TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Il rifiuto della vaccinazione e le possibili soluzioni.
L’entrata in vigore del decreto – legge n. 44 del 2021, art. 4, ha chiuso un intenso dibattito e apre con ogni probabilità una seconda fase, seppure guidata dalle indicazioni prescrittive. Già all’inizio del 2021, prima dell’intervento normativo, si è ravvisata la natura obbligatoria della vaccinazione per gli operatori sanitari e per chi lavori in strutture di assistenza per anziani e disabili, in specie non autosufficienti , in nome di criteri solidaristici , nonostante l’inesistenza di una disposizione specifica, considerata superflua ; la tesi maggioritaria ha colto una libertà del dipendente , in carenza di una espressa previsione e in attesa di una innovazione legislativa , ma con rilievo di tale comportamento ai fini dell’idoneità professionale e della stessa possibilità della prestazione . Infatti, il datore di lavoro può “determinare le condizioni alle quali la prestazione (…) può essere resa, così come accade quando (…) prescrive l’utilizzo di determinati dispositivi per la sicurezza (ad esempio mascherine). E ciò vale tanto più nel caso della infezione da Covid – 19 dove (…) ha non solo la responsabilità dei propri dipendenti, ma anche di eventuali terzi con i quali essi possano venire a contatto, come potrebbe accadere nelle strutture sanitarie o di ricovero (…). Se non può parlarsi di obbligo, sembra invece possa parlarsi di un onere del lavoratore a soddisfare le condizioni che sono determinate dal datore di lavoro per lo svolgimento della prestazione (…). Ne deriva che in mancanza di tali condizioni diviene impossibile per fatto del lavoratore con conseguente sospensione dell’obbligo retributivo” .
L’impostazione era da considerare maggioritaria e mi sono espresso in tale senso , né ho avuto motivo di cambiare opinione, sulla base delle situazioni di questi giorni, in cui, a torto o a ragione, si addebita alla presenza di personale non vaccinato per sua scelta la diffusione del contagio in strutture nelle quali l’intervento preventivo era stato offerto dal Servizio sanitario nazionale. Poco importa se tali sospetti siamo fondati, poiché, alla stregua del principio di precauzione, mai così rilevante come in queste evenienze, è regola cautelare prioritaria scongiurare il rischio , poiché gli interessi privati in contrasto soccombono rispetto a quello fondamentale di protezione della vita .
La vaccinazione ha un risalto superindividuale, perché funzionale a garantire l’incolumità dei soggetti protetti, prima di tutto nei luoghi di lavoro , a cui è stata riservata in via prioritaria. Né vale contrapporre il fatto che sarebbe sufficiente il rispetto delle precedenti regole cautelari, a cominciare dall’uso dei dispositivi di protezione individuale , poiché l’introduzione del vaccino comporta il necessario completamento delle misure di tutela della salute, con il ricorso a tale fondamentale risorsa , comunque destinata a collegare la sfera individuale con quella delle ragioni generali .
2. La sospensione del lavoratore nella logica dell’art. 4 del decreto – legge n. 44 del 2021.
Senza l’identificazione, forzata, di un obbligo di vaccinazione in carenza di una previsione , il datore di lavoro non sarebbe potuto rimanere indifferente al rifiuto, come ravvisato dall’unica pronuncia nota . Seppure in una situazione meno traumatica, poiché i prestatori di opere avevano ferie maturate e non godute e, quindi, ne potevano usufruire, le relative indicazioni hanno un valore più generale ; chi rifiuti il vaccino non può svolgere attività nei centri riservati agli anziani o nelle organizzazioni sanitarie, poiché sono così identificati i beneficiari attuali del trattamento. Il divieto è insito nella necessaria osservanza delle regole cautelari a protezione degli stessi lavoratori, dei loro colleghi e, a maggiore ragione, dei pazienti. A prescindere dalle convinzioni individuali e dal loro rilievo costituzionale, secondo le più accreditate tesi scientifiche, condivise dallo Stato e, anzi, propugnate da questo, l’adibizione alle descritte mansioni sanitarie e assistenziali di persone cui sia stato inoculato il vaccino corrisponde a principi di prudenza obbligatoria, ai fini della tutela della salute sia del personale, sia dei pazienti o, comunque, degli ospiti, così che la violazione espone a responsabilità quanto meno sul versante civile e, con ogni probabilità, non solo ; l’unica soluzione era la sospensione . Non sarebbe stata sufficiente la previsione di analisi ripetute , perché non avrebbero impedito in sé il propagarsi dell’infezione, né avrebbe alcun effetto una cosiddetta “liberatoria” del prestatore di opere ostile alla vaccinazione.
