poi estesa dal D.L. 34/2020 sino al 17.8.2020 e, a certe condizioni fino al 31.12.2020, dal D.L. 104/2020); soluzione tuttavia la cui tenuta giuridica, secondo alcuni, non è allo stato certa, ed è naturalmente esposta alla spada di Damocle di un’eventuale impugnazione da parte dei lavoratori sottoscrittori.
Il principale impulso al ricorso sempre più frequente alle conciliazioni telematiche deve essere individuato, a parere di chi scrive, nel necessario distanziamento sociale che è stato imposto in via generalizzata a tutta la collettività, incidendo inevitabilmente nella quotidianità della vita personale e lavorativa di ognuno e che ha costituito, oltretutto, un fattore condizionante la stessa attività forense. Di fronte alla sospensione delle udienze e dell’attività dell’Ispettorato del lavoro, le istanze di conciliazione si sono inevitabilmente orientate verso le sedi sindacali e le Commissioni di Certificazione di cui all’art. 76 D. Lgs. 276/2003 che, fra le varie funzioni attribuite, sono legittimate anche all’espletamento del tentativo facoltativo di conciliazione per la formalizzazione tanto di accordi transattivi di cui all’art. 2113 c.c., come previsto dall’art. 82 del citato decreto, quanto di accordi di modifica delle mansioni di cui all’art. 2103, c. 6 c.c. . In altre parole, nel recente contesto dell’emergenza sanitaria, il ricorso alle conciliazioni telematiche ha costituito uno strumento non solo per garantire la limitazione dei contatti personali e sociali, ma, al contempo, per scongiurare la paralisi dell’attività conciliativa in materia giuslavoristica, la quale ha subìto, all’opposto, un sensibile incremento nel contesto pandemico in ragione dell’esigenza, avvertita da più aziende, di ridefinire gli assetti organizzativi e gli equilibri contrattuali, vuoi riducendo le retribuzioni riconosciute al proprio personale, nel rispetto dei minimi tabellari previsti dal contratto collettivo e dalla legislazione vigente sul punto, vuoi addivenendo alla risoluzione consensuale di alcuni rapporti, in un’ottica complessiva di riduzione del costo del lavoro.
Del resto, un analogo fenomeno in termini di rafforzamento dell’utilizzo delle piattaforme tecnologiche è stato avvertito negli ultimi mesi anche in ambito civilistico con specifico riguardo all’istituto della mediazione , a dimostrazione del carattere trasversale degli impulsi verso una maggior digitalizzazione anche del mondo giuridico-forense.
2. Dubbi e criticità della conciliazione da remoto: difetto della contestualità spaziale e materiale La conciliazione telematica, tuttavia, presenta evidenti differenze sul piano operativo rispetto alla conciliazione svolta in presenza in quanto la contestualità temporale, assicurata virtualmente dalla connessione a distanza di tutti soggetti coinvolti, non è accompagnata dalla contestualità spaziale, che si riflette, inevitabilmente, in un difetto altresì di contestualità materiale. In altre parole, manca l’unicità del verbale da sottoscrivere, potendo essere raggiunta ed assicurata solo qualora l’accordo venga sugellato in un unico atto cartaceo; motivo per cui, sino alla recentissima riforma dell’art. 88 disp. att. c.p.c., che si vedrà infra, era previsto che, anche in caso di formalizzazione della conciliazione in sede giudiziale, il Giudice dovesse provvedere alla stampa del verbale, invitando le parti ad apporre la propria firma autografa in via cartacea, ancorché fosse ormai invalso l’utilizzo del Processo Civile Telematico che aveva reso parzialmente anacronistiche dette formalità .
Tali criticità di carattere operativo hanno tuttavia presentato dei riverberi anche sul piano giuridico e procedurale, sollecitando la definizione di specifici Protocolli da parte dell’Autorità Giudiziaria. Fra questi il Tribunale di Milano, sezione lavoro, che ha elaborato due diverse procedure egualmente utilizzabili sul presupposto comune che la piattaforma Microsoft Teams, impiegata dagli Uffici Giudiziari, non consenta la condivisione di alcun documento.
