TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Le proposte della Commissione Luiso sul processo civile ed il processo del lavoro
La Commissione istituita con DM 12.3.2021, ha avuto il compito di indicare una strada per rispettare l’impegno assunto dall’Italia con il PNRR di ridurre i tempi dei processi civili ed indicare possibili emendamenti al disegno di legge AS 1662 all’esame della Commissione Giustizia al Senato. La riforma proposta riguarda la giustizia civile non il processo civile cui sono dedicate solo alcune norme.
Senza queste premesse non si può compiere una valutazione adeguata del lavoro della Commissione che ha cercato di individuare le funzioni costituzionalmente proprie della magistratura e quelle che non lo sono con l’idea di liberare la magistratura dai compiti non necessari.
E’ evidente che il tema dei tempi processuali non è il solo tema rilevante ai fini della realizzazione di un processo giusto, ma sarebbe davvero miope non riconoscere che i tempi della giustizia civile in Italia sono biblici ed incidono non solo sull’attività delle imprese ma anche sui diritti dei cittadini contribuendo ad abbassare il livello complessivo di realizzazione della legalità nel paese.
Diversamente che dal passato questo progetto può contare su risorse finanziarie e, quindi, non è una proposta di riforma a costo zero.
Il lavoro della Commissione ha il pregio di fondarsi sull’idea di sottrarre compiti non costituzionalmente necessari ai giudici, evitando di incappare nell’errore che la maggiore velocità del processo civile si raggiunga attraverso radicali riforme processuali, come da sempre va affermando la dottrina più avveduta .
Il presente articolo muove dalla convinzione che prioritaria ed indifferibile sia l’esigenza di accelerazione dei tempi della giustizia civile e quindi, lasciando alla dottrina processualistica le critiche, ha lo scopo eminentemente pratico di illustrazione di alcune proposte e verifica della prevedibile bontà o meno delle soluzioni previste in funzione acceleratoria dei tempi della giustizia del lavoro, tenendo conto anche di quanto poi tradotto nel disegno di legge approvato che non ha trasfuso in norme tutte le previsioni della Commissione Luiso.
Alla base delle proposte vi era comunque l’idea di una modificazione culturale, di un nuovo modo di intendere il processo civile da parte di tutti i protagonisti, avvocati, magistrati, personale amministrativo, che non sembra si sia adeguatamente tradotto negli emendamenti approvati al disegno di legge AS 1662.
Sul versante del lavoro giudiziario, certamente l’Ufficio per il processo (denominato UPP) esteso anche alla Corte di Cassazione richiederà un approccio diverso al lavoro giudiziario. Il nuovo Ufficio per il processo si fonda sull’idea del lavoro giurisdizionale del giudice come lavoro di squadra e non più lavoro individuale, con la connessa esigenza di una direzione da parte del giudice volta a creare ed organizzare il nuovo strumento, per utilizzare al meglio il supporto offerto dalle risorse umane disponibili e assegnate all’ufficio per il processo.
Si tratta, quindi, di un cambiamento del modo di intendere l’attività giudiziaria come attività collettiva attraverso il supporto e la collaborazione da parte dei componenti dell’ufficio per il processo composto, oltre che dal personale di cancelleria, da borsisti, assegnisti di ricerca, tirocinanti, mediatori, giudici ausiliari con compiti vari (studio, verbalizzazione, attività istruttoria, funzioni amministrative etc.).
Dal lato dell’attività professionale degli avvocati, oltre che dei giudici, la previsione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti e il potenziamento degli istituti della mediazione e della negoziazione assistita, nella previsione della Commissione, richiederanno una profonda innovazione culturale, dalla formazione universitaria a quella professionale, capace di accogliere e sostenere il cambiamento .
Per tutte queste previsioni sarà indispensabile un forte impegno formativo.
Quasi nessuna delle proposte di riforma nasce con la Commissione Luiso.