Sono indisponibili i diritti che l’impresa o la pubblica amministrazione devono proteggere, sia nei confronti degli ospiti, sia verso i dipendenti , e l’attuazione delle massime misure di protezione opera alla stregua di prevalenti interessi superindividuali . Né è il momento di chiedersi fino a quando si dovrebbe protrarre la sospensione , poiché l’epidemia ha insegnato prudenza nelle valutazioni prospettiche e, per quanto ciò possa spiacere, la riflessione si deve arrestare all’oggi, senza troppe ambizioni previsionali, se si considera quanto sia incerto il futuro della campagna di vaccinazione (aprile 2021) e quanto si discuta sui suoi ritmi e sulle connesse priorità . Per ora, nelle strutture sanitarie e assistenziali si è raggiunta una quasi completa protezione, che invoca l’eliminazione di rischi inevitabili nel passato e, ora, suscettibili di essere rimossi. Ciò fa risaltare con sorpresa i casi nei quali la sospensione non sia stata adottata .
Il problema ha subìto un diverso inquadramento a opera dell’art. 4 del decreto – legge n. 44 del 2021, appena approvato e in attesa di conversione. Determinato dalla preoccupazione per i frequenti rifiuti della vaccinazione e votato a impedirli o a contenerne gli effetti, il provvedimento ha aderito alla tesi maggioritaria, prevedendo la sospensione (senza retribuzione) per le ipotesi di confermata volontà di evitare la stessa vaccinazione e per l’impossibilità di ripescaggio, seppure in mansioni dequalificanti. La norma prevede un complesso procedimento, che si dovrebbe svolgere in tempi rapidi, nonostante la sua articolazione, destinato a stabilire la condizione di ciascun prestatore di opere impegnato in strutture sanitarie o assistenziali, con il coinvolgimento diretto delle autorità del Servizio sanitario nazionale e con la finale trasmissione al datore di lavoro pubblico e privato dell’indicazione precisa dei dipendenti non vaccinati, a seguito di verifiche dettagliate.
A ragione, la prescrizione ha eliminato il preteso, diretto intervento del medico competente , in realtà senza informazioni sull’andamento della vaccinazione ed estraneo alla strategia ordita dal Servizio sanitario nazionale, il quale opera con suoi medici e con le sue strutture, chiedendo alle imprese e alle pubbliche amministrazioni solo un supporto logistico, per l’identificazione e l’invio delle persone interessate e, in particolare, di quelle addette a interventi sanitari e assistenziali, in specie a favore di anziani e disabili, come preannunciato dal decreto del Ministro della salute del 2 gennaio 2021. La sua attuazione non ha comportato un ruolo significativo dei medici competenti, né lo dovrebbe fare in futuro, poiché il trattamento è effettuato senza un coinvolgimento aziendale, se si eccettua la comunicazione dei nomi dei lavoratori coinvolti e il loro invito ai luoghi indicati dal Servizio sanitario nazionale. Non a caso, per l’art. 4 del decreto – legge n. 44 del 2021, fermo il diritto individuale di rifiuto, il collegamento è fra organismi sanitari e datori di lavoro, al fine di un controllo minuzioso sulla condizione di ciascun dipendente.
