testo integrale con note e bibliografia
Il diritto alla disconnessione digitale in Italia si regge ancora su un insufficiente substrato normativo, che dà peraltro luogo a sacche di profili di disparità di trattamento, atteso che , diversamente da alcuni altri Paesi europei che hanno in forma indipendente normato in maniera certamente più omogenea ed esaustiva di noi, non solo questo non viene espressamente qualificato quale diritto, e dunque eziologicamente nemmeno dovere, laddove si tratta di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che come da definizione necessita quale requisito sostanziale la presenza di strumenti tecnologici, quand’anche il dibattito e la dottrina si infittiscono di continui inediti contributi anche a smentita.
Rappresenta senz’altro oggi un interesse collettivo meritevole di attenzione dati i costanti progressi economici, sociali e tecnologici costituendone la corretta formulazione negli usi, sicuramente un’importante opportunità per le relazioni industriali nell’ intercettare nuovi bisogni individuali coniugandoli con la produttivita’ e con buona pace delle relazioni sindacali. Trova collocazione come naturale evoluzione della primigenia l. 191/98, pura testimonianza che più di un ventennio orsono, i primi venti dell’innovazione tecnologica spiravano favorevoli a cambiamenti destinati a divenire epocali nel panorama del mondo e delle relazioni produttive,
oggi, il nostro ordinamento contempla tuttavia ancora come unica forma di disconnessione la disciplina del “lavoro agile” cui alla l. n. 81/2017, senza alcun riferimento ad altre fattispecie o più in generale allo status del lavoratore subordinato tout court. Si precisa che tale istituto viene previsto sia per il settore privato sia per quello pubblico, giacché, anche se aventi genesi di regolamentazione in materia di lavoro agile tra loro diverse, in forza del richiamo integrale dell’art. 19 della l. n. 81/2017 all’interno della Direttiva 1° giungo del 2017, quest’ultimo risulta direttamente applicabile alla pubblica amministrazione1
Sulla medesima linea di applicabilità della disconnessione alla sola fattispecie di lavoro agile, così come di rinvio delle modalità di esercizio della stessa alla sola autonomia individuale, si è posizionato anche il legislatore della fase emergenziale da SARS-CoV-2, in occasione della conversione in legge del 6 maggio 2021 n. 61, del d.l. del 13 marzo 2021 n. 30 (2). Tuttavia, tale disposizione offre il primo riconoscimento normativo italiano della disconnessione in qualità di diritto, qualificazione che sino ad allora solo la contrattazione collettiva aveva avanzato3. Tale riconoscimento, non privo di dubbi interpretativi, arriva non a caso alla luce dei più recenti interventi a livello di Unione Europea in tema di diritto alla disconnessione sia dalle parti sociali e sia dal Parlamento Europeo, rispettivamente, con l’Accordo quadro sulla Digitalizzazione del 22 giugno 2020 e con la Risoluzione sul diritto alla disconnessione del 21 gennaio 2021, quest’ultima contestuale a una proposta di direttiva europea in tema rivolta «a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro».4 Si precisa sin da ora che in entrambi gli interventi viene assoggettato un ruolo significativo alla contrattazione collettiva sia nazionale che decentrata, diversamente dall’intervento postumo operato dal legislatore emergenziale italiano. Tuttavia in un’ottica complessiva si ritiene ragionevole dover considerare il carattere emergenziale di quest’ultimo, soprattutto in vista della più recente presentazione del disegno di legge, avente un contenuto maggiormente soppesato, evoluto e senza dubbio collimato alle prese di posizione europee.5
Infatti sebbene il legislatore riguardo alla regolamentazione della disconnessione abbia finito per prevedere stante anche le cause emergenziali una certa autonomia resa in luogo della contrattazione collettiva, riconoscendo che e’ fondamentale che la stessa si appropri di questo ruolo, andando a “riempire di contenuto” una norma, quella del 2017, priva di valore precettivo, e segnando la via per un futuro riconoscimento normativo di un vero e proprio diritto alla disconnessione per legem, non solo per gli smart worker e gli “agili”, ma per tutti i lavoratori, in linea con quanto gia’ cogente in Paesi come la Francia o la Spagna.