Così è per l’Ufficio per il processo già disciplinato dalle fonti normative richiamate nella relazione illustrativa . Già previsto per il tribunale, nella proposta della Commissione viene potenziato ed esteso alle Corti d’appello e alla Corte di cassazione.
Così è per il principio di chiarezza e sinteticità degli atti che ha numerosi antenati , ma che nel testo approvato non è più previsto secondo l’originaria scrittura proposta dalla Commissione Luiso; così, infine, per la mediazione e la negoziazione assistita presenti nell’ordinamento a partire dalla legge del DL 4.3.2010 n. 28 per la mediazione e dalla legge 10.11.2014 n. 162 per la negoziazione assistita.
L’idea stessa di sottrarre compiti alla giurisdizione per abbattere gli arretrati della giustizia civile è al centro della legge 10.11.2014 n. 162 intitolata “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”, come si è detto in precedenza.
Questo breve articolo si occupa solo di alcuni aspetti delle proposte contenute nella relazione illustrativa e nell’articolato predisposti dalla Commissione in relazione al settore della giustizia del lavoro e, segnatamente, del principio di chiarezza e sinteticità degli atti, della estensione della mediazione e della negoziazione assistita alle controversie previste dall’art. 409 c.p.c e della estensione della regola della non contestazione al contumace. Qualche cenno, infine, al superamento del rito per i licenziamenti e alle altre previsioni in materia di concorrenza di riti.
Si è tenuto conto delle proposte della Commissione e dell’attuale testo degli emendamenti al disegno di legge AS 1662 che non sempre hanno tenuto ferme le indicazioni della Commissione
Proprio in materia di superamento del rito Fornero l’attuale testo approvato si è limitato a prevedere l’unificazione senza contemplare più il superamento del rito specifico, come si vedrà nel paragrafo 5.
L’abrogazione del rito specifico per i licenziamenti, già stabilita per le cause di licenziamento relative agli assunti dopo il 7.3.2015 dal DLVO 2015 n. 23, era prevista dall’originario disegno di legge disegno di legge AS 1662, anche perché il varo della riforma del 2012 aveva contraddetto, a distanza di pochi anni, la semplificazione dei riti .
2. Il principio di chiarezza e sinteticità degli atti: dalla previsione di un principio generale legislativo nella proposta della Commissione ad un mero invito nel disegno di legge.
Giova riportare il testo originario e quello proposto dopo gli emendamenti:
d) prevedere l'introduzione, in via generale, del principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte e del giudice e la strutturazione di campi necessari all'inserimento delle informazioni nei registri del processo, in particolare per assicurare un'agevole consultazione degli atti e dei provvedimenti informatici; d) prevedere che i provvedimenti del giudice e gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate, possano essere compiuti nella forma più̀ idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità, stabilendo che sia assicurata la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense;
e) prevedere il divieto di sanzioni processuali sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico dell'atto, quando questo abbia comunque raggiunto lo scopo, e che della violazione delle specifiche tecniche si possa tener conto nella disciplina delle spese; e) prevedere il divieto di sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell’atto, quando questo ha comunque raggiunto lo scopo, e che della violazione delle specifiche tecniche, o dei criteri e limiti redazionali, si possa tener conto nella disciplina delle spese;
Non condivido l’opinione dottrinaria che giudica sbagliato introdurre principi generali che conformano l’attività processuale, a contenuto didascalico ; opinione di cui si è tenuto conto evidentemente nella formulazione attuale della norma. E neppure, in linea di massima, quella di chi contesta la moda di prescrivere chiarezza e sintesi, riconnettendola alla moderna techne che tutto vuole calcolare. Deve tuttavia osservarsi che quest’ultima tesi si attaglia perfettamente al testo poi trasfuso nel disegno di legge. I principi di sinteticità e chiarezza hanno perso il connotato di una regola primaria stabilita dalla legge processuale senza riferimenti “tecnici” e quindi l’impronta generale originaria, per acquisirne una diretta a soddisfare unicamente le specifiche tecniche del documento informatico e a consentire l’emissione di regole ministeriali.
