Testo integrale con note e bibliografia

L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro è sorta, sul finire del secolo XIX, per far fronte al bisogno causato dalla perdita di guadagno derivante dall’ infortunio.
In origine, e per oltre cento anni, l’oggetto della assicurazione era stato legislativamente definito come “tutti i casi di infortunio da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni” (art. 7 l. 80/1898, art. 2 r.d. 1765/1935, art. 2 t.u. 1124/1965).
Si tratta di un formulazione analoga a quella delle legislazioni degli altri Paesi europei a modello Bismarkiano (DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2020, 111Infortuni ).
L’art. 74 t.u. definiva poi l’inabilità – assoluta o parziale -come la riduzione, causata dalla lesione infortunistica, o di una malattia professionale, dell’ attitudine al lavoro.
Tale concezione esclusivamente patrimoniale del danno, durata per circa un secolo, è stata messa in crisi negli anni 70 del secolo scorso dalla operazione dottrinale-giudiziaria sul danno biologico, inteso come risarcimento della lesione della integrità psico-fisica della persona, di per sé considerata, indipendentemente da qualsiasi valutazione reddituale (in relazione alla perdita attitudinale al lavoro), e poi rivoluzionata dal d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che quelle istanze ha recepito, e che ha modificato radicalmente l’oggetto stesso della tutela, prevedendo la copertura delle conseguenze in primis biologiche e poi patrimoniali della lesione infortunistica.
La nuova disciplina del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 si applica agli infortuni sul lavoro verificatisi, e alle malattie professionali denunciate, a decorrere dal 25 luglio 2000, data di entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000, a norma dell’art. 13, comma 2, d.lgs. 38/2000 (sulla controversa identificazione di tale data vedi DE MATTEIS, Infortuni cit. 32).
I due regimi, quello del t.u. 1124 e quello del d.lgs. 38/2000, sono tra loro autonomi e separati, e non si cumulano ai fini della liquidazione di un’unica prestazione previdenziale (Corte cost. 19 dicembre 2006 n. 426; Cass. 18 giugno 2015, n. 12629; Cass. 3 marzo 2014, n. 4944, non mass., in Riv. inf. mal. prof., 2014, II, 44; Cass. 5 maggio 2011 n. 9956; Cass. 21 luglio 2010 n. 17089); coesistono fino ad esaurimento dei casi ricadenti nel precedente sistema (ALIBRANDI, Infortuni, 2002, 396; Cass. 12629/2015 cit.).
Bisogna quindi distinguere tra aggravamenti, occorsi sotto il nuovo regime, di situazioni inabilitanti precedenti ed eventi nuovi, cioè avvenuti del nuovo e diverso regime del danno biologico.
Per gli aggravamenti di infortuni occorsi o di malattie denunciate prima del 25 luglio 2000, siano stati essi indennizzati o meno in rendita, continuano ad applicarsi integralmente le disposizioni del Testo Unico, in un regime di coesistenza delle due discipline che perdurerà fino ad esaurimento dei casi ricadenti nel precedente sistema (ALIBRANDI, Infortuni, 2002, 396), e cioè fino al termine di consolidamento delle rendite già costituite, e quindi gli aggravamenti saranno valutati secondo il regime precedente del t.u. 1124.
Per gli eventi nuovi, occorre premettere alcune definizioni, provenienti dalla medicina legale.
La lesione può incidere su un individuo sano, oppure affetto da precedenti patologie: è il problema delle concause di invalidità preesistenti. Queste poi possono essere concorrenti, quando più menomazioni conseguenti a lesioni fra loro indipendenti cumulano i loro effetti sul medesimo sistema organo funzionale (es. occhio ed occhio, mano destra e mano sinistra, ecc.), ovvero su sistemi organo funzionali diversi ma sinergici ed aventi tra loro rapporti di correlazione funzionale (es. vista e udito); oppure coesistenti, se le menomazioni interessano sistemi diversi non aventi rapporti di sinergismo o correlazione funzionale (es. sordo congenito che subisca l’amputazione di una gamba; lesione ad un occhio e perdita di un dito del piede) (MIRALDI, Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Padova, 1979, 127).
