testo integrale con note e bibliografia

Eurostat EU Gender-based violence survey

report istat sulle molestie parte 1 

ilo - preventing and addressing violence

1. La (recente) attenzione del legislatore italiano verso il fenomeno della violenza sul luogo di lavoro.

Sebbene il diritto del lavoro abbia avuto a cuore, sin dalle origini, il tema della salute e sicurezza e benché non siano mancati, sin da allora, fenomeni di vessazione e sopruso sul luogo di lavoro (a danno soprattutto delle lavoratrici ), solo recentemente il legislatore italiano pare aver prestato una attenzione specifica al tema della violenza sul lavoro .
Il primo intervento normativo risale infatti al 2010, quando, en passant, e cioè all’interno di una legge per così dire “omnibus” (la l. n. 183/2010) e in modo settoriale, essendo l’obbligo rivolto solo al pubblico impiego , è stato espressamente imposto alle amministrazioni di rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno , anche grazie all’aiuto di organismi ad hoc a costituzione obbligatoria: i Comitati unici di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (i c.d. CUG) .
Dopo questo primo (e a ben vedere assai tardivo) exploit in materia, il legislatore ha deciso di tornato sul tema solo dieci anni più tardi – spinto dall’emergenza pandemica –, varando la l. n. 113/2020, nota come “legge antiviolenza”. Nonostante il nome, si è trattato tuttavia, ancora una volta, di una normativa settoriale. La legge in parola aveva infatti il fine di contrastare (attraverso l’istituzione di: un osservatorio ad hoc ; una giornata nazionale ; misure di prevenzione e, infine, sanzioni specifiche ) un fenomeno in realtà ben noto in Italia almeno dal 2007 e, cioè, quello delle aggressioni verso gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni .
La svolta arriva tuttavia l’anno seguente, con l’adozione di quella che può essere considerata la prima legge generale specificamente rivolta alla eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro: la l. n. 4/2021. A creare l’occasione è un input internazionale: dare ratifica ed esecuzione alla Convenzione OIL n. 190/2019 , adottata per tutelare i lavoratori sia dei settori privato e pubblico che dell’economia informale (indipendentemente dallo status contrattuale ), da tutte quelle “pratiche” e “comportamenti inaccettabili”, messi in atto o anche solo minacciati (persino una tantum) in occasione del lavoro, o in connessione con il lavoro o comunque scaturenti dal lavoro , in grado di causare alla vittima, anche a prescindere dall’animus nocendi del soggetto agente, un danno fisico, psicologico, sessuale o economico .
Nonostante la ratifica della Convenzione imponga all’Italia, dal 29 ottobre 2022 (data di entrata in vigore della l. n. 4/2021), una serie di obblighi [quali: i) mettere a disposizione dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle rispettive organizzazioni, nonché delle autorità competenti, misure adeguate e accessibili di orientamento, formazione e sensibilizzazione verso i fenomeni di violenza e molestie sul lavoro ; ii) introdurre politiche, strategie e divieti volti a prevenirli e reprimerli ; iii) predisporre non solo strumenti efficienti di monitoraggio e controllo , ma anche procedimenti di denuncia e meccanismi di ricorso, nonché di risoluzione delle controversie accessibili, sicuri, equi, effettivi ed efficaci ; iv) prevedere adeguati strumenti sanzionatori , risarcitori e di sostegno delle vittime ], in realtà, ad oggi, la normativa non ha avuto una implementazione specifica.
Il nostro legislatore, infatti, sebbene, successivamente al varo di tale importante atto, sia apparso (inevitabilmente) molto più attivo nel contrastare i fenomeni di violenza sul lavoro, anziché impegnarsi per “riempire di contenuto” la generalissima l. n. 4/2021, così da confezionare una normativa contro la violenza sul lavoro “ad ampio spettro”, ha preferito continuare, sulla scia del passato, ad adottare norme settoriali volte a prevedere alcune misure di tutela verso le categorie di lavoratori considerate più a rischio e, cioè: i lavoratori sportivi minorenni ; il personale scolastico ; i lavoratori stranieri vittime di intermediazione illecita e, come visto, i lavoratori dell’ambito sanitario, socio-sanitario, ausiliario e di assistenza e cura .
Se questo è sinteticamente lo sviluppo del quadro normativo nazionale di contrasto alla violenza sul lavoro, prima di interrogarsi sulla sua adeguatezza (lo si farà nel § 3), pare opportuno chiedersi quali siano le reali dimensioni del fenomeno.