Eppure andava considerato che la cultura dominante del ceto forense e di una parte dei giudici ritiene la lunghezza e prolissità degli atti processuali un valore in sé.
I difensori, perché in tal modo possono dimostrare al cliente l’impegno profuso nelle difese, e superare eventuali reclami in caso di perdita della lite valorizzando l’impegno difensivo; è esperienza comune di qualsiasi operatore del processo, giudice o avvocato che sia, quella della lunghezza degli atti processuali che, a volte, superano le centinaia di pagine. La tendenza non si è affatto attenuata con il processo telematico nonostante la previsione del principio di sinteticità degli atti, contenuto nelle norme di regolamentazione del PCT, come si dirà più ampiamente nel prosieguo.
Inoltre chi opera quotidianamente nel processo civile sa bene che, in presenza del cliente in aula, le discussioni orali delle cause sono molto più estese, a dimostrazione, appunto, che l’abbondanza delle parole sia orali che scritte è ritenuto sinonimo di impegno professionale e buona difesa.
I giudici, dal loro canto, non sempre praticano la sintesi perché attualmente, anche attraverso le sentenze, vengono valutati professionalmente per le promozioni e per diventare giudici di legittimità.
E lo stesso concetto di carriera dei giudici introdotto o ripristinato, che dir si voglia, con le riforme dell’ordinamento giudiziario del 2006/2007 non ha contribuito a radicare e diffondere la sinteticità delle sentenze.
Le discussioni sulla vigenza o meno del principio di sinteticità nel processo civile, richiamando gli artt. 132, 134, 823 c.p.c. si sono concluse in senso negativo , quanto meno per i giudizi di merito, mentre da ultimo, per quanto riguarda il giudizio di legittimità, ci si imbatte frequentemente in sentenze di legittimità che dichiarano la inammissibilità del ricorso per violazione del cd principio della sinteticità espositiva.
Il principio di sinteticità è già previsto, in relazione al processo civile telematico, dal comma 9 octies dell’art 16 bis del DL 179/2012 convertito in legge 221/2012 , comma aggiunto dall’art dall’ art. 19, comma 1, lett. a), n. 2-ter), D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, che così prevede: “Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica.”
Proprio l’esperienza maturata a seguito del processo civile telematico induce a ritenere che la previsione di sinteticità, per modificare concretamente il comportamento di tutti gli attori processuali incluso i giudici, debba essere accompagnata da un contenuto preciso e da sanzioni adeguate.
La previsione legislativa per gli atti telematici non ha infatti modificato per nulla il costume di redigere atti che tendenzialmente sono ispirati al contrario della sinteticità.
Nel caso in esame, l’art. 12, sopra riportato per esteso, nella previsione originaria diversamente dal suo antenato “telematico”, appariva meglio formulato con riferimento anche al principio di chiarezza. Chiaro e sintetico dovrebbe essere qualunque atto del processo civile, e i due termini costituiscono a ben guardare due facce di una medesima medaglia.
Non è inutile, in realtà, a modesto parere di chi scrive, fare riferimento sia alla chiarezza che alla sintesi trattandosi di due aspetti diversi perché non necessariamente sintesi e chiarezza coincidono, quantomeno nell’esperienza concreta del processo.
Occorre tenere conto, inoltre, della realtà del linguaggio giuridico che spesso oltre che prolisso, è anche oscuro ed entrambe tali caratteristiche comportano inevitabilmente un allungamento dei procedimenti, come ben sa chi pratica le aule giudiziarie e legge gli atti dei processi.
Quelli più prolissi e più oscuri complicano inevitabilmente la soluzione della lite e ne allungano i tempi, anche se, ovviamente, non sempre atti chiari e/o sintetici danno luogo ad una decisone veloce. Ciò vale anche per le sentenze prolisse e poco chiare che rendono difficile la soluzione del giudizio negli altri gradi di giudizio.
