Testo integrale con note e bibliografia

La legge 19 novembre 2021 n. 165 ha confermato, con qualche lieve modifica, gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies che il Decreto Green Pass Bis ha introdotto nel Decreto Riaperture e che pongono a carico dei lavoratori del settore pubblico e del settore privato, «ai fini dell’accesso ai luoghi» nei quali gli stessi sono chiamati a svolgere la loro attività lavorativa, l’«obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19» .
Si tratta della certificazione (c.d. Green Pass) che ai sensi dell’art. 9, c. 2, dello stesso Decreto Riaperture attesta, per la durata della sua validità , che la persona che ne è in possesso si trova in una delle particolari «condizioni» che il legislatore ha ritenuto idonee sia a ridurre, ma senza escluderla del tutto, la possibilità che la stessa sia in stato di infezione contagiosa al momento di accedere al luogo di lavoro , sia comunque a presumere una protezione immunitaria tale per cui l’infezione eventualmente contratta possa risultare meno pericolosa non soltanto per la persona interessata , ma anche per gli altri, in quanto meno contagiosa .
Tale certificazione può essere ottenuta soltanto dalle persone che abbiano tenuto almeno una delle diverse condotte che, sempre in base alla legge, consentono il rilascio della predetta attestazione . Pertanto, l’obbligo che gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies pongono in capo ai lavoratori si traduce, anzitutto, nell’obbligo di tenere, prima di accedere ai luoghi di lavoro, almeno una delle diverse condotte necessarie ad ottenere il Green Pass.
Al fine di assicurare che i lavoratori adempiano tale obbligo, le nuove disposizioni non si limitano a prevedere l’applicazione nei loro confronti di sanzioni disciplinari e amministrative per il caso di inadempimento ma, come tra breve si dirà meglio, pongono anche a carico dei datori di lavoro l’obbligo di adottare specifiche misure organizzative finalizzate ad impedire che i lavoratori inadempienti possano essere presenti sul luogo di lavoro , con l’effetto di privare questi ultimi della possibilità di svolgere la propria prestazione e quindi maturare il diritto alla retribuzione .
Il rigore di tale disciplina sembra trovare giustificazione in ciò che il legislatore, come si ricava dalle premesse del d.l. n. 127/2021, introducendo nel d.l. n. 52/2021 i nuovi articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies ha inteso perseguire una duplice finalità e, cioè, sia il «fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività» attraverso misure ritenute idonee a «garantire la maggiore efficacia delle misure di contenimento del virus SARS-CoV-2», sia il fine «di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro» .
Si tratta di finalità diverse entrambe collegate all’attuazione dell’art. 32 della Costituzione che, infatti, è espressamente richiamato nelle premesse del d.l. n. 127/2021.
La rilevanza che entrambe le finalità assumono per il legislatore è confermata da ciò che le stesse sono entrambe espressamente richiamate anche nel testo delle nuove disposizioni introdotte nel d.l. n. 52/2021, nelle quali pure si legge che i diversi obblighi posti a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro sono funzionali sia «al fine di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2» , sia «al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro» .
Pertanto, l’esigenza di evitare una diffusione dei contagi nei luoghi di lavoro è stata considerata dal legislatore come collegata non soltanto all’interesse dei lavoratori a poter svolgere la loro prestazione lavorativa in condizioni di sicurezza, ma anche all’interesse generale di evitare che le organizzazioni di lavoro possano diventare una fonte di rischio per l’intera collettività , in considerazione della possibilità che la diffusione del contagio nei luoghi di lavoro possa avere come conseguenza una maggiore diffusione dell’infezione anche al di fuori di quei luoghi, in ambiti sociali diversi .
Sembra, quindi, anzitutto possibile affermare che anche le particolari misure organizzative che le nuove disposizioni richiedono ai datori di lavoro, non costituiscano soltanto specificazione dell’obbligo di sicurezza nei confronti dei lavoratori ex art. 2087 c.c. ma siano anche funzionali a soddisfare, in via immediata e diretta , un interesse della generalità dei consociati.
Da questo punto di vista, le nuove disposizioni introdotte dal d.l. n. 127/2021 sembrano quindi operare in modo analogo a quelle del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, che pure impongono al datore di lavoro oneri organizzativi a tutela immediata e diretta di un interesse della generalità dei consociati, qual è, in quel caso, l’interesse alla legalità e alla prevenzione di particolari tipologie di reato. E l’analogia sta anche in ciò che anche il d.lgs. n. 231/2001 impone al datore di lavoro oneri organizzativi nel presupposto che la stessa organizzazione di lavoro possa costituire, se non adeguata alle prescrizioni del legislatore, fonte di un rischio per la collettività, qual è appunto in quel caso quello della commissione di reati anche particolarmente gravi quali quelli elencati dallo stesso d.lgs. n. 231/2001 .
Il che consente, quindi, di affermare che, proprio perché funzionali anche alla tutela immediata e diretta di un interesse generale della collettività, gli obblighi organizzativi che gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies pongono in capo ai datori di lavoro debbano essere adempiuti da questi ultimi con particolare rigore.