Infine le concause di invalidità, a loro volta, possono dipendere da cause professionali o extra-professionali.
Le preesistenze professionali rilevano, nell’ambito dello stesso regime, sia che siano coesistenti, sia concorrenti, e si cumulano al fine di costituire un’unica prestazione, indennizzo in capitale o rendita (art. 80 t.u.1124 nella gestione attitudine al lavoro; art. 13, comma 5, d.lgs. 38/2000, nel regime danno biologico).
Le preesistenze extra professionali rilevano solo se concorrenti.
Ciò posto, il primo periodo del comma 6 dell’art. 13 d.lgs. 38/2000 sottopone alla stessa disciplina sia le menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro, sia quelle derivanti da infortunio sul lavoro o malattia professionale soggetti al t.u. 1124, ma non indennizzate in rendita; in entrambi i casi le menomazioni preesistenti, professionali o extra professionali, purché concorrenti, sono prese in considerazione utilizzando la formula Gabrielli di cui all’art. 79 t.u. 1124, come esplicitato nello stesso articolo 13, comma 6, primo periodo.
Il secondo periodo riguarda invece gli infortuni o malattie professionali anteriori indennizzate in rendita o in capitale, ai sensi del t.u. 1124; in tal caso, il secondo periodo del comma 6 disponeva che l’assicurato continuerà a percepire l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi sotto il regime del t.u. 1124, e il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale venisse valutato “senza tenere conto delle preesistenze”.
Tale espressione era stata interpretata nel senso che si deve applicare la regola del doppio indennizzo integrale (Cass. 13 marzo 2018 n. 6048 in una fattispecie di lavoratore affetto da bronco-pneumopatia, indennizzata in rendita sotto il regime nel t.u. 1124; seguita da una silicosi, sotto il regime del d.lgs. 38 del 2000; nello stesso senso Cass. 19 marzo 2018 n. 6774; in senso critico di tale indirizzo DE MATTEIS-OSSICINI, Valutazione dei danni successivi insistenti sullo stesso “apparato” in regimi diversi: scorporo o duplicazione dei benefici?, in Riv. inf. mal. prof. 2018, I, 245).
Questa disposizione del secondo periodo nel comma 6 è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con sentenza della Corte costituzionale 13 aprile 2021 n. 63, nella parte in cui non prevede che, per le patologie aggravate da menomazioni preesistenti concorrenti, trovi applicazione la medesima disciplina contemplata dal primo periodo, e cioè applicazione della formula Gabrielli in aggiunta alla persistente erogazione della rendita di cui al terzo periodo del medesimo comma 6. Tale interpretazione è stata ribadita dalla ordinanza Corte cost. 22 settembre 2021 n. 192, la quale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, perché già risolta dalla precedente sentenza 63/2021.
La portata della decisione si capisce meglio in relazione alla fattispecie concreta, sottoposta dalla Corte d’appello di Cagliari alla Corte costituzionale: l’assicurato godeva di una rendita dell’ 85% per broncopneumopatia da inabilità lavorativa, sorta fin dal 1987, liquidata dall’Inail in regime t.u. 1124, e richiedeva il danno biologico da successiva asbestosi, insorta nel regime d.lgs. 38/2000, determinata dal ctu nel 75%. Il giudice di primo grado la liquidava in questa misura ma, al fine di evitare duplicazioni, disponeva la detrazione dai ratei della nuova prestazione di quelli percepiti per la rendita già in godimento. Secondo la Cassazione citata l’assicurato avrebbe avuto diritto ad entrambi i benefici; secondo l’Inail avrebbe avuto diritto ad un danno biologico del 7%, pari alla differenza tra il 75% di danno biologico ed il 68% costituito dalla valutazione in danno biologico della pregressa broncopneumopatia. In base alla decisione della Corte all’assicurato competerà, oltre la rendita già liquidata pari all’85% inabilità permanente, un danno biologico del 22% calcolato secondo la formula Gabrielli: viene prima convertito il valore 85 nell’equivalente in danno biologico = 68; poi dal 75% del danno biologico complessivo (BPC+Asbestosi), viene detratto 68, ed abbiamo il danno biologico differenziale riferibile alla sola asbestosi=7; applicando la formula Gabrielli avremo C1 - C2 (100-68=32) - (100-75=25) = 7: 32 = 0,2185 x 100 = 22%.
