TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Lo scenario della quarta rivoluzione industriale
Il rapporto tra tecnologia e lavoro costituisce un tema di perenne confronto per la comunità giuslavoristica (e non solo) fin dalle origini del diritto del lavoro.
A partire dalla prima rivoluzione industriale, il progresso tecnologico ha innescato processi di profonda trasformazione nell’organizzazione e nel mercato del lavoro, interessato, attualmente, dai cambiamenti indotti da quella che è comunemente definita “quarta rivoluzione industriale” .
L’attuale transizione si caratterizza, in particolare, per l’affermazione di un innovativo modello produttivo, quello della c.d. “Impresa 4.0” , nel quale la produzione di beni e servizi è integrata dall’impiego di tecnologie dirompenti, come l’internet delle cose, l’intelligenza artificiale, gli algoritmi, nonché dall’analisi dei c.d. big data. In altri termini, si tratta di una trasformazione che investe la tecnica, il tessuto socio-economico ma anche e soprattutto il concetto di lavoro, imponendo un ripensamento delle tradizionali categorie giuridiche del diritto del lavoro, della previdenza sociale e delle relazioni industriali .
Tale cambio di paradigma, in verità, – nelle more di un’armonizzazione a livello europeo – ha già sollevato rilevanti questioni per l’ordinamento giuslavoristico: si pensi alla diffusione delle c.d. digital platforms le quali, dissimulando la funzione di intermediazione nel mercato del lavoro, assumono, di fatto, il ruolo di imprese datrici di lavoro ; all’affermazione della gig economy ; alle crisi occupazionali derivanti dalla digitalizzazione delle filiere produttive; alla polarizzazione del mercato tra lavori di alta professionalità e lavori meramente esecutivi, in cui l’ elemento di discrimen è sempre di più legato alle competenze tecnologiche del lavoratore .
Un aspetto che contraddistingue l’Impresa 4.0. è il processo di raccolta e di analisi di ingenti quantità di dati, un’attività ormai fondamentale per definire le strategie nei diversi settori dell’impresa come il marketing, la logistica e finanche la gestione e la selezione del personale. Ciò è possibile grazie all’avvento di nuove infrastrutture tecnologiche, le cui notevoli capacità computazionali, di gestione e archiviazione dei dati costituiscono la base del fenomeno dei c.d. “big data” - definito dal Garante per la protezione dei dati come «la pratica di combinare enormi volumi di informazioni provenienti da diverse fonti e di analizzarle, usando sofisticati algoritmi per informare le decisioni» - e la cui centralità è ormai tale da attribuire all’attuale evoluzione tecnologica la definizione di “data-driven innovation” .
Non è certo un caso che la stessa Commissione Europea, attraverso la Comunicazione COM (2014) 442 intitolata “Towards a thriving data-driven economy”, nell’ inquadrare i big data nelle prospettive di crescita europea, abbia riconosciuto gli stessi come «il fulcro dell’economia e della società della conoscenza del futuro» .
Alla luce di tale scenario, peraltro, taluni studi sul tema ritengono i big data uno dei fattori chiave per la trasformazione digitale del lavoro che coinvolge non solo le imprese, ma anche le istituzioni pubbliche e gli stessi lavoratori, rendendo ormai inadeguato, pressoché in ogni campo, l’impiego dei tradizionali strumenti informatici.
Tali evidenze trovano riscontro, ad esempio, nel fenomeno della c.d. on-demand economy, rappresentato emblematicamente dal caso Uber, piattaforma interamente basata sull’ aggregazione e la gestione dei big data ; oppure si pensi alle sperimentazioni nel campo della workforce o people analytics o HR analytics , ove gli algoritmi e l’intelligenza artificiale sono impiegati in tutte le fasi della gestione del personale, dalla selezione fino alla risoluzione del rapporto.
Va comunque dato atto che le innovazioni tecnologiche hanno determinato un impatto polivalente sul mondo del lavoro alimentando, da un lato, una costante critica sulla loro applicazione nei contesti produttivi in quanto considerate il presupposto per la eliminazione del capitale umano a vantaggio del capitale materiale; dall’altro lato, occorre considerare che le stesse sono accolte con crescente favore dal lavoratore, in quanto ormai indispensabile ausilio per la semplificazione di tutti quegli adempimenti che, come osserva autorevole dottrina, rendevano «la prestazione bolsa e farraginosa, quasi a diventare mero contenitore di meccaniche ripetizioni» .
