testo integrale con note e bibliografia
1. PREMESSA
L’ordinanza in esame, di per sé piana rispetto agli orientamenti interpretativi dell’ultimo decennio sull’argomento, ci dà l’avvio per richiamare un quadro di insieme dell’evoluzione della normativa giuslavoristica e di quella degli aspetti tecnici applicativi relativi ai controlli a distanza, da sempre controversa a motivo di una disciplina che negli anni si è rivelata inadeguata rispetto all’evoluzione tecnologica e alla necessità di contemperare gli interessi del datore di lavoro con il diritto alla riservatezza dei lavoratori.
In tale contesto e in un’ottica di bilanciamento di tali contrapposte esigenze, con la sentenza in esame la Cassazione ha confermato l’utilizzabilità di quanto emerso dai controlli “c.d. preterintenzionali” , ai fini della legittimità dell’applicazione di una sanzione disciplinare da parte di una Fondazione datrice di lavoro verso un proprio lavoratore, dopo essere venuta a conoscenza dei fatti commessi dal dipendente visualizzando le immagini delle telecamere installate nell’istituto scolastico.
Nello specifico, la Suprema Corte ha confermato la legittimità della sanzione irrogata in quanto:
- le telecamere risultavano collocate in luoghi adiacenti a quelli di svolgimento dell’attività lavorativa;
- il loro utilizzo risultava finalizzato alla salvaguardia degli utenti e/o clienti, ovvero a preservare i beni aziendali da attività illecite;
- l’installazione dell’impianto di videosorveglianza era avvenuta previa sottoscrizione di specifico accordo sindacale ai sensi dell’art. 4, L. n. 300/70.
2. L’ORDINANZA DELLA SUPREMA CORTE N. 8375/2023
IL CASO
Un impianto di videosorveglianza, posto all'interno di un istituto scolastico, riprendeva un educatore professionale che, a fronte del rifiuto di alcuni alunni di rientrare nelle loro aule, afferrava uno di questi per la maglietta e, nel trascinarlo verso l'ascensore, ne causava la caduta a terra.
Tale condotta subiva l’aggravante dell’essersi poi l’educatore rivolto alla madre dell’alunno con toni accesi e poco educati.
La Fondazione datrice di lavoro avviava nei confronti dell’educatore un procedimento disciplinare, all’esito del quale comminava la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 10 giorni.
Ritenendo tale sanzione illegittima, infondata e discriminatoria, il dipendente la impugnava dinanzi al Tribunale di Aosta, il quale derubricava la sanzione nella multa di 3 ore.
La Corte d’Appello di Torino, dinanzi alla quale la Fondazione presentava ricorso chiedendo l'integrale riforma della sentenza di 1° grado:
- accoglieva tale richiesta, ritenendo la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 10 giorni legittima sia nell'an che nel quantum;
e, nel contempo
- respingeva la richiesta di annullamento della predetta sanzione disciplinare proposta con appello incidentale dal lavoratore.
LA PRONUNCIA
La Cassazione, a cui ricorreva il dipendente, con l’ordinanza in esame ha confermato la legittimità dell’utilizzo delle riprese del sistema di videosorveglianza, ai fini della contestazione di un illecito disciplinare, in quanto, in attuazione di quanto previsto dall’art. 4, L. n. 300/70, le telecamere erano state installate per esigenze di sicurezza sul lavoro e previa sottoscrizione di un accordo sindacale.
In sintesi, a parere della Suprema Corte, “per valutare il legittimo esercizio del potere disciplinare, sono utilizzabili le riprese eseguite da un impianto di videosorveglianza destinato a soddisfare esigenze di sicurezza e collocato, previo accordo sindacale, in spazi accessibili anche a personale non dipendente e non deputati ad accogliere postazioni di lavoro; tra le ragioni di sicurezza, vanno comprese anche quelle di un istituto scolastico rispetto alla tutela degli studenti (fattispecie rientrante nell'ambito d'applicazione dell'art. 4, comma 2, legge n. 300/1970, nella versione anteriore alle modifiche di cui all'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 151/2015)”.
3. IL CONTROLLO A DISTANZA. LA DISCIPLINA VIGENTE FINO AL 23.09.2015
3.1. La previgente formulazione dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori
Come noto, le disposizioni normative attuate dal Legislatore degli anni ‘70 risultano improntate a garantire la massima tutela dei lavoratori, a fronte di un previgente periodo storico in cui l’organizzazione del lavoro era retta da stretti criteri gerarchici, a fronte di salari contenuti.
