TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Il sistema di sostegno al reddito da lavoro nell’emergenza tra deroghe e specialità
L’impianto normativo apprestato al fine di arginare gli effetti della crisi pandemica sul tessuto produttivo nazionale ha poggiato in larga parte sul ricorso agli strumenti di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro che, pur inserendosi nel contesto di una più ampia disciplina emergenziale, hanno rappresentato il fulcro della tutela per le aziende e i lavoratori nell’ottica di preservare, per quanto possibile, l’occupazione e, con essa, la tenuta del sistema sociale.
Nel corso dell’anno a cavallo tra il 2020 e il 2021, la copiosa decretazione d’urgenza adottata dall’Esecutivo ha prodotto un vero e proprio corpus normativo speciale per il sostegno al reddito da lavoro, le cui fila sono andate ingrossandosi di pari passo con la diffusione del virus, l’inasprimento delle misure di contenimento sul territorio nazionale e la reiterata proroga dello stato di emergenza .
Tale disciplina, autonoma e distinta da quella standard di cui al d.lgs. n. 148/2015 , ha, da un lato, fatto affidamento sui consolidati sistemi di integrazione reddituale della CIG e dei Fondi di solidarietà bilaterali per i lavoratori subordinati, pur se adattati alle esigenze contingenti e, dall’altro lato, ha introdotto forme di tutela indennitaria per i prestatori di lavoro “atipici” e per quelli autonomi che - soprattutto con riferimento a questi ultimi - rappresenta una novità rispetto alle tradizionali forme di tutela proprie della legislazione pre-pandemica.
Pur trattandosi di misure ontologicamente temporanee, in quanto destinate ad operare nel corso della crisi emergenziale, il prolungarsi di quest’ultima ne sta determinando una sostanziale stabilizzazione, per mezzo della constante estensione dei periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali speciali (la cui durata complessiva nel momento in cui si scrive si attesta tra i 17 e i 18 mesi a seconda del tipo di prestazione) e del ripetuto rifinanziamento del sistema delle indennità .
Si delinea, quindi, un sempre più marcato scostamento dal disegno razionalizzatore che aveva contraddistinto la riforma degli ammortizzatori sociali del 2012-2015, la quale, nell’ottica di dare una sistematizzazione compiuta alla materia, aveva posto tra i suoi principi cardine proprio la fine degli ammortizzatori in deroga . Le disposizioni speciali e gli interventi “eccezionali” stanno, invece, caratterizzando il panorama normativo contemporaneo che, non solo non ha di fatto mai visto l’abrogazione totale delle misure derogatorie , sostitutive o ampliative degli strumenti di sostegno al reddito tradizionale, ma ne ha, anzi, determinato una sorta di upgrade .
L’emergenza pandemica sta, quindi, mostrando i “nervi scoperti” del nostro sistema di tutela contro la disoccupazione, primi fra tutti la c.d. universalità selettiva e il ricorso a meccanismi di finanziamento para-assicurativo delle prestazioni che, nella “normale” ciclicità con cui tendono a susseguirsi le crisi occupazionali (vedi quella attuale, ma anche quella indotta dalla crisi economico-finanziaria del 2008), spingono il legislatore ad adottare misure straordinarie che, in deroga alla normativa ordinaria, ne ampliano l’ambito della tutela in uno con il sostegno della finanza pubblica.
In tale conteso, se da un lato, giungono istanze per una riforma complessiva della disciplina degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro (oltre che dei trattamenti di disoccupazione e del sistema delle politiche attive del lavoro), dall’alto lato, il rischio è che l’apparato normativo dell’emergenza, nato come transitorio ed eccezionale finisca poi per stabilizzarsi , dando luogo ad una ibridazione del sistema, seguendo quella “tradizione” dell’ordinamento previdenziale italiano – che spesso ha operato per stratificazioni e specificazioni, in direzione della straordinarietà e della specialità, prediligendo, agli interventi generalizzati, gli strumenti particolari .

2. L’aspirazione universalistica del sistema di integrazione al reddito speciale dell’emergenza
Come si è già accennato, la normativa adottata a partire dal d.l. n. 18/2020 ha congegnato un impianto normativo molto articolato, il cui obiettivo è stato quello di assicurare una tutela universalistica , rivolta cioè a tutti coloro che abbiano perso, in tutto o in parte, il proprio reddito a causa dei provvedimenti messi in atto per contenere l’emergenza epidemiologica.