2. I (pochi) dati sulla diffusione del fenomeno in Italia.

A ben guardare, nel nostro Paese i dati sulla diffusione della violenza sui luoghi di lavoro sono ancora molto scarsi. Questo perché fino all’emanazione della l. n. 4/2021 il monitoraggio del fenomeno da parte dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) è apparso saltuario e graduale. Quest’ultimo infatti, per costruire una casistica di riferimento, ha introdotto nell’ambito delle indagini sulla sicurezza dei cittadini, dapprima (id est nei periodi: 1997-1998, 2002 e 2008-2009), un modulo dedicato alle violenze a sfondo sessuale, poi (nel 2016), un modulo più specifico sui ricatti sessuali sul luogo di lavoro, per finire, infine, solo nel 2018, col redigere una indagine ad hoc sulle molestie e i ricatti sessuali sul lavoro . Dopodiché l’ISTAT non si è più occupato del tema sino al 1° luglio 2024 quando, sulla scia della l. n. 4/2021, ha pubblicato un rapporto intitolato “Le molestie: vittime e contesto anno 2022-2023” . Sebbene si tratti di un documento di non facile lettura, appare nondimeno assai prezioso.
Il primo dato utile riguarda la diffusione del fenomeno nel nostro Paese: sono ben 2 milioni e 322 mila (di cui l’81,6% donne) le persone tra i 15 e i 70 anni (sia del settore pubblico che privato) che dichiarano di aver subito, nel corso della vita, almeno un atto molesto sul luogo di lavoro (quali: proposte di immagini o foto dal contenuto esplicitamente sessuale; scherzi osceni di natura sessuale o commenti offensivi sul corpo o sulla vita privata; avances inappropriate, umilianti oppure offensive anche sui social; email o messaggi sessualmente espliciti e inappropriati; approcci fisici; inviti ad uscire offensivi, umilianti o implicanti richieste sessuali) .
Questo dato, già di per sé allarmante, lo è ancora di più se si considera che gli episodi di molestia non si configurano come casi isolati: l’80% delle donne e il 60% degli uomini vittime di molestia dichiarano infatti di averle subite ripetutamente e solo in un quinto dei casi a perpetrarle è stato un unico soggetto agente .
Ad aggravare la situazione, si aggiunge il fatto che le vittime sembrano denunciare di rado le molestie: solo il 14,9% delle donne e l’8,8% degli uomini dichiarano infatti di avere segnalato l’episodio al datore di lavoro o al superiore gerarchico .
Come se non bastasse, l’86,4% dei soggetti analizzati nel rapporto qui considerato rileva la completa mancanza nel proprio luogo di lavoro di un canale di denuncia e/o supporto .
Alla luce di questi importanti dati circa la diffusione del fenomeno, viene spontaneo chiedersi se la legislazione di cui si è detto nel § 1 sia sufficiente a contrastarlo.