Chi ha esperienza del processo sa quanto incida sulla sua durata, la oscurità degli atti e la lunghezza dei medesimi se non altro per il tempo che occorre impiegare a leggere e a studiare gli atti da parte del giudice e delle altre parti. Un ricorso di 100 pagine richiederà una memoria di costituzione altrettanto lunga e dettagliata per non incappare nelle decadenze e nella non contestazione. Un atto in cui si rende oscuro ciò che è chiaro, come strategia difensiva, comporta maggiori difficoltà nella definizione della controversia.
Il diritto e le sue regole, anche processuali, hanno la funzione antropologica di assegnare un limite al comportamento degli individui. E non vi è dubbio che occorreva inserire un limite all’ eccessiva lunghezza e prolissità degli atti del processo, proprio per accorciare i tempi delle decisioni.
La proposta della Commissione prevedeva che la violazione di tale principio non comportasse la inammissibilità o la sanzione di invalidità degli atti e tale previsione è rimasta nel testo attuale.
La previsione è condivisibile, perché come chiarito nella relazione illustrativa, sarebbe stato contrario alla giurisprudenza sovranazionale e costituzionale interna , inserire sanzioni di invalidità e/o inammissibilità dell’atto. Il processo civile deve tendere ad una soluzione di merito della lite e a risolvere il dubbio sulla esistenza della situazione soggettiva rivendicata. Vanno viste con sfavore tutte le regole che incentivano soluzioni cd “processuali” delle controversie.
Nell’articolo proposto dalla Commissione era previsto originariamente che la violazione del principio di sinteticità e chiarezza rilevasse ai fini della liquidazione delle spese giudiziali e già tale regola era un passo importante nella direzione di una maggiore consistenza dell’affermazione del principio, anche se andava riferita più che alla liquidazione delle spese giudiziali, alla disciplina in generale delle spese prevista dagli art. 91 e segg.
Attualmente, il testo trasfuso nell’articolo 12 approvato e, sopra riportato, non prevede più in generale il principio di chiarezza e sinteticità, ma prevede che i provvedimenti del giudice e gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate, possano essere compiuti nella forma più̀ idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità.
Ha poi del tutto eliminato la previsione originaria di una rilevanza ai fini della liquidazione delle spese. Attualmente, quindi, il testo approvato non incide per nulla sul costume diffuso e i principi di chiarezza e sinteticità sono indicazioni vuote, prive di ogni sanzione in quanto la previsione di rilevanza sulle spese di lite è stata limitata alla violazione delle specifiche tecniche e dei criteri e limiti redazionali previsti dal decreto del Ministro della Giustizia.
Il testo approvato non tiene conto della realtà giudiziaria ed è destinato a non incidere in alcun modo sulla modificazione culturale nel modo di intendere il processo così come delineata dalla Commissione perché il decreto del Ministro, ammesso che verrà mai emanato, avrà una forza molto ridotta rispetto ad un principio generale e comunque non riguarda i criteri di sinteticità e chiarezza.
Il mutamento del testo non tiene conto del circolo vizioso che si è creato tra l’abbondanza e creatività del diritto, i mezzi informatici che agevolano l’accesso e l’utilizzazione di testi altrui e la prolissità e scarsa chiarezza degli atti processuali.
Si è tornati, nel testo approvato, allo stato, alla delega al Ministero della Giustizia per la indicazione dei criteri e limiti su parere del Consiglio superiore della Magistratura e del Consiglio Nazionale Forense; indicazioni che sono riferite alla strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, e non quindi ai principi di chiarezza e sinteticità.