Una prima procedura prevede il deposito a PCT del verbale di conciliazione quale atto di parte, siglato digitalmente dall’avvocato depositante con il sistema Pades, che consente di rendere crittografata la firma, ed allegando la procura speciale ex art. 185 c.p.c. ricevuta dal proprio cliente; a ciò segue il deposito del medesimo verbale (già firmato) da parte dell’altro legale, firmato con le medesime modalità e depositato quale “atto generico”, anch’esso accompagnato dalla procura speciale ex art. 185 c.p.c.. Il perfezionamento del verbale di conciliazione avviene tuttavia all’udienza successiva, ove il Giudice, dopo aver raccolto, in primis, la volontà delle parti di definire la controversia alle condizioni sintetizzate nel verbale di conciliazione – ottenendo dunque una conferma del consenso già espresso ai rispettivi legali per il tramite del conferimento della procura speciale – e, in secondo luogo, recependo la loro disponibilità a che il documento depositato telematicamente valga quale processo verbale di conciliazione giudiziale, vi appone la propria firma con il relativo timbro. Le conferme così ottenute dalle parti in sede d’udienza eliminano la possibilità di eventuali contestazioni, consistenti, principalmente, nella mancanza di contestualità fra la sottoscrizione e la manifestazione di volontà (che solitamente avvengono in un’unica soluzione dinnanzi al Giudice) e, la seconda, nella trasformazione dell’atto di parte – quale è il verbale di conciliazione depositato a PCT – nel processo verbale di conciliazione. L’accordo così confezionato recherà le firme crittografate degli avvocati lungo il margine destro e la firma del Giudice sul frontespizio e allo stesso verrà successivamente apposto il progressivo numero identificativo da parte dell’Assistente Giudiziario, che ne curerà poi la scansione e il caricamento nella consolle, sì da renderlo visibile alle parti.
Vi è poi un diverso metodo che prevede l’impiego della piattaforma ministeriale a disposizione dei Giudici e consta dai seguenti passaggi: il Giudice crea un’apposita cartella, che condivide con gli avvocati delle parti in causa mandando un link tramite e-mail; a tale cartella i legali potranno accedere inserendo un codice ricevuto per il tramite di una seconda e-mail spedita dal Giudice. In tal modo gli avvocati e il Giudice sono in grado di accedere simultaneamente alla medesima cartella, similmente a quanto accade per il tramite di piattaforme di condivisione quali Dropbox o Google Drive. Così facendo, potranno essere apposte le firme digitali di ciascuno: prima degli avvocati e poi, da ultimo, del Giudice, il quale terminerà il processo verbale dichiarando l’estinzione del contenzioso e inviando la cartella condivisa all’Assistente Giudiziario, il quale, dopo aver stampato il verbale e apposto la propria firma, lo depositerà in consolle .
E’ evidente come nel secondo caso, pur rimanendo la non contestualità spaziale, venga superato il problema del difetto di contestualità materiale dell’accordo, in quanto il processo verbale di conciliazione viene perfezionato in diretta e cristallizzato in un unico atto, a differenza invece di quanto previsto dal primo metodo descritto, che consta di una conciliazione a formazione progressiva.
Volgendo lo sguardo più specificamente alle procedure seguite dalle Commissioni di Certificazione per la formalizzazione delle conciliazioni telematiche, e lasciando invece sullo sfondo l’ipotesi della conciliazione in sede sindacale, v’è innanzitutto da porre l’accento sulla libertà delle forme e delle procedure che ciascuna Commissione è legittimata ad adottare con proprio Regolamento, a differenza, invece, delle conciliazioni giudiziali che necessariamente sono soggette ai vincoli dettati dal codice di rito. Alla libertà delle forme e delle procedure non corrisponde però, ben inteso, un’assenza di regolamentazione sul punto.
In ogni caso, anche in ipotesi di conciliazione amministrativa dinnanzi alle Commissioni di Certificazione, deve rilevarsi come si pongano analoghi problemi di mancanza di contestualità materiale, essendo esclusi solo nel caso in cui coloro che sottoscrivono l’accordo transattivo siano tutti muniti di firma digitale. Tuttavia, trattasi di un’ipotesi assolutamente marginale, essendo molto più frequente la modalità di sottoscrizione autografa, con apposizione della firma delle parti sul verbale cartaceo e successiva scansione. Come superare dunque il difetto di contestualità materiale?