In tale contesto lo Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/70) modifica i parametri del diritto del lavoro, limitando i poteri del datore di lavoro e ampliando e rafforzando i diritti individuali dei lavoratori (diritto di manifestazione del pensiero , divieti di controlli occulti, divieto di indagini sulle opinioni, diritti di difesa nell’ambito delle procedure disciplinari, tutela reale del posto di lavoro), dando altresì attuazione al principio della libertà sindacale nei luoghi di lavoro anche attraverso la nomina di Rappresentanti Sindacali aziendali.
Per quanto concerne la disciplina sul controllo a distanza dei lavoratori, l’art 4 della L. n. 300/70 - nella sua originaria formulazione - prevedeva 2 livelli di protezione della sfera privata del lavoratore:
- un divieto assoluto dell’uso “di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”: ciò al fine di salvaguardare e proteggere la dignità del lavoratore (comma 1);
- un controllo affievolito, previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, di autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro, qualora ricorressero “esigenze organizzative e produttive” e/o legate alla “sicurezza sul lavoro” (comma 2).
Muovendo da tali presupposti, la giurisprudenza del periodo definiva l’ambito di operatività della norma, individuando i confini del divieto sancito dal comma 1 e delineando il contesto di applicabilità del comma 2, sul presupposto che il controllo a distanza mediante apparecchiature esterne potesse essere anche meramente potenziale.
Il progressivo e rapido sviluppo della tecnologia che ha investito gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, e che ha prodotto molteplici applicazioni nell’ambito del rapporto di lavoro, ha comportato un più diffuso intervento della giurisprudenza di merito, che si è focalizzato prevalentemente sulla legittimità dell’installazione dei sistemi elettronici di rilevazione delle presenze, che ha comportato un’attenuazione del divieto posto dall’art. 4 in relazione a tali sistemi.
La Pretura di Milano con sentenza del 12/07/1988 ha disposto che “(..) È legittima l'installazione di un sistema elettronico di rilevazione delle presenze del personale in azienda, attivato dagli stessi dipendenti mediante l'inserimento di tesserini magnetici, che consenta l'elaborazione e la registrazione dei dati relativi al profilo orario di ogni dipendente e la trasmissione dei tabulati all'ufficio personale ai soli fini della gestione contabile ed amministrativa, ove risulti accertato in punto di fatto che tale sistema non consente alcun tipo di controllo a distanza dell'attività lavorativa tale da compromettere la riservatezza e la dignità dei lavoratori, in violazione dell'art. 4 St. lav., e che il datore di lavoro non abbia in concreto svolto indagini vietate dall'art. 8 St. lav..
L'operatività del divieto di cui all'art. 4 comma 1 legge n. 300 del 1970 postula l'uso di un'apparecchiatura esterna, che operi autonomamente senza l'intervento determinante del lavoratore, che si suppone controllato. (Nella specie, è stata ritenuta lecita l'installazione di un sistema elettronico di rilevazione delle presenze del personale, giacché tale sistema, da un lato, riguarda dati del tutto estrinseci rispetto alla prestazione di attività lavorativa, dall'altro, è attivato di volta in volta da ciascun lavoratore con l'inserimento del suo tesserino magnetico).
La Pretura di Napoli circa 2 anni dopo con sentenza del 15.03.1990 confermava che “L'attività alla quale fa riferimento l'art. 4 l. 20 maggio 1970 n. 300 - che vieta l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature che consentono il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori - è specificamente l'attività lavorativa. Pertanto, deve intendersi controllo a distanza vietato da tale norma o, quanto meno da sottoporre a verifica, quello che venga esercitato sul concreto svolgimento dell'operato del dipendente. Il divieto di cui all'art. 4 legge n. 300 del 1970 postula l'uso di un'apparecchiatura esterna che operi automaticamente, senza l'intervento del lavoratore che si suppone controllato. (Nella specie, è stata ritenuta lecita l'installazione di un sistema di rilevazione delle presenze, perché tale sistema, da un lato riguarda dati del tutto estrinseci rispetto alla prestazione lavorativa, dall'altro, è attivato, di volta in volta, da ciascun dipendente mediante l'inserimento di un tesserino magnetico).