Vedremo se ci sarà un diverso orientamento e se saranno dettati criteri idonei a contenere anche la lunghezza ed oscurità degli atti processuali. Certamente la previsione legislativa generale di un principio di chiarezza e sinteticità avrebbe avuto un’altra forza ed efficacia sulla auspicata modificazione culturale quale quella originariamente contemplata nella relazione della Commissione
Deve solo sperarsi che i criteri che detterà il Ministero della Giustizia tengano anche conto dell’eccessiva lunghezza degli atti, della trattazione spesso prolissa degli aspetti giuridici e della circostanza che, anche nelle sentenze dei giudici, a volte, si obliterano i fatti e si spendono troppe argomentazioni sul “diritto”. Ciò è tanto più vero se si considera che l’ufficio del processo dovrebbe aiutare il giudice proprio nella ricerca dei precedenti giurisprudenziali e nello studio della dottrina.
La previsione di un lavoro di equipe proprio dell’ufficio del processo dovrebbe rendere più sicuro e sotto controllo il lavoro di ricerca giurisprudenziale e di studio degli aspetti giuridici della vicenda che sono quelli che inevitabilmente si ripetono, mentre i fatti sono certamente quelli sui quali deve essere consentita la descrizione precisa.
Mentre quindi si deve esprimere un giudizio positivo sulla proposta della Commissione che avrebbe avuto un impatto positivo nella riduzione dei tempi processuali, non altrettanto può dirsi sul testo licenziato allo stato.
3. L’ estensione della negoziazione assistita al processo del lavoro.
Nell’incipit di un articolo di dottrina si legge la frase lapidaria che i giudici non sono più in grado di “dicere ius” e che questa crisi irreversibile del processo civile è alla base del concetto stesso di degiurisdizionalizzazione inserito nella nostra legislazione con la legge 10.11.2014 n. 162 già più sopra citata .
Sulla crisi irreversibile del processo e del ruolo del giudice potrebbero scriversi fiumi di inchiostro a partire dal numero di cause iscritte a ruolo ogni anno, numero di leggi, numero di avvocati rispetto agli altri paesi, arretratezza delle piante organiche, pessimo funzionamento dei servizi telematici continuamente interrotti con gravi danni sulla efficienza e rapidità del processo. Ma non è questa la sede.
Accanto alle ragioni concrete, sopra sommariamente ricordate, qualche breve considerazione va spesa anche sulla complessità del ruolo del giudice e del giurista in generale.
Il giudice non è più la bocca della legge , c’è stata una vera e propria metamorfosi giuridica del potere giudiziario a partire dagli anni ’60, anche sotto l’influenza sempre maggiore del diritto comunitario , del diritto internazionale, dell’intervento della Corte costituzionale il cui sindacato sulle leggi è opera anche della richiesta del giudice, a sua volta, sollecitato dalle parti.
I giuristi hanno un compito autenticamente inventivo, nel senso che oggi il diritto appare quale il risultato di un’invenzione, percepito non come qualcosa che si crea da parte del potere legislativo, ma come qualcosa che si deve cercare e trovare .
In tale quadro si spiega l’aumento oggettivo della domanda di giustizia, la maggiore complessità del lavoro di risoluzione delle controversie e, quindi, l’utilità di una gestione non più individuale delle controversie attraverso ufficio del processo e, al tempo stesso, il ricorso agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie quali la negoziazione assistita e la mediazione.
L’ estensione della negoziazione assistita alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c era prevista dall’art. 2 lett. G dell’articolato e la relazione illustrativa indica tra le novità del processo del lavoro, cui dedica le pag. 29 e 30, l’ampliamento delle possibilità conciliative.
La previsione di estensione al processo del lavoro esclude che la negoziazione assistita sia condizioni di procedibilità.
La esclusione della condizione di procedibilità è pienamente condivisibile, dato il cattivo risultato del tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie di lavoro che è stato infatti abrogato dieci anni orsono dalla legge 183 del 2010. Le critiche della dottrina sulla mediazione e negoziazione assistita obbligatorie si sono appuntate proprio sull’appesantimento del giudizio civile con le condizioni di procedibilità.