2. Blockchain e smart contract: inquadramento e regolazione
In un contesto così fortemente orientato alla digitalizzazione del lavoro, appare centrale la necessità di garantire sicurezza e riservatezza nel trattamento dei dati e, allo stesso tempo, certezza e velocità nelle transazioni.
In questi termini la blockchain rappresenta un’infrastruttura tecnologica in grado di garantire sicurezza, trasparenza e immutabilità nel trasferimento di dati, valori e diritti nei rapporti economici e nelle relazioni giuridiche. Sebbene la blockchain sia stata in origine sviluppata per le transazioni mediante criptovalute , la stessa potrebbe avere una portata rivoluzionaria anche in settori diversi da quello finanziario e ciò in considerazione delle modalità innovative di conservazione e di gestione dei dati.
Nello specifico la blockchain rientra nella categoria delle c.d. distributed ledger technologies (o DLT), architetture informatiche nelle quali il “registro” delle transazioni - ovvero i dati identificativi dei valori di scambio - non è collocato in un unico server, bensì su una rete peer-to-peer .
Da un punto di vista tecnico, essa consiste in un registro distribuito fra tutti i partecipanti, che costituiscono i “nodi” della rete. Ciascun partecipante detiene un’identità e una chiave crittografica attraverso cui può consultare e gestire i dati, i quali sono archiviati in blocchi. Ciascun blocco è identificato da un marcatore temporale, il c.d. timestamp, ed è collegato al blocco precedente da un hash, una funzione algoritmica non invertibile. Ogni blocco rappresenta l’anello della catena che, una volta validato e completato con le informazioni ricevute, viene reso immodificabile. Le operazioni registrate sulla blockchain sono “validate” dall’intera rete e non da un terzo “certificatore”. Tali caratteristiche permettono di registrare le transazioni effettuate sulla rete e di aggiornare simultaneamente i dati in essa contenuti formando un blocco immodificabile che andrà a sostituirsi ai precedenti. Tra i vantaggi derivanti dall’impiego della blockchain vi è sicuramente un minor rischio di attacchi informatici , dal momento che non è possibile modificare i dati di un determinato blocco senza modificare tutti i blocchi ad esso collegati.
Se, infatti, nei tradizionali sistemi di archiviazione dei dati, per corrompere il database centralizzato è “sufficiente” violare il computer ove è fisicamente ospitato, nella tecnologia blockchain, invece, ciò è impossibile in quanto sarebbe necessario violare, simultaneamente, tutte le copie del registro presente sulla rete .
Da un punto di vista funzionale possono operare due distinte categorie di utenti: i “partecipanti” che compiono una data operazione all’interno della rete ed i “validatori”, i quali validano le operazioni fornendo il proprio consenso.
Da un punto di vista di governance, invece, è possibile distinguere tale tecnologia in due species : la permissioned blockchain in cui ai partecipanti è consentito solo “utilizzare” il sistema, mentre i validatori detengono copia del registro aggiornato e gestiscono il processo del consenso distribuito; diversamente nelle unpermissioned (o permissionless) blockchain i partecipanti assumono anche la funzione di validatori e sono responsabili del processo del consenso distribuito e dell’integrità del sistema.
Oltre che nelle transazioni finanziare, la blockchain può essere anche impiegata nello scambio di beni e diritti nei traffici giuridici, in quanto fornisce un ambiente di calcolo programmabile per l’utilizzo di applicazioni chiamate smart contract.
Lo smart contract costituisce la “trasposizione” in codice criptato, dunque non modificabile, di un contratto e consente di verificare automaticamente il rispetto delle condizioni contrattuali, nonché di eseguire, sempre autonomamente, le operazioni per l’adempimento delle obbligazioni contrattuali.
Nello specifico, tale applicazione è basata su una serie di script in grado di eseguire le clausole contrattuali allorquando si realizzino le specifiche condizioni ad esse associate. Sicché al verificarsi di determinate condizioni reali, trasposte in codice informatico, ( come, ad esempio, una data, un termine, la consegna di un bene) gli effetti contrattuali concordati tra le parti si producono automaticamente secondo la logica “if this then that”.
