TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Premessa. - La crisi pandemica da Covid-19 ha accelerato il processo di digitalizzazione del mondo del lavoro, da taluni definito la “quarta rivoluzione industriale” . Indubbiamente, tale processo ha portato alcuni vantaggi, come la possibilità di lavorare da casa durante il periodo di emergenza e, dunque, di salvaguardare la salute dei lavoratori e delle proprie famiglie, e non ultimo anche l’ambiente limitando gli spostamenti . Dall’altro lato, non sono mancati già prima dell’emergenza epidemiologica alcuni studi in merito a possibili controindicazioni, come l’intensificarsi del lavoro e il protrarsi dell’orario di lavoro, tanto da rendere meno netti i confini tra l’attività lavorativa e la vita privata .
Recenti studi hanno dimostrato che i lavoratori da remoto, di media, lavorano più ore rispetto ai colleghi presenti in ufficio, in virtù del fatto che, per i primi, è più difficile riuscire a distinguere i momenti di lavoro da quelli destinati alla vita privata ed aumenta lo stress, oltre all’ansia del soddisfacimento costante della prestazione lavorativa per il lavoratore “sempre connesso o sempre online” . La maggiore flessibilità dell’orario di lavoro, spesso abbinata ad una maggiore autonomia del lavoratore, senza regole può paradossalmente condurre all’aumento del tempo dedicato alle attività lavorative e a una speculare riduzione del tempo dedicato al riposo e alla vita privata .
Questi aspetti sono inevitabilmente accentuati nel lavoro agile , modalità del lavoro subordinato introdotta in via legislativa ormai da quattro anni e caratterizzata da elementi di flessibilità spaziale , essendo il luogo scelto dal lavoratore , ma anche dalla flessibilità organizzativa , con particolare riferimento alla flessibilità dell’orario di lavoro, consentita nel rispetto dei limiti di durata massima giornaliera. Infatti, pur essendo il lavoro agile ampiamente rimesso nella regolamentazione (in via ordinaria) all’autonomia individuale e alla consensualità, e informato all’obiettivo di favorire la conciliazione vita lavoro , la possibilità di lavoro da remoto e senza postazione fissa moltiplica le occasioni di commistione tra vita privata e lavorativa, che dovrebbero essere tenute ben distinte . In secondo luogo, resta forte il rischio che il lavoratore subisca determinazioni formalmente consensuali ma, in sostanza, unilateralmente assunte dal datore di lavoro .
Non è dunque un caso che, in Italia , il lavoro agile sia stato il primo (e sia attualmente l’unico) ambito di riconoscimento del diritto alla disconnessione. Un diritto introdotto per la prima volta in Francia , oggi regolato anche in Spagna , che è divenuto oggetto di una proposta di direttiva ad hoc al fine di garantire un minimo livello di tutela comune tra gli Stati membri per tutti i lavoratori (§ 6).
L’art. 19 della legge n. 81/2017 prevede che l’accordo individuale, oltre a definire i tempi di riposo del lavoratore, determini le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro .
Il diritto alla disconnessione è tutelato anche nel pubblico impiego , privatizzato e non, posto che tutte le disposizioni del lavoro agile si applicano al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in quanto compatibili (art. 18, comma 3).
L’oggetto del presente studio è, dunque, quello di approfondire la portata del diritto alla disconnessione con specifico riferimento al lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
2. Nozione e oggetto del diritto alla disconnessione: due letture. - Il diritto alla disconnessione trova definizione nell’art. 19 come un diritto alla pattuizione e specificazione delle misure tecnico-organizzative idonee ad assicurare l’interruzione del collegamento degli strumenti tecnologici utilizzati per l’esecuzione della prestazione di lavoro. È importante il riferimento a misure organizzative e non solo tecniche: questa previsione permette di ritenere che il datore di lavoro, a monte della definizione tecnica delle modalità di disconnessione, sia tenuto a distribuire il carico di lavoro in maniera equa e diminuire quello gravante su ciascun singolo lavoratore.
La norma si applica in ipotesi di utilizzo di strumentazioni tecnologiche: può esservi del resto disconnessione solo in presenza di un apparecchio telefonico o telematico connesso, e non di un apparecchio qualsiasi, bensì di quello strumento che sia utilizzato per rendere la prestazione lavorativa.
Nondimeno, l’esperienza applicativa dimostra che nel lavoro agile la prestazione è pressoché sempre resa mediante tali strumentazioni, siano esse di proprietà del datore di lavoro o del lavoratore stesso .