Al tempo stesso, secondo le stesse indicazioni della relazione illustrativa, rende verosimilmente non utile questa estensione alle controversie di lavoro perché, secondo i dati disponibili, richiamati nella relazione, le procedure di mediazione vengono avviate ancora prevalentemente nelle materie in cui è prevista come condizione di procedibilità .
La chiave deflattiva, illustrata dalla relazione è, inoltre, non centrata atteso che, se è pur vero che la pandemia ha rallentato anche i tempi del processo del lavoro, negli anni precedenti la pandemia, grazie ad una serie di riforme , la deflazione c’ è già stata nel processo del lavoro di primo grado e si è registrata una flessione tendenziale della domanda di giustizia nel settore delle cause di lavoro.
Il vero problema sono i tempi delle controversie in appello ed in cassazione per le quali si è aggiunto recentemente il problema della illegittimità costituzionale della previsione nei collegi di appello dei giudici aggregati onorari stabilita dalla decisione n. 41 del 2021 della Corte costituzionale con effetto dal 2024.
Ma è evidente che su tali problemi alcuna incidenza diretta ed immediata ha l’estensione della negoziazione assistita alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c.; estensione che può avere effetto deflattivo in prima battuta per il processo di primo grado, evitato attraverso un accordo negoziale conciliativo che ha gli effetti di cui all’art. 2113 c.c.
Coerentemente con la premessa in cui si è delineata la prospettiva di indagine del presente articolo sulla idoneità o meno della soluzione prospettata dalla Commissione ad accelerare il processo del lavoro, si deve affermare che, verosimilmente, questo allargamento della “giustizia privata” non sembra da valutare positivamente per gli effetti deflattivi, ma ovviamente questo potrà emergere solo tra qualche anno.
Al tempo stesso, la presumibile scarsa realizzazione di una riduzione dei tempi della giustizia suscita perplessità in materie dove non vi è una parità delle parti come quella del lavoro . Su tale base, a suo tempo, vi è stata la esclusione delle controversie da lavoro dall’ambito di applicazione della negoziazione assistita nella legge del 2014.
E anche qui va menzionata l’esperienza di chi ha potuto toccare con mano la disparità esistente tra le parti del rapporto di lavoro nel processo anche per quanto attiene la difesa.
Da questa empirica osservazione nasce la convinzione che l’accordo negoziale frutto della negoziazione assistita potrà essere facilmente sbilanciato a favore delle parte forte, anche nel testo licenziato nel disegno approvato ove si è passati da una negoziazione assistita da più avvocati alla negoziazione assistita ciascuno dal proprio avvocato .
4. La regola della non contestazione estesa alla contumacia: un’occasione mancata di rendere più veloce la giustizia del lavoro.
Nella relazione della Commissione era prevista la estensione del principio di non contestazione al processo contumaciale. La regola, prevista per il processo civile, sarebbe stata applicata anche al processo del lavoro in quanto prevista dall’art.115 c.p.c..
L’art. 115 c.p.c. nell’attuale formulazione, prevede che il giudice debba “mettere a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. La formulazione attuale è stata criticata osservando che il riferimento solo alla parte costituita incentiva la parte convenuta a rimanere contumace, piuttosto che partecipare al giudizio soprattutto nei casi in cui si abbia ben poco da dire e da contestare. Infatti la limitazione della operatività della clausola di non contestazione alla sola parte costituita genera il paradosso che, in caso di contumacia del convenuto, l’onere probatorio gravante sull’attore resti intatto, senza sconti di alcun genere, sicché una parte della dottrina aveva parlato di ingiusto privilegio del contumace .
In effetti la estensione al contumace della regola della non contestazione va considerata conforme a quanto avviene in altri ordinamenti come quello tedesco (cfr i §§ 330 -347 della ZPO tedesca ed i §§ 396-403 di quella austriaca) e va nella direzione di accentuare i doveri di lealtà e buona fede sanciti dall’art. 88 c.p.c, responsabilizzando il convenuto.