Il legislatore potrebbe infatti intervenire su quanto finora disciplinato in autonomia dalle contrattazioni collettive, in modo da garantire una tutela più ampia e generale, pur lasciando comunque alle relazioni sindacali di prossimita’ spazi di modulazione della disciplina rispetto al caso specifico. Tuttavia ad oggi l’assenza sul punto di una cornice normativa più pregnante, in luogo di essere colta quale opportunità dalle parti sociali, ha spesso generato nelle ipotesi di contrattazione collettiva solo mere dichiarazioni di intenti, non in grado di conferire effettività alla tutela della disconnessione e di segnarne più concretamente il percorso di affermazione qualendiritto fondamentale.6
Pacifico che l’esigenza di una sistematica normativa su tale argomento prende definitivo abbrivio con il periodo pandemico e postpandemico, gia dal 2018 il Parlamento europeo, mosso dalla convinzione che la transizione digitale deve essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e dei valori fondamentali dell’Unione, invitava Commissione a presentare un proposta di direttiva in tema di “diritto alla disconnessione”7 dagli strumenti digitali, comprese le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) a scopi lavorativi, (atteso che non esiste, allo stato, una normativa specifica dell’UE ed inoltre la legislazione carenziale in materia varia fra gli Stati membri). Tale proposta di Direttiva articolata su piu punti, invita dunque la Commissione a licenziare una legge su norme e condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione e per disciplinare l'uso degli strumenti digitali esistenti e nuovi a scopi lavorativi, prendendo al contempo in considerazione l'accordo quadro delle parti sociali europee sulla digitalizzazione, che include disposizioni sulla connessione e sulla disconnessione; rammenta che l'accordo quadro prevede che le parti sociali adottino misure di attuazione entro i prossimi tre anni e che una proposta legislativa prima della fine del periodo di attuazione significherebbe non tenere conto del ruolo delle parti sociali previsto dal TFUE; insiste che qualsiasi iniziativa legislativa rispetti l'autonomia delle parti sociali a livello nazionale, i contratti collettivi nazionali, i modelli dei mercati del lavoro nazionali e non pregiudichi il diritto di negoziare, concludere e mettere in atto accordi collettivi conformemente al diritto e alla prassi nazionali; pone al vertice l’importanza e il rango preminente dei CCNL sia pubblici che privati cosi come, le misure di sensibilizzazione e formazione devono interessare tanto le modalità pratiche di disconnessione quanto i rischi per la salute, da intendersi come effettiva acquisizione da parte del lavoratore della consapevolezza di un uso più responsabile e razionale della strumentazione digitale, la quale deve necessariamente comportare la conoscenza del ventaglio dei rischi afferenti alla sfera privata e personale che da essa possono derivare.8
Ad una osservazione complessiva degli elementi che compongono il dettato della proposta di Direttiva è possibile cogliere una particolare impronta pragmatica, nell’obiettivo di mettere a disposizione degli Stati membri gli strumenti chiave atti a rendere concretamente effettiva e democratica la regolamentazione di un istituto, quale il diritto alla disconnessione, che nel tessuto europeo risulta ancora disomogeneo e frammentario da iniziative volontaristiche di natura normativa e/o contrattualistica nazionale.
D’altronde la normogenesi e’ rinvenibile già come substrato normativo in tutta una serie di disposizioni preesistenti nell’ ordinamento europeo. Valga richiamare, al riguardo, l’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ai sensi del quale ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, privacy, sicurezza e dignità, così come ad una limitazione dell’orario massimo di lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e ad un congedo retribuito, l’art. 7 della Carta che tutela il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare al pari dell’art. 8, par. 1, della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in virtù del quale, tra l’altro, “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”, quale clausola utilizzata nelle varie giurisdizioni nazionali per tutelare la vita privata dei lavoratori nei contesti lavorativi.
In un contesto più ampio, degno di nota è, altresì, l’art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti umani, il quale come risaputo sancisce che ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione dell’orario di lavoro e ferie periodiche retribuite. Con riguardo poi alle fonti di diritto derivato dell’UE, vengono in rilievo una serie di atti, alcuni dei quali adottati in conformità al cd. pilastro europeo dei diritti sociali: ancora, la direttiva 2003/88/CE, che prevede prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, anche in relazione al numero massimo di ore di lavoro consentito e ai periodi minimi di riposo da rispettare, nonché al diritto alle ferie annuali retribuite; la direttiva (UE) 2019/1152; la direttiva (UE) 2019/1158 nonché la direttiva 89/391/CEE del Consiglio sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. Non mi attardero ad analizzare il diritto alla disconnessione per motivi di privacy e di salute e sicurezzain un quadro in cui viene garantita al lavoratore quell’«esistenza libera e dignitosa» di cui all’art. 36, co. 1, Cost.9 Ma e’ importante sapere che la ratio del diritto alla disconnessione per gran parte della dottrina e’ un diritto autonomo dostinto dal diritto al riposo poiché i tempi di disconnessione possono, ma non necessariamente devono, corrispondere ai tempi di riposo minimo. Infatti, i primi possono risultare più estesi e protettivi dei secondi, in quanto si ritiene opportuno identificarli con i tempi di non lavoro, ossia quelli esterni all’orario di lavoro o esterni ad eventuali fasce di contattabilità pattuite, le quali possono essere più estese dell’orario di lavoro effettivo.10 Dunque, in quest’ottica più ampia, è bene chiarire che e’possibile accogliere un’inversione di concetto, per cui sono i tempi di disconnessione ad incorporare i tempi di riposo minimo, e non viceversa, risultando il diritto de quo strumentale alla tutela del riposo, ma non solo.