3.2. I controlli “c.d. difensivi”
Durante la previgente disciplina erano invece rimasti fuori dall’ambito di operatività dell’art. 4 i controlli “c.d. difensivi”, aventi ad oggetto comportamenti illeciti dei lavoratori e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale. Ciò in ragione del fatto che le disposizioni dello Statuto dei lavoratori non precludevano al datore di lavoro di controllare, direttamente o mediante la sua organizzazione gerarchica o mediante soggetti terzi, l'adempimento della prestazione di lavoro da parte dei lavoratori, al fine di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione.
La Suprema Corte disponeva infatti che “Le norme poste dagli art. 2 e 3 della l. 20 maggio 1970 n. 300 a tutela della libertà e dignità del lavoratore, delimitando la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi, con specifiche attribuzioni nell'ambito dell'azienda (rispettivamente con poteri di polizia giudiziaria a tutela del patrimonio aziendale e di controllo della prestazione lavorativa) non escludono il potere dell'imprenditore ai sensi degli art. 2086 e 2104 c.c., di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità del controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all'art. 4 della stessa legge n. 300 del 1970, riferito esclusivamente all'uso di apparecchiature per il controllo a distanza (non applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato). Sono pertanto legittimi, in quanto estranei alle previsioni delle suddette norme, i controlli posti in essere da dipendenti di un'agenzia investigativa i quali, operando come normali clienti e non esercitando potere alcuno di vigilanza e di controllo, verifichino l'eventuale appropriazione di denaro (ammanchi di cassa) da parte del personale addetto, limitandosi a presentare alla cassa la merce acquistata, a pagare il relativo prezzo e a constatare la registrazione della somma incassata da parte del cassiere (..) cfr. Cass n. 828/1992.
Le successive sentenze sul tema pronunciate dalla fine degli anni ‘90 – che partivano dal presupposto di non violare il divieto di controllo diretto sull'attività lavorativa e l'obbligo preventivo di accordo sindacale o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro – affermarono il principio dell'inapplicabilità delle garanzie dello Statuto per soddisfare le finalità di “tutela del patrimonio aziendale”, sul presupposto che non ne derivasse anche la possibilità del controllo a distanza dell'attività lavorativa, né risultasse in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori (cfr. Cass., n. 15892/2007; Cass., n. 4375/2010; Cass., n. 6498/2011; Cass., n. 2722/2012; Cass., n. 22662/2016).
4. IL CONTROLLO A DISTANZA. LA DISCIPLINA INTRODOTTA DAL D. LGS. 151/2015 (CD. “JOB ACT”), IN VIGORE DAL 24.09.2015
4.1. Le modifiche apportate dall’art. 23, D.lgs. n. 151/2015
Nel 2015, in un ampio contesto di riforma del mercato del Lavoro, lo sviluppo della tecnologia e la digitalizzazione dell’attività lavorativa hanno indotto il legislatore a modificare il dettato normativo dell’art. 4, stabilendo un diverso bilanciamento delle 2 posizioni facenti capo al rapporto di lavoro che la norma considera.
In particolare, la nuova formulazione dell’art 4:
- da un lato, ha consentito al datore di lavoro di ampliare la facoltà di un controllo a distanza sull’attività lavorativa;
- dall’altro, ha confermato la tutela accordata al lavoratore, quale soggetto controllato, garantendogli appunto il diritto di essere informato sulle modalità di attuazione del controllo a distanza.
L’art. 23, D.lgs n. 151/2015, nell’abrogare il comma 1 dell’art. 4 sul divieto generale di controllo a distanza, ha previsto che gli impianti e gli strumenti audiovisivi, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori , possano essere:
- impiegati solo per determinate esigenze organizzative e produttive e di sicurezza sul lavoro, cui si è aggiunta la tutela del patrimonio aziendale; ed
- installati solo previo accordo collettivo stipulato con le RSU o le RSA ovvero con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni o, in mancanza di accordo, previa autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Rispetto alla previgente formulazione, il legislatore del 2015 apporta dunque all’art. 4 le seguenti modifiche:
- sopprime il comma 1, che vietava in assoluto “l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”;
- esclude dall’ambito di applicazione dell’art. 4 gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze ;
prevede al comma 3, la possibilità di utilizzare le informazioni acquisite a seguito di controllo, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata ed esaustiva informazione, nel rispetto della normativa in materia di privacy (D.lgs. n. 196/03) e dei principi che governano il trattamento dei “dati personali”, ossia la liceità, la correttezza, etc. A tal proposito il datore di lavoro è obbligato a fornire a tutti i dipendenti una Policy esaustiva circa le finalità dell’installazione, le caratteristiche di detti sistemi, le modalità d’uso di effettuazione dei controlli, i dati conservati e i soggetti abilitati ad accedervi, nonché le modalità e i tempi di conservazione dei dati stessi e le eventuali sanzioni che potranno essere comminate al dipendente/trasgressore .