Considerando infatti che lo scopo del processo civile è garantire la pace sociale e risolvere la lite tra i privati nel miglior modo e nel minor tempo possibile attribuendo il diritto soggettivo alla parte alla quale esso spetti , deve ritenersi inutile indugiare in accertamenti inutili.
Certamente la estensione al processo contumaciale della regola della non contestazione avrebbe appesantito gli oneri per il convenuto e avrebbe potuto avere un effetto inflattivo sugli appelli per contumacie dichiarate erroneamente, con la conseguenza della rimessione al primo giudice ex art. 354 c.p.c.
Tuttavia quest’ultimo effetto poteva essere agevolmente evitato con una maggiore cura della valutazione della regolarità delle notifiche e alla dichiarazione di contumacia del convenuto; valutazione che verrà agevolata dallo studio preventivo dei processi con il supporto delle risorse addette all’Ufficio del processo. Quanto alla prima obiezione e all’appesantimento degli oneri per il convenuto, è evidente che qualunque regola ha delle controindicazioni. In questo caso sembra che i vantaggi nell’estensione di questa regola non avrebbero compromesso alcun diritto del convenuto, dato che il codice di procedura prevede l’istituto della rimessione in termini del contumace disciplinata dall’art. 294 c.p.c..
Dal punto di vista pratico non vi è dubbio che nel campo del processo del lavoro questa regola avrebbe avuto l’effetto di accelerare tutti i procedimenti per gli inadempimenti retributivi nel caso di lavoro irregolare cd “lavoro nero”, in cui, spesso il convenuto non si costituisce. Secondo le regole in vigore, anche in caso di contumacia del convenuto, all’attore – lavoratore compete l’onere di provare l’inizio e la fine del rapporto di lavoro, la sottoposizione al potere direttivo e disciplinare, gli orari di lavoro, le mansioni attraverso prove testimoniali spesso molto lunghe, imposte dal principio dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c..
La mancata adozione di questa regola rappresenta quindi un’occasione mancata per rendere più veloce la giustizia e perpetua un indubbio privilegio per il contumace, che nelle controversie di lavoro nero ed irregolare, come spesso nelle controversie di lavoro, è la parte “forte” del rapporto.
5. Le previsioni in materia di rito del lavoro.
La Commissione Luiso aveva condiviso il testo originario del disegno di legge AS 1662 sul superamento del rito cd Fornero. Nella relazione illustrativa si sostiene espressamente che l’unificazione del rito avrebbe comportato il superamento del rito Fornero, anche in relazione alle complicazioni dallo stesso create in un’ottica di semplificazione con il mantenimento della sola corsia preferenziale .
L’unificazione del rito con il mantenimento sia di una corsia preferenziale con le udienze dedicate, sia della vigilanza del dirigente dell’ufficio sul rispetto dei giorni dedicati alle cause di licenziamento con possibile reintegra era condivisibile se non altro per essere una semplificazione, che tendenzialmente poteva ridurre i tempi del processo.
In effetti mentre è razionale prevedere misure organizzative per garantire la rapidità della decisione nelle controversie aventi ad oggetto i licenziamenti, non altrettanto può dirsi sull’ esistenza di un rito specifico creato ad hoc dalla legge del 2012 di riforma del mercato del lavoro, che aveva ricevuto molte critiche dalla dottrina. La duplicazione delle fasi di trattazione ed una serie di problemi connessi alla obbligatorietà o meno del rito e alla connessione con altre controversie ha oggettivamente complicato il lavoro giudiziario e, quindi, andava considerato positivamente il suo superamento.
