Testo integrale con note e bibliografia

 

Come il suo corrispondente italiano, il diritto francese del lavoro ha notevolmente modificato le normative vigenti in materia di recesso dei contratti di lavoro privi di termine di durata. Laddove il diritto comune dei contratti non impone alcuna giustificazione, il codice del lavoro esige, dal 1973, una “cause réelle et sérieuse de licenciement”, cioè una causa oggettiva e ragionevolmente seria a giustificazione del licenziamento. Al contrario del diritto italiano, la legge francese non ha invece mai offerto al dipendente un diritto ad ottenere, in caso di condanna del datore di lavoro per licenziamento senza giustificato motivo , la reintegrazione nel posto di lavoro . Va sottolineato che né una disposizione costituzionale, né alcuna sentenza del Conseil constitutionnel ha mai consacrato un “diritto di proprietà sul lavoro”. La reintegrazione era, e rimane, limitata alla situazione in cui il licenziamento non è solo ingiustificato ma illecito, e in quest’ultimo caso nullo. Questa situazione si verifica quando il licenziamento è vietato da norme legali (licenziamento discriminatorio, o conseguente a una situazione di mobbing, etc...) oppure quando è contrario a delle libertà “fondamentali” (ad esempio, il licenziamento intimato in violazione della libertà religiosa).
Fatta eccezione per queste situazioni ben delimitate, il codice del lavoro non garantisce un diritto alla stabilità effettiva del rapporto di lavoro. Esso stabilisce un sistema di risarcimento del danno. Per riprendere le categorie dottrinali di common law, utilizzate da parte della dottrina italiana, il diritto francese non ha realizzato un sistema di “property rule” ma di “liability rule”.
Così concepita, la sanzione per il licenziamento ingiustificato è entrata nel campo del diritto privato comune che consacra il principio di risarcimento integrale del danno. Questa regola, in vigore sia in materia di responsabilità civile extra-contrattuale che di responsabilità contrattuale, fu tuttavia adattata con riferimento ai dipendenti assunti da almeno due anni nelle aziende che impiegano un minimo di undici dipendenti. In quest’ipotesi, venne introdotto un limite basso d’indennizzo. Qualunque fosse la consistenza esatta del danno, al dipendente era assicurata in effetti la possibilità di ottenere un risarcimento tra una soglia minima ed una soglia massima, stabilita, quest’ultima secondo le regole ordinarie della responsabilità civile, sulla base quindi del pregiudizio patito.
Verosimilmente a causa della discrezionalità riconosciuta al giudice di merito, e in mancanza di direttive precise da parte del giudice di cassazione, la composizione esatta del danno compensato è rimasta per lungo tempo piuttosto imprecisata nella sua struttura. Si sono potute osservare delle divergenze notevoli a seconda delle giurisdizioni di volta in volta coinvolte. Criticata per la sua imprevedibilità, tale effeto applicativo è invero comune a tutti i tipi di contenziosi contrattuali o extra-contrattuali dove prevale il principio di risarcimento del danno. Per quanto riguarda particolarmente il contratto di lavoro, tuttavia, l’imprevedibilità è generalmente considerata come inopportuna a causa delle sue supposte conseguenze sull’andamento dell’attività economica.
Dopo un primo tentativo infruttuoso (censura del Conseil constitutionnel: Cons. Const., 5 agosto 2015, n° 2015-DC), il legislatore ha introdotto dei nuovi criteri di graduazione tramite l’ordonnance n° 2017-1387 del 22 settembre 2017 (articoli L. 1235-3 e seguenti del code du travail). Questa scala impone al giudice un limite minimo e un limite massimo del risarcimento del danno in funzione dell’unico criterio dell’anzianità di servizio. Per esempio: un dipendente, di anzianità inferiore a un anno, potrà ottenere al massimo un indennizzo equivalente a un mese della sua retribuzione lorda ; se la sua anzianità è superiore ad un anno e inferiore a due anni, potrà ottenere un indennizzo compreso tra un mese e due mesi di retribuzione. Se può dimostrare un’anzianità eguale o superiore a 30 mesi, il dipendente potrà ottenere un indennizzo massimo fino a 20 mesi di stipendio. Come è stato notato, la norma non calcola esattamente il costo del recesso come è preconizzato nella teoria dell’efficient breach of contract. Tra i due limiti, il giudice conserva il suo potere di valutazione discrezionale e gli è concesso di determinare l’importo dell’indennizzo tenendo conto di tutti i criteri legati alla situazione particolare del dipendente . Rimane che un imprenditore potrà con molta precisione prevedere ex ante il costo massimo di una eventuale condanna. La prevedibilità dei costi è appunto l’obiettivo proseguito dalla riforma.
