testo integrale con note e bibliografia

1. La prevenzione del rischio negli artt. 2086 e 2087 c.c.

Poiché il mio intervento riguarda la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro – che, nell’economia del codice civile, si riconnette all’art. 2087 e non all’art. 2086 – si potrebbe essere indotti a pensare che, al di là della sua persistente e drammatica attualità, questo tema sia eccentrico rispetto alle questioni trattate in questo convegno.
Senonché, con l’art. 2087 il nuovo art. 2086 pare condividere una stessa ratio al di là delle differenti e specifiche finalità e del diverso raggio d’azione: quella della prevenzione organizzata del rischio.
Un aspetto su cui la disciplina della sicurezza sul lavoro può fornire spunti interessanti per l’odierno dibattito e non solo con riferimento al tema, ovviamente importantissimo, del rilievo dei modelli di organizzazione e di gestione e del loro collegamento con il d.lgs. 231/2001, su cui tornerò.
Probabilmente proprio la sicurezza sul lavoro rappresenta la parte più delicata e sensibile di quella “linea di faglia” evocata da Pietro Ichino nella sua introduzione a questo convegno a proposito della natura dei limiti apposti alla libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. e del dibattito tra funzionalizzazione o meno dell’attività di impresa . Non dovendosi trascurare che, in questa materia, sul rilievo dell’interesse tutelato gioca un ruolo significativo la stessa tutela penale.
Ovviamente i rischi evocati dall’art. 2086 c.c. e dall’art. 2087 c.c. sono ben diversi. Nell’un caso legati alle prospettive di sostenibilità economica ed alla continuità aziendale, dietro cui peraltro si celano altri rischi, come quelli occupazionali o quelli connessi agli interessi degli azionisti. Nell’altro caso rischi che mettono a repentaglio valori assoluti come la vita, l’integrità psico-fisica e la dignità delle persone che lavorano.
E, tuttavia, nonostante la sintetica formulazione dell’art. 2087 c.c., da quando il nostro ordinamento si è conformato, prima con il d.lgs. n. 626/1994 e ora con il d.lgs. n. 81/2008, ai principi della direttiva quadro 89/391/CEE là dove impone di adeguare il lavoro (e quindi l’organizzazione) all’uomo , pare difficile leggere lo stesso art. 2087 in una chiave che non sia organizzativa (come su altro versante accade per l’art. 2086).
Infatti, malgrado le innegabili differenze dell’art. 2087 c.c. con il d.lgs. n. 81/2008 – come emerge chiaramente con riferimento alla dimensione sanzionatoria, che è civilistica nell’un caso e pubblicistica (essenzialmente penalistica ) nell’altro – e sebbene l’art. 2087 c.c. costituisca una norma di chiusura del sistema (come accaduto ad esempio nel caso del mobbing ), oggi l’obbligo di sicurezza che grava sull’imprenditore non può essere altro che la risultante di un sistema circolare nel quale interagiscono reciprocamente la norma generale (l’art. 2087 c.c.) e le norme speciali (il d.lgs. n. 81/2008) . Con l’effetto che nel momento in cui gli stessi criteri dell’art. 2087 c.c. hanno illuminato il principio di prevenzione accolto dall’art. 2, lett. n, del d.lgs. n. 81/2008 – che la definisce infatti come «il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno» – la luce che ne scaturisce tende a riflettersi sulla stessa norma da cui sono stati originati esaltandone, al di là di quella risarcitoria, soprattutto la funzione prevenzionistica in un’ottica peraltro organizzata.