In questo contesto, l’intervento dello Stato è stato ampio ed incisivo, in quanto teso a tutelare tanto i lavoratori, a prescindere dalla natura giuridica del rapporto contrattuale sottostante alla loro attività di lavoro, quanto le imprese, paralizzate dal blocco, prima totale e simultaneo e poi parziale e graduato, delle attività produttive .
Una simile considerazione trova conferma nella vasta gamma di strumenti di sostengo al reddito previsti, che spazia dai più tradizionali ammortizzatori sociali in favore dei prestatori di lavoro dipendenti, quali la CIG, anche in deroga, e le prestazioni dei Fondi bilaterali di sostegno al reddito , a provvidenze di natura indennitaria una tantum concesse alle categorie di lavoratori altrimenti escluse dal tradizionale sistema di sicurezza sociale per la tutela del reddito in caso di sospensione del rapporto o dell’attività di lavoro.
Invero, gli ammortizzatori sociali speciali e in deroga, la cui struttura replica, in buona sostanza, quella propria del sistema ordinario di sostegno al reddito, sono stati affiancati da un’altra forma di tutela eccezionale e particolarmente incisiva contro la disoccupazione, il blocco dei licenziamenti economici .
Le due misure hanno infatti operato in stretta correlazione, giacché l’integrazione reddituale non è stata esclusivamente finalizzata a limitare gli effetti derivanti dalla sospensione e/o riduzione dell’attività lavorativa durante la pandemia (escludendo le conseguenze derivati dall’applicazione dei principi civilistici ex artt. 1218 ss. ), ma ha anche garantito un sostegno alle imprese costrette a mantenere in forza tutti i rapporti di lavoro al di là della effettiva necessità di manodopera . È, del resto, proprio la predisposizione di un contrappeso che ammortizzi l’inattività e il mancato conseguimento del profitto, che ha allontanare il rischio di declaratoria di incostituzionalità della norma sul divieto di licenziamento per contrasto con l’art. 41, c. 1, Cost. .

2.1 La cassa integrazione guadagni speciale e in deroga e l’assegno ordinario con causale Covid-19
La scelta di utilizzare, nel corso dell’emergenza, un sistema di sostegno al reddito analogo a quello consolidato di cui al d.lgs. n. 148/2015 implica che i trattamenti speciali con causale Covid-19 rimangano ciascuno incardinato entro le categorizzazioni proprie del modello ordinario. Ne consegue, non solo la necessità di mutuate le regole interpretative e di sistema proprie di quella normativa al fine di risolvere eventuali problemi applicativi , ma anche, e soprattutto, la riproposizione del medesimo meccanismo di individuazione dell’ambito di applicazione soggettivo dei diversi trattamenti .
Al pari del sistema ordinario degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto, che riserva solo ad alcune categorie di datori di lavoro, individuate sulla base del settore d’appartenenza e delle dimensioni occupazionali, le prestazioni di CIGO e CIGS , con intervento sussidiario dei Fondi bilaterali di sostegno al reddito per le imprese di minori dimensioni , anche le forme di tutela introdotte per l’emergenza sanitaria sono destinate ad operare in ambiti selezionati e con prestazioni differenziate .
Tuttavia, stante la necessità di affrontare una crisi globale e generalizzata, il legislatore dell’emergenza, a partire dal d.l. n. 18/2020, ha disposto un potenziamento del sistema tradizionale, volto precipuamente a superarne la ontologica selettività al fine di universalizzare la tutela e coprire una più ampia platea di lavoratori. In tal senso, il sistema speciale ha previsto, unificandole grazie all’introduzione della causale comune Covid-19, non solo un’ipotesi di CIGO cui possono accedere anche le imprese che, trovandosi già in CIGS, sono state costrette a sospendere il programma in atto a causa del blocco o della riduzione dell’attività lavorativa , ma anche una estensione dell’ambito di operatività dei Fondi bilaterali di sostegno al reddito mediante l’inclusione tra i beneficiari delle prestazioni del Fondo di Integrazione Salariale (FIS) dei lavoratori impiegati in aziende che occupano più di 5 dipendenti ed una nuova ipotesi di cassa integrazione guadagni in deroga (d’ora in poi CIGD) per le imprese di minori dimensioni .