È vero che le tecniche consistenti nell’individuazione di un limite massimo del risarcimento del danno sono abbastanza diffuse nel diritto della responsabilità civile extra-contrattuale. Ma sono di rado imposte dalla legge nei contratti civili o commerciali. Nei contenziosi corrispondenti, le condanne possono essere assai alte e ben poche sono le proposte formulate allo scopo di razionalizzare e rendere più prevedibile l’esito del contenzioso con una scala vincolante. Ed è proprio la ragione per cui, in un contesto economico difficile, particolarmente per i dipendenti poco qualificati o che hanno superato una certa età, l’adozione di un sistema di scala applicata al recesso del contratto di lavoro è messa in discussione.
Al livello costituzionale, le premesse del dibattito si rivelano, senza sorprese, poco propizie a un controllo di alta intensità da parte del Conseil constitutionnel. La giurisprudenza costituzionale respinge in effetti ogni costituzionalizzazione del principio di risarcimento integrale del danno. Era quindi prevedibile che il Conseil Constitutionnel non avrebbe dichiarato l’incostituzionalità della norma . Rimane vero che la motivazione della sentenza è particolarmente debole ed alcuni argomenti invocati dai ricorrenti sono stati ignorati dal giudice.
Oltre a questa debolezza del controllo derivante da una scelta del giudice costituzionale, un fattore strutturale limita la portata del suo controllo. Sin dall’inizio, il giudice costituzionale si rifiuta di operare un controllo di conformità delle norme interne alle norme europee e internazionali a cui è vincolato lo Stato francese. Di conseguenza, spetta al giudice di merito il controllo di conformità . A favore dell’eccezione di non conformità, il giudice è abilitato ad escludere, nella fattispecie, l’applicazione della norma interna contraria a delle norme europee e internazionali d’effetto diretto.
Questo tipo di controllo in abstracto è noto e il giudice può correntemente disapplicare la normativa interna se la considera contraria a una norma internazionale. Un altro controllo è ora più contestato, e consiste in un controllo di proporzionalità in concreto, cioè effettuato con riferimento alla fattispecie. In questo caso, il giudice valuta non tanto la sostanza della norma, quanto il suo effetto concreto tramite l’applicazione a una situazione giuridica determinata. Da qualche anno, la Corte di cassazione per conformarsi alla giurisprudenza della CEDU, opera questo controllo e impone al giudice di merito di darvi applicazione. Una gran parte della dottrina civilista francese si è opposta a questa “rivoluzione” della funzione giudiziara . Questo modo di giudicare consente alla giurisdizione di consacrare un effetto (la disapplicazione della norma) che non è espressamente previsto dalla norma considerata, ma che è fondato sulle esigenze richieste dalla norma europea . Potrebbe dunque essere compatibile, al livello teorico e astratto (controllo in abstracto), la legge francese con le norme sovranazionali. Ma, in alcune circostanze particolari, l’applicazione della legge si potrebbe rivelare contraria ai diritti fondamentali protetti dalle norme invocate (controllo in concreto).
Diversi giudici di merito – il conseil de prud’hommes in primo grado composto di giudici non professionali – aditi da contestazione formate contro licenziamenti hanno dovuto statuire sulla compatibilità della scala Macron con due norme in particolare: da una prima parte, l’articolo 10 della convenzione OIL 158 che impone agli Stati di prevedere, in caso di licenziamento ingiustificato, che il giudice sia abilitato ad ordinare il versamento di un indennizzo adeguato o ogni altra forma di riparazione considerata come appropriata; d’altra parte, l’articolo 24 della Carta sociale europea che riconosce al lavoratore un diritto a un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione. L’unificazione delle strategie contenziose è stata favorita dalla diffusione di un argomento-tipo proposto dal Syndicat des Avocats de France .