Grazie alla trasposizione delle norme di legge o degli accordi negoziali in dati cifrati, lo smart contract ben presto potrebbe così assumere il ruolo di strumento di regolazione e controllo sugli atti negoziali, in quanto le relative caratteristiche di sicurezza, inalterabilità e persistenza dei dati attribuiscono, di fatto, a tale tecnologia una funzione di “notarizzazione”, assimilandola a «un registro o a un libro mastro digitale, che non necessita di un intermediario o di un soggetto terzo certificatore» .
Non mancano di certo dubbi e preoccupazioni in merito all’impiego di tali applicativi e alle conseguenze giuridicamente rilevanti, tra cui l’esigenza di tutela della privacy , la possibilità di rilevare i vizi del consenso, la verifica dell’identità e dell’idoneità delle “parti contraenti”, l’esigenza di adeguamento ai principi costituzionali e alle clausole generali - come buona fede, diligenza, forza maggiore, caso fortuito – che costituiscono elementi fondamentali per garantire la “giustiziabilità” dello smart contract .
Ad ogni modo, il tema della tecnologia blockchain e delle relative applicazioni registra un crescente interesse da parte delle istituzioni europee. A tal riguardo si segnala che il Parlamento Europeo, con risoluzione del 3 ottobre 2018, ha ritenuto tale tecnologia in grado di «migliorare l'efficienza dei costi delle transazioni eliminando intermediari e costi di intermediazione, oltre ad aumentare la trasparenza delle transazioni, ridisegnando anche le catene del valore e migliorando l'efficienza organizzativa attraverso un decentramento affidabile; (…) può introdurre, attraverso i necessari meccanismi di cifratura e controllo, un paradigma informatico che può democratizzare i dati e rafforzare la fiducia e la trasparenza, fornendo un percorso sicuro ed efficace per l'esecuzione delle transazioni» . La risoluzione in esame rappresenta un primo passo verso una regolamentazione europea del fenomeno, posto che, con la relativa adozione, la Commissione Europea è stata invitata ad avviare l’iter per la creazione di un quadro tecnico-normativo comune tra i Paesi aderenti all’UE.
L’invito del Parlamento è stato recepito dalla Commissione con l’istituzione, il 1° febbraio 2018, dell’EU Blockchain Observatory and Forum, cui è stato affidato il compito di monitoraggio e analisi del fenomeno a livello europeo.
A ciò è seguita l’istituzione, il 10 aprile 2018, della European Blockchain Partnership, organismo partecipato da 27 Paesi europei e costituito per la definizione di linee di intervento utili a implementare servizi digitali basati su blockchain a beneficio dei cittadini, della società e dell’economia .
In ambito europeo, inoltre, particolare rilievo assumono il progetto European Blockchain Service Infrastructure (EBSI) - attribuito all’European Blockchain Partnership - e il Libro Bianco pubblicato il 20 settembre 2018 dal CEN (European Committee for Standardization) e dal CENELEC (European Committee for Electrotechnical Standardization), mediante il quale sono state elaborate le prime raccomandazioni sugli standard necessari a garantire la protezione e l’integrità dei dati personali, l’interoperabilità, la condivisione transfrontaliera delle informazioni, nonché l’armonizzazione con il regolamento europeo sull’identità digitale .
Peraltro, occorre sottolineare che, nell’ambito degli ordinamenti nazionali, l’Italia risulta il primo fra i paesi europei ad aver adottato – in base all’ art. 8-ter del D. L. n. 135 del 14 dicembre 2018, convertito con Legge 11 febbraio 2019 n. 12 – una definizione normativa delle tecnologie basate su registri distribuiti e degli smart contract . Con il provvedimento in parola è stata inoltre affidata all’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) l’elaborazione degli standard tecnici e dei requisiti necessari affinché le tecnologie basate su registri distribuiti possano produrre gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica.