Con l’intento, invece, di agevolare l’accesso alle integrazioni salariali, sono state disposte numerose deroghe al procedimento ordinario di concessione, nonché alla loro durata massima di fruizione.
Infine, tali misure sono state “sorrette” dal finanziamento statale che ne ha permesso la concessione in eccedenza rispetto ai limiti di spesa vigenti nei diversi sistemi (tanto per le prestazioni eccedenti che per la contribuzione figurativa).

2.2 La tutela indennitaria per i lavoratori atipici e autonomi
Prendendo atto della scarsa o nulla protezione sul versante previdenziale della tutela reddituale in cui versano numerosi lavoratori, nonché dell’aggravamento della loro condizione socio-economica dovuta all’emergenza pandemica , l’Esecutivo ha previsto una serie di prestazioni di sostegno al reddito in favore di alcune categorie di prestatori di lavoro particolarmente esposti alle conseguenze negative della crisi.
Si tratta di indennità una tantum , connotate da una estrema varietà soggettiva ed oggettiva, che si rivolgono a lavoratori quali gli stagionali , gli agricoli , quelli del settore dello spettacolo , dello sport , i magistrati onorari , ma anche ai lavoratori autonomi, inclusi i collaboratori coordinati e continuativi e i liberi professionisti , i lavoratori domestici , i lavoratori frontalieri e i marittimi .
L’elemento comune alle suddette categorie è che esse, pur in condizioni non peculiari come quelle determinate dal covid-19, sono sottoposte al rischio di discontinuità occupazionale e reddituale o ad una situazione di sottoccupazione strutturale, dovute tanto a fattori di ciclicità o alle caratteristiche proprie del mercato di riferimento, quanto alla natura giuridica del rapporto di lavoro. Fattori questi che, sommati agli effetti della crisi emergenziale, hanno indotto il legislatore a predisporre speciali e nuove misure ad hoc, differenziate, quanto a disciplina e misura, in ragione della tipologia di destinatari.
L’assoluta novità di questa tipologia di misure di sostegno al reddito emerge proprio dalla platea dei suoi destinatari, giacché esse si rivolgono anche ai lavoratori autonomi, tradizionalmente esclusi dal campo di applicazione delle integrazioni salariali, in quanto ritenuti sostanzialmente immuni dai rischi coperti dalle assicurazioni sociali storiche, prima fra tutte quella contro la disoccupazione.
Gli interventi introdotti con la disciplina emergenziale rappresentano così un importante passo verso l’estensione delle tutele proprie del diritto sociale oltre i confini del lavoro subordinato e a vantaggio dei prestatori che pur essendo tradizionalmente privi di protezione, risultano di fatto maggiormente esposti ai contraccolpi economici del mercato .
Mentre, infatti, l’evoluzione dei processi produttivi ha indotto una profonda trasformazione delle modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro, che ha reso sempre più sbiaditi i contorni tra autonomia e subordinazione, portando ad una ibridazione e frantumazione delle fattispecie, sul versante della protezione sociale nel mercato del lavoro si è, al contrario, assistito, e si assiste ancor più oggi, ad una tendenziale unificazione delle tutele. La maggiore autonomia che connota, di fatto, molti rapporti di lavoro subordinato in uno con la contrapposta condizione di dipendenza economica e debolezza contrattuale propria di alcuni rapporti di lavoro autonomi, ha determinato un disallineamento tra istituzioni del mercato del lavoro e del welfare, portando queste ultime a «fuoriuscire dalla direttrice, una volta esclusiva, del lavoro subordinato, secondo una tendenza che è poi divenuta debordante come misura di contrasto all’emergenza sociale creata dalla pandemia» .
In conclusione, l’effetto della legislazione emergenziale è che essa sta contribuendo a riorientare le politiche di welfare per la tutela contro la disoccupazione, ponendo al loro centro la condizione di bisogno in quanto tale, mediante una riconsiderazione del concetto di lavoratore ed anche delle tutele a questi riconosciute, nell’ottica di una universalizzazione che includa anche i lavoratori autonomi ed atipici nella sfera d’azione delle misure previdenziali .

