Testo integrale con note e bibliografia
a) La pandemia da COVID-19 e le misure di sicurezza nei luoghi di lavoro.
All’indomani della scoperta del primo vaccino, sulle “colonne telematiche” di questa rivista si è aperto il dibattito giuridico in merito alla legittimità (ed i termini) di un obbligo del vaccino in ambito lavorativo.
In questi mesi il vaccino da un lato è stato proposto dalla scienza medica quale unico strumento per uscire dalla grave pandemia e, dall’altro, (soprattutto inizialmente) caratterizzato da non pochi timori sulla sua efficacia: sia per la velocità con la quale è stato ritrovato che per l’impossibilità di verificarne eventuali effetti collaterali sul lungo periodo.
Da subito, i giuslavoristi si sono ampiamente confrontati sulla possibilità in capo al datore di lavoro di imporre la vaccinazione quale misura di sicurezza in azienda e sulle possibili conseguenze in caso di rifiuto.
La dottrina ha essenzialmente interpretato le principali norme applicabili alla questione (art. 32 Cost., art. 2087 cod. civ., art. 5 St. Lav., artt. 279 del Testo Unico della sicurezza del lavoro (TUSL) come una fisarmonica a seconda della conclusione alla quale si voleva approdare, ciò al netto della normativa emergenziale.
Infatti, parallelamente al dibattito dottrinale, si è verificata una produzione normativa (di natura emergenziale) fortemente indirizzata verso il raggiungimento della più alta percentuale di cittadini vaccinati ovvero di controlli sulla eventuale positività dei singoli.
Ad oggi, sembra che il quadro normativo, che di seguito viene indicato, abbia prodotto una maggiore crescita economica del nostro paese rispetto al resto d’Europa e arginato (nei limiti del contenibile) l’emergenza ospedaliera delle terapie intensive.
Da ultimo, il 19 dicembre 2021, in occasione di un suo intervento presso l’Università Cattolica di Milano, il presidente della Commissione Europea Von der Leyen ha indicato il nostro paese (ed implicitamente l’impianto normativo posto in essere dal governo) come un modello da replicare «La gestione della pandemia è stata efficace, la vaccinazione va come un treno, l’economia sta crescendo più in fretta che mai, il Pil tornerà ai livelli pre-crisi già entro la metà del prossimo anno».
b) L’attuale quadro normativo.
b.1) Il Decreto Legge 1 aprile 2021 n. 44: l’obbligo vaccinale.
Il Decreto Legge 1 aprile 2021, n. 44 , in Gazz. Uff., 1 aprile 2021, n. 79 - “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” - “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.
L’art. 4 , ha previsto che “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita, comprensiva, a far data dal 15 dicembre 2021, della somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario”. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati e la norma precisa che solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2, non sussiste l’obbligo e la vaccinazione può essere omessa o differita.
In caso di omessa vaccinazione, i soggetti obbligati vengono immediatamente sospesi “dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale”.
Per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
La norma prevede un particolare obbligo per il datore di lavoro, il quale, deve “verificare se sia possibile adibire i soggetti non vaccinati a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione”.
Detto obbligo, a far data dal 10 ottobre 2021 (fino alla cessazione dello stato di emergenza), è stato esteso, dall’art. 4bis , ai lavoratori, “anche esterni”, impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, incluse le strutture semiresidenziali e le strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità, e, dall’art. 4ter, a far data dal 15 dicembre 2021, al personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi della legge n. 124 del 2007, delle strutture di cui all’articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e degli Istituti penitenziari.
b.2) Il Decreto Legge 22 aprile 2021 n. 52: l’introduzione del green pass.
Il Decreto Legge 22 aprile 2021 n. 52 , in Gazz. Uff., 22 aprile 2021, n. 96, “Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19” (il “Decreto Legge”), ha introdotto le “certificazioni verdi COVID-19” (art. 9), ossia “le certificazioni comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o guarigione dall’infezione da SARS-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare, quest’ultimo anche su campione salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute, con esito negativo al virus SARS-CoV-2”.
A seconda delle modalità con cui è stata ottenuta, la certificazione ha una differente durata: nove mesi se ottenuta a seguito del completamento del ciclo vaccinale, sei mesi se ottenuta a seguito di avvenuta guarigione, di settantadue ore se ottenuta a seguito di test molecolare e di quarantotto ore se ottenuta a seguito di test antigenico rapido.