Aspetti critici potrebbero essere rinvenuti nel fatto che la specificazione in forma scritta sia posta ad probationem, ma non si può condividere la tesi di chi afferma che non siano previste sanzioni in caso mancata regolamentazione del diritto o di mancata attuazione dello stesso , fino al punto da mettere in discussione l’esistenza stessa di un diritto alla disconnessione , la sua effettività e la sua applicazione .
In realtà, il riconoscimento del diritto determina alcune conseguenze già su un piano squisitamente formale.
Infatti, ai sensi dell’art. 19, comma 1, l. n. 81/2017 l’accordo scritto non riguarda semplicemente l’attivazione del lavoro agile, bensì “la modalità di lavoro agile”, dunque deve contemplare tutti i contenuti richiamati dalla norma e tra questi, ovviamente, anche i tempi di riposo e le modalità di disconnessione.
Una simile configurazione appare coerente e al contempo necessaria, in quanto in assenza di determinazione dei tempi di disconnessione, e prima ancora di riposo, non è possibile verificare la durata massima della giornata di lavoro, imposta dall’art. 18, comma 1, della stessa legge, nonché dall’ordinamento eurounitario .
Pertanto, la mancata specificazione delle misure di disconnessione comporta l’applicazione della sanzione amministrativa per difetto dei requisiti minimi richiesti per la stipula del patto.
Un secondo effetto, non meno rilevante, è che in difetto di specificazione delle modalità di utilizzo degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa esterna e/o dei tempi di riposo e/o delle modalità di disconnessione (tutti elementi indicati dall’art. 19), non potranno ritenersi integrati i requisiti minimi per integrare un comportamento “esterno” ai locali aziendali disciplinarmente rilevante ai sensi dell’art. 21, comma 2, nel caso in cui ad esempio il lavoratore non sia contattabile attraverso gli strumenti tecnologici utilizzati per rendere la prestazione.
In ogni caso, il diritto alla disconnessione non è espressamente delimitato dalla legge nella sua estensione.
Il presupposto logico e fenomenologico del diritto alla disconnessione è l’identificazione dell’orario di lavoro agile (prestato con strumenti tecnologici) con il tempo di connessione, ossia un periodo in cui il lavoratore è in collegamento con il datore di lavoro e i suoi collaboratori gerarchicamente sovraordinati. L’orario di lavoro può essere anche contenuto in fasce di contattabilità, ossia archi di tempo all’interno dei quali possa essere preteso l’espletamento della prestazione lavorativa, di una sua frazione, o di una quantità di lavoro ad esse equivalente, o in fasce orarie di autonoma collocazione della prestazione lavorativa a scelta del lavoratore: soluzioni spesso seguite nel pubblico impiego , così come nel settore privato .
Sembra indubbia una mutua interrelazione tra la definizione delle misure di disconnessione e quella dei periodi di riposo (art. 19), che deve rispettare i limiti di durata massima giornaliera e settimanale posti dal d. lgs. n. 66/2003 in via generale e ribaditi specificamente dall’art. 18 l. n. 81/2017 per il lavoro agile .
Si tratta però di comprendere in che rapporto si ponga il riconoscimento del diritto alla disconnessione rispetto a quello al godimento dei periodi di riposo consecutivo minimo . Possono astrattamente configurarsi due distinte letture.
Per un verso, la fruizione del riposo minimo consecutivo, giornaliero e settimanale, non integra solamente la consistenza minima del diritto alla disconnessione, bensì ne rappresenta l’obiettivo. In altri termini, il diritto alla disconnessione sarebbe preordinato ad assicurare, sul piano tecnico-organizzativo il rispetto dei tempi di riposo minimo consecutivo, permettendo al lavoratore il ripristino delle energie fisiche e psichiche.
Tuttavia, stando al testo della legge n. 81 del 2017 sarebbe possibile anche una diversa lettura, la quale muove dal valore giuridico (uno dei due) sotteso al lavoro agile, ossia la conciliazione vita-lavoro.
L’istituto del lavoro agile, come esplicato (§ 1) di per sé moltiplica le occasioni di contiguità e sovrapposizione tra vita lavorativa e vita privata, poiché il lavoro può essere reso ovunque, dunque eventualmente anche in ambienti privati ed intimi del lavoratore, e con grande flessibilità oraria, specialmente laddove la prestazione sia resa per fasi, cicli ed obiettivi. In tal senso esso deve essere orientato a favorire l’effetto benefico di una migliore work-life balance, e non certo quello, opposto, di aumentare le intromissioni della vita lavorativa nella vita privata, il cd. work-life blending .