3. La copertura finanziaria degli ammortizzatori sociali e l’intervento delle istituzioni europee per la tutela dei redditi
In una situazione di emergenza che oltre ad aver imposto un contenimento alla mobilità dei cittadini e dei lavoratori, ha anche gravemente compromesso la potenzialità produttiva di molti operatori economici (dalle aziende di ogni dimensione e settore, ai liberi professionisti e alle c.d. partite Iva), il pacchetto di misure per il sostegno al reddito adottato a partire da febbraio 2020 ha avuto il merito di garantire in tempi celeri una tutela estesa, in quanto riferita ad una vastissima platea di soggetti, nonché di facile accesso, grazie all’attivazione di meccanismi di semplificazione e de-burocratizzazione.
Anche in favore delle imprese sono state adottate numerose misure che (tra le altre) hanno agevolato l’accesso al credito, sostenuto gli investimenti, incentivato l’esportazione e l’internazionalizzazione, sì da assicurare la continuità produttiva nella fase dell’emergenza.
Tutte le prestazioni, erogate sotto forma di contributi a fondo perduto e soprattutto di trattamenti di sostegno al reddito, sono state finanziate dalla fiscalità generale, mediante il pronto reperimento di ingenti risorse che, se da un lato hanno sostenuto i bisogni emergenti, dall’altro lato, hanno comportato un massivo ricorso a politiche di deficit spending , nonché alla riduzione di numerose autorizzazioni di spesa .
La parte più rilevante delle risorse impegnate per fronteggiare l’emergenza causata dal Covid-19 ha riguardato proprio il sostegno al reddito (oltre che il contrasto alla povertà) e, nonostante allo stato attuale il termine ultimo per la fruizione dei trattamenti di sostegno al reddito con causale Covid-19 sia fissato al 31 marzo 2021 per la CIG e al 30 giugno 2021 per l’assegno ordinario , è facilmente prevedibile che gli effetti di siffatte misure sulle finanze dello Stato si protrarranno anche oltre la metà del 2021, potendosi ipotizzare con buona probabilità l’adozione di nuovi interventi, necessari per far fronte al costante innalzamento dei contagi e alle loro ricadute sul tessuto socioeconomico.
Una riflessione sistematica sulla copertura finanziaria degli istituti volti a ridurre le ricadute occupazionali della pandemia, e con esse i problemi di tenuta sociale e di ordine pubblico del Paese, non può che condurre a considerare come la normativa emergenziale, per la gran parte costituita da ammortizzatori sociali diretti, cioè finalizzati a sostenere il reddito dei lavoratori, non solo subordinati, sospesi dal lavoro, per carenza totale o parziale di lavoro, ha comportato una distribuzione, spesso alluvionale e comunque sempre in deficit, di risorse finanziarie pubbliche che hanno pesato in modo (più che) notevole sul bilancio dello Stato.
In questo contesto, un forte segnale della necessità e della volontà di reagire all’impatto della crisi pandemica sull’occupazione e sui redditi dei lavoratori è arrivato anche dalle istituzioni dell’Unione Europea, che, diversamente da quanto avvenuto durante le passate crisi, hanno adottato una serie di misure direttamente rivolte a preservare i livelli occupazionali, mediante l’impiego di strumenti di sostegno finanziario rivolti agli Stati membri.
In un contesto come quello europeo, ove il Pillar of social rights è stato proclamato nelle carte europee e nei documenti ufficiali, ma la protezione dei diritti sociali fondamentali è rimasta (sino ad ora) una mera raccomandazione non vincolante, proprio l’emergenza da covid-19 sembra aver segnato una presa d’atto circa l’urgenza di agire per rafforzare la dimensione sociale comune e accrescere la solidarietà tra gli Stati membri per dare risposte economiche e sociali unitarie .
Tra le iniziative più significative assunte dall’UE vi è stata l’adozione del Regolamento 2020/672 , che ha istituito il c.d. SURE (acronimo di “Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), cioè un sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione durante l’emergenza. Questo strumento, che si aggiunge alle deroghe ai divieti di aiuti di Stato per sostenere le imprese in difficoltà e agli aiuti provenienti dal FSE, dallo European Solidarity Fund e dal CRII (Coronavirus Response Investment Initiative) , persegue l’obiettivo di fornire un ausilio concreto agli Stati membri che abbiano adottato, sul loro territorio, misure straordinarie per contenere le conseguenze dell’epidemia sui sistemi economici e produttivi e abbiano quindi sostenuto notevoli esborsi finanziari.