Inizialmente, il Decreto Legge - oltre a disporre, a far data dal 6 agosto u.s., l’obbligo di certificazione verde per poter accedere a ristoranti, centri sportivi, cinema ecc. - ha previsto, dal 1° settembre 2021 fino al termine di cessazione dello stato di emergenza (originariamente il 31 dicembre, successivamente prorogato al 31 marzo 2022), l’obbligo per tutto “il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie e quello universitario, nonché gli studenti universitari”, di possedere ed esibire la “certificazione verde COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2”.
L’art. 9, comma 10, ha previsto inoltre che con successivo “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato di concerto con i Ministri della salute, per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale e dell'economia e delle finanze, sentito il Garante per la protezione dei dati personali” fossero disciplinate le modalità di controllo delle certificazioni verdi.
In attuazione alla predetta disposizione, il 17 giugno 2021, è stato pubblicato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in Gazz. Uff., 17 giugno 2021, n 143 (“DPCM 17 giugno 2021”).
Con tale provvedimento, sono state indicate le modalità di verifica delle certificazioni verdi, tutt’oggi valide. L’art. 13 (Verifica delle certificazioni verdi COVID-19 emesse dalla Piattaforma nazionale-DGC) dispone che la verifica delle certificazioni verdi COVID-19 è effettuata mediante la lettura del codice a barre bidimensionale, utilizzando esclusivamente l’applicazione mobile descritta nell’allegato B, paragrafo 4, ovvero utilizzando le ulteriori modalità automatizzate di cui ai successivi commi descritte negli allegati G e H (introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettera m), del D.P.C.M. 12 ottobre 2021) che consentono «unicamente di controllare l’autenticità, la validità e l’integrità della certificazione, e di conoscere le generalità dell’intestatario, senza rendere visibili le informazioni che ne hanno determinato l’emissione».
Il citato DPCM del 12 ottobre 2021 ha introdotto “la possibilità di verifica automatizzata delle certificazioni verdi Covid- 19”, attraverso diverse modalità di integrazione con la piattaforma nazionale digital green certificate (Piattaforma Nazionale-DGC).
In sintesi, con particolare riferimento ai datori di lavoro aventi più di 50 dipendenti (sia privati che pubblici non aderenti al circuito “NoiPA”), in conformità al DPCM del 12 ottobre 2021, è stata introdotta, attraverso una specifica funzionalità gestita da INPS, la possibilità di verifica massiva ed asincrona dei green pass relativa ad un gruppo di codici fiscali, prevedendo altresì che le verifiche possano essere effettuate con esclusivo riferimento al personale effettivamente in servizio (escludendo in tal modo dalla verifica i lavoratori in malattia, ferie, permessi ecc.).
Al riguardo, l’INPS il 21 ottobre 2021 con il Messaggio n. 3589 ha reso noti e definiti «i dettagli tecnici e le modalità di utilizzo delle soluzioni informatiche per la verifica automatizzata delle Certificazioni verdi COVID-19, da realizzare tramite diverse modalità di integrazione con la Piattaforma Nazionale DGC (PN-DGC) di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a) del DPCM 17 giugno 2021»; oltre alla cd “procedura di Greenpass50+”.
L’art. 13 del DPCM 17 giugno 2021, nel secondo comma, elenca poi i soggetti deputati ai controlli. Per quanto di nostro interesse alle lettere g) ed h), rispettivamente sono indicati “i dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi educativi dell’infanzia nonché delle scuole paritarie, delle università e delle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, e loro delegati”, nonché “i datori di lavoro pubblici o privati, e loro delegati, relativamente alla verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo con riferimento al personale e ai soggetti terzi che accedono al luogo di lavoro per ragioni diverse dalla semplice fruizione dei servizi all’utenza e i responsabili della sicurezza delle strutture in cui si svolge l'attività giudiziaria o i loro delegati relativamente ai magistrati” .
La stessa norma prevede che i verificatori sopra menzionati possono richiedere all’“intestatario della certificazione verde COVID-19 all’atto della verifica” di dimostrare “la propria identità personale mediante l’esibizione di un documento di identità”.