In tal modo la Corte ha recuperato la ratio dell’art. 79 t.u. 1124 (A.OSSICINI, Da una sentenza surreale ad una logica: la Corte Costituzionale rimedia ad una “severe sprain” interpretativa della Cassazione, in Rivista Prevention & Research Aprile 2021), il quale già assimila in unica disciplina sia le preesistenze extra professionali concorrenti, sia quelle professionali in regimi diversi. In effetti la disciplina dettata dall’art. 79 t.u. 1124 per le preesistenze extraprofessionali travalica il significato naturalistico del termine; infatti la disciplina è comune per:
— inabilità preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro;
— inabilità preesistenti derivanti da fatti professionali ma non disciplinati dal titolo I (infortuni e malattie professionali in agricoltura);
— inabilità preesistenti derivanti da fatti professionali disciplinati dal titolo I ma liquidati in capitale ai sensi dell’art. 75 t.u.1124.
A questi la Corte ha aggiunto, con la medesima logica, le preesistenze concorrenti, professionali ed extraprofessionali, sotto il regime del t.u. 1124, che costituisce un regime diverso rispetto a quello del decreto legislativo 38/2000.
Ha spiegato la Corte che con la propria decisione non attribuisce rilevanza alle preesistenze in quanto tali, ma solo al fine di effettuare la valutazione della integrità psicofisica attuale su cui calcolare la nuova prestazione.
Pertanto ora le discipline del primo e secondo periodo del comma 6 sono identiche, nel senso che in entrambi i casi si applica la formula Gabrielli, rivalutando così la patologia preesistente concorrente, senza duplicazione di benefici.
La norma derivante dalla sentenze della Corte costituzionale è stata applicata dalla Corte di legittimità nelle sentenze gemelle 2314 e 2315 del 26 gennaio 2022 alle fattispecie oggetto di quei giudizi.
Il problema che residua è: a quali rapporti si applica la nuova norma, solo a quelli sub judice, o anche ad altri rapporti tuttora pendenti, entro quali termini, e con quale procedura?
Per rispondere ai vari quesiti, tra loro intrecciati, occorre individuare la portata della sentenza della Corte costituzionale e il diritto che da essa deriva.
L’art. 136 Cost. dispone: “Quando la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Questa disposizione è stata interpretata nel senso che le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi, dichiarative di illegittimità costituzionale, come la 63/2021 in esame, eliminano la norma con effetto "ex tunc", con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l'illegittimità costituzionale ha per presupposto l'invalidità originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con un precetto costituzionale; gli effetti dell'incostituzionalità valgono erga omnes, non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalità (Cass. 20 novembre 2021 n. 20381). Unica eccezione alla efficacia retroattiva è quella delle sentenze irrevocabili di condanna penale che sono state già pronunciate sulla base di una norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte (cfr. art. 30, comma 4, l. 87/1953). Infatti, per evidenti ragioni di giustizia ed in applicazione del principio del favor rei (cfr. anche art. 25, comma 2, Cost.), cessa l’esecuzione di tali sentenze e tutti gli effetti penali.
Il diritto che deriva dalla sentenza 63/2021 è ad una prestazione diversa e maggiore rispetto a quella riconosciuta con il provvedimento di liquidazione dell’Inail della seconda rendita, quella sotto il regime del d.lgs 38/2000.
La possibilità di far valere tale diritto dipende dalla sua collocazione sistematica, in rapporto anche agli istituti estintivi, quali la prescrizione e la decadenza.