Le premesse del d.l. n. 127/2021 sono, però, come detto esplicite nell’indicare che gli obblighi organizzativi che le nuove disposizioni introdotte nel d.l. n. 52/2021 pongono a carico dei datori di lavoro devono essere considerati funzionali a tutelare, oltre che un interesse immediato e diretto della generalità dei consociati, qual è quello di contenere il più possibile la diffusione del virus, anche l’interesse dei lavoratori a poter svolgere la loro prestazione in condizioni di sicurezza, costituendo quindi, da questo punto di vista, specificazione dell’obbligo derivante dall’art. 2087 c.c.
A tale riguardo sembra, allora, anche possibile affermare che le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 127/2021 svolgano una duplice funzione anche rispetto all’obbligo di sicurezza che grava sui datori di lavoro.
Ed infatti, da un lato, quelle disposizioni non prevedono, a differenza della disciplina precedente , alcuna misura alternativa all’immediata estromissione dai luoghi di lavoro dei lavoratori che risultino privi di un valido Green Pass o semplicemente non siano in grado di esibirlo a richiesta del datore di lavoro , con il solo temperamento della possibilità di differire l’estromissione al termine del turno di lavoro nella ipotesi in cui la validità del Green Pass sulla base del quale il lavoratore abbia legittimamente iniziato a svolgere la sua prestazione cessi prima della fine del turno .
Pertanto, sembra possibile affermare che le disposizioni introdotte dal d.l. n. 127/2021 abbiano a loro presupposto il riconoscimento che nell’«attuale contesto di rischio» derivante dalla «pandemia» , ciascuna persona può costituire, con la sua semplice presenza sul luogo di lavoro, un «pericolo» , ovvero quello stato di fatto che, a causa di una non adeguata organizzazione o della mancanza di adeguate misure di prevenzione, può determinare un «rischio» per la salute delle altre persone presenti sul luogo di lavoro . Rischio che, per le particolari caratteristiche del virus, sembra potersi determinare a prescindere dalle caratteristiche dell’organizzazione produttiva o dalla natura del rapporto in virtù del quale la persona accede al luogo di lavoro .
D’altro lato, le disposizioni introdotte dal d.l. n. 127/2021 pongono a carico dei datori di lavoro l’obbligo di adottare misure organizzative che possono essere considerate quali misure di prevenzione che specificano la clausola generale dell’art. 2087 c.c., perché nelle intenzioni del legislatore concorrono sia a ridurre la possibilità della presenza sul luogo di lavoro di persone in stato di infezione contagiosa, sia comunque a ridurre i rischi che deriverebbero da tale presenza .
Pertanto, le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 127/2021 svolgono una duplice funzione rispetto all’obbligo di sicurezza che grava sul datore di lavoro perché consentono di affermare che quest’ultimo, per evitare che il pericolo che ciascuna persona può costituire con la sua semplice presenza sul luogo di lavoro si traduca in un rischio per la salute delle altre persone presenti in quel luogo, debba adottare, con il necessario rigore, anche le misure previste dagli artt. 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies del d.l. n. 52/2021 in aggiunta a quelle già previste dall’art. 29-bis del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 .
In tale prospettiva, sembra anche possibile affermare che le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 127/2021 stabiliscano l’obbligo dei datori di lavoro di adottare le misure organizzative necessarie non soltanto a verificare il rispetto da parte dei lavoratori dell’obbligo che le stesse disposizioni pongono a carico di questi ultimi, ma anche ad impedire che i lavoratori che non abbiano rispettato tale obbligo possano essere presenti nei luoghi nei quali si svolge l’attività lavorativa .
Ed infatti, dalla disposizione contenuta nell’art. 9-sexies, c. 1 si ricava che l’«obbligo» che le disposizioni contenute nell’art. 9-quinquies, c. 1, e nell’art. 9-septies, c. 1, pongono a carico, rispettivamente, dei lavoratori del settore pubblico e dei lavoratori del settore privato , si traduce per quanti non siano in possesso del Green Pass in una obbligazione negativa e, quindi, in un divieto , ovvero nel divieto di accedere ai luoghi nei quali si svolge l’attività lavorativa.
Divieto che, come detto, sembra doversi giustificare con ciò che il legislatore ha considerato che nell’attuale stato di pandemia, la persona rispetto alla quale non possa presumersi, per la mancanza di Green Pass, l’assenza di un attuale stato di infezione contagiosa o comunque una protezione immunitaria tale da attenuare la contagiosità dell’eventuale infezione , possa determinare con il suo semplice accesso al luogo di lavoro uno stato di pericolo che può tradursi in un grave rischio per la salute delle altre persone presenti in quel luogo .
In tale prospettiva si comprende la ragione per la quale sia l’art. 9-quinquies, c. 6, che l’art. 9-septies, c. 6, stabiliscono anche che i lavoratori che abbiano preventivamente comunicato, eventualmente a seguito di richiesta del datore di lavoro , «di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19» e quelli che, a seguito delle verifiche predisposte dal datore di lavoro, siano risultati privi «della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro», devono essere considerati assenti «fino alla presentazione della predetta certificazione» . Lo stato di “assenza” si spiega, infatti, con ciò che, in virtù delle misure organizzative che saranno state a tal fine adottate, il datore di lavoro avrà legittimamente, e doverosamente, vietato e, quindi, anche impedito a tali lavoratori di accedere al luogo di lavoro .