3. L’oggetto e l’obbiettivo dell’obbligo sancito dal decreto - legge n. 44 del 2021.
Solo in apparenza è generica l’indicazione dei destinatari dell’obbligo di vaccinazione dell’art. 4 del decreto – legge n. 44 del 2021, poiché occorre una interpretazione estensiva, sulla base del principio di precauzione, volta a evitare contatti con persone non protette; pertanto, la categoria di “esercenti le professioni sanitarie” e quella di “operatori di interesse sanitario” devono essere viste in senso allargato , con la considerazione di tutti coloro che agiscano a beneficio dei pazienti, con rischi di contagio indotti dai relativi contatti, a maggiore ragione nei confronti di soggetti comunque deboli e bisognosi di una specifica protezione. Come si era affermato già a partire da gennaio 2021 , la vaccinazione “costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati” , fermo il diretto ed esclusivo intervento in merito del Servizio sanitario nazionale, il quale si occupa dell’intera procedura e, in particolare, dell’informazione di tutte le persone coinvolte.
Anzi, “solo in caso di (…) pericolo per la salute”, accertato dal Servizio sanitario nazionale, fuori dall’intervento dell’impresa o della pubblica amministrazione, “la vaccinazione (…) non è obbligatoria e può essere omessa o differita” , con un impedimento oggettivo all’esecuzione delle mansioni e, in caso di inesistenza di compiti differenti, con la garanzia della retribuzione , poiché il fatto non dipende in alcun modo dal prestatore di opere ed è estraneo alla sua sfera di controllo. Se mai, è un po’ barocca la procedura volta a identificare la condizione individuale, non tanto a tutela della riservatezza, poiché, alla fine, le informazioni giungono al datore di lavoro, quanto dell’oggettività e della precisione della valutazione su ogni caso, ma con un notevole appesantimento . Invece, per lo più, chi rifiuti la vaccinazione lo fa in modo palese, se non con ostentazione, con l’esercizio deliberato di quella che, fino all’approvazione del decreto – legge n. 44 del 2021, era una incondizionata libertà costituzionale.
Sono smentite le singolari tesi dell’Autorità garante per il trattamento dei dati personali, per cui il datore di lavoro non avrebbe potuto avere conoscenza delle scelte individuali sulla vaccinazione, come se avesse operato l’art. 9, primo comma del Regolamento Ue n. 679 del 2016, mentre così non sarebbe mai potuto essere, poiché l’idoneità professionale non è concetto inerente alla salute, ma alla decisone sulla vaccinazione, né chi la rifiuti è malato (e vi è da sperare che non lo diventi mai), ma solo ostile a un trattamento. Già prima dell’entrata in vigore del decreto – legge n. 44 del 2021, la cognizione dell’impresa o della pubblica amministrazione non solo non era impedita dall’art. 9, primo comma, del regolamento Ue n. 679 del 2016, ma, se mai ve fosse stato bisogno (e non era il caso), avrebbe trovato fondamento nell’art. 9, secondo comma, lett. b), per il necessario adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di tutela dell’incolumità dei pazienti, degli ospiti e di tutti i dipendenti, compresi quelli che avessero rifiutato la vaccinazione, con conferma nell’art. 9, secondo comma, lett. c) (la protezione della sicurezza è interesse vitale dell’interessato e di terzi) e nell’art. 9, secondo comma, lett. h), per il sussistere di “finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali” .
Le indicazioni (a dire il vero immotivate) dell’Autorità garante (apparse in forma anonima e apodittica sul suo sito, secondo discutibili strategie di comunicazione, contrarie a un aperto dibattito) avrebbero dovuto valutare l’impatto di queste disposizioni, che non avrebbero mai potuto impedire la cognizione del datore di lavoro, del resto inerente all’idoneità professionale e, quindi, coerente con l’art. 8 St. lav.. Lo ribadisce, a ragione, l’art. 4, comma quarto, del decreto – legge n. 44 del 2021, per cui, concluso il procedimento di verifica sulle motivazioni della mancata vaccinazione, il Servizio sanitario nazionale “accerta l’inosservanza (…) e (…) ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’ordine professionale” . Quindi, per quanto qui rileva, il secondo non solo può, ma deve avere cognizione diretta della circostanza, sebbene la verifica sulle sue motivazioni sfugga alla sua iniziativa e sia riservata al Servizio sanitario nazionale, con ogni possibilità di indagine.