Se le nuove tecnologie, infatti, rappresentano un fattore di progresso e svolgono un ruolo di indubbio rilievo nel plasmare il luogo di lavoro del futuro ed assicurare efficienza lavorativa, al contempo e’ pacifico constatare che, un uso “improprio”delle stesse può tradursi in una regressione dei rapporti produttivi, nella misura in cui incide negativamente ed in maniera sproporzionata sulla vita privata del lavoratore e, più in generale, sul suo diritto alla propria autodeterminazione. Il ricorso intensivo agli strumenti digitali non può, dunque, rappresentare l’occasione per un “controllo” sistematico, pervasivo ed ubiquitario sul lavoratore, influendo, come evidenziato da piu’ parti, sull’equilibrio tra vita professionale e personale, salute fisica e mentale, ma deve avvenire nel pieno rispetto dei diritti fondamentali , cosi come auspicato dalla dottrina.11 Occorre, pertanto, rispettare in maniera efficace i confini tra “orario di lavoro”, in cui il lavoratore deve essere disponibile o raggiungibile per il datore di lavoro, e “orario non lavorativo”, in cui il dipendente non ha nessun obbligo di restare a sua disposizione. A tal uopo, dunque, il diritto alla disconnessione, quale diritto fondamentale, di nuova generazione, prospettato in ambito UE, intende mirare al “riequilibro” tra lavoro e vita del lavoratore disconnesso proprio in un ottica di una migliore e non gia’ maggiore produttivita’.
Ed è, in particolare, proprio nell’ottica del “work life balance” che il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a delineare il quadro legislativo esaminato, ovvero i requisiti oggettivi tali da permettere l’utilizzo di strumenti digitali a scopi lavorativi e, al contempo, di garantire l’esercizio del diritto alla disconnessione, con un’attenzione particolare ai rischi connessi al disattendi mento di tali principi. D’altronde l’aumento della connettività sul luogo di lavoro, imputabile in particolare all’emergenza pandemica da Covid-19, ha reso ancora più pressante la necessità di garantire la disconnessione ai lavoratori da remoto; al riguardo, emerge l’indiscussa rilevanza del tentativo di introdurre una disciplina armonizzata per gli Stati UE, sì da garantire un equo trattamento di base per tutti lavoratori a prescindere dalle diversità ordina mentali, atteso che nell’ambito del territorio dell’ Unione si ci muova e si interagisca ampiamente nell’ ottica dell’unicum.
Tuttavia la positivizzazione di un diritto alla disconnessione si rende necessaria per salvaguardare, inter alia, il diritto al riposo in ragione del fatto che, nel lavoro da remoto, sia troppo labile il concetto stesso di separazione tra momento del lavoro e quello del tempo libero.
Valga qui richiamare a titolo esemplificativo la nozione, nell’ordinamento italiano, di smart working di cui all’art. 18/2017 della legge sul lavoro agile, inteso quale “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato (…) senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Ivi l’assenza di vincoli orari genera il rischio di quella “confusione” tra sfera privata e sfera lavorativa che impone di “separare” e “mettere ordine” tra l’una e l’altra. Del resto, la legge 81/2017 presenta una serie di limiti tali da non consentire la configurazione di un adeguato diritto sostanziale alla disconnessione da riconoscersi in maniera generalizzata, affidato com’è alla contrattazione individuale. Da qui la rilevanza del diritto alla disconnessione prospettato dal legislatore dell’Unione, da intendersi quale diritto finito, autonomo, con dignità propria, che legittima una precipua disciplina, che intende assurgere, altresì, a misura preventiva a tutela della “salute” e al rispetto dell’individuo. Chiaro e’ che il diritto alla salute e’inteso nella sua più ampia accezione di benessere fisico, mentale e sociale della persona, contro i rischi di overworking e di violazione dei tempi di riposo.