Se si accoglie a pieno questa prospettiva, i tempi di disconnessione in primis potrebbero trovare una dimensione minima di misurazione nei periodi minimi di riposo consecutivo, ma potrebbero certamente essere riconosciuti in misura più favorevole, e potrebbero anche assumere una rilevanza specifica per il lavoro agile, tale da giustificare deviazioni rispetto alla disciplina degli altri lavoratori subordinati e dei telelavoratori . In tal senso potrebbe deporre anche il dato testuale dell’art. 19 l. n. 81/2017: se il diritto alla disconnessione fosse esclusivamente funzionale al rispetto dei tempi di riposo minimo, le misure tecnico-organizzative avrebbero dovuto assicurare il rispetto di questi, e non della disconnessione.
In questa accezione, che come si vedrà sembra fatta propria anche in una proposta di direttiva eurounitaria (infra, § 6), il diritto alla disconnessione corrisponderebbe, di regola, al diritto del lavoratore a non essere contattato in alcun modo, e al divieto per il datore di lavoro di cercare di contattare il lavoratore all’infuori dell’orario di lavoro o di specifiche fasce di contattabilità. Non si tratta di riflessioni prive di risvolti concreti: accogliendo questa lettura le misure di disconnessione non sarebbero limitate a garantire i periodi di riposo minimo consecutivo giornaliero e settimanale, bensì potrebbero essere riferite a tutti i periodi posti al di fuori dell’orario di lavoro.
Questa riflessione si inserisce nel solco di quelle, ben più ampie, tese ad attribuire una dimensione giuridica propria ed autonoma al tempo libero del lavoratore , oltre la prospettiva del mero ristoro psico-fisico.
2.1. La tesi da prediligere: il diritto alla disconnessione come diritto autonomo e distinto dal diritto al riposo. - In realtà, pare possibile non solo distinguere con chiarezza il diritto alla disconnessione dal diritto al riposo, ma anche riconoscere l’autonomia del primo dal secondo nei profili delimitativi.
Si è già detto, da un lato, dell’importanza dell’individuazione dei periodi di riposo ai sensi della legge n. 81/2017. Questi sono certamente imprescindibili ai sensi dell’art. 18, comma 1 per individuare la durata massima giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa: sul piano temporale il lavoro agile può essere anche svolto senza precisi vincoli temporali, ma deve pur sempre rispettare dei vincoli, e questi possono essere rinvenuti nei riposi minimi giornalieri e settimanali .
Ma l’individuazione dei periodi di riposo è necessaria anche per assolvere a una funzione ulteriore, parimenti importante: delimitare a contrario l’orario di lavoro della prestazione lavorativa, o almeno l’area di contattabilità all’interno della quale sia poi possibile per il datore di lavoro, pubblico o privato, esigere la quantità di prestazione di lavoro concordata. Nel caso del pubblico impiego, la quantità di lavoro (dunque l’orario, se questa è misurata a tempo) tendenzialmente non può variare rispetto a quella resa in presenza, proprio al fine di evitare che a parità di remunerazione il lavoratore sia impiegato per più tempo. Questo principio è stato riconosciuto nella disciplina emergenziale e si inserisce nel solco dei principi di parità di trattamento economico fondamentale a parità di inquadramento (artt. 2 e 45 d. lgs. n. 165/2001) e di non regresso del trattamento economico-normativo del lavoratore agile .
Tale funzione dei tempi di riposo può avere diretti riflessi sui tempi di disconnessione, ma non implica affatto una parificazione tra diritto al riposo e diritto alla disconnessione.
Quest’ultimo, almeno nella legislazione ordinaria (per l’emergenziale v. infra, § 4.1), è definibile come il diritto del lavoratore a non essere contattato tramite gli strumenti tecnologici utilizzati per rendere la prestazione di lavoro.
Ciò consente di chiarire che il diritto alla disconnessione non si identifica tout court con il generico diritto a non essere contattati, perché è strettamente connesso all’utilizzo dei dispositivi.