A livello nazionale il fenomeno blockchain è allo studio da parte del CNEL che, in collaborazione con l’EU Blockchain Observatory and Forum e l’Università Roma Tre, ha istituito presso di sé l’Osservatorio Italiano per la blockchain, composto da due gruppi di lavoro: uno con focus sulla politica e sulla condizioni quadro della blockchain, il cui fine è delineare le politiche di attuazione e promozione della tecnologia insieme ad un adeguato sistema normativo che risulti in armonia con il quadro europeo; un altro sui c.d. “use cases” il cui ruolo è quello di monitorare l’impiego della tecnologia nei vari settori, nonché il relativo trend di diffusione e di implementazione in settori in cui la stessa è già utilizzata .
3. Le potenzialità della blockchain e degli smart contract nei rapporti di lavoro
Uno degli effetti dirompenti della blockchain, per quel che riguarda i fini del presente lavoro, è dato dalla possibilità di trasporre i contratti in codici digitali mediante l’implementazione degli smart contract, i quali possono liberare i rapporti giuridici da incombenze burocratiche e da “costi” di gestione, rendendoli al contempo più trasparenti, tracciabili e affidabili.
Alla luce di tali potenzialità è, dunque, opportuno chiedersi se la blockchain e gli smart contract possano agevolare le imprese nella gestione amministrativa del rapporto di lavoro; in secondo luogo se tale tecnologia possa rappresentare uno strumento di tutela dei diritti e, al contempo, di contrasto agli abusi e alle condotte illecite ai danni del lavoratore.
È lecito prevedere che anche i rapporti di lavoro possano presto divenire campo di applicazione della blockchain e degli smart contract con riguardo agli aspetti contrattuali, previdenziali e fiscali e ciò al fine di assicurare maggiore trasparenza nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti individuali o di semplificare i rapporti tra imprese, lavoratori ed enti pubblici. Non resta che indagare, dunque, quali possano essere, in concreto, gli sviluppi applicativi della blockchain sulle vicende dei rapporti di lavoro.
Al tal proposito basti considerare che, per effetto della costituzione del rapporto di lavoro, sorgono per le parti, specie per il datore, una serie di adempimenti di natura amministrativa, previdenziale e fiscale, tra i quali, ad esempio, la denuncia di assunzione attraverso modello elettronico UNILAV; la denuncia UNIEMES da trasmettere mensilmente all’INPS con riguardo ai flussi contributivi sulla base dei quali l’Istituto ricostruisce il DM10 Virtuale ; la trasmissione del modello 770, utilizzato dai sostituti d’imposta, per l’invio telematico dei dati fiscali dei contribuenti riguardante le ritenute operate nel periodo d’imposta considerato ed i dati delle certificazioni rilasciate ai percettori.
In altri termini, i dati che sono oggetto di comunicazione obbligatoria da parte del datore potrebbero costituire le informazioni essenziali da inserire nel primo blocco della catena, su cui successivamente registrare l’intera evoluzione del rapporto di lavoro .
Al riguardo particolare interesse desta la ricerca condotta dal Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università di Cagliari finalizzata alla sperimentazione del «D-ES - Decentralized Employment System», un sistema basato su tecnologia blockchain che mira, da un lato, a semplificare l’attività di reclutamento e di gestione del rapporto di lavoro, dall’altro, a disincentivare il ricorso al lavoro nero rendendo tracciabile lo svolgimento del rapporto in tutte le sue fasi.
Anzitutto, per quel che concerne la fase di selezione, la piattaforma consentirebbe al datore di pubblicizzare le offerte di lavoro all’interno della propria organizzazione, raccogliendo, al contempo, le domande da parte dei candidati.
Il modello in esame, analizzando i dati immessi, valuterebbe la sussistenza dei requisiti di legge per procedere all’assunzione. In questo senso, la tecnologia blockchain, infatti, verificherebbe autonomamente l’eventuale presenza di clausole difformi rispetto al dettato legislativo vigente, e, in mancanza di adeguamento, impedirebbe la conclusione del contratto.
In caso di esito positivo della selezione, invece, tramite l’implementazione di uno smart contract, il sistema acquisirebbe le informazioni relative al trattamento economico e normativo del lavoratore. In questo modo, dunque, il modello D-ES permetterebbe di semplificare la selezione e la gestione del personale, garantendo il pieno rispetto delle disposizioni di fonte normativa o collettiva.