Ma classificarlo come “diritto al riposo” o “diritto al rispetto dell’orario lavorativo”risulta essere in qualche modo riduttivo12 ma come sottolineato, investe molteplici aspetti della persona nella sua totalità – come d’altronde è emerso anche dalle disposizioni costituzionali e della Carta dei diritti fondamentali dell’UE rilevanti in materia – e tutela non soltanto il diritto di non essere connesso al di fuori dell’orario di lavoro”, ma anche il “diritto di scegliere cosa fare del proprio tempo”, compreso restare “connesso” per le motivazioni più disparate.13
Nella Relazione introduttiva del “Protocollo nazionale sul lavoro agile” del 7 dicembre 2021, il Gruppo di studio “Lavoro Agile” pone evidenza del fatto che nel panorama contrattualistico italiano la disconnessione rappresenti un tema ancora dalle linee contenute e/o sfumate, atteso cheche su oltre duecento contratti collettivi aziendali analizzati, solo una ottantina menziona esplicitamente la disconnessione14 Degno senz’ altro di notazione nel panorama normativo italiano tra l’altro con profili predittivi rispetto alla data di approvazione della l. n. 81/2017, è il decreto del 7 aprile 2017 emesso dal Direttore Generale dell’Università degli Studi dell’Insubria, il cui contenuto, a differenza dell’art. 19 co. 1, qualifica espressamente la disconnessione quale diritto del lavoratore dettando tempi e modalita’ ben definite per esercitarne gli usi.15
Salvo questo primo slancio innovativo ante l. n. 81/2017, a seguito dell’approvazione della stessa, si può osservare l’inizio di una fase più “conoscitiva” che “riempitiva”, nella quale la contrattazione collettiva si è limitata sostanzialmente ad un approccio declaratorio16 della disconnessione, talvolta menzionata in qualità di diritto. È possibile riscontrare tale fenomeno soprattutto nei contratti collettivi aziendali, i quali ne hanno affibbiato diverse profondità attraverso previsioni più o meno articolate, ma pur sempre meramente dichiarative. Infatti, proprio in questa fase attuale è possibile assistere ad un forte fermento negli ambienti delle parti sociali, facendo registrare un significativo trend di crescita delle discipline collettive che si interessano all’istituto in esame, a livello contrattualistico sia aziendale che settoriale17, pur rimanendo prevalente un approccio ricognitivo e specificativo18 Orientamento che viene accolto anche dalle istituzioni che hanno adottato delle linee guida sia per il settore privato sia per quello pubblico, con l’obiettivo di incentivare la contrattazione a regolare una corretta applicazione della fattispecie di lavoro agile ma che tuttavia, sul tema in esame, si limitano in sostanza a ricalcare le disposizioni dell’art. 19 co. 1 della l. n. 81/2017, mantenendo quindi un approccio generico che fornisce una rete di regolazione “a maglie larghe”19. Dove, il tentativo della contrattazione collettiva di riempire il “vuoto” normativo in merito alla disconnessione si è basato e tuttora si basa essenzialmente su processi volontaristici e di carattere normativo non vincolante laddove l’attuale base volontaristica rischia di andare a creare una spaccatura “sociale” per cui la regolazione della disconnessione venga prevista dalla contrattazione collettiva per taluni settori e non per altri; da ultimo, sulla base delle esperienze fin qui commentate, è possibile avanzare l’ipotesi che, nel perdurare dell’assenza di un adeguato intervento normativo in grado di vincolare la contrattazione collettiva ad una base uniforme e maggiormente incisiva in tema de quo – tale da livellare in modo equo le disposizioni in materia –, si continuerà ad assistere ad una regolamentazione che, oltre ad avere una presenza incostante all’interno del tessuto negoziale collettivo, sarà sempre più caratterizzata da una disconnessione posta a diverse profondità di previsione, con l’ulteriore pericolo di creare in questa ottica di deregulation di fatto, un discrimine di trattamento tra lavoratori di diversi settori e di diverse aziende.
20 In quest’ottica, si auspica che l’adozione di una futura, compiuta normativa europea che contempli articolatamente la regolamentazione della disconnessione con l’ estensione dello sviluppo dello smart working, che possa rappresentare altresi un'opportunità al fine di realizzare politiche di intervento atte alla riprogettazione del ripopolamento di zone depresse del Paese in favore della crescita demografica e di benessere del PIL anche attraverso, ma chi scrive appare ssere ormai in ritardo con l’appuntamento, la fruizione dei fondi del PNRR atti a progetti di riconversione in tal senso. Ancora una volta e’ segno inequivocabile che le evoluzioni giuslavoristiche sono sempre strettamente connesse a quelle del diritto dell’economia e viceversa.