Per altro verso, l’obbligo del lavoratore di rendersi raggiungibile può derivare dalla natura della prestazione resa ovvero da specifici accordi: si pensi al caso dei dirigenti e dei quadri, per i quali non trovano applicazione la disciplina della durata massima della giornata lavorativa né quella dei riposi, nel solo rispetto dei limiti di ragionevolezza e di tutela della salute psicofisica del lavoratore . Lo stesso obbligo di collaborazione ai sensi dell’art. 2104 c.c. può giustificare un temperamento rispetto a comportamenti apodittici da ambo le parti, anche se di certo una specificazione preventiva contribuirà ad evitare il contenzioso.
Non solo: esistono margini per considerare autonome pattuizioni, individuali o collettive, circa la reperibilità del lavoratore all’infuori dell’orario di lavoro, ad esempio per fasce di contattabilità più estese dell’orario di lavoro effettivo, o come può avvenire ad esempio nell’ipotesi in cui la scelta della collocazione della prestazione sia rimessa al lavoratore , o ancora qualora difettino precisi vincoli di orario.
Tutti questi esempi dimostrano che i tempi di disconnessione possono, ma non necessariamente devono collimare con i tempi di riposo minimo, mentre di regola pare più opportuno identificarli con i tempi di non lavoro, il che rende l’ambito del diritto alla disconnessione ben più esteso e protettivo di quello dei riposi.
Peraltro, se continuerà a resistere l’impostazione tradizionale che – pur a fronte di crescenti oscillazioni nella giurisprudenza e nel dibattito de jure condendo - considera il tempo di reperibilità un tempo di non lavoro indennizzato, è pure possibile che durante i tempi di riposo il lavoratore si obblighi alla reperibilità: tuttavia, la peculiarità del lavoro agile, che come detto moltiplica le occasioni di contiguità tra vita professionale e vita privata, induce comunque alla cautela verso soluzioni di questo tipo.
Certamente si può concludere che, di regola, i tempi di disconnessione coincidono con i tempi di non lavoro, ossia quelli esterni all’orario di lavoro, salvo specifiche pattuizioni di diverso tenore . A loro volta queste ultime, di regola, dovranno necessariamente rispettare i tempi di riposo minimo consecutivo, senza sovrapporre ad essi periodi di connessione o eventualmente garantendo il rispetto di riposi compensativi.
2.2. Alcune ipotesi concrete di delimitazione del diritto alla disconnessione. - Sulla base della prospettata ricostruzione è ora possibile fornire alcune soluzioni applicative sul diritto alla disconnessione.
Quid, ad esempio, nel caso in cui siano stabilite solo le misure tecniche di disconnessione, ma non i tempi delle stesse? Si potrebbe anzitutto ritenere che il riferimento alle misure organizzative implichi anche l’indicazione dei relativi tempi, e in tal caso il datore di lavoro incorrerebbe nella sanzione per irregolarità amministrativa.
A prescindere da ciò, sul piano sostanziale si determinerebbero due effetti: il primo è quello, già accennato, dell’irrilevanza disciplinare per mancata risposta, ai sensi dell’art. 21 comma 2 l. n. 81/2017 (supra, § 2). Il secondo è che il tempo di disconnessione dagli strumenti di lavoro verrebbe a coincidere con i tempi di non lavoro e cioè con i tempi esterni alla prestazione pattuita ordinariamente come orario di lavoro, che trova un riferimento di comparazione nella parte di prestazione resa in presenza, comprensiva delle pause laddove la prestazione superi il numero di ore indicato dalla legge .
Nell’ipotesi, affatto diversa, in cui sia stabilito nel patto di lavoro agile che non ci sono precisi vincoli di orario di lavoro, invece, si è già detto che il patto deve comunque, necessariamente indicare i tempi di riposo: sulla base di questi potranno essere determinati l’inizio della prestazione di lavoro e la durata massima della stessa, ed entro tali soglie – lasciando da parte questioni sulla remunerazione di tale disponibilità – il lavoratore potrà o dovrà essere connesso. In mancanza di indicazione dei tempi di riposo per il lavoro agile, invece, la soluzione non potrà che essere quella dell’applicazione dell’orario di lavoro osservato in presenza.
Laddove invece le parti pattuiscano fasce di contattabilità, a prescindere dal fatto che, al loro interno, l’effettivo collegamento sia rimesso al lavoratore o richiesto dal datore di lavoro e ancora una volta le questioni sulla remunerazione, il problema appare di più semplice soluzione: il diritto alla disconnessione sarà di certo esercitabile all’infuori delle fasce di contattabilità e queste dovranno, tendenzialmente, rispettare i tempi di riposo minimo consecutivo.