3. Le principali criticità in prospettiva de iure condendo.

Sebbene, come acutamente osservato, la violenza sia «un fenomeno sistemico che si manifesta in forme differenti a seconda delle circostanze socio-culturali del contesto nel quale si verificano» , è vero anche che, come visto supra, grazie alla Convenzione OIL n. 190/2019, esiste oggi una definizione potenzialmente universale di violenza nel mondo del lavoro. Lo è, come visto, qualunque pratica o comportamento inaccettabile, messo in atto o anche solo minacciato, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente, in occasione del lavoro, o in connessione con il lavoro o comunque scaturente dal lavoro, che si prefigga, causi o possa causare alla vittima un danno fisico, psicologico, sessuale o economico.
Ciò detto è vero anche che, a causa della genericità della suddetta Convenzione, e nonostante la ratifica da parte dell’Italia, manca ancora nel nostro Paese una specifica ed omogenea protezione normativa dei lavoratori verso tale fenomeno. Ne deriva che, legibus sic stantibus, i lavoratori sono ancora costretti a barcamenarsi tra le due principali fattispecie specificamente previste dal legislatore a tutela delle vittime di fenomeni di violenza sul lavoro e, cioè, le molestie e le ritorsioni , quando non addirittura a fare ricorso all’incerta figura, di invenzione giurisprudenziale, del mobbing .
Da qui le criticità, posto che, a ben guardare, molestie e ritorsioni sono ipotesi legali che l’ordinamento italiano non solo “frantuma” in sotto-figure, ma avverso le quali accorda, come noto, anche differenti livelli di protezione.
A leggere le norme appare infatti chiaro che i lavoratori più tutelati sono quelli vittime di molestie (e, cioè, di comportamenti indesiderati aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona o di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo) a carattere sessuale o discriminatorio (e, cioè, connesse al sesso, la razza, l’origine etnica, la religione, le convinzioni personali, l’handicap, l’età, la nazionalità, l’orientamento sessuale) . Questo perché il nostro legislatore, equiparando espressamente entrambe queste tipologie di molestia alle discriminazioni , finisce per estendere loro la sofisticata normativa di cui ai decreti legislativi nn. 215/2003, 216/2003 e 198/2006, tra cui occorre menzionare la previsione di una apposita tutela giurisdizionale comprensiva di una importante meccanismo di agevolazione probatoria .
Seguono, come livello di protezione, i lavoratori vittime di ritorsioni discriminatorie (cioè di comportamenti pregiudizievoli posti in essere quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento indipendentemente dal sesso, razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età, nazionalità, orientamento sessuale) a cui il nostro legislatore, pur non accordando l’intera protezione contenuta nella normativa antidiscriminatoria, estende nondimeno l’importante tutela giurisdizionale a favore della vittime di discriminazioni di cui si è detto supra .
Scendendo nella scala di protezione, incontriamo le vittime di ritorsioni subite a seguito un reclamo o di un procedimento, anche non giudiziario, iniziato al fine di garantire il rispetto del diritto a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili così come riconosciuto dai decreti legislativi nn. 152/1997 e 104/2022 . Anche a favore di tali vittime l’ordinamento prevede, infatti, un meccanismo di agevolazione probatoria, seppur inferiore rispetto a quello di cui si è detto supra .
I meno tutelati appaiono, infine, i lavoratori vittime di molestie non discriminatorie (ad esempio derisi fino allo sfinimento a causa di un aspetto trasandato), o di ritorsioni diverse da quelle nominate supra e, cioè, non legate a ragioni discriminatorie o ad azioni volte a garantire il rispetto del diritto a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili (ad esempio penalizzati in un avanzamento di carriera per aver richiesto l’anticipo del trattamento di fine rapporto) o, ancora, vittime di atti persecutori (il c.d. mobbing). Infatti, a causa della mancata messa a terra della l. n. 4/2021, tali lavoratori, benché vittime di violenza ai sensi della Conv. OIL n. 190/2019, finiscono per disporre, per difendersi sul piano civilistico , solo delle generali disposizioni codicistiche sulla illiceità dei fatti (ex artt. 2043 c.c.) e degli atti (ex art. 1345 c.c. in combinato disposto con l’art. 1324 c.c. ), id est di norme che, a ben guardare, non prevedono alcuno strumento di favor verso le vittime.
Da qui l’irragionevolezza dell’impianto normativo attuale che, come visto, offre livelli di protezione delle vittime diversificati a ipotesi che, dando, come detto, vita ad atti violenza ai sensi della Conv. OIL n. 190/2019, risultano, in realtà, tutte lesive del medesimo bene della vita del lavoratore: la sua dignità e, cioè non “un”, ma “il” valore fondante l’ordinamento giuridico in quanto «precondizione per l’auto-identificazione del soggetto e il pieno sviluppo della [sua] personalità» .
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, qualora si concordi con la presente ricostruzione, non si può che convenire sulla necessità di un intervento legislativo che proceda nel senso di un ripensamento dell’intero sistema italiano di protezione dei lavoratori dai fenomeni di violenza.

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