E’ d’obbligo iniziare dall’art. 2935 c.c., per il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Ciò dipende da due circostanze, una di diritto, l’esistenza della norma che lo riconosca, l’altra di fatto, l’esistenza delle condizioni di fatto cui la norma ricollega la nascita del diritto.
Esempio del primo aspetto è il diritto a maggiori prestazioni previdenziali previste da specifica norma, la cui prescrizione inizia a decorrere dalla promulgazione della norma stessa (es. le perequazioni automatiche istituite dall’art. 10, comma 3, l. 160/1975). In tal caso la prescrizione è decennale e decorre dai singoli ratei successivi alla promulgazione della legge (Cass. 5 marzo 2019 n. 6335; Cass. 13 ottobre 2015 n. 20507).
Esempio del secondo aspetto è l’art. 122 t.u. 1124, che poneva ai superstiti di un lavoratore deceduto a causa di infortunio o malattia professionale, dopo la liquidazione della rendita, un termine di decadenza di 90 giorni per richiedere la rendita ai superstiti, decorrente dall’evento morte. La norma è stata oggetto di un intervento correttivo da parte della Corte costituzionale (sent. 3 febbraio 1994 n. 14), in forza del quale il termine di decadenza decorre dalla conoscenza dell’evento morte, ed a tal fine l’ Istituto assicuratore è onerato di darne opportuna conoscenza agli interessati, con una comunicazione formale dalla quale decorre ora il termine di decadenza.
Di estremo interesse le istruzioni operative impartite dall’ Inail con circ. 24 maggio 1994 n. 18, secondo cui la sentenza trova applicazione:
a) in tutte le fattispecie verificatesi dal 10 febbraio 1994, data della pubblicazione della sentenza;
b) nelle fattispecie insorte precedentemente e non ancora definite alla data predetta in quanto in corso di istruttoria o perché in atto controversie amministrative o giudiziarie;
c) nelle fattispecie chiuse negativamente prima del 10 febbraio 1994 ma non ancora esaurite, perché non colpite dalla prescrizione né definite con sentenza passata in giudicato;
d) nelle fattispecie pregresse nelle quali la domanda non sia mai stata presentata, purché non colpite dalla prescrizione.
Nello stesso ordine di idee, la Corte di legittimità ha statuito che nel caso in cui la rendita non sia stata ancora riconosciuta, la decadenza decorre dal momento in cui i superstiti abbiano conoscenza dell’esistenza dello stato morboso, della sua eziologia professionale, del nesso causale con la morte (Cass. 25 febbraio 2002 n. 4223; Cass. 1° settembre 2003 n. 12734; Cass. 18 luglio 2006, n. 15110), e ciò in conformità al consolidato orientamento per il quale la prescrizione del diritto a rendita per malattia professionale decorre dal momento in cui l’assicurato ha piena cognizione della malattia, della sua origine professionale, e del grado invalidante (Cass. 5 aprile 2001 n. 5090; DE MATTEIS, Infortuni ci., 380). Ed a questa giurisprudenza di legittimità la Corte costituzionale (sent. 297/1999 cit. infra) fa riferimento come argomento aggiuntivo per dimostrare la correttezza del sistema prescrizionale differenziato dell’art. 112 t.u. 1124, non lesivo degli interessi dell’assicurato, in quanto pienamente a conoscenza dei propri diritti e dei loro limiti, con interpretazione adeguatrice dell’art. 2935 c.c..
Il nostro caso per un verso ricade nella prima ipotesi, perché prima della sentenza 63/2021 il diritto alla valutazione del danno secondo la formula Gabrielli non poteva essere fatto valere, per altro verso il periodo prescrizionale va valutato a ritroso, per l’efficacia retroattiva della dichiarazione di incostituzionalità della norma.
Senonché bisogna fare i conti con la giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo cui la pregressa vigenza di una norma ostativa all’esistenza di un diritto, successivamente dichiarata incostituzionale, costituisce un ostacolo di mero fatto, e non un impedimento giuridico, all’esercizio del diritto medesimo, che non impedisce la decorrenza della prescrizione anche nel tempo anteriore alla sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale (Cass. 16 novembre 2018 n. 29609; Cass. 15 marzo 2001 n. 3796).