Sul punto, lo stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota del 18.5.2020, volta a dettare alcune indicazioni operative circa l’attività conciliativa svolta da remoto da parte dei funzionari delle diverse sedi territoriali, ha previsto l’obbligo delle parti di inviare il verbale sottoscritto in originale, al fine di consentirne l’acquisizione nel fascicolo per l’eventuale deposito presso il Tribunale.
Tuttavia, a parere di chi scrive, tale indicazione operativa ha carattere eminentemente precauzionale, non svolgendo alcuna effettiva valenza procedurale, né probatoria, non essendo, tanto meno, un passaggio in grado di superare il difetto di contestualità materiale e di consentire la collazione di un unico verbale. A ben vedere, infatti, dovranno essere inviati e sussisteranno tanti originali quante sono le parti che sono addivenute alla firma della transazione. Dunque, a rigore, potrebbe addirittura discutersi della possibilità di definire ciascun accordo in termini di originalità: è sì originale nella misura in cui reca la firma autografa originale della singola parte, ma certo non sconta la criticità connessa con il difetto di contestualità materiale. Né pare che il citato obbligo di trasmissione dei diversi verbali cartacei sottoscritti dalle parti sia necessario ai fini dell’assolvimento della prova dell’effettiva conclusione del verbale di conciliazione. Detta esigenza può essere infatti agevolmente ricavata in altro modo: allegando, per esempio, ove ritenuto necessario dal Tribunale, l’istanza sottoscritta dalle parti con le quali si manifesta la volontà di formalizzare la conciliazione, ovvero lo scambio di e-mail sia fra le parti (o i rispettivi legali) sia fra le singole parti e l’Ispettorato Territoriale del Lavoro ovvero la Commissione di Certificazione per la fissazione dell’appuntamento.
Analoghe considerazioni valgono infatti anche per i verbali di conciliazione sottoscritti dinnanzi alle Commissioni di Certificazione, i quali vengono dichiarati esecutivi, ai sensi dell’art. 411 c.p.c., su istanza di una delle parti, ciascuna delle quali, ove abbia firmato in via autografa, sarà in possesso di un originale dell’accordo, ancorché mancante della firma in originale della controparte. Pertanto, ai fini della proposizione dell’istanza dinnanzi al Tribunale sarà sufficiente allegare il verbale completo di tutte le sottoscrizioni – che evidentemente sarà una copia analogica del verbale firmato e scansionato dalle parti – e il verbale di cui è in possesso la parte istante, che conterrà in originale solamente la firma del soggetto richiedente.
Sembra dunque che, al di là delle criticità connesse alla mancanza della contestualità spaziale, assicurata solo in via virtuale per il tramite del collegamento in videoconferenza ma di per sé superabile, le difficoltà derivanti dalla mancanza di contestualità e unicità materiale del verbale di conciliazione non sussistano laddove tutte le parti procedano con firma digitale, mentre possano essere comunque ovviate nel senso sopra detto laddove le parti procedano alla firma autografa.
In ogni caso, non appare questo un elemento ostativo alla percorribilità del nuovo modello conciliativo da remoto, posto che anche nella stessa procedura dettata dall’INL con il messaggio del maggio scorso è comunque previsto che non si addivenga alla stipula di un unico accordo materiale; ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che viene previsto che il funzionario dell’Ispettorato firmi in via autografa, senza menzionare la firma digitale. Dunque, se così fosse, quand’anche le parti disponessero di firme digitali, comunque l’apposizione della firma del funzionario in via autografa impedirebbe la formazione di un unico verbale con tutte le sigle in via digitale.
Invero, come si vedrà infra, il nuovo decreto semplificazioni ha previsto, sulla scorta di una recente modifica dell’art. 88 disp. att. c.p.c., una soluzione che consente la formazione del verbale di conciliazione davanti all'Ispettorato del Lavoro con la sola firma del funzionario assegnatario della pratica, eliminando dunque la necessaria sottoscrizione delle parti, snellendo le procedure e garantendo, al contempo, l’unicità materiale del verbale che, diversamente, sarebbe mancata in ipotesi di conciliazione da remoto.
