testo integrale con note e bibliografia

All’inizio di questo 2025 sento di aver qualche considerazione che desidero condividere con la Rivista LDE.
Anche il 2024 si è concluso con centinaia di vittime da lavoro.
Non riporterò i numeri, perché si tratta di persone che non ci sono più, sono strappi, sono vuoti che non possono essere colmati o descritti.
Personalmente ritengo che a fronte di questo dramma, ci si dovrebbe fermare e riflettere. Di questi tempi, si parla molto del dato positivo del trend occupazionale (che post-covid è in crescita). Ebbene, non mi pare che questo dato, da solo, possa dire molto sullo stato di salute del lavoro in Italia e sull’effettività del diritto al lavoro come previsto dall’art. 1 della nostra Costituzione.
Riconoscere il lavoro come diritto fondamentale significa garantire una dimensione umana dentro e fuori le mura, visibili e invisibili, del proprio posto di lavoro. Significa mettere al centro il valore della persona e il benessere dei lavoratori come priorità assoluta e non accettare, in modo implicito o esplicito, che il rischio, il pericolo, il disagio e lo stress nel mondo del lavoro siano inevitabili.
Tale cambiamento passa prima di tutto attraverso l’educazione, la formazione e la sensibilizzazione, affinché ogni individuo comprenda che il lavoro giusto non è un privilegio, ma un diritto inviolabile.
Un cambiamento culturale che va sostenuto mettendo in campo con decisione e determinazione un piano nazionale straordinario per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Questo piano dovrebbe includere misure incisive e coraggiose che garantiscano una dimensione del lavoro adeguata alle persone, alle loro necessità e ai tempi che stiamo vivendo.
Penso a misure che impattino veramente sulla quotidianità delle persone, come l’introduzione di una legge sul salario minimo legale che rappresenta un primo passo indispensabile per combattere la precarietà e il lavoro povero, due fenomeni che contribuiscono indirettamente a creare condizioni lavorative meno sicure; penso anche a tutte quelle misure che permettano alle persone di vivere il proprio tempo sempre di più. Perché ormai si può e non c’è nessun valido motivo per comprimere questa libertà.
Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e lavoro da remoto sono realtà che non possono essere ignorate o peggio demonizzate. Che senso ha tornare indietro chiedendo alle persone di lavorare confinati negli uffici o per troppe ore? Mi pare un inutile accanimento, espressione di logiche di controllo e presenzialismo che ancora permeano molte realtà aziendali.
Si dovrebbero promuovere, invece, modelli basati su fiducia, rispetto e collaborazione. Anche così, infatti, si prevengono le malattie professionali e si affrontano le nuove sfide e i nuovi rischi come quelli legati allo stress lavoro-correlato, all’iperconnessione e agli atti vessatori sui luoghi di lavoro.
Mentre l’Artificial intellicence entra prepotentemente nel nostro quotidiano, rimettere la nostra umanità al centro, proteggerla, valorizzarla, rafforzarla rappresenta la bussola per orientare il cambiamento. La salute e la sicurezza sul lavoro, l’imbarcazione per il viaggio che ci aspetta.

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