Ma se i ricorsi si sono naturalmente omogeneizzati, i giudici di primo grado si sono pronunciati in modi molto diversi. Alcune sentenze hanno concluso per l’incompatibilità della scala con le norme invocate ; in senso contrario, si registrano altre pronunce . Di fronte a questa incertezza, due giudici hanno sollecitato un intervento della Cour de cassation. La “formation plénière” della corte ha pronunciato un “avis” il 17 luglio 2019 (consulta) in cui dichiara l’articolo 24 della Carta privo di ogni effetto diretto, e ritiene l’articolo 1235-3 del code du travail compatibile con l’articolo 10 della convenzione n° 158 dell’OIL.
Dopo il giudizio di costituzionalità (1) si conclude quindi la controversia relativa alla convenzionalità (2). Questi risultati avranno verosimilmente per effetto di modificare la fisionimia del contenzioso del licenziamento (3).

1. Il giudizio di costituzionalità della scala vincolante
Il primo atto della contestazione si è svolto davanti al giudice costituzionale che ha rigettato il ricorso nella sua decisione del 21 marzo 2018 . Le Conseil constitutionnel si si è pronunciato su tre tipi di argomentazione.
In primo luogo si sostiene che le disposizioni impugnate sarebbero contrarie alla “garanzia dei diritti” poichè il limite massimo dell’indennizzo non sarebbe abbastanza dissuasivo e consentirebbe, di conseguenza, al datore di lavoro di licenziare un dipendente senza alcuna giustificazione. Inoltre, gli autori del ricorso sostengono che la scala è discriminatoria in quanto prende in considerazione solo il criterio dell’anzianità di servizio nell’azienda. Le legge non evoca in effetti il criterio dell’età, del sesso o della qualifica. Infine, secondo il ricorso, le disposizioni contestate possono implicare un indennizzo irrisorio e quindi consacrare una violazione sproporzionata del diritto all’indennizzo del danno.
Il secondo reclamo merita un semplice accenno.
Il Conseil constitutionnel ha sempre dichiarato che il principio d’uguaglianza non impone al legislatore di trattare in modo diverso delle situazioni differenti . Questo principio impone di trattare ugualmente delle situazioni identiche purchè la differenza di trattamento sia in rapporto con l’oggetto della legge e sia fondata su un motivo d’interesse generale. In applicazione di questi principi, il Conseil constitutionnel conclude che la legge non ha violato il principio d’uguaglianza usando il criterio dell’anzianità di servizio per modulare i limiti dell’indennizzo. Com’è stato osservato dai commentatori, il criterio dell’anzianità non è tanto in rapporto con l’oggetto della legge (che impone dei limiti massimi e minimi d’indennizzo) quanto con l’oggetto del diritto che regge questa norma, cioè il diritto di ottenere il risarcimento del danno . Questa “imprecisione” argomentativa, non ha, però, una significativa rilevanza: giacché il danno è in effetti basato in particolare, se non esclusivamente, sull’anzianità del dipendente.
Era prevedibile che il Conseil constitutionnel avrebbe respinto il reclamo.
Gli altri due reclami (violazione della garanzia dei diritti, d’una parte, violazione sproporzionata del diritto all’indennizzo, d’altra parte) erano forse più convincenti ma sono stati anche loro respinti.
Il primo reclamo, vertente sulla violazione della garanzia dei diritti, è fondato sull’articolo 16 della Déclaration des droits de l’homme. Questo reclamo mette in rilievo l’assenza di difesa effettiva del diritto sostanziale del dipendente al proseguimento del suo contratto di lavoro, vale a dire alla sua stabilità. È vero che nel diritto francese del lavoro, il contratto senza termine può essere risolto liberamente dal datore di lavoro purchè quest’ultimo possa invocare e giustificare una causa oggettiva. Ma ciò significa appunto che la stabilità del rapporto di lavoro è un obiettivo proseguito dal legislatore in caso di mancata causa giustificativa. Ebbene, questa norma non sarebbe effettiva se la sanzione prevista non fosse abbastanza dissuasiva. Si aggiunge un’altra considerazione : la garanzia dei diritti potrebbe ricoprire l’esigenza di un diritto effettivo a una protezione in caso di perdita del lavoro, dimensione che appare in particolare nelle norme europee e internazionali che saranno ulteriormente analizzate.
Rispetto a questa argomentazione il Conseil constitutionnel non ha fornito una risposta chiara ben distinta.