2. L’interazione/integrazione tra art. 2087 c.c. e d.lgs. n. 81/2008

In effetti, sebbene l’art. 2087 c.c. non si sia totalmente immedesimato nel d.lgs. n. 81/2008, né ne sia stato assorbito, sarebbe arduo negare che la necessaria interazione/integrazione tra le due fonti normative non si ripercuota sulla loro interpretazione, con particolare riferimento a quella codicistica.
Ciò vale per il suo richiamo ad un «imprenditore» che sempre più corrisponde al datore di lavoro per la sicurezza cui si rivolge l’art. 2, lett. b, del d.lgs. n. 81/2008 .
E vale anche per l’«integrità fisica» tutelata dall’art. 2087 c.c. che non può non commisurarsi con il concetto di salute che il d.lgs. n. 81/2008 definisce come «completo stato di benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità» , evocando pertanto, con il richiamo al benessere sociale, l’altro oggetto protetto dall’art. 2087 c.c., vale a dire quella «personalità morale» che, superate le originarie incrostazioni ideologiche, mira a tutelare la dignità della persona che lavora .
Focalizzando un aspetto ancor più pertinente al tema del nostro convegno, l’integrazione tra le due fonti emerge soprattutto per quanto concerne l’oggetto dell’obbligo dell’art. 2087 c.c., vale a dire l’adozione delle misure prevenzionistiche alla luce dei tre criteri posti dalla norma in relazione a cui si avverte tutta l’importanza dell’obbligo della valutazione dei rischi posto dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008.
Infatti, in linea con il d.lgs. n. 81/2008, tali misure di prevenzione non possono non scaturire dalla valutazione dei rischi e dal suo relativo documento ed essere adottate e aggiornate secondo un metodo procedimentale che ne garantisca l’attuazione e la tracciabilità, nonché nel rispetto del principio organizzativo sottostante a tutto lo stesso d.lgs. n. 81/2008.
Così come sul criterio della «tecnica» evocato dall’art. 2087 c.c. si riflette l’eco dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008 quando prevede l’aggiornamento della valutazione dei rischi e delle misure di prevenzione in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione. Il che vale anche per la relazione tra lo stesso obbligo di aggiornamento della valutazione dei rischi e delle misure preventive a seguito di infortuni significativi, da un lato, e, dall’altro lato, il criterio codicistico dell’«esperienza», che si riferisce appunto ai fatti già accaduti, agli infortuni e ai quasi infortuni già verificatisi, ai rischi già valutati, ai rimedi già adottati.
Infine, è lo stesso criterio della «particolarità del lavoro» a risultare intimamente connesso con l’obbligo di valutare tutti i rischi posto dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008, e ciò tanto dal punto di vista oggettivo, con riferimento al tipo di attività, al tipo di lavorazione ed ai rischi insiti nell’ambiente di lavoro, quanto in senso soggettivo in relazione ai rischi legati a particolari condizioni dei lavoratori, come il genere, la gravidanza, l’età, la provenienza da altri paesi o la tipologia contrattuale.