A seguito della riforma dell’art 4 ad opera del Jobs Act, in merito ai controlli “c.d. difensivi”, la giurisprudenza ha poi introdotto una distinzione tra i “controlli a difesa del patrimonio aziendale” - che riguardano tutti i dipendenti nello svolgimento della loro prestazione e che debbono essere realizzati nel rispetto dell'art. 4 St. Lav., e "controlli difensivi in senso stretto”, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili - in base a concreti indizi – ad uno o più dipendenti determinati.
Questi ultimi, pur collocandosi al di fuori del perimetro delineato dall'art. 4 Stat. Lav., potranno essere legittimi (in quanto controlli mirati) solo se attuati ex post, ossia a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto.
La Cassazione infatti precisa che “(..) Sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto. Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell'art. 4 l. n. 300/1970, in particolare dei suoi commi 2 e 3.(..)” cfr Cass., n. 25732/2021.
Sul piano dell’onere della prova, la Corte sostiene che incomba “(..) sul datore di lavoro l'onere di allegare prima e provare poi le specifiche circostanze che lo hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, considerato che solo tale “fondato sospetto” consente al datore di lavoro di porre la sua azione al di fuori del perimetro di applicazione diretta dell'art. 4 Stat. lav. (..)” cfr. Cass n.18168/2023.
5. FOCUS SUGLI STRUMENTI DI LAVORO E ALTRI SISTEMI
5.1. La videosorveglianza
Come accennato, l’ordinanza in esame ritiene utilizzabili a fini disciplinari le riprese eseguite da un impianto di videosorveglianza destinato a soddisfare esigenze di sicurezza, e collocato, previo accordo sindacale, in spazi accessibili anche a personale non dipendente e non deputati ad accogliere postazioni di lavoro.
Ricordiamo che in situazioni che si basano su tali presupposti, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro:
1) con nota n. 2572 del 14.04.2023 ha confermato che:
- l’installazione di un impianto audiovisivo o di altri strumenti da cui possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori va necessariamente preceduta dall’accordo collettivo con le RSA e/o RSU presenti;
- la richiesta di autorizzazione all’Ispettorato del Lavoro ha natura eventuale (dovrà essere inoltrata solo in caso di mancato accordo o di assenza di RSA/RSU);
- la mancanza di tale accordo o di autorizzazione non puo’ essere sostituita dall’eventuale consenso, seppur informato, dei singoli lavoratori;
2) con circolare n. 5/2018 aveva già stabilito che:
- la ripresa dei lavoratori deve avvenire in via incidentale e con carattere di occasionalità senza precludere, se sussistono ragioni giustificatrici, l’inquadramento diretto sull’operatore;
- non è necessario specificare il posizionamento e il numero delle telecamere, allegando le planimetrie;
- l’accesso alle immagini registrate, sia da remoto che “in loco”, deve essere necessariamente tracciato anche tramite apposite funzionalità che consentano la conservazione dei “log di accesso” per un congruo periodo, non inferiore a sei mesi;
- l’accesso da postazione remota alle immagini “in tempo reale” deve essere autorizzato solo in casi eccezionali debitamente motivati;
- non deve essere richiesta l’autorizzazione in caso di installazione di telecamere in zone esterne, estranee alle pertinenze della ditta nelle quali non è prestata attività lavorativa.