La base giuridica di quest’ultimo è tratta dell’articolo 4 della Déclaration des droits de l’homme. Questo testo fondamentale dispone che la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non danneggia altri. Secondo l’autore del ricorso, la violazione allegata sarebbe sproporzionata per due motivi : da una parte, il limite massimo potrebbe implicare nel caso di un’anzianità ridotta un indennizzo irrisorio nei confronti del danno effettivo; d’altra parte, i limiti massimi non consentirebbero al dipendente di ottenere il risarcimento della totalità dei pregiudizi subiti in quanto questi limiti coprono tutti gli elementi del pregiudizio (tra i quali è compreso, ad esempio, il pregiudizio risultante dall’irregolarità della procedura).
Per respingere questi due argomenti, il Conseil constitutionnel evoca la sua giurisprudenza relativa alle restrizioni dei diritti di natura costituzionale. Il legislatore può modificare, per un motivo d’interesse generale, le condizioni in cui la responsabilità di un soggetto di diritto può sorgere a causa di una colpa civile. Ma se il legislatore può imporre al principio di responsabilità delle esclusioni o limitazioni, lo può fare soltanto a condizione che non ne risulti una violazione sproporzionata ai diritti delle vittime di atti colpevoli rispetto all’obbiettivo di interesse generale proseguito. Invece, al contrario del diritto italiano , il giudice costituzionale non esige la prova di un adeguato contemperamento degli interessi del lavoratore e del datore di lavoro.
E al momento di applicare questi principi generali, il Conseil constitutionnel sviluppa una motivazione particolarmente succinta: si limita a osservare che il legislatore ha inteso rafforzare la prevedibilità delle conseguenze attribuite al recesso del contratto di lavoro.
Quest’affermazione, in quanto coerente con la giurisprudenza costante del Conseil constitutionnel, non va criticata ; deriva da una concezione autolimitata del ruolo del giudice costituzionale nei confronti delle scelte legislative. Va però osservato che il giudice costituzionale non ritiene come obiettivo d’interesse generale lo sviluppo dell’attività economica o dell’occupazione. Gli basta che il legislatore abbia per obiettivo di offrire ai datori di lavoro una maggiore prevedibilità del costo del licenziamento (c.f. firing cost). Abbandonando ogni riferimento ad un effetto economico difficile da dimostrare, il giudice costituzionale non si costringe a caratterizzare la pertinenza o l’adeguatezza del dispositivo contestato a un tale obiettivo.
Nella seconda parte del ragionamento, il Conseil constitutionnel argomenta
sull’assenza di violazione sproporzionata del diritto al risarcimento del danno. A questo riguardo, la motivazione è poco convincente. Il giudice si limita ad osservare che i limiti massimi della scala variano, a secondo dell’anzianità, tra un mese e venti mesi di stipendio lordo e che questi criteri sono stati fissati “in funzione” delle “medie costatate”.
Diverse critiche possono essere formulate contro quest’argomento.
Prima di tutto, il motivo non permette di capire in quale misura il limite massimo sia stato effettivamente calcolato a partire da una media. Rimane non formulato il rapporto tra la media e il limite imposto.
Inoltre, può essere contestata l’idea di un risarcimento massimo calcolato esclusivamente in base all’anzianità. Si può certo ritenere che il pregiudizio dipenda parzialmente dall’anzianità di servizio : col passare degli anni, il lavoratore può legittimamente aspirare ad una crescente durata del rapporto di lavoro e il proseguimento normale del suo contratto. È però difficile negare che un dipendente, seppur assunto poco tempo prima del licenziamento, può subire un danno importante a ragione di altri fattori personali: un’età avanzata, di rado analizzata come un vantaggio sul mercato del lavoro, potrebbe ostacolare la ricerca di un nuovo lavoro ; il licenziamento potrebbe occasionare la perdita di una situazione patrimoniale particolare nell’azienda difficile da ritrovare altrove ; dei danni morali potrebbero risultare dalle circostanze del licenziamento, etc...giacchè, nell’ipotesi considerata, il lavoratore non avrebbe dovuto perdere il lavoro in mancanza di una causa giustificativa, questi danni derivano certamente dal fatto generatore di responsabilità. Come accertare, in queste condizioni, che il solo criterio dell’anzianità sia davvero il più pertinente e che la restrizione del risarcimento del danno non si sproporzionata ? È vero però che il controllo limitato del giudice costituzionale sulle scelte legislative poteva difficilmente fondare una censura del dispositivo contestato.