Il SURE appresta quindi una seconda linea di difesa per finanziare i regimi di riduzione dell’orario di lavoro e le misure analoghe, comprese quelle destinate ai lavoratori autonomi, così sostenendo le politiche degli Stati membri volte a ridurre il rischio di disoccupazione e di perdita del reddito, nonché a finanziare misure di carattere sanitario, in particolare sul luogo di lavoro (art. 2).
Il sostegno temporaneo europeo integra le misure nazionali adottate dagli Stati membri fornendo loro assistenza finanziaria ove abbiano subito un aumento repentino e severo della spesa pubblica effettiva (ed eventualmente programmata) a decorrere dall’1 febbraio 2020 e fino al 31 dicembre 2022, con lo scopo di attenuare gli effetti economici, sociali e di carattere sanitario derivanti dalle circostanze eccezionali causate dall’epidemia (art. 3). L’assistenza finanziaria assume la forma di un prestito concesso dall’Unione al singolo Stato interessato a condizioni agevolate, mediante il ricorso ai mercati internazionali dei capitali o alle istituzioni finanziarie (art. 4) e utilizza i contributi volontari degli Stati membri come garanzia irrevocabile, incondizionata e attivabile a semplice richiesta, per il sostegno dei prestiti stessi (art. 11).
L’importo complessivo dei prestiti è fissato in 100 miliardi di euro (art. 5), di cui solo il 10% può essere erogato annualmente ed il 60% può essere concesso ai tre Stati membri che rappresentano cumulativamente la maggiore quota di prelievo (art. 9).
Lo Stato che ne faccia richiesta, accede al prestito alle condizioni e nei termini che sono di volta in volta specificati dalla decisione del Consiglio, la quale regola, oltre all’ammontare, anche la durata dell’assistenza finanziaria, il tasso di interesse applicato e il piano rateale di restituzione (art. 6).
Condizione per l’attivazione del SURE è che tutti gli Stati membri abbiano contribuito a garantire i prestiti per un ammontare pari almeno al 25% dell’importo massimo complessivo, versando ciascuno una quota di contributi proporzionale alla propria incidenza sul PIL dell’Unione (art. 12).
Il supporto offerto dal SURE alle misure adottate dagli Stati membri ha una mera funzione di integrazione finanziaria, giacché lascia alla discrezionalità degli Stati la scelta su come impiegare i prestiti concessi, senza incidere sulle caratteristiche strutturali degli ammortizzatori sociali nazionali, variamente declinate nei sistemi interni. Opportunamente, quindi, e nel rispetto del principio di sussidiarietà proprio dei Trattati, il regolamento non vincola gli Stati nelle modalità di fruizione del fondo, né nell’individuazione delle aree o dei beneficiari degli interventi nazionali, essendo esclusivamente finalizzato a sostenere i redditi dei lavoratori, siano essi subordinati o autonomi, purché sospesi o privi di occupazione a causa della crisi .
La nuova misura, che ha carattere temporaneo ed eccezionale, trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 122 (1) e (2) TFUE, che autorizza interventi di assistenza finanziaria in favore degli Stati membri che si trovino in difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al loro controllo. Per tale ragione, e considerato che il finanziamento di cui al Regolamento 2020/672 non rappresenta un compiuto meccanismo di solidarietà fiscale europea, né implica l’utilizzo in chiave solidaristica delle risorse proprie dell’Unione, ma consente semplicemente ai singoli Stati di accedere al mercato dei capitali a condizioni più vantaggiose di quelle che potrebbero ottenere individualmente, esso non è qualificale come un vero e proprio schema permanente di riassicurazione europea contro la disoccupazione – di cui pur si è ampiamente discusso a livello nazionale e sovranazionale . Ciò non di meno, esso potrebbe costituire la base da cui le istituzioni nazionali ed europee potrebbero prendere le mosse per revisionare gli esistenti strumenti di integrazioni al reddito, armonizzando le normative nazionali e consolidando gli interventi diretti dell’Unione.