La giurisprudenza sugli istituti estintivi in campo previdenziale è piuttosto problematica (RIVERSO R., La tutela del lavoratore e la prescrizione dei contributi previdenziali, tra norme espresse ed esigenze di sistema, in Questione Giustizia, 29.3.2022), ma questo orientamento ci sembra particolarmente critico, perché come si fa a considerare un ostacolo di fatto l’esistenza o meno di una norma giuridica? E poi esso ci pare contrastare con: il valore erga omnes delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale; con il principio di affidamento nella legittimità dell’ordinamento giuridico; con il principio di economia processuale, perché indurrebbe ad una guerriglia permanente di contestazione delle norme avanti la Corte costituzionale, al fine di non incorrere nella tagliola della prescrizione.
Ciò detto, quanto al periodo prescrizionale, non può essere quello triennale dell’art. 112 t.u. 1124, anomalo e differenziato rispetto ad altri diritti previdenziali, parimenti diretti a sopperire al bisogno derivante dal venir meno della retribuzione e parimenti presidiati dall’art. 38 Cost., i quali, costituendo diritti fondamentali, sono imprescrittibili (CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino 2020, 267, il quale sottolinea la identità di funzione tra pensione e rendita). Tale considerazione è tanto più cogente nel regime attuale del d.lgs. 38/2000, che tutela la integrità psicofisica del lavoratore, diritto che più fondamentale di così non si può immaginare.
Esempi di diritti previdenziali imprescrittibili sono:
-pensione di vecchiaia (art. 129 r.d.l. 1827/1935; art. 6 l. 166/1991, i quali, stabilendo la prescrizione dei soli ratei pregressi, con ciò stesso presuppongono la imprescrittibilità del diritto (Cass. 23 marzo 1989 n. 1482);
-di anzianità (Cass. 27 maggio 2010 n. 12966; Cass. 26 giugno 2004 N. 11935);
-della indennità postsanatoriale (Cass. 4 aprile 1995 n. 3915; Cass. 1 dicembre 1994 n. 10286.
La giustificazione del diverso regime di estinzione per inerzia nell’esercizio del diritto alle rendite infortunistiche, che comporta l’estinzione non solo dei ratei pregressi, bensì dell’intera rendita, anche per il futuro, risiede nella asserita necessità di accertamento precoce delle circostanze di fatto necessarie per l’insorgere del diritto, quali la natura della lesione ed il suo nesso causale con l’attività lavorativa (Corte cost. 18 gennaio 1977 n. 31; 31 maggio 1983 n. 145; 7 luglio 1999 n. 297, con le argomentazioni aggiuntive cennate).
Ma qui non si tratta di accertare il nesso causale o la natura delle lesioni, bensì il diritto ai ratei derivanti dal ricalcolo della rendita già costituita, secondo i criteri stabiliti dalla Corte costituzionale.
Secondo la giurisprudenza di legittimità e l’ Istituto assicuratore, ove non sussista la ratio della prescrizione breve, costituita dall’esigenza di accertamento precoce, non si applica il termine dell’art. 112, bensì i normali termini codicistici, e cioè quelli decennali dell’art. 2946 c.c., decorrenti a ritroso dalla domanda:
-per la integrazione a carico dell’Inail della rendita erogata dall’istituzione belga per i minatori italiani affetti da silicosi contratta nelle miniere di quel Paese (Cass. 15 dicembre 2009 n. 26238; Cass. 14 agosto 2008 n. 21674; circ. Inail 13 aprile 2020 n. 13);
-per la maggior rendita in sede di revisione, una volta osservato il termine di decadenza (Cass. Sez. un. 10 luglio 2003 n. 10839; vedi però per gli sviluppi giurisprudenziali successivi DE MATTEIS, Infortuni cit. 491).