Infine, e soprattutto, è la scelta del Conseil constitutionnel di non dare una risposta specifica al reclamo relativo alla garanzia dei diritti che suscita la perplessità. Può certo essere messa in rilievo un’idea comune ai due reclami. Nei due casi, l’autore del ricorso invoca una restrizione eccessiva del risarcimento del danno. Ma questi argomenti sono sviluppati in considerazione di diritti in parte sostanzialmente diversi. La garanzia dei diritti non si limita alla funzione protettiva del lavoratore contro i danni derivati dal recesso del contratto; assicura anche il diritto del lavoratore al proseguimento del contratto di lavoro fino a quando il datore di lavoro non sarà in grado di invocare una causa oggettiva di licenziamento. Si potrebbe identificare a questo riguardo la funzione dissuasiva del risarcimento a cui si riferisce il Comitato europeo dei diritti sociali nella sua decisone relativa alla scala imposta dalla legislazione finlandese .
Se il Conseil constitutionnel avesse affrontato la questione relativa alla violazione della garanzia dei diritti, avrebbe dovuto esprimersi con più precisione sull’effetto dei limiti particolarmente bassi nei primi anni di anzianità sul diritto del dipendente al proseguimento del contratto di lavoro. Ora, si sa benissimo che la ricerca della previdibilità dei costi del licenziamento si deve fare appunto a scapito della protezione effettiva di questo diritto. Non è certo a caso che questa discussione non sorge dalla sentenza del Conseil constitutionnel.

2. L’esito del controllo di convenzionalità del giudice giudiziario dopo l’avis della Cour de cassation
In varie occasioni, la sezione sociale della Cour de cassation ha potuto disapplicare delle norme legali in considerazione di norme dell’OIL o della convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ad esempio, la sezione sociale ha dichiarato incompatibile con la convenzione n° 158 la legge del 1 luglio 2008 che autorizzava il datore di lavoro ad interrompere senza motivo, e durante un periodo di 2 anni, un tipo speciale di contratto (“contrat nouvelles embauches”) destinato a stimolare la creazione di posti di lavoro. Il giudice ritenne che la legge francese non aveva circoscritto l’utilizzabilità di tale forma contrattuale ad una cerchia ristretta di lavoratori interessati a problematiche particolari. Inoltre, la legge non limitava la facoltà per l’imprenditore di concludere un nuovo contratto, nelle stesse condizioni precarie, con lo stesso lavoratore.
Questo precedente poteva incoraggiare dei lavoratori a contestare davanti al giudice di primo grado la scala Macron nei confronti, nel caso presente, dell’articolo 24 della Carta sociale europea e dell’articolo 10 della convenzione OIL n° 158. Ma prima di tutto la Cour de cassation si doveva esprimere sul problema dell’effetto diretto delle due norme in presenza. La dottrina dell’effetto diretto si desume da una recente sentenza del Conseil d’Etat : una disposizione internazionale o europea deve esse riconosciuta d’effetto diretto (dal giudice amministrativo) quando non ha per oggetto esclusivo di reggere le relazioni tra gli Stati e, seconda condizione, quando non richiede nessun’atto complementare per produrre degli effetti nei confronti dei soggetti. Qualora siano realizzate queste condizioni, il giudice dovrà procedere ad una valutazione della norma interna nei confronti della norma sovranazionale.
Alla luce di questi principi, la Cour de cassation afferma che l’articolo 24 della Carte sociale europea è privo d’effetto diretto (2.1). Dopo aver al contrario ammesso che l’articolo 10 della convenzione OIL 158 è “d’applicazione diretta” (2.2), la Cour conclude che la norma contestata è compatibile con quest’ultimo testo (2.3).

2.1 L’assenza d’effetto diretto dell’articolo 24 della carta sociale europea
Il Conseil d’Etat – la più alta giurisidizione amministrativa – aveva certo espressamente riconosciuto nel 2014 che l’oggetto dell’articolo 24 della Carta sociale europea non è di reggere esclusivamente le relazioni tra gli Stati e che questo testo non richiede l’intervento di un atto regolamentare per produrre degli effetti nei confronti dei soggetti . La portata di questa sentenza era tuttavia discussa poichè la giurisdizione amministrativa si era pronunciata a proposito dell’effetto diretto verticale (contestazione di un atto regolamentare adottato da una camera dei mestieri e dell’artigianato).