3. Il sistema di prevenzione aziendale organizzato nel d.lgs. n. 81/2008

Se poi si scende ad analizzare il monumentale edificio normativo del d.lgs. n. 81/2008 appare evidente come il legislatore del 2008 abbia accreditato un sistema di prevenzione aziendale non solo partecipato, ma anche e soprattutto organizzato.
Anzi, se c’è una parola chiave che contraddistingue la trama normativa del d.lgs. n. 81/2008, questa è senz’altro la parola “organizzazione”, la quale viene in luce in un duplice senso, tanto come problema quanto come soluzione del medesimo.
L’“organizzazione problema” è l’organizzazione del lavoro, la quale costituisce la principale fonte dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, come emerge dalle definizioni del d.lgs. n. 81/2008 di lavoratore , di datore di lavoro e di valutazione dei rischi che evocano l’organizzazione come ambito in cui operano i lavoratori.
L’“organizzazione soluzione” è il metodo organizzato mediante il quale il sistema di prevenzione aziendale deve essere concepito e strutturato dal datore di lavoro per prevenire al meglio i rischi. Il che non si evince solo dalla stessa definizione di prevenzione, la quale, parlando del complesso delle misure da adottare, lascia intendere come esse costituiscano un “insieme” che non può non essere adeguatamente predisposto, ma soprattutto dall’art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008 quando descrive in modo precettivo il contenuto del documento di valutazione dei rischi.
Quest’ultimo, infatti, oltre a contenere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa , deve anche:
- indicare le misure di prevenzione e di protezione attuate ed i dispositivi di protezione individuali adottati a seguito della valutazione ;
- indicare il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza ;
- individuare le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri , secondo la logica del “chi fa che cosa”;
- indicare il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio .
Se a ciò si aggiunge che:
- tutte le figure appena evocate sono analiticamente disciplinate sia per quanto riguarda i loro requisiti sia per quanto attiene ai loro compiti e che, in particolare, i soggetti che debbono provvedere a vario titolo alla gestione delle misure di prevenzione sono i dirigenti e i preposti, anch’essi specificamente definiti e disciplinati ,
- il datore di lavoro può a certe condizioni delegare proprie funzioni prevenzionistiche ad altri soggetti trasferendo in tal modo la connessa responsabilità penale, fermo restando il suo obbligo di vigilanza ,
- per quanto riguarda i preposti, il datore di lavoro è obbligato ad individuarli esplicitamente al fine di rendere maggiormente nitido il loro obbligo di vigilare sulle fasi esecutive delle lavorazioni ,
- come traspare dalla trama complessiva del d.lgs. 81/2008 e più specificamente dal già citato art. 28, comma 2, lett. d, l’attuazione delle misure di prevenzione adottate presuppone una procedimentalizzazione della loro attuazione, pare allora assai evidente come il legislatore indichi in modo precettivo un metodo per l’adempimento dell’obbligo di sicurezza che non può non essere organizzato e che si fonda sulla valorizzazione degli assetti dell’organigramma aziendale e sulla responsabilizzazione di tutti i suoi attori.
Dunque, gli obblighi e le responsabilità dei vari soggetti evocati dal legislatore emergono in quello che può definirsi il sistema di prevenzione aziendale oggi regolato dal Capo III del Titolo I del d.lgs. n. 81/2008 dedicato alla gestione della prevenzione.
Non a caso uso la parola “sistema” perché l’obbligo di sicurezza risulta inserito pienamente in un sistema articolato che richiede la partecipazione di più soggetti chiaramente individuati e che, per altro verso, postula l’adozione di procedure e comportamenti predeterminati dal legislatore da cui emerge l’esigenza e la visione dell’organizzazione della prevenzione.
Ma su ciò occorre una precisazione.

4. Sistema di prevenzione organizzato e principio di effettività

Come è noto, il diritto della sicurezza sul lavoro ha sempre fatto leva su di un principio ordinatore della responsabilità, penale e civile: il principio di effettività.
La valorizzazione di tale principio evoca la tensione positiva tra lo specifico diritto della sicurezza sul lavoro ed il più generale diritto del lavoro, là dove concetti tipici del diritto del lavoro generale – come l’azienda, il lavoratore, il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti – nel diritto speciale della sicurezza sul lavoro assumono un significato particolare in ragione dell’esigenza di tutelare diritti fondamentali come quelli alla salute e alla sicurezza.
Se il principio di effettività consente di superare sterili o equivoche qualificazioni formali radicando le responsabilità là dove vi siano effettivamente i poteri, tuttavia il d.lgs. n. 81/2008, pur senza smentirlo, è andato anche oltre il principio di effettività, sottolineando l’esigenza di una identificazione anche formale di figure come i dirigenti e i preposti.
Ciò ha fatto con previsioni indirizzate a delineare in modo più razionale il sistema aziendale della prevenzione, sia mediante la predisposizione di organigrammi funzionali che divengono cogenti per il datore di lavoro nel momento in cui li inserisce doverosamente nel documento di valutazione dei rischi, sia tramite la previsione dell’obbligatoria formazione proprio per quei soggetti che andranno a ricoprire le caselle di quell’organigramma .
Tanto che, in caso di mancata o inadeguata formazione dei dirigenti e dei preposti, ci si potrebbe chiedere se le posizioni di garanzia normalmente riscontrabili in capo ad essi possano essere seriamente configurabili dal momento che esse presuppongono che il soggetto a cui vanno ascritte risponda in toto ai requisiti di legge, come d’altronde emerge nelle definizioni di tali soggetti che sottolineano il rilievo delle competenze professionali a cui è appunto strettamente funzionale la loro specifica formazione (art. 2, lett. d e e).
Pertanto, pur non rinnegando il principio di effettività, il d.lgs. n. 81/2008 nel contempo evidenzia più di un segnale in direzione di una maggiore chiarezza dei ruoli e degli assetti organizzativi, dando risalto alle scelte effettuate dai vertici aziendali in ordine alla ripartizione della sfera organizzativa e dei connessi obblighi di prevenzione. Tutto ciò contribuisce a rendere più chiaro l’assetto del sistema organizzativo della prevenzione aziendale che, in quanto organizzato, richiede regole chiare finalizzate ad una più evidente responsabilizzazione dei vari soggetti .
Quanto al principio di effettività, esso non scompare, giacché la verifica dei poteri in capo ai vari soggetti individuati nell’organizzazione aziendale richiede di essere sempre condotta alla luce di tale principio, pur se esso non può non interagire con i dati organizzativi esaltati dal d.lgs. n. 81/2008.
D’altro canto, non è un caso che lo stesso d.lgs. n. 81/2008 disciplini espressamente l’esercizio di fatto di poteri direttivi in un’apposita norma – l’art. 299 – che all’epoca del d.lgs. n. 626/1994 non esisteva, sebbene il suo attuale contenuto fosse immanente nel sistema. Una norma che va correttamente inquadrata come di chiusura del sistema e che, proprio in quanto di chiusura, serve a regolare aspetti che sfuggono ai principi generali del sistema stesso, come appunto quando non si sia provveduto ad individuare adeguatamente l’organigramma prevenzionistico .