Attualmente, infatti, la maggior parte delle decisioni in materia fiscale e di impiego della spesa pubblica rimangono appannaggio degli stati nazionali, ma una effettiva integrazione europea necessiterebbe di un sistema di condivisione del rischio, da attuare per il tramite di trasferimenti fiscali automatici. In tal senso, proprio i sussidi di disoccupazione rappresentano terreno d’elezione in cui i meccanismi di stabilizzazione automatica europea potrebbero operare, come è emerso con forza proprio nel contesto del recente shock economico causato dalla pandemia, tra i cui effetti più dirompenti vi è stato un incremento delle sospensioni e delle interruzioni dei rapporti di lavoro.

4. Osservazioni conclusive
Le pesanti ricadute occupazionali della pandemia (allo stato criptate dal blocco dei licenziamenti) hanno disvelato bisogni di tutela che, già presenti nel sostrato del tessuto sociale, sono emersi in tutta la loro drammatica attualità, non potendo più essere sottaciuti o ignorati da parte delle istituzioni. La precarietà e la discontinuità occupazionale e reddituale, che non colpiscono solo i lavoratori subordinati, soprattutto atipici, ma affliggono anche i lavoratori autonomi che svolgono attività in posizione di dipendenza economica con redditi sovente attestati alla soglia di povertà , fino a lambire l’area del lavoro libero professionale ordinistico, rendono improrogabile una presa d’atto della c.d. “nuova questione sociale” che pone inedite esigenze di tutela per tutti coloro che vivono del proprio lavoro, indipendentemente dalla tipologia da cui esso trae origine.
La situazione provocata dall’emergenza, pur rappresentando un fenomeno estremo e (ci si augura) difficilmente ripetibile, ha messo in luce i vuoti di tutela del sistema di protezione sociale, evidenziandone i limiti e le deviazioni rispetto ai principi fondanti, primi fra tutti il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e quello di solidarietà (art. 2 Cost.) .
In questo scenario, ove grandi cambiamenti stanno interessando la disciplina dei trattamenti di sostegno al reddito in senso derogativo e ampliativo rispetto a quella ordinaria, v’è da chiedersi, in prospettiva de iure condendo, quali potranno essere le sorti della riforma degli ammortizzatori sociali varata nel 2015 ed in particolare se le misure speciali prodotte nella (e dalla) pandemia saranno destinate a scomparire una volta superata la contingenza che le ha rese indispensabili oppure se esse avranno la forza di imporsi, segnando un “punto di non ritorno” capace di riorientare il sistema.
Solo considerando la sensibile riduzione del PIL per il 2020 e quella pronosticata per gli anni a venire , nonché la rimozione del blocco dei licenziamenti economici , è facile prevedere che l’economia e il welfare usciranno modificati dalla crisi e imporranno un adeguamento anche degli strumenti di sostegno al reddito alla luce del nuovo contesto , sicché è opportuno chiedersi se e quali delle misure introdotte originariamente per fronteggiare l’emergenza potranno trovare stabilizzazione o sistematizzazione, nonché quale dovrà e potrà essere il ruolo dell’intervento pubblico in tale settore, non essendo pensabile che la tutela reddituale prevista dai più recenti provvedimenti legislativi, in toto connotata da un’impostazione assistenzialistica, possa assumere carattere strutturale .
Non minore attenzione dovrà però essere riservata anche alle politiche attive del lavoro e alla formazione, il cui ruolo, a prescindere dal livello di attuazione, è essenziale per garantire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e, quindi, concrete possibilità di ricollocazione dei soggetti disoccupati o a rischio di disoccupazione. L’inefficienza del sistema di protezione sociale contro la disoccupazione deriva, infatti, dalla circostanza che troppo spesso (anche durante la pandemia) esso ha finito per esaurirsi nella mera erogazione di prestazioni economiche, trascurando – invero anche in ragione del contenimento del contagio - le politiche di reinserimento lavorativo.
Il mercato del lavoro interno, in cui pure il nesso tra politiche passive e attive del lavoro è tradizionalmente presente, risente della grave e cronica inadeguatezza delle seconde, peraltro del tutto “congelate” nel periodo di lockdown . Non si potrà pertanto prescindere, una volta cessata la crisi, da un profondo ripensamento anche delle misure volte a favorire la rioccupazione ed anzi, questo terreno costituirà, verosimilmente, una delle maggiori sfide del futuro .

 

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