La norma specifica altresì che “l’attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell'intestatario in qualunque forma, salvo quelli strettamente necessari all’applicazione delle misure previste dagli articoli 9-ter ai commi 2 e 5, 9-quinquies, commi 6 e ss., e 9-septies, commi 6 e ss.”.
b.3) Le modifiche introdotte dal Decreto-legge 21 settembre 2021 n. 127: obbligo di green pass nei luoghi di lavoro.
Successivamente il Decreto-legge 21 settembre 2021 n. 127 , in Gazz. Uff., 21 settembre 2021, n. 226, (recante “Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening”) ha introdotto, anche nel settore privato, a decorrere dal 15 ottobre 2021 e fino al termine di cessazione dello stato di emergenza (inizialmente previsto per il 31 dicembre 2021 e successivamente prorogato fino al 31 marzo 2022) - l’obbligo di accesso al luogo di lavoro solo ai lavoratori in possesso della certificazione verde COVID-19.
In particolare, il DL n. 127/2021 ha inserito nel Decreto Legge gli artt. 9-quinquies – 9-septies, introducendo sia per il settore pubblico che privato, l’obbligo di possedere ed esibire il green pass per poter accedere ai luoghi di lavoro.
Sinteticamente riportiamo una descrizione delle previsioni di maggiore interesse.
A far data dal 15 ottobre, chiunque svolge una attività lavorativa, nel settore sia pubblico che privato - ad eccezione unicamente dei soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare Ministeriale - per poter accedere ai luoghi di lavoro devono possedere ed esibire, dietro richiesta dei soggetti all’uopo incaricati dal datore di lavoro con “atto formale”, un valido green pass.
L’obbligo di green pass concerne, non solo i lavoratori subordinati, bensì tutti i soggetti che accedono ai locali aziendali, per svolgere attività lavorativa, ovvero per finalità formative o di volontariato, anche sulla base di contratti esterni (si pensi, ad esempio, ai contratti di appalto o di somministrazione); in quest’ultimo caso il controllo potrà essere effettuato anche dagli effettivi datori di lavoro.
I controlli sono effettuati dai datori di lavoro che, entro il 15 ottobre, hanno dovuto definire le modalità per l’organizzazione delle verifiche. A seguito di alcune recenti modifiche è stato introdotta la possibilità per i lavoratori di richiedere ai datori di lavoro di poter consegnare il green pass, in tal caso non sarà necessario la quotidiana verifica dello stesso.
Le verifiche devono essere effettuate, “preferibilmente”, all’accesso ai luoghi di lavoro e, nel caso, “anche a campione”.
Il lavoratore che comunica di non avere il green pass o ne risulti privo al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sarà considerato assente ingiustificato senza alcun diritto alla retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato, fino alla presentazione del Green Pass e in ogni caso entro e non oltre il termine del periodo emergenziale (ad oggi, il 31 marzo 2022). Il dipendente sprovvisto del certificato verde al momento dell’accesso al luogo di lavoro non avrà conseguenze disciplinari e manterrà il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.
È invece prevista la sanzione pecuniaria da € 600,00 a € 1.500,00 euro per i lavoratori che accederanno nei luoghi di lavoro violando l’obbligo di green pass (restando ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore). Per i datori di lavoro che non verificheranno il rispetto delle regole e che non abbiano disposto le modalità di verifica è prevista una sanzione da € 400,00 a € 1.000,00.
Gli unici soggetti a cui non si applica il predetto obbligo, sono “i soggetti esentati dalla somministrazione del vaccino sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute” (art. 9- quinquies, comma 3, e art. 9-septies, comma 3). Come precisato dalle linee guida “in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l’applicazione della disciplina in materia di obblico di possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 da parte del personale”, emesse con il DPCM 12 ottobre 2021 (in Gazz. Uff., 14 ottobre 2021, n. 246), sono tali “i soli soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute”.
Per quanto concerne le modalità di verifica del certificato di esenzione, le linee guida chiariscono che “per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale il controllo sarà effettuato mediante lettura del QRcode in corso di predisposizione. Nelle more del rilascio del relativo applicativo, tale personale - previa trasmissione della relativa documentazione sanitaria al medico competente dell'amministrazione di appartenenza - non potrà essere soggetto ad alcun controllo. Resta fermo che il medico competente - ove autorizzato dal dipendente - può informare il personale deputato ai controlli sulla circostanza che tali soggetti debbano essere esonerati dalle verifiche”.