Ma il testo allo stato risulta così modificato:
1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il decreto legislativo che provvede all'unificazione dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, è adottato nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) stabilire l'applicabilità della disciplina vigente a tutte le impugnazioni successive alla data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo, con conseguente superamento dell'applicazione della disciplina di cui all'articolo 1, commi da 47 a 66, della legge 28 giugno 2012, n. 92;
b) stabilire altresì il carattere prioritario della trattazione delle cause di licenziamento e dettare l'opportuna disciplina transitoria. 1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto legislativo o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di controversie di lavoro e previdenza sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, adottando le opportune norme transitorie, prevedendo che:
a) la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro abbia carattere prioritario;
b) le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche ove consegua la cessazione del rapporto associativo, sono introdotte con ricorso ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile
c) le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell’articolo 414 del codice di procedura civile, possono essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i rispettivi riti speciali di cui agli articoli 38 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, stabilendo che la proposizione dell’azione, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso.
Nella originaria proposta era previsto espressamente il superamento del rito cd Fornero, mentre tale superamento non è più previsto nel testo attuale ove l’obiettivo è solo quello di unificare il rito per tutti i licenziamenti a prescindere dalla data di assunzione. Dalla delega attuale si comprende che il legislatore è delegato a prevedere l’applicazione del rito Fornero a tutte le controversie aventi ad oggetto il licenziamento con unificazione ed estensione del rito Fornero anche per i gli assunti dopo il 7.3.2015.
Anche qui si è persa un’occasione di semplificare e ridurre le controversie, che sicuramente va incontro alle esigenze particolari di duplicare i giudizi, ma non realizza l’interesse generale alla rapidità della giustizia.
E’ stato, invece, trasfuso nel disegno di legge approvato la previsione del rito del lavoro per le azioni relative al licenziamento incidente sul rapporto di lavoro subordinato del socio di cooperativa, anche nel caso in cui venga a cessare, con il rapporto di lavoro, quello associativo, e possibilità di scelta del rito per i licenziamenti discriminatori. La parte può utilizzare il ricorso ex art. 414 c.p.c. oppure i rispettivi riti speciali di cui agli articoli 38 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. La proposizione dell’azione, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso.
La regola di applicazione del rito del lavoro alla controversia tra il socio della cooperativa e la cooperativa anche quando venga a cessare il rapporto associativo va nella direzione di una semplificazione e unificazione delle possibili controversie tra il socio e la cooperativa dando la prevalenza al rito del lavoro, come, del resto, sostenuto dalla più recente giurisprudenza di legittimità e merito.
Ad istanza di semplificazione in materia di rito e di deflazione di cause risponde la previsione normativa di una possibile scelta tra i vari riti esistenti in materia di discriminazione ed il rito del lavoro. Una volta scelto un rito, tuttavia, non sarà possibile promuovere un’altra causa con un rito diverso con la preclusione alla possibilità di fare una doppia causa con due riti diversi.
Forse andrà precisato nella fonte delegata che la preclusione alla seconda azione in giudizio opera “per gli stessi fatti” anche se la formulazione della legge delega La proposizione dell’azione, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso, sembra escludere qualsiasi possibilità di ripresentare un ricorso per gli stessi fatti.
E’ auspicabile che questa previsione cancelli l’abitudine alla moltiplicazione delle liti processuali per gli stessi fatti variamente narrati, che determina generalmente questioni e lungaggini sulla identità di causa.
6. Brevi conclusioni
La riforma della giustizia civile anche nel settore lavoro richiederà un forte impegno formativo del personale addetto all’Ufficio per il Processo così come analogo impegno sarà necessario per la negoziazione assistita, sul versante dell’avvocatura. Del resto, da molti anni c’è anche un eccesso di attività formative che forse potrà essere opportunamente indirizzato al mutamento culturale richiesto da tali modifiche.
Chi ha svolto lavoro giudiziario per decenni nutre dubbi sulla capacità delle riforme di apportare mutamenti radicali ed immediati. Il testo del disegno di legge approvato sembra inoltre aver ridimensionato alcune proposte efficaci della Commissione perpetuando modalità di stesura delle leggi che risentono di pressioni corporative idonee a privilegiare piccoli o grandi interessi di categoria, mortificando l’interesse generale ad un cambiamento profondo del modo di intendere il processo, indispensabile a restituire una ragionevole efficienza alla giustizia.