3. La valutazione circa l’effettiva assistenza del lavoratore Alle criticità di carattere operativo sopra descritte si aggiungono poi le criticità connesse alla verifica dell’effettiva assistenza del lavoratore, posto che la conciliazione da remoto sembra svestire la sede protetta della solennità che invece la conciliazione in presenza sembra assicurare, quanto meno a livello di costrutto mentale. In quest’ultimo caso, le parti si recano in un luogo deputato alla conclusione dell’accordo e la prossimità fisica delle parti rispetto al Conciliatore contribuisce certamente a connotare di maggior ufficialità il luogo e la stessa attività conciliativa, consentendo al Conciliatore, non da ultimo, di creare un rapporto empatico e diretto con i soggetti coinvolti. In ipotesi di conciliazione da remoto, invece, seppur non si giunga ad una de-formalizzazione del dialogo conciliativo, certamente si assiste ad un ammorbidimento della grado di ufficialità dell’iter procedurale, in quanto ciascuna parte si connette da un luogo diverso, magari con l’intervento accidentale di alcuni fattori di distrazione e con la possibilità, non remota, che l’attività conciliativa subisca delle interruzioni per problemi anche di carattere tecnico; vuoi problemi di connessione, vuoi l’indisponibilità di strumenti tecnici adeguati o, banalmente, la distanza degli stessi rispetto al luogo ove è ubicato il pc e/o la telecamera. Alla luce di quanto sopra, dunque, il nuovo (o per meglio dire, affinato) modello conciliativo in videoconferenza pare rinnovare, a maggior ragione, la necessaria valutazione sull’effettività dell’assistenza del lavoratore e sul grado di tutela allo stesso garantito in sede conciliativa, rievocando i profili di diritto affrontati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito con specifico riguardo alle conciliazioni sindacali .
Da sempre, infatti, la giurisprudenza di legittimità e di merito hanno valorizzato la presenza del sindacato ovvero di altra forma di assistenza nella partecipazione degli atti di conciliazione, costituendo un elemento rafforzativo della genuinità del consenso prestato e, dunque, della formazione della volontà del lavoratore e della consapevolezza circa il contenuto e gli effetti della transazione. A ciò si aggiunga che secondo in seno al diritto vivente è pressoché consolidato l’orientamento secondo cui, ai fini della non impugnabilità del verbale di conciliazione di cui all’art. 2113 c.c., non sia sufficiente la mera presenza del conciliatore, essendo piuttosto necessario un ruolo attivo e non meramente formale dello stesso, idoneo a porre il lavoratore nelle condizioni di sapere a quale diritto sta rinunciando e in quale misura ed altresì idoneo a superare la presunzione di condizionamento della libertà di espressione del suo consenso . E’ dunque necessario che il conciliatore fornisca al lavoratore la corretta e completa rappresentazione della questione controversa e delle reciproche concessioni, di modo che questi sia pienamente consapevole dei diritti rinunciati e della misura delle rinunce stesse. La stessa dottrina si è mostrata incline nel porre l’accanto sul ruolo attivo e di effettiva assistenza del terzo conciliatore, in quanto solo in tal modo verrebbe garantita la sottrazione del lavoratore alla condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro , dando luogo a meccanismi di autonomia individuale assistita. Ove infatti il conciliatore svolgesse un ruolo passivo, circoscritto alla mera rilevazione e registrazione della volontà conciliativa delle parti, verrebbe meno la ratio del meccanismo di assistenza ed integrazione dell’autonomia individuale che, invece, il legislatore aveva in mente nella previsione di cui all’art. 2113, c. 4 c.c.. D’altro canto, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità con specifico riferimento alle conciliazioni sindacali, ma per taluni versi valevole, per chi scrive, anche per le conciliazioni sottoscritte dinnanzi alle Commissioni di Certificazione, condividendone la natura protetta e stragiudiziale della sede, l’effettività dell’assistenza e la genuinità della manifestazione della volontà del lavoratore in modo non coartato devono ritenersi sussistenti, quanto meno a livello presuntivo, proprio in ragione delle caratteristiche delle sedi in questione, definite, per l’appunto, protette . Motivo per cui, sarà onere del lavoratore, che intenda superare detta presunzione, fornire gli elementi utili a sostegno della propria doglianza. In tali casi, la corretta attuazione della funzione di supporto del Conciliatore deve essere verificata a seconda delle concrete modalità con le quali sono state compiute le operazioni di conciliazione e firma. Tuttavia, a ben vedere, tanto in caso di conciliazione svolta in presenza, quanto in ipotesi di conciliazione conclusa da remoto, risulta arduo stabilire quando vi sia stata effettiva assistenza e quando no, e medesime sono le soluzioni volte alla ricostruzione della verità materiale. A tal proposito, il Giudice investito di tale verifica ha dinnanzi a sé due prospettive, ciascuna delle quali presenta però un vizio metodologico.