5. L’universalità delle regole organizzative

L’assoluto valore dei beni in gioco nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro fa sì che le regole organizzative sinteticamente ricordate valgano per qualunque datore di lavoro, privato o pubblico, individuale o collettivo, grande o piccolo .
E, sebbene nel caso delle imprese di minori dimensioni, notoriamente meno organizzate, il legislatore del 2008 abbia sovente previsto alleggerimenti o semplificazioni della disciplina per consentirne un più facile rispetto , tuttavia neppure in questi casi è venuto meno alla logica dell’adempimento procedimentalizzato ed organizzato.
Lo dimostra la previsione per le piccole e medie imprese sia delle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi , sia delle procedure semplificate per l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di gestione della salute e sicurezza sul lavoro . Quei modelli che possono avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lgs. n. 231/2001 che, ai sensi dell’art. 25-septies di tale decreto, insorge, pur con la necessità di qualche adattamento interpretativo , nei casi di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e di lesioni colpose gravi o gravissime (art. 590, comma 3, c.p.) commessi con la violazione delle norme antinfortunistiche.

6. I modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro

A ben guardare, l’ingresso sulla scena per le imprese collettive dei predetti modelli organizzativi in virtù del combinato disposto degli artt. 25-septies del d.lgs. n. 231/2001 e dell’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 , lungi dall’aver rappresentato un fulmine a ciel sereno, non è stato che il naturale e logico sviluppo di quella dimensione organizzata del sistema di prevenzione aziendale che lo stesso d.lgs. n. 81/2008 nei fatti impone ad ogni datore di lavoro dando rilievo agli assetti organizzativi ed alla procedimentalizzazione dell’adempimento dei vari obblighi.
Seppur concepita solo come un onere, l’adozione e l’efficace attuazione di tali modelli organizzativi fa leva su di un sottostante sistema volontario di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (come la norma internazionale UNI ISO 45001/2018), fermo restando che tali modelli debbono in ogni caso prevedere, adattandosi in modo “sartoriale” alla natura e alle dimensioni della specifica organizzazione e dello specifico tipo di attività, da un lato un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello, e, da un altro lato, un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate.
La principale peculiarità di tali modelli è quella di basarsi su di una serie di procedure tracciabili che consentono di monitorare continuamente l’implementazione del sistema e di intervenire tutte le volte in cui emergano segnali di criticità, come nel caso dei near miss, rendendo quindi sempre più trasparente l’organizzazione, i suoi assetti e le responsabilità dei suoi attori.
Al di là della loro funzione esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche che insorge per la colpa di organizzazione nelle imprese collettive, è tuttavia ormai evidente come il ricorso a tali modelli organizzativi costituisca un metodo fondamentale anche al di là dell’applicazione del d.lgs. n. 231/2001 per garantire l’esatto adempimento degli obblighi di sicurezza, sia per quanto concerne le organizzazioni estranee a tale decreto (come, ad esempio, le pubbliche amministrazioni, specialmente quelle con dimensione aziendalistica, come nella sanità), sia per quanto riguarda le responsabilità individuali, rafforzando vieppiù la solidità organizzativa del sistema di prevenzione aziendale voluta dal legislatore.
Un’evidente dimostrazione di quest’ultimo aspetto – con l’instaurazione addirittura di una esplicita connessione giuridicamente rilevante tra modelli organizzativi e responsabilità individuali – si rinviene nella presunzione insita nell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, secondo cui l’obbligo di vigilanza che incombe sul datore di lavoro delegante in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite si intende assolto mediante l’adozione e l’efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4, dello stesso d.lgs. n. 81/2008.