Per dimostrare che la Carta era priva d’effetto diretto, alcuni sostenevano che la Carta non era stata elaborata per riconoscere dei diritti ai lavoratori. Secondo questa lettura, l’intenzione originaria dei redattori era di rivolgere l’obbligo agli Stati contraenti, non ai soggetti.
In favore di quest’analisi, il rapporto preliminare alla sentenza , precisa che “s’intende che l’indennizzo o ogni altra riparazione adeguata in caso di licenziamento senza valido motivo deve essere determinata secondo la legislazione o regolamentazione nazionale, convenzioni collettive o in ogni maniere adeguata alle condizioni nazionali”. Riferimento è anche fatto, nello stesso rapporto, alle dichiarazioni di Pierre Laroque – che aveva partecipato alla redazione della Carta – il quale riteneva l’impossibilità per i soggetti di invocare davanti alle giurisdizioni nazionali le disposizioni della Carta. Il rapporto richiama, in contrappunto, delle opinioni più recenti secondo cui non sarebbe vietato ai giudici nazionali di riferirsi alla Carta ma, tutto sommato, prevale l’idea che la Carta non ha fondamentalmente per oggetto di riconoscere dei diritti ai soggetti. La stessa argomentazione è affermata dall’avvocato generale.
L’avis (la consulta) con il provvedimento del il 17 luglio precisa l’importanza del margine d’apprezzamento che i termini delle parti I e III della carta. Nella prima parte, il testo della Carte presenta il diritto dei lavoratori ad una tutela in caso di licenziamento come un “obiettivo di una politica che perseguiranno (le Parti) con tutti i mezzi utili (...)”. Quanto alla parte III, l’articolo A precisa gli “impegni” delle Parti in questi termini : ciascuna delle Parti s’impegna a considerare la parte I come una dichiarazione che determina gli obiettivi di cui perseguirà la realizzazione e a considerarsi vincolata da almeno sei determinati articoli. Anche se lo Stato francese è vincolato dall’articolo 24, questo testo non costituirebbe nient’altro che un obiettivo, quindi privo d’effetto diretto tra le Parti.
Tutto sommato, la posizione della Cour de cassation rimane compatibile con quella del Conseil d’Etat. Per la Cour, l’insieme delle parti del testo della Carta sociale europea si rivolgono all’apprezzamento degli Stati membri. Se, come l’afferma il Conseil d’Etat, l’articolo 24 non ha per oggetto esclusivo di reggere le relazioni tra gli Stati, rimane che il testo fondamentale si limita a fare obbligo agli Stati di concretizzare l’effetto de l’articolo 24 tra le persone private. Quando è in discussione un atto dello Stato (come l’atto regolamentare sottomesso al Conseil d’Etat nella precedente sentenza), questo effetto diretto può essere al contrario invocato.
2.2 Il riconoscimento dell’applicazione diretta dell’articolo 10 della convenzione OIL n° 158
Nel suo avis, la Cour de cassation ritiene senz’altra spiegazione che “l’articolo 10 della convenzione n° 158 sul licenziamento dell’Organizzazione del lavoro (...) è d’applicazione diretta”. Nella note explicative disponibile sul sito della Cour de cassation, si può leggere che la “formation plénière” ha considerato che l’articolo 10 della convenzione n° 158 era d’applicazione diretta, dando così una risposta a un problema che non era mai stato esaminato dalla sezione sociale.
Questo risultato non era così scontato e l’incertezza non era dovuta alla sola assenza di precedente giurisprudenziale. In effetti, alcuni sostenevano che la norma invocata non sarebbe abbastanza precisa e incondizionata per poter essere invocata direttamente da un soggetto di diritto davanti al giudice. A favore di questa tesi, l’analisi era incentrata sull’aggettivo “adeguato” il quale, in mancanza di un criterio determinato, poteva essere analizzato come un rinvio implicito e necessario alle scelte nazionali.