Il legislatore ha, però, anche considerato che l’attuazione del divieto di accedere ai luoghi di lavoro in assenza della richiesta certificazione non può essere affidata esclusivamente alle procedure di verifica organizzate dai datori di lavoro , tenendo anche conto dei particolari oneri, anche economici, che questi ultimi sarebbero chiamati a sostenere per organizzare procedure idonee ad evitare in maniera assoluta il verificarsi dell’evento . Oneri che possono essere attenuati, ma non esclusi del tutto, dalla prevista possibilità di esonerare dai controlli i lavoratori che abbiano consegnato al datore di lavoro la copia del proprio Green Pass , trattandosi di possibilità rimessa alla scelta degli stessi lavoratori .
Si comprende, quindi, la ragione per la quale il legislatore abbia posto al centro della nuova disciplina, «al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro» , l’«obbligo» a carico degli stessi lavoratori .
Tant’è che il legislatore ha distinto l’ipotesi in cui il datore di lavoro, in virtù delle misure organizzative a tal fine predisposte, sia riuscito ad impedire al lavoratore non in possesso di valido Green Pass di accedere al luogo di lavoro da quella in cui quelle misure non siano riuscite ad evitare l’ingresso nel luogo di lavoro di un lavoratore non in possesso di tale certificazione. Ed infatti, mentre per la prima ipotesi il legislatore ha escluso che il lavoratore, essendo comunque rimasto fuori dal luogo di lavoro, possa subire «conseguenze disciplinari» , per la seconda ipotesi ha previsto che la violazione da parte del lavoratore dell’obbligo posto a suo carico debba dare luogo, oltre che alla sua immediata estromissione dalla sede di lavoro , anche all’applicazione di una sanzione amministrativa , cui possono aggiungersi le «conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza» .
Sembra, quindi, anche possibile affermare che, al pari dell’art. 20 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 , gli artt. 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies introdotti nel d.l. n. 52/2021 costituiscano attuazione delle disposizioni contenute nel primo paragrafo e nella lettera f) del secondo paragrafo dell’art. 13 della direttiva 89/391/CEE, le quali impongono agli Stati membri di introdurre una disciplina che obblighi i lavoratori a contribuire, con una condotta ragionevole, alla sicurezza del luogo di lavoro.
Senonché, la stessa direttiva stabilisce anche che gli obblighi dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro «non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro» .
Pertanto, da un lato, deve ritenersi che la rilevanza che il legislatore ha attribuito all’obbligo dei lavoratori di munirsi di valido Green Pass al fine di accedere al luogo di lavoro non esclude ma, se mai, accentua la rilevanza che assumono le misure organizzative che i datori di lavoro devono adottare al fine di poter verificare il rispetto da parte dei lavoratori dell’obbligo che è stato loro imposto.
D’altro lato, poiché il legislatore ha ritenuto che i lavoratori possano contribuire in maniera ragionevole alla sicurezza del luogo di lavoro anche effettuando, ogni 48 o 72 ore , un c.d. “tampone” , si pone la questione di valutare se il costo dei diversi tamponi a tal fine necessari debba essere sostenuto dal datore di lavoro .
Per risolvere tale questione non sembra, però, agevole fare ricorso al consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo il quale il costo dei dispositivi di protezione individuale deve gravare sul datore di lavoro e non sui lavoratori . Ed infatti, a differenza del vaccino , il tampone non sembra poter essere agevolmente ricompreso nell’ampia nozione di ‘dispositivo di protezione individuale’ , per la ragione che non vale a proteggere, neppure nei limiti in cui vale a proteggerla il vaccino , la salute dello stesso lavoratore che lo effettua .
Anche per tale ragione, resta da chiedersi se la nuova disciplina, nel subordinare la possibilità di accedere ai luoghi di lavoro anche all’obbligo, alternativo ad altre condizioni, di effettuare con cadenze serrate (ogni 48 o 72 ore) i diversi tamponi necessari ad ottenere, volta per volta, e in caso di esito negativo, il Green Pass, possa costituire adeguata attuazione della direttiva europea che, come detto, impone agli Stati membri di prevedere anche l’obbligo dei lavoratori di contribuire alla sicurezza dei luoghi di lavoro in maniera ragionevole . Ed infatti, potrebbe dubitarsi della ragionevolezza di una condotta che, mentre non sembra offrire alla sicurezza del luogo di lavoro lo stesso contributo offerto dalle condotte previste come alternative , comporta per il lavoratore sacrifici rilevanti. Sacrifici che, infatti, non sono connessi esclusivamente al costo dei diversi tamponi , ma anche agli spostamenti necessari a raggiungere i luoghi nei quali i tamponi possono essere effettuati e ai tempi richiesti da tali spostamenti e dalla esecuzione, non sempre immediata, di ciascun tampone, i quali possono incidere, anche in misura non lieve, sulla vita privata e familiare dei lavoratori .

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