7. Modelli organizzativi e tutela dell’ambiente interno ed esterno

Ma c’è di più, perché i modelli organizzativi di cui si sta parlando possono contribuire ad affrontare anche un altro aspetto che, specialmente dopo la pandemia, appare sempre più rilevante nel dibattito sulla sostenibilità, con particolare riferimento al rapporto tra ambiente interno ed esterno all’impresa.
Al di là della suggestiva, ma non semplice, ipotesi di ricondurre anche le ricadute ambientali nello spettro dell’obbligo di sicurezza dell’art. 2087 c.c. , che trova qualche avallo peraltro non solidissimo nello stesso d.lgs. n. 81/2008 , in realtà è proprio grazie ai modelli organizzativi che può crearsi un circolo virtuoso tra tutela dell’ambiente interno ed esterno.
Ci si riferisce al fatto che sia i sistemi di gestione in tema di sicurezza sul lavoro sia quelli in materia ambientale – vale a dire i sistemi previsti da “norme tecniche” internazionali di carattere volontario che costituiscono il substrato necessario, ma non sufficiente, dei modelli organizzativi evocati dall’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001 – sono concepiti in modo da potersi integrare tra loro al di là delle proprie specificità , ed al fatto che sia i delitti riconducibili alla sicurezza sul lavoro sia molti di quelli connessi con la tutela ambientale rientrano nel catalogo dei reati presupposto del d.lgs. n 231/2001.
Non sembra quindi così azzardato che, almeno sul piano della responsabilità giuridica ai fini del d.lgs. n. 231/2001, il modello di organizzazione adottato dalla società per prevenire i reati presupposto, riferendosi sia a quelli relativi alla tutela tanto dell’ambiente interno quanto a quello dell’ambiente esterno, assuma la dimensione di modello ideale di organizzazione dell’ente con il suo codice disciplinare, il suo organismo indipendente di vigilanza e ovviamente le sue procedure trasparenti e tracciabili che non possono non far leva su credibili assetti organizzativi.

8. Conclusione

Il fatto che in nessun caso la gestione dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro possa prescindere da un sistema di prevenzione debitamente organizzato non fa che rendere plasticamente evidente in che modo la libertà di intrapresa economica, così come qualsiasi altra attività organizzata in cui sia dedotto lavoro umano, possa svolgersi senza recar danno ai valori evocati dall’art. 41 Cost., tutelando nel contempo anche gli interessi del titolare di quella libertà.
Per altro verso, il sistema di prevenzione aziendale organizzato sarà tanto più adeguato ed efficace quanto più la logica della prevenzione sarà inglobata a monte, come parte integrante, nella stessa organizzazione dell’attività produttiva dell’impresa fin dal suo stesso concepimento, nel rispetto di quel principio eurounitario già evocato secondo cui è il lavoro (e l’organizzazione) che va adeguato all’uomo e non viceversa .

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