La Cour de cassation non esamina direttamente la problematica dell’effetto diretto ma quella – tecnicamente differente – dell’applicazione diretta. Non è discutibile che la convenzione considerata sia integrata all’ordinamento giuridico francese, in quanto è stata ratificata dalla Francia, e sia in conseguenza d’applicazione diretta. Inoltre, la convenzione non contiene, al contrario della Carta, nessuna disposizione che potrebbe escludere l’effetto diretto della convenzione. Anzi, considerando che la particolarità delle convenzioni dell’OIL relative ai diritti dei lavoratori è di essere appunto negoziata direttamente in favore dei lavoratori, l’effetto diretto deriva naturalmente dell’applicazione diretta. È così che si può accertare l’effetto diretto dell’articolo 10 della convenzione 158 nonostante la relativa indeterminazione del termine usato (indeterminazione che sarà poi presa in considerazione al livello dell’interpretazione del testo).

2.3 L’affermazione della compatibilità della norma interna con l’articolo 10 della convenzione OIL 158 ?
Benchè l’articolo 24 sia, secondo la Cour, privo d’effetto diretto, doveva ancora essere affrontata la difficoltà di valutare la compatibilità della norma francese con l’articolo 10 dell’OIL. La Cour de cassation ritiene a questo proposito che il termine “adeguato” deve essere compreso lasciando agli Stati un margine d’apprezzamento. I motivi successivi tendono, di conseguenza, a valutare la compatibilità della norma francese con l’articolo 10.
Prima di tutto, la Cour afferma che il giudice, nel caso di un licenziamento privo di causa giustificava, può proporre la reintegrazione del dipendente nell’azienda. Aggiunge che, quando la misura viene rifiutata da l’una o l’altra delle parti, il giudice attribuisce al dipendente un’indennità compresa tra un limite minimo e un limite massimo. Infine, il giudice afferma che la scala vincolante è esclusa in caso di licenziamento nullo. Alla fine del ragionamento, la Cour de cassation conclude che le disposizione impugnate sono compatibili con l’articolo 10 della convenzione n° 158.
La motivazione dell’avis appare poco sviluppata e invero abbastanza deludente. Il motivo relativo alla possibilità di una “proposta” di reintegrazione è paradossale se ci ricordiamo che la misura di reintegrazione non è mai proposta in caso di licenziamento semplicemente ingiustificato. Inoltre, la Cour de cassation ha stabilito, da lungo tempo, che una sentenza non può essere annullata per non avere proposto una tale misura. È allora difficile in questo contesto dedurre da una norma diventata totalmente virtuale una qualunque conclusione per quanto riguarda il dispositivo contestato nei confronti della convenzione n° 158. L’esclusione della scala in caso di licenziamento nullo, secondo l’argomento invocato dall’avis, è certo fondata nella legge. Si potrebbe tuttavia considerare che l’argomento non affronta direttamente la compatibilità della scala nel caso, appunto, in cui questa scala si dovrà applicare, cioè nel caso di licenziamento “semplicemente” ingiustificato.
È invero la lettura del rapport e dell’avis dell’avvocato générale – disponibili sul sito della Cour – che svela le ragioni profonde della Cour de cassation. L’avvocato generale come l’autore del rapporto difendono chiaramente una valutazione globale della scala vincolante presa come un elemento di un dispositivo più generale di sanzione dei licenziamenti ingiustificati. A questo proposito, è esposta e commentata la posizione della conferenza internazionale del lavoro (rapporto della sessione del 1995) e della commissione di esperti per l’applicazione delle convenzioni. Questi organi hanno ritenuto, in sostanza, che il licenziamento che viola un diritto fondamentale dovrebbe essere sanzionato dal risarcimento integrale del danno (con una preferenza per la reintegrazione) in contrasto con gli altri licenziamenti “semplicemente” ingiustificati. Secondo la lettura dei magistrati, quest’approccio comparativo delle sanzioni di queste due categorie di licenziamento implicano una valutazione globale della norma interna.
L’argomento è poco sviluppato.
La struttura stessa dell’articolo 10 della convenzione, dobbiamo ricordarlo, invita al contrario a distinguere le due situazioni : se il giudice giunge alla conclusione che il licenziamento sia ingiustificato e “ se, tenuto conto della legislazione e della prassi nazionale, tali organismi non hanno il potere di annulare il licenziamento, e/o di ordinare o di proporre il reintegro del lavoratore, o non ritengono che ciò sia possibile nella situazione data, dovranno essere abilitati ad ordinare il versamento di un indennizzo adeguato o ogni altra forma di riparazione considerata come appropriata”. L’esigenza dell’indennizzo “adeguato” è chiaramente posta nell’ipotesi precisa in cui, appunto, il giudice non può ordinare o proporre la reintegrazione .