Con le predette linee guida è altresì chiarito che “non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione” e che “il possesso della certificazione verde e la sua esibizione sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell'accesso al luogo di lavoro. Il lavoratore che dichiari il possesso della predetta certificazione, ma non sia in grado di esibirla, deve essere considerato assente ingiustificato e non può in alcun modo essere adibito a modalità di lavoro agile”.
A tale riguardo anche il Governo, in una delle faq (frequently asked questions) dedicate alla certificazione verde Covid-19, ha affermato che chi lavora in smart working non sarebbe tenuto ad avere tale certificazione “perché il green pass serve per accedere ai luoghi di lavoro”, tuttavia precisando che “in ogni caso lo smart working non può essere utilizzato allo scopo di eludere l’obbligo di green pass”.
A seguito della conversione in legge del DL n. 127/2021, dal 21 novembre 2021, sono state introdotte alcune modifiche alla disciplina dell’obbligo di green pass sul luogo di lavoro.
Tra le principali modifiche, innanzitutto, è stato previsto che il green pass mantiene la sua validità fino al termine della giornata di lavoro. Il problema si era, in particolare, posto in relazione alle certificazioni ottenute a seguito dell’esecuzione di test molecolare o antigenico rapido (con una valenza limitata, rispettivamente, di settantadue o quarantotto ore). Inoltre, è stato chiarito che, in caso di somministrazione di lavoro, è l’utilizzatore che ha l’obbligo di verificare il green pass.
Come accennato, in tale sede, è stata inoltre introdotta la possibilità per i dipendenti di richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia del relativo green pass ed essere di conseguenza esonerati dai controlli da parte del datore di lavoro.
Tale ultima disposizione, di grande rilevanza per le aziende, facilitando molto i controlli, ha destato l’interesse del Garante della Privacy che ha trasmesso al Parlamento una segnalazione evidenziando alcune criticità, in particolare contestando la legittimazione in capo al datore di lavoro di conservare copia della certificazione verde dei lavoratori, sull’assunto che il Considerando 48 del Regolamento (UE) 2021/953 relativo alle certificazioni digitali COVID sancisce esplicitamente che “Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento”.
Mentre sono state rilevate criticità legate alla normativa privacy da parte del Garante, la giurisprudenza, allo stato, non ha rilevato profili di illegittimità sulle misure introdotte nel nostro ordinamento per contrastare la pandemia nei luoghi di lavoro (obbligo vaccinale in determinati settori e obbligo di green pass in tutti i luoghi di lavoro).
c) Le pronunce giurisprudenziali.
Le pronunce che si sono susseguite in questi mesi a seguito dei ricorsi presentati dai lavoratori sospesi (per mancanza di vaccinazione o per mancanza di green pass), hanno sostanzialmente confermato la legittimità dei provvedimenti adottati dai datori di lavoro e delle disposizioni emergenziali.
Ripercorriamo le principali decisioni che sono intervenute.
I giudici amministrativi, pronunciatisi sulla legittimità dell’obbligo vaccinale e sulla legittimità del green pass, originariamente richiesto solo per il personale scolastico, hanno costantemente riconosciuto che i diritti, incluso il diritto al lavoro, e le libertà individuali trovano un limite nell’adempimento dei doveri solidaristici, imposti a ciascuno per il bene della comunità, sancito dall’art. 2 della Costituzione .
L’obbligo vaccinale, parimenti a quello di green pass, garantisce che il diritto al lavoro del singolo si eserciti nel rispetto dell’interesse alla tutela della salute collettiva. Non solo, le sentenze amministrative hanno rilevato che la prevalenza del diritto fondamentale alla salute della collettività, rispetto a dubbi individuali o di gruppi di cittadini sulla base di ragioni mai scientificamente provate, “assume una connotazione ancor più peculiare e dirimente allorché il rifiuto di vaccinazione sia opposto da chi, come il personale sanitario, sia - per legge e ancor prima per il cd. “giuramento di Ippocrate” - tenuto in ogni modo ad adoperarsi per curare i malati, e giammai per creare o aggravare il pericolo di contagio del paziente con cui nell'esercizio della attività professionale entri in diretto contatto” .