Allo stesso tempo, il sistema consentirebbe al datore di assolvere gli obblighi di informazione verso il lavoratore ed i sindacati, nonché di inoltrare le comunicazioni obbligatorie ai centri per l’impiego, agli enti previdenziali e all’amministrazione finanziaria. In questo modo, dunque, gli enti pubblici sarebbero posti nelle condizioni di poter monitorare, in modo costante e puntuale, la regolare corresponsione della retribuzione, il versamento dei premi assicurativi e dei contributi previdenziali, nonché l’eventuale cessazione del rapporto di lavoro.
Questo sistema, ad avviso dei ricercatori, presenterebbe l’ulteriore vantaggio di supportare l’attività di contrasto agli abusi nel rapporto di lavoro, specie in quello agricolo. Lo studio ipotizza, infatti, che la vendita dei prodotti agricoli possa essere subordinata al rilascio, da parte del sistema D-ES, di un certificato elettronico che attesti l’assenza di irregolarità nei rapporti di lavoro tra l’azienda ed i propri dipendenti.
In tema di sviluppi applicativi della blockchain, inoltre, non appare peregrina l’idea del relativo impiego nell’ambito dei contratti di appalto, al fine di garantire la trasparenza e l’inalterabilità dei flussi informativi nei rapporti tra imprese e P.A., nonché nei rapporti contrattuali tra le stesse imprese coinvolte nei cicli produttivi. Data la vigenza nel nostro ordinamento di un regime di responsabilità solidale tra committente e appaltatore in relazione ai crediti retributivi, ai contributi previdenziali e ai premi assicurativi per il periodo di esecuzione dell’ appalto , l’impiego di un registro distribuito e partecipato dalla P.A. e dalle imprese rientranti nell’appalto, da una parte, consentirebbe alle aziende di governare il rischio economico legato alla responsabilità solidale attraverso l’utilizzo di smart contract che segnalino la presenza di eventuali incongruenze tra i dati presenti nel sistema, disponendo l’invio di avvisi alle competenti funzioni aziendali per l’adozione degli opportuni correttivi; dall’altro, tale registro permetterebbe agli organi ispettivi di verificare il corretto adempimento degli obblighi retributivi, contributivi e assicurativi da parte del committente e dell’appaltatore .
Peraltro, l’impego della blockchain nei contratti di appalto potrebbe agevolare le imprese nei relativi adempimenti in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Al riguardo, infatti, giova ricordare che l’articolo 26, commi 1-4 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, impone al committente il rispetto di una serie di obblighi , tra i quali verificare « l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare»; fornire «dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività»; nonché di elaborare, in cooperazione con gli altri datori, il documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze, il c.d. DUVRI.
Ebbene l’impiego di un registro distribuito potrebbe consentire alle imprese e agli organi vigilanti di tracciare l’assolvimento di tali obblighi.
In sintesi, l’implementazione di un simile sistema nell’ambito dei contratti di appalto comporterebbe plurimi vantaggi tra i quali quello di garantire un maggiore affidamento tra le parti; individuare rapidamente e con certezza gli eventuali profili di responsabilità in caso di inadempimenti o omissioni; fungere da fattore deterrente per gli illeciti o le violazioni contrattuali; limitare l’imposizione di sanzioni e l’insorgenza di contenzioso .
Un’ ulteriore ricerca sugli sviluppi applicativi di tale tecnologia riguarda l’utilizzo della blockchain nell’ambito delle politiche attive del lavoro e della previdenza, tema sul quale il CNEL, in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre , ha condotto un’approfondita analisi. Lo studio in questione preliminarmente evidenzia la mancata attuazione, sotto diversi profili, della riforma delle politiche attive del lavoro e dei servizi del lavoro, introdotta dal D. Lgs. 150/2015, evidenziando, in particolare, la mancata istituzione del Fascicolo Elettronico del Lavoratore (il c.d. FEL); la mancanza di coordinamento e di interazione tra le banche dati delle P.A. coinvolte nelle politiche attive e passive del lavoro; la parziale informatizzazione dei dati riguardanti lo status e le condizioni soggettive degli utenti.
In tale scenario, la blockchain rappresenterebbe un valido strumento per una completa attuazione della riforma del 2015 in quanto in grado di realizzare l’interconnessione delle banche dati e l’accessibilità delle stesse da parte di tutti i soggetti rientranti nella rete nazionale delle politiche del lavoro , tra i quali il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ANPAL, INPS, INAIL e INAPP .