In queste condizioni, è soprattutto l’assenza di definizione precisa del termine “adeguato” nei rapporti dei diversi organi di controllo che è stata verosimilmente determinante per i giudici. A questo riguardo, il rapporto come l’avis dell’Avocato Générale sottolineano che le prassi nazionali, in materia di determinazione dell’indennità, sono molto diverse e che le pratiche di scale vincolanti non sono state chiaramente condannate dagli organi di controllo.
Al livello teorico, si potrebbe forse argomentare in un altro modo. La specificità di ogni standard dell’adeguatezza è di essere definito rispetto a un referente esterno, cioè nel caso specifico, al danno consecutivo (o più esattamente così definito) risultando da un licenziamento ingiustificato. Si deve certo ammettere che la definizione di questo danno non sorge dalle norme fondamentali evocate, ma dipende sostanzialmente dalle scelte di ogni Stato. Questo dato, tuttavia, non dovrebbe impedire al giudice nazionale di apprezzare l’adeguatezza dell’indennizzo legale a questo danno. Si potrebbe quindi concludere che se la convenzione internazionale non impone una definizione sostanziale e predeterminata dell’adeguatezza, impone in ogni modo agli Stati di rispettare nella sua legislazione il rapporto d’adeguatezza. Questo rapporto implica che spetti al giudice nazionale valutare l’esistenza di un risarcimento, se non integrale, perlomeno ragionevole calcolato in base al pregiudizio consecutivo al licenziamento ingiustificato.
Ora, si poteva considerare che la consacrazione di limiti bassi e di limiti alti determinati esclusivamente in base all’anzianità di servizio tende a annichilire, specialmente nelle soglie le più basse, il potere valutativo del giudice e a svuotare il termine d’indennizzo “adeguato” di ogni contenuto normativo. Comunque la dottrina della Cour de cassation è oramai consolidata e solo una posizione diversa del comitato tripartita dell’OIL potrebbe – forse – indurre la sezione sociale a mutare orientamento in occasione di futuri ricorsi.

3. Oltre il controllo di convenzionalità : quali svolgimenti del contenzioso ?
Verosimilmente, con l’avis della “Formation plénière”, si dovrebbe chiudere il capitolo del controllo di convenzionalità. Certo è vero che la Cour de cassation si è limitata ad operare un controllo in abstracto della norma. Avendo escluso l’effetto diretto dell’articolo 24 della Carta sociale europea, l’avis esclude però nello stesso tempo la prospettiva di un controllo in concreto davanti ai giudici di merito. Quanto alla convenzione OIL n° 158, non impone ai giudici nazionali un tale controllo tanto è vero, come è ritenuto dalla Cour, che il testo non mira a un risultato determinato in materia di risarcimento.
È allora un’altra difficoltà che potrebbe sorgere dalla posizione espressa dalla Cour de cassation. Se la scala vincolante viene considerata legittima nel diritto positivo francese, occorrerebbe definire con maggiore precisione il suo oggetto e la sua portata. A questo proposito, il rapporto ricorda che la giurisprudenza della sezione sociale della Cour de cassation ammette che il lavoratore può essere indennizzato di vari danni distinti dall’assenza di causa giustificativa come, per esempio, in caso di licenziamento lesivo della sua dignità o di danno morale conseguente a una colpa del datore di lavoro.
Queste breve indicazioni aprono la prospettiva di una riflessione approfondita sul danno specificamente causato dall’assenza di causa giustificativa tanto più, questo va sottolineato, che la legge francese non ha mai espressamente qualificato il danno risarcibile in relazione ai criteri di graduazione previsti nella scala vincolante. L’unica indicazione della legge consiste nella presa in considerazione dell’anzianità di servizio per la definizione delle soglie dell’indennizzo. Si può anticipare lo sviluppo, nei prossimi anni, di riflessioni dottrinali e di strategie contenziose allo scopo d’identificare i pregiudizi che non sono compresi nell’indennizzo per licenziamento senza causa giustificativa.

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