E’ smentita la tesi dell’Autorità garante sul trattamento dei dati personali secondo cui le notizie sarebbero state nell’esclusiva disponibilità del medico competente, al contrario estraneo allo svolgersi dell’intero procedimento e alla vaccinazione e privo di cognizione diretta e di poteri di indagine, poiché non si discute delle condizioni fisiche di chi non voglia adempiere l’obbligo, ma, appunto, di una sua decisione, in contrasto con le indicazioni normative, già desumibili dal sistema e, ora, sancite in via espressa . Peraltro, il rifiuto è antigiuridico, poiché la vaccinazione è obbligatoria , ma non porta all’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, cui compete solo identificare nuove mansioni, diverse da quelle che implichino “contatti interpersonali” o il “rischio di diffusione del contagio” . A prescindere da qualche imprecisione , il testo normativo recepisce il principio di precauzione, richiamato a ragione dalla dottrina già a partire da gennaio , poiché, se il rifiuto della vaccinazione non incide sull’attuazione dell’art. 2106 cod. civ. e dell’art. 7 St. lav. , impone una variazione dell’oggetto dell’obbligo di fare, in deroga giustificata ai principi generali, e l’intervento del datore di lavoro è funzionalizzato all’interesse superindividuale alla protezione della salute di pazienti, ospiti, lavoratori e, in sintesi, di tutti coloro che possano entrare in contatto con il dipendente, oltre che di lui stesso.
4. Il potere di modificazione delle mansioni e di sospensione da parte del datore di lavoro e la sua funzionalizzazione alla protezione di interessi superindividuali.
Tale funzionalizzazione non sorprende, perché insita nel sistema, sia nei rapporti con ospiti, sia nell’art. 2087 cod. civ.. Ciò deriva dalla necessaria osservanza delle regole cautelari a protezione degli stessi lavoratori, dei loro colleghi e, a maggiore ragione, dei pazienti. A prescindere dalle convinzioni individuali e dal loro rilievo costituzionale , l’adibizione alle descritte mansioni sanitarie e assistenziali di persone cui sia stato inoculato il vaccino corrispondeva già da gennaio 2021 a principi di prudenza obbligatoria. Nell’immediato, per i dissenzienti, occorre valutare l’assegnazione a mansioni o strutture diverse, nelle quali non si ponga il problema, come, in imprese assistenziali articolate, quelle indirizzate a bambini o, comunque, non ad anziani, malati e disabili; in difetto, l’unica soluzione è la sospensione, sancita a ragione e, se mai, con ritardo dall’art. 1, comma ottavo, del decreto n. 44 del 2021.
Escluso un possibile intervento del medico competente (e non si vede quale contributo avrebbe potuto offrire), il dialogo è fra il Servizio sanitario nazionale e l’impresa o la pubblica amministrazione e, fuori dall’esercizio di poteri disciplinari, conduce o all’identificazione di mansioni compatibili con il rifiuto di vaccinazione o alla sospensione. Al contrario, per chi non sia ostile alla vaccinazione, ma non ne possa subire l’inoculazione per ragioni oggettive, accertate dallo stesso Servizio sanitario nazionale, se non è possibile eseguire la prestazione a distanza, il “datore di lavoro adibisce (…) a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione” . Tale ultima disposizione sembra inibire la sospensione con ricorso al trattamento di integrazione salariale e, al contrario, imporre il reperimento di compiti utili, ma con il mantenimento della remunerazione, a dire il vero con una scelta discutibile, poiché può accadere con frequenza che non vi siano mansioni compatibili e il datore di lavoro debba versare il salario in carenza di una prestazione di suo effettivo interesse, mentre, se mai, gli oneri dovrebbero essere sostenuti dal sistema di sicurezza sociale (e vi è da sperare in una rettifica in sede di conversione del decreto - legge).