Secondo una prima opzione potrebbe ricorrere alla prova testimoniale, ma gli unici soggetti nelle condizioni di deporre e riferire sui fatti sarebbero le stesse parti in causa e il Conciliatore, ovvero tutti soggetti interessati ad una determinata ricostruzione dei fatti (posto che il Conciliatore difficilmente è disposto a mettere in dubbio la legittimità del proprio operato); dunque, la prova testimoniale non risulta percorribile. Tale limite sarebbe parzialmente mitigato in ipotesi di conciliazione sottoscritta dinnanzi ad un Collegio e non già ad un unico Conciliatore, in quanto si può ragionevolmente presumere che in tali casi la formalizzazione della conciliazione sia preceduta da una riflessione e ponderazione degli interessi in gioco più articolata, frutto dell’iterazione delle valutazioni di una pluralità di soggetti. Tuttavia, si tratterebbe di un’attenuazione della criticità in parola solo parziale, giacché, anche in ipotesi di conciliazione collegiale, comunque rimarrebbe una certa ritrosia dei membri del Collegio a porre in discussione la validità della conciliazione raggiunta e dell’iter percorso.
Secondo una diversa via, la valutazione giudiziale potrebbe essere condotta in via documentale, analizzando il contenuto del verbale di conciliazione, ma in tal caso si correrebbe il rischio di ritenere che il rispetto della forma assicuri anche il rispetto della sostanza; tuttavia, si tratterebbe di una valutazione inadeguata e tautologica.
Mutatis mutandis, dette considerazioni possono essere svolte ed applicate sia in caso di conciliazioni in presenza sia telematiche. Dunque, nemmeno sotto tale profilo la conciliazione da remoto può essere giuridicamente qualificata come un minus della conciliazione in presenza, né essere guardata con sfavore dagli operatori del diritto.
4. La novella dell’art. 88 disp. att. c.p.c. Ulteriore indice della spinta su più fronti verso la digitalizzazione dell’attività conciliativa, anche in sede giudiziale, è certamente la recente novella dell’art. 88 disp. att. c.p.c. operata dalla L. 70/2020 in sede di conversione del D.L. 28/2020 , la quale si pone in linea con le modifiche di cui agli artt. 126 e 207 c.p.c. apportate dal D.L. 90/2014, conv. in L. 114/2014, per adeguare il quadro normativo all’introduzione del Processo Civile Telematico.
In particolare, le citate modifiche normative del 2014 miravano ad eliminare dal codice di rito la previsione concernente l’obbligo di sottoscrizione del processo verbale da parte dei soggetti intervenuti in causa, ivi comprese le parti che avessero reso l’interrogatorio e i testimoni, esclusi il Giudice e il cancelliere, ove presente; il tutto in un’ottica di snellimento dell’attività d’udienza.
Tuttavia, il legislatore del 2014, lungi dal rendere l’udienza scevra da ogni formalità, forse consapevolmente ovvero per dimenticanza, non era intervenuto a novellare anche l’art. 88 disp. att. c.p.c. ed aveva mantenuto l’obbligo di sottoscrivere il processo verbale laddove quest’ultimo contenesse la formalizzazione dell’esito positivo del tentativo di conciliazione ex artt. 185 e 420 c.p.c.; occasioni nelle quali continuavano a vigere le modalità di cui all’art. 88 disp. att. c.p.c. ante novella, come confermato anche dal Ministero della Giustizia con la circolare del 23.10.2015 (cfr. punto 12). Formalità, queste, a cui la giurisprudenza per lungo tempo ha subordinato la differenza fra conciliazione giudiziale e semplice transazione, per la quale, per esempio, la forma scritta è richiesta solo ad substantiam .