5.2. Il computer aziendale e la posta elettronica
Nei casi di licenziamento di dipendenti motivati da un uso improprio del pc e della posta elettronica, emerso a seguito di controlli su tali strumenti, la giurisprudenza ha escluso gli adempimenti di natura sindacale o amministrativa previsti al comma 1 del nuovo articolo 4, laddove lo strumento sia concretamente impiegato dal dipendente nello svolgimento delle mansioni. In tal caso, i dati raccolti possono essere utilizzati dal datore a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, ivi compreso quello disciplinare, purché sia stata fornita al lavoratore adeguata informazione sulle modalità d’uso di tale strumentazione e di effettuazione dei controlli, mediante predisposizione di apposita Policy (su tale aspetto, cfr supra).
In proposito con sentenza del 24.03.2017 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi sulla illegittimità e inefficacia del licenziamento comminato ad una dipendente, ha precisato che devono considerarsi strumenti di lavoro la posta elettronica e il pc concessi in un uso alla dipendente con mansioni di impiegata amministrativa, in quanto beni necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa. Abbiamo giurisprudenza più recente, e soprattutto di legittimità?
A tal fine “(…) Ciò che rileva è che lo strumento sia nella disponibilità del dipendente e da questi effettivamente utilizzato nell'adempimento della prestazione, diversamente da quanto avviene con gli strumenti di controllo di cui all'art. 4, comma 1, rispetto ai quali il lavoratore è invece, sempre soggetto passivo (…)”.
Pertanto, partendo dalla distinzione tra strumenti di lavoro e strumenti di controllo, l'uso degli strumenti informatici deve essere assimilato ad un mero strumento di lavoro messo a disposizione del lavoratore per rendere la prestazione; quindi i computer, i tablet ed i cellulari devono essere considerati come i moderni attrezzi di lavoro utilizzabili senza autorizzazione nel caso in cui vengano attribuiti al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa oggetto del contratto di lavoro (..)”. .
5.3. I sistemi di Geolocalizzazione
In tema di geolocalizzazione sia l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (circolare 2/2016) che il Garante privacy (provvedimento del 16.03.2017) hanno disposto che i sistemi di geolocalizzazione rappresentano un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro in quanto non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma, per rispondere a esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro.
Ne consegue che, in tali casi, si applica il comma 1 dell’art. 4 St. lav. e, pertanto, i GPS possono essere installati solo previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale ovvero, in assenza di tale accordo, previa autorizzazione da parte dell’INL.
Solo qualora i sistemi di localizzazione siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (e cioè la stessa non possa essere resa senza ricorrere all’uso di tali strumenti), ovvero l’installazione sia richiesta da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare (es. uso dei sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a euro 1.500.000,00, ecc.) i GPS sono veri e propri strumenti di lavoro.
6. la recente pronuncia del Garante privacy sulla conservazione dei metadati delle email dei dipendenti
Un breve considerazione finale sul recente documento di indirizzo sui “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento di metadati” del Garante Privacy.
Partendo dal presupposto che la casella di posta elettronica debba considerarsi uno strumento di lavoro, necessario allo svolgimento della prestazione lavorativa, ha destato forte preoccupazione e dubbi di fondatezza giuridica il provvedimento (sopra citato) secondo il quale i datori di lavoro non possono conservare i metadati delle email dei dipendenti oltre un periodo di tempo estremamente breve, 7 giorni (estensibili, in presenza di comprovate e documentate esigenze, di ulteriori 48 ore).
Una conservazione più estesa, ad avviso del Garante Privacy, potrebbe integrare un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e necessitare, pertanto, del previo espletamento delle garanzie previste dall’art. 4, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori.
L’impatto di tale provvedimento sull’organizzazione aziendale ha comportato l’inoltro al Garante di numerose richieste di chiarimenti da parte delle diverse Associazioni di categoria, che ha indotto il medesimo:
- a differire l’efficacia del documento di indirizzo
nonché
- a promuovere una consultazione pubblica di 30 giorni sulle forme e modalità di utilizzo che renderebbero necessaria una conservazione dei metadati superiore a quella ipotizzata nel documento di indirizzo.
Basterà la pubblica consultazione a modificare una posizione poco comprensibile adottata dal Garante, secondo la quale la posta elettronica non rientrerebbe più nell’ambito degli strumenti di lavoro, bensì nel campo di applicazione dell’art. 4, comma 1 dello Statuto dei Lavoratori?
E’ necessario che tutti gli stakeholders si sentano coinvolti e intervengano sulla questione.