Recentemente la Terza Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 3 dicembre 2021, n. 6476 , si è pronunciata sull’obbligo vaccinale previsto dall’art. 4 del D.L. n. 44/2021, per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario, sintetizzando i principi ribaditi in questi mesi. Un medico, sospeso dall’esercizio della professione in assenza di vaccinazione, contestava, innanzi al T.A.R. Friuli Venezia Giulia, l’illegittimità costituzionale di tale norma e la contrarietà a norme sovranazionali. Non solo il ricorrente contestava la sussistenza di presupposti medico-legali dell’obbligo vaccinale. Il giudice amministrativo con sentenza n. 261 del 10 settembre 2021 respingeva il ricorso, ritenendolo infondato. Contro tale pronuncia, il medico ha chiesto la sospensione in via cautelare.
Il Consiglio di Stato, rigettando nuovamente il ricorso, ha ribadito che i vaccini contro il Covid-19:
(i) “presentano tutte le necessarie autorizzazioni rilasciate dalle preposte Autorità internazionali e nazionali” (nello specifico l’Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA, l’Istituto Superiore di Sanità, ISS, e dall’Agenzia Europea per i Medicinali, EMA);
(ii) che “le verifiche scientifiche e i procedimenti amministrativi previsti per il rilascio delle dette autorizzazioni risultano conformi alla normativa e quindi tali da fornire, anche in un'ottica di rispetto del principio di precauzione, sufficienti garanzie - allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, unico possibile metro di valutazione - in ordine alla loro efficacia e sicurezza” e
(iii) che “non è concepibile consulto peritale più autorevole, qualificato e affidabile di quello espresso dalle stesse Autorità nazionali e sovranazionali regolatrici della materia, sicché anche un supplemento di indagine in astratto esperibile da questo giudice non porterebbe che alle stesse autorità fare rinnovato riferimento”.
Tale pronuncia ribadisce, in merito alla contestata “ragionevolezza della misura della sospensione dall’esercizio della professione e al sotteso bilanciamento tra gli interessi coinvolti dalla presente vicenda - pur tutti costituzionalmente rilevanti e legati a diritti fondamentali” che debba ritenersi “assolutamente prevalente la tutela della salute pubblica e, in particolare, la salvaguardia delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età) bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo posti di frequente a contatto con il personale sanitario o sociosanitario. Verso costoro sussiste uno stringente vincolo di solidarietà, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.) ed immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, che impone di scongiurare l’esito paradossale di un contagio veicolato dagli stessi soggetti chiamati alle funzioni di cura ed assistenza”.
Ai rilievi generali di cui sopra, il Consiglio di Stato ha inoltre aggiunto, sotto il profilo del periculum in mora, la considerazione che la misura impugnata abbia efficacia limitata al 31 dicembre 2021, “sicché è a questo arco temporale di durata relativamente circoscritta che va commisurato il paventato pregiudizio, del quale può quindi escludersi quel portato di irreparabilità necessario all’adozione della misura cautelare”; fermo restando che, semmai, il danno per la collettività dei pazienti e per la salute generale sarebbe incomparabilmente più grave di quello lamentato dall’operatore sanitario sulla base di dubbi scientifici certo non dimostrati, a fronte delle amplissimamente superiori prove degli effetti positivi delle vaccinazioni sul contrasto alla pandemia e alla sue devastanti conseguenze sociali.
Il Consiglio di Stato, con la nota pronuncia del 20 ottobre 2021, n. 7045, aveva già avuto modo di dichiarare la legittimità dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario, con una motivazione articolata che respinge puntualmente i motivi di ricorso: “In fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all'’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito - va ribadito - tutte le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l'utilizzo di quel farmaco”. La pronuncia continua “nel bilanciamento tra i due valori, quello dell'autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell'obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV 2 per la c.d. esitazione vaccinale”.
Il T.A.R. Lazio con decreto n. 4532 del 2 settembre 2021, in ordine all’asserita violazione del diritto del personale scolastico a non essere vaccinato aveva già rilevato che (a) “il prospettato diritto, in disparte la questione della dubbia configurazione come diritto alla salute, non ha valenza assoluta né può essere inteso come intangibile, avuto presente che deve essere razionalmente correlato e contemperato con gli altri fondamentali, essenziali e poziori interessi pubblici quali quello attinente alla salute pubblica a circoscrivere l'estendersi della pandemia e a quello di assicurare il regolare svolgimento dell'essenziale servizio pubblico della scuola in presenza” e che
(b) “in ogni caso il predetto diritto è riconosciuto dal legislatore il quale prevede in via alternativa la produzione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-Cov 2”.