Ora invece l’art. 88, c. 2 disp. att. c.p.c. dispone che, qualora il processo verbale d’udienza contenga un accordo conciliativo ai sensi degli artt. 185 e 420 c.p.c. e sia redatto con strumenti informatici – circostanza che dovrebbe soffrire di limitate eccezioni nell’attuale contesto giudiziale, stante l’impiego pressoché generalizzato del Processo Civile Telematico –, la dichiarazione del Giudice sostituisce ad ogni effetto (“tiene luogo”) la sottoscrizione delle parti, del cancelliere e dei difensori, a condizione, com’è ovvio, che le parti siano state pienamente edotte del contenuto dell’accordo e lo abbiano accettato.
A ben vedere, in questo modo il legislatore non solo ha snellito le procedure precedentemente imposte per la formalizzazione della conciliazione giudiziale, ma ha altresì superato le criticità operative e meramente formali esposte al paragrafo 2, in ordine al difetto di contestualità materiale qualora la conciliazione venga conclusa da remoto.
Il verbale è unico perché unica è la sottoscrizione richiesta, essendo sufficiente la sola firma del Giudice, anche laddove la conciliazione avvenga alla presenza delle parti. Ciò che rileva è lo strumento utilizzato – informatico, appunto – e non il fatto che la conciliazione avvenga da remoto, ovvero con la presenza fisica delle parti.
Del resto, ad analoghe conclusioni la giurisprudenza era già arrivata con riferimento al disposto degli artt. 126 e 207 c.p.c., nella versione anteriore alla novella del 2014, ritenendo che all’interno delle ipotesi di impossibilità di sottoscrizione del verbale di cui all’art. 126, c. 2 c.p.c. potesse essere ricondotta anche l’impossibilità di sottoscrizione riferita alla parte o al teste in caso di verbale telematico .
Oltretutto, la disposizione in parola è priva di qualsivoglia termine di efficacia ovvero di un’indicazione circa la sua applicazione temporalmente limitata; il che lascia sottendere un’intentio legis di rendere stabile detto strumento e non strettamente connesso con l’emergenza pandemica, se non altro per favorire l’implementazione delle attività giurisdizionali svolte con strumenti telematici .
Nel medesimo solco si pone anche la previsione di cui all’art. 12 bis, c. 2 D.L. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. 120/2020, recante “misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” (c.d. decreto semplificazioni), che, con riguardo alle procedure di competenza dell’Ispettorato del Lavoro, non solo consente che le stesse vengano effettuate attraverso strumenti di comunicazione da remoto, a condizione che consentano comunque l'identificazione degli interessati o dei soggetti dagli stessi delegati e l'acquisizione della loro espressa volontà, ma dispone – e in ciò sta la cifra di continuità con il citato art. 88 disp. att. c.p.c. – che il provvedimento finale o il verbale si perfezioni con la sola sottoscrizione del funzionario incaricato. Riprendendo la formulazione della citata disposizione normativa, la sottoscrizione del funzionario dell’Ispettorato tiene luogo alla sottoscrizione delle parti coinvolte; circostanza, quest’ultima, recepita dall’INL con Decreto Direttoriale dello scorso 22 settembre e confermata anche dalla circolare n. 4 del 25 settembre u.s. con cui l’Ispettorato Nazionale ha dettagliato le modalità di svolgimento delle istruttorie e delle procedure amministrative e di conciliazione da remoto di propria competenza. Invero, la citata circolare non apporta alcun contenuto particolarmente innovativo con riguardo alle attività di conciliazione da remoto, limitandosi ad individuare gli adempimenti operativi cui sono tenuti il funzionario e le parti coinvolte che non differiscono di molto, ad eccezione dell’unicità della firma del funzionario, da quanto già previsto con la precedente nota n. 192 del 18 maggio u.s..
5. Considerazioni conclusive Da un esame sistematico delle criticità astrattamente sollevate e delle considerazioni in concreto svolte con riferimento a ciascuna di esse, a parere dello scrivente ci sono sufficienti elementi giuridici per ritenere che il modello conciliativo da remoto possa comunque assicurare un grado di tutela e di assistenza eguale a quello che connota le conciliazioni in presenza, ovvero con vantaggi e rischi uguali o egualmente rilevanti .
Le eccezioni sollevate in ordine al difetto di contestualità materiale, si è visto, possono essere agevolmente superate o comunque ritenute non così ostative da porre in dubbio, in via generale, la percorribilità della soluzione conciliativa telematica.