L’adozione di un sistema blockchain in tale ambito consentirebbe, inoltre, di rendere operativo il fascicolo elettronico del lavoratore, definito dall’art. 14, comma 1 , D.Lgs n. 150/2015 come strumento «contenente le informazioni relative ai percorsi educativi e formativi, ai periodi lavorativi, alla fruizione di provvidenze pubbliche e ai versamenti contributivi ai fini della fruizione di ammortizzatori sociali», stabilendo che lo stesso risulti «liberamente accessibile, a titolo gratuito, mediante metodi di lettura telematica, da parte dei singoli soggetti interessati» .
Lo studio in esame ipotizza che l’implementazione del fascicolo elettronico possa essere realizzata attraverso lo sviluppo di una piattaforma c.d. permissioned - ossia accessibile esclusivamente al lavoratore e agli enti pubblici – in cui i blocchi che compongono il fascicolo potrebbero essere alimentati dalle informazioni riguardanti il lavoratore, tra cui il relativo stato occupazionale, le domande e le autorizzazioni per l’accesso agli ammortizzatori sociali, i titoli di studio conseguiti, i percorsi formativi svolti.
Numerosi sarebbero i vantaggi derivanti dall’impiego di tale sistema, tra cui quello di custodire in piena sicurezza il patrimonio formativo e professionale del lavoratore, nonché di rendere accessibili tali dati nel pieno rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali, agevolando, poi, la dematerializzazione dei processi e la certificazione delle competenze.
Inoltre, l’impego di smart contract, offrirebbe la possibilità di gestire efficacemente patti di servizio personalizzati volti alla ricollocazione del lavoratore sul mercato, condizionando l’erogazione di prestazioni previdenziali o assistenziali al rispetto di prestabiliti percorsi formativi : così operando la blockchain diverrebbe, in questi termini, «organo o istituto predisposto o integrato dallo Stato», tramite il quale assicurare effettività al dettato dell’art. 4 Cost.
4. Conclusioni
Alla luce delle considerazioni esposte è, dunque, possibile affermare che l’ingresso nel rapporto di lavoro degli smart contract, veicolati attraverso le piattaforme blockchain, possa apportare indubbi vantaggi al datore di lavoro, al lavoratore, agli enti previdenziali, all’amministrazione fiscale e agli organi di vigilanza. È bene, tuttavia, considerare che la codificazione del contratto di lavoro in uno smart contract pone rilevanti questioni interpretative.
Se, infatti, da una parte, il sinallagma tipico del contratto lavorativo – dato dallo scambio del tempo e di prestazioni lavorative a fronte di denaro e tutele – può essere facilmente incorporato e gestito con un contratto macchinico, dall’altra ci si chiede se la disparità contrattuale tra le parti che connota il rapporto di lavoro subordinato, solo in parte bilanciata dall’indisponibilità del relativo statuto protettivo, sia compatibile con lo schema dello smart contract, fondato, invece, sulla sostanziale parità dei contraenti, i quali dispongono delle relative situazioni giuridico-patrimoniali esclusivamente secondo la propria volontà . Inoltre, ci si chiede se davvero l’utilizzo dello smart contract possa effettivamente limitare l’intervento giudiziale nel rapporto di lavoro, le cui regole, in realtà, sono costantemente integrate dall’interpretazione giurisprudenziale. Evidentemente si tratta di criticità che meritano approfondite indagini, ma che sicuramente non ostacoleranno ingresso di tali tecnologie nel rapporto di lavoro. Una soluzione a tali problemi potrebbe rinvenirsi nell’attribuzione ad alcuni soggetti qualificati, come l’Autorità Giudiziaria o gli organi ispettivi, non solo la funzione di nodo della rete ma anche di validatore in grado cui esercitare attività di regolazione e disciplina.
Non è dunque impensabile un futuro in cui anche i rapporti di lavoro saranno basati su applicazioni blockchain e smart contract, ma tale scenario sarà realizzabile solo grazie ad un approccio multidisciplinare, fondato su una sinergica cooperazione tra tecnica e diritto. Solo in questo modo le nuove tecnologie probabilmente saranno in grado di accrescere la dignità e l’umanità nel lavoro.