In linea con le pronunce dei giudici amministrativi, le sezioni lavoro delle corti territoriali hanno confermato la legittimità dei provvedimenti di sospensione dei lavoratori non vaccinati, sancendo che “la mancata vaccinazione, pur non assumendo rilievo disciplinare, comporta conseguenze in ordine alla valutazione oggettiva dell’idoneità alle mansioni. In ragione della tipologia delle mansioni espletate (cura e assistenza a persone anziane e con molteplici patologie) e della specificità del contesto lavorativo e dell'utenza della RSA, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale sanitario. Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all'espletamento della prestazione lavorativa” (Tribunale di Modena, ordinanza del 23 luglio 2021 n. 2467; in tal senso, si vedano anche Tribunale di Ivrea, ordinanza del 4 agosto 2021; Tribunale di Roma, ordinanza 28 luglio n. 18441; Tribunale di Verona ordinanza del 24 maggio 2021; Tribunale di Modena 19 maggio 2021; Tribunale di Belluno, ordinanza del 6 maggio 2021 n. 328; Tribunale di Belluno, ordinanza del 19 marzo 2021 n. 12,).
Il Tribunale di Modena con sentenza in data 19 maggio 2021 aveva ritenuto legittimo – anche in relazione al periodo temporale antecedente l’entrata in vigore del DL 44 del 2021 – il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione adottato nei confronti di operatori sanitari per aver rifiutato la vaccinazione anti Covid-1, sull’assunto che il bene sotteso alla vaccinazione (e cioè la salute dei lavoratori fragili e dell’utenza in generale) sia prevalente rispetto al diritto al lavoro del dipendente.
Tale pronuncia ha evidenziato il dovere del lavoratore di applicare le misure di sicurezza imposte dal datore di lavoro rilevando che “la mancata e non giustificabile collaborazione del prestatore di lavoro alla creazione di un ambiente di lavoro salubre e sicuro per sé e per gli altri (mediante non sottoposizione ad un trattamento sanitario utile a contingentare gli effetti negativi scaturenti dall' emergenza pandemica in atto) costituisce pertanto un contegno che incide in misura significativa sul sinallagma, tanto da comportare o una modifica delle mansioni in concreto affidabili o addirittura la sospensione temporanea del rapporto”.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 4 giugno 2021 n. 387, ha considerato legittima la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni di un operatore ecologico per rifiuto nell’uso della mascherina. In senso conforme, il Tribunale di Trento, con sentenza dell’8 luglio 2021, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa di una maestra d’asilo per rifiuto reiterato nell’uso delle mascherine protettive.
I pochi precedenti di merito che hanno accolto i ricorsi presentati dagli operatori sanitari, non sono entrati nel merito della legittimità ex se del provvedimento, limitandosi ad accertare l’omesso adempimento da parte datoriale all’obbligo di verificare la possibilità di adibire i lavoratori non vaccinati ad altre mansioni, anche inferiori, obbligo previsto dallo stesso DL 44/21 .
Recentemente il Tribunale di Milano, con sentenza 30 ottobre 2021, n. 26276, ha rigettato il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. presentato da un dipendente Comunale, una istruttrice dei servizi educativi di infanzia, sospesa dal rapporto di lavoro senza diritto alla retribuzione per avere raggiunto cinque giornate di assenza non giustificata per mancata osservanza delle disposizioni di cui all'art. 9 ter del Decreto Legge 52/2021 (convertito con L. 87/2021) che prevedono l'obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde COVID-19. In questo caso il Tribunale, senza entrare nel merito, ha respinto il ricorso azionato con procedura d’urgenza per difetto del periculum in mora, non essendo stato allegato né tantomeno dimostrato alcun pregiudizio grave ed irreparabile che potrebbe prodursi durante il tempo necessario per far valere il diritto in via ordinaria.
Nonostante le numerose manifestazioni di piazza ed i dibattiti televisivi con posizioni contrastanti, le pronunce giudiziarie (ad oggi emesse) sono tutte orientate verso la legittimità della normativa emergenziale in vigore che ha dovuto sacrificare parzialmente la libertà individuale a fronte della tutela della salute collettiva (art. 32 Cost.).