Quanto invece alla valutazione circa la compatibilità della conciliazione da remoto con la necessaria garanzia di un’interlocuzione reale ed effettiva con le parti, e soprattutto con il lavoratore coinvolto, quale parte contrattuale debole ed esposto al rischio di soggezione del datore di lavoro, la questione non presenta profili di particolare differenziazione rispetto ai termini in cui si pone laddove si volga lo sguardo alla conciliazione stragiudiziale in presenza, sia essa amministrativa ovvero sindacale.
Tanto nel caso in cui la conciliazione venga svolta in presenza quanto nell’ipotesi in cui venga conclusa da remoto, è pur sempre necessario, in caso di contestazione della validità dell’accordo da parte di uno dei soggetti sottoscrittori, verificare la genuinità del contenuto del verbale e del consenso prestato dalle parti, nonché la rispondenza dell’accordo a criteri di equità sostanziale; e ciò a prescindere dal contesto spaziale – sia esso virtuale o reale – entro cui viene instaurato, svolto e concluso il dialogo conciliativo. Inoltre, non può certo sostenersi che la modalità telematica non consenta, egualmente alla modalità in presenza, un pieno esercizio delle funzioni di identificazione delle parti, di controllo della rispondenza delle condizioni di conciliazione alle norme di legge e di composizione della controversia.
Nel caso della conciliazione telematica possono, al più, porsi profili legati esclusivamente alla solennità del luogo – virtuale – ove si svolge la transazione, ma tali aspetti non potranno essere tali da incidere sulla funzione di assunzione e attribuzione degli obblighi e dei diritti derivanti dal regolamento di interessi cristallizzato nell’accordo conciliativo.
Al netto di profili operativi e di dettaglio, dunque, lo sviluppo delle conciliazioni telematiche stragiudiziali, cui si è assistito negli scorsi mesi, la recente novella dell’art. 88 disp. att. c.p.c. e, infine, anche le previsioni di cui al decreto semplificazioni, come recepite dall’INL, segnano, a parere dello scrivente, una seconda ed importante fase di implementazione delle sedi conciliative e, soprattutto, di semplificazione delle modalità di transazione stragiudiziale e giudiziale in materia di rapporti di lavoro, al pari di quanto accaduto dieci anni fa con l’intervento del Collegato Lavoro. Come in tale occasione, anche ora, non si è assistito ad una generalizzata liberalizzazione delle conciliazioni in materia lavoristica, quanto piuttosto ad un incentivo delle forme di composizione stragiudiziale (e non solo) delle controversie di lavoro, senza tuttavia modificare il quadro normativo e i principi generali di tutela del lavoratore.
Considerato anche l’invito dello stesso INL contenuto nel citato messaggio del maggio scorso, ove è stato caldeggiato il ricorso alla modalità di conciliazione telematica, qualificandola come valida alternativa alle modalità canoniche in presenza, pare possa sostenersi che il modello di dialogo conciliativo in questione, seppur figlio necessitato dell’emergenza epidemiologica e del relativo momento, avrà una vita più longeva. In altri termini, parallelamente a quanto sembra emergere con riferimento al lavoro agile, pare possa affermarsi che le conciliazioni (stragiudiziali e giudiziali) da remoto saranno in futuro non già e non solo un’opzione strettamente connessa con l’emergenza sanitaria, potendo piuttosto costituire uno strumento ordinario di gestione della composizione delle controversie in materia giuslavoristica equipollente ed alternativo alla conciliazione in presenza, quando per le più svariate ragioni la presenza non sia possibile.
Conclusivamente, si ritiene che il modello conciliativo da remoto presenti pari dignità giuridica rispetto alla conciliazione in presenza e che, anzi, rappresenti una manifestazione della necessaria evoluzione dell’ordinamento giuridico rispetto alle spinte della realtà sociale, pena, diversamente, potenziali vizi di obsolescenza del primo rispetto alla seconda o, quanto meno, di non piena rispondenza. Così come deve essere assicurata una piena fungibilità delle sedi protette di cui all’art. 2113, c. 4 c.c., non vi sarebbe motivo di ritenere maggiormente garantista per la posizione del lavoratore la formalizzazione dell’accordo conciliativo in presenza piuttosto che in via telematica. Si tratta solo, come ogni novità, di sviluppare delle buone prassi e formalizzare delle regole di garanzia, affinando la sensibilità e familiarizzando con i principi e gli strumenti coinvolti.