Tuttavia, a tacere di questo aspetto (non di dettaglio, perché riguarda molti prestatori di opere, a cominciare dalle signore in stato interessante ), l’impianto dell’art. 4 del decreto – legge n. 44 del 2021 è solido e coerente con esigenze di giustizia sostanziale. Se non fa ricorso alle sanzioni disciplinari per chi rifiuti il vaccino e scongiura il licenziamento , conferma una regola cautelare imperniata (per ora) sulla centralità della vaccinazione per chi esegua mansioni sanitarie o assistenziali. Il Ministero della salute rende noto in modo costante sul suo sito un aggiornamento sui criteri di effettuazione delle vaccinazioni e, quindi, sulle priorità. Le fasce di età in cui più si sono concentrate fino a ora le vaccinazioni stesse sono quella delle persone comprese fra quaranta e sessanta anni e non quelle degli ultrasessantenni e degli ultrasettantenni, nonostante, per fatto notorio, il loro rischio di decesso sia maggiore. Quindi, fra i due criteri dell’età e della vulnerabilità, da un lato, e della rilevanza delle professioni espletate dall’altro, ha avuto maggiore incidenza il secondo.
Se mai ve ne fosse bisogno, il concetto sarebbe confermato dal decreto del Ministro della salute del 2 gennaio 2021, per cui la vaccinazione prioritaria degli operatori è funzionale a evitare di trasmettere l’infezione “a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali”, con particolare attenzione per il personale dei “presidi residenziali per anziani”, poiché “una elevata percentuale di residenze sanitarie assistenziali (…) è stata gravemente colpita dal Covid – 19. I residenti di tali strutture sono ad alto rischio di malattia grave a causa dell’età avanzata, la presenza di molteplici comorbilità, e la necessità di assistenza per alimentarsi e per le altre attività quotidiane. Pertanto, sia la popolazione istituzionalizzata che il personale dei presidi residenziali per anziani devono essere considerati a elevata priorità per la vaccinazione”. Indicando tali criteri, il decreto ministeriale pone come primo quello della vaccinazione degli operatori sanitari e sociosanitari, come secondo quello della vaccinazione dei residenti e del personale dei presidi residenziali per anziani e come terzo quello della vaccinazione delle persone di età avanzata.
Pertanto, posto che, allo stato, sono vaccinate più persone per il primo e per il secondo parametro che per il terzo e fermo il fatto che i soggetti fra i quaranta e i sessanti anni hanno, nel disgraziato caso di infezione, prospettive di sopravvivenza di gran lunga migliori degli ultrasessantenni e, soprattutto, degli ultrasettantenni, il decreto ministeriale del 2 gennaio 2021 e i successivi comportamenti attuativi del Servizio sanitario nazionale mostrano l’esistenza di una regola cautelare, mai prima applicabile, derivante dalla disponibilità dei vaccini, consistente nell’adibizione di personale protetto a mansioni sanitarie e assistenziali. Tale regola cautelare rileva ai fini dell’art. 2087 cod. civ. e, nei riguardi degli ospiti, in relazione alla qualità delle prestazioni.
Infatti, come dichiarato dalle imprese produttrici e come è da considerare fatto notorio, nessun vaccino ha una efficacia completa e certa e, pertanto, è irrilevante che siano vaccinati i colleghi della persona che lo abbia rifiutato e gli ospiti della struttura, poiché il rischio di contrazione dell’infezione è ridotto in modo molto significativo, ma non escluso. Per converso, allo stato, sempre per fatto notorio, non è stabilito in modo certo se, seppure vaccinati, i colleghi e gli ospiti possano trasmettere l’infezione, pure essendo privi di sintomi. Quindi, la disponibilità dei vaccini e la loro utilizzazione prioritaria per il personale adibito a mansioni di carattere sanitario e assistenziale fanno sorgere una regola cautelare da rispettare, come confermato dall’art. 4 del decreto - legge n. 44 del 2021.