E’ da notare che l’azione di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c. del lavoratore contro il datore di lavoro per il danno differenziale da infortunio sul lavoro o malattia professionale, per la quale sussiste la medesima esigenza di accertamento precoce, è soggetta a prescrizione decennale (Cass. 21 febbraio 2004 n. 3498 e successive).
Anche le azioni di recupero delle prestazioni indebitamente erogate dell’ Istituto assicuratore sono soggette a prescrizione decennale.
Più in generale si applica la prescrizione decennale ai ratei di prestazioni previdenziali ed assistenziali non liquidati (Cass. sez. un. 8 settembre 2015 n. 17742; idem 25 luglio 2002 n. 10955, in Foro it. 2003, I, 879; Cass. 9 febbraio 2016 n. 2563); trattasi di giurisprudenza consolidata da più di ottanta anni, confermata da Corte cost. 17 maggio 1989 n. 293, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 11 legge 67/1988 che quella disciplina aveva modificato.
Viceversa la prescrizione quinquennale decorre solo per i ratei già posti in liquidazione, intendendosi per tali le somme messe a disposizione dell’avente diritto e non riscosse (come precisa Cass. 23 marzo 2001 n. 4248; circ. Inail 13/2020 cit.).
In base alle considerazioni che precedono, e confortati dalla identica posizione degli Istituti previdenziali (circ. Inail 18/1994 e 13/2020 cit.; circ. Inps 24 luglio 1989 n. 164, secondo cui la prescrizione decennale deve trovare applicazione anche nei casi di liquidazione o ricostituzione di pensione conseguenti a sentenze della Corte costituzionale), a noi sembra che il diritto al ricalcolo della rendita secondo la formula Gabrielli rientra nella prescrizione decennale decorrente dalla domanda relativa ai singoli ratei di rendita, anche precedenti alla sentenza della Corte cost. 63/2021.
E’ ben vero che le decisioni di accoglimento della Corte, dichiarative della illegittimità di una norma in parte qua, si applicano ai rapporti pregressi che non siano esauriti per prescrizione, ma il rapporto previdenziale costituito dalla rendita riconosciuta dall’Inail non è soggetto a prescrizione, mentre per quanto riguarda la maggiorazione derivante dalla sentenza 63 costituisce bisticcio logico la prescrizione di un diritto non ancora nato.
Non sembrano invece pertinenti altri istituti, quali la revisione per errore e la revisione per miglioramento.
E’ vero che l’art. 9 d.lgs. 38/2000, nel disciplinare la revisione per errore, precisa che essa ricomprende “errori di qualsiasi natura”, e quindi, come sottolineato dalla dottrina, anche gli errori di diritto (sulla portata, in generale, della rettifica, come comprensiva degli errori di diritto, vedi L.LA PECCERELLA, Infortuni sul lavoro e malattie professionali-Le tutele dell’ assicurazione obbligatoria, Pisa, 2021, 238), quale sarebbe quello di un criterio medico legale diverso da quello indicato dalla legge. Deve però trattarsi di un errore di diritto diciamo così “statico”, rilevabile secondo la normativa del momento, e non di un errore sopravvenuto, derivante da una sentenza della Corte costituzionale; in tal caso, il regime è quello proprio della efficacia di tali sentenze. Anche la disciplina dell’art. 9 dei termini di prescrizione, decorrenti dalla data del provvedimento errato, sembra ritagliato su tale prospettiva.
Tanto meno sembra pertinente l’art. 83 t.u. 1124 sulla revisione per miglioramento, sia perché istituto dedicato al mutamento delle condizioni fisiche, di cui qui non si fa questione, sia perché termine non di prescrizione, ma di rilevanza del mutamento.
In conclusione riteniamo che la prescrizione del diritto al ricalcolo della rendita secondo la formula Gabrielli, statuito dalla sent. 63/2021, rientra nella prescrizione decennale decorrente a ritroso dalla domanda relativa ai singoli ratei di rendita anche precedenti alla sentenza della Corte cost. 63/2021 stessa.

 

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.