3. Le sollecitazioni generate dalla disciplina della P.A., ordinaria… – Come accennato, la legge n. 81 del 2017 prevede l’estensione alle P.A. di tutte le previsioni sul lavoro agile, “in quanto compatibili ... e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”, dunque anche dell’art. 19 sul diritto alla disconnessione come sopra descritto.
Su un piano generale e riferendosi alla disciplina ordinaria, non vi è ragione di considerare diversamente il diritto alla disconnessione del lavoratore pubblico.
Secondo la direttiva n. 3 del 2017 del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’attivazione del lavoro agile (nella disciplina ordinaria pre-emergenziale) può avvenire per mezzo di un accordo tra le parti individuali, oppure mediante un’autorizzazione o un’adesione del lavoratore a programma predefinito, che assume la valenza di un’offerta al pubblico . Quest’ultima opzione indubbiamente irrigidisce e formalizza il procedimento nonché le possibilità di adattamento alle esigenze delle parti individuali e in particolare del lavoratore, ma può ritenersi lecita se conforme ai requisiti di cui agli artt. 18-19 ss. della legge n. 81/2017 .
E tuttavia, la stessa direttiva prevede (p. 13, punto 24) che si rinvii alla previsione nell’accordo individuale dei tempi di riposo nonché delle misure di disconnessione, facendo fuoriuscire la materia da schematismi e favorendo così, almeno su un piano formale, modulazioni concordate tra le parti. Ne discende che in condizioni ordinarie e non emergenziali, stando alla direttiva n. 3/2017, il diritto alla disconnessione non potrebbe essere regolamentato senza una pattuizione individuale, come invece accade attualmente nel regime emergenziale (§ 3.1).
E a differenza che nel settore privato, nel pubblico impiego, ove la stabilità del rapporto è garantita, non v’è dubbio che gli spazi riconosciuti all’autonomia privata individuale potranno essere effettivamente oggetto di negoziazione.
Per mezzo del P.O.L.A. (Piano Operativo Lavoro Agile), introdotto quale unico modello tipico di promozione del lavoro agile , le P.A. devono dotarsi sia di uno specifico regolamento interno, utile a definire tutti gli aspetti indispensabili del lavoro agile e relativi all’influenza che quest’ultimo produce sui rapporti di lavoro, sia di un piano ai fini della programmazione, della gestione e delle modalità di attuazione e sviluppo dell’istituto. Sotto ambo i profili la regolamentazione della disconnessione non può certo difettare.
Interessante, al riguardo, è il P.O.L.A. della Regione Lazio , il quale precisa come l’attuazione del lavoro agile non modifichi la regolamentazione dell’orario di lavoro. Inoltre, la Regione prevede che per la definizione della “fascia di disconnessione” e della “segnalazione dello stato di connessione o non connessione”, debba essere necessariamente eseguito un rinvio al CCNL di riferimento.
4. (Segue) ...ed emergenziale. - Dopo un’articolata evoluzione nella disciplina emergenziale , il lavoro agile è oggi riconosciuto come “una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione”, con conseguente fungibilità del lavoro agile rispetto al lavoro subordinato in presenza.
In ogni caso, anche nel settore pubblico, fino alla definizione della disciplina del lavoro agile da parte dei contratti collettivi, ove previsti, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021 (termine così prorogato, da ultimo, dall'art. 11-bis del d.l. n. 52/2021) le P.A. applicano il lavoro agile unilateralmente .
Nella legislazione dell’emergenza oggi vigente si creano dunque due regimi applicativi per l’impiego pubblico privatizzato: il primo, quello principale, è dettato dalla contrattazione collettiva nel rispetto dei precetti della legge n. 81/2017.
Il secondo e più diffuso regime di regolamentazione è quello indicato in via sussidiaria dalla stessa norma: le P.A. attivano il lavoro in forma agile, come accennato, unilateralmente e “con le misure semplificate”, ossia prescindendo “dagli accordi individuali di cui agli artt. 18 ss. legge n. 81/2017” .
In tali ipotesi di attivazione unilaterale non è espressamente previsto il rispetto dei principi dettati dalle disposizioni della medesima legge – tra i quali certo vi è il principio di disconnessione - diversamente da quanto si osserva per i rapporti di lavoro privato . E tuttavia, anche in difetto di tale espressa precisazione , per il dirigente pubblico che attivi forme di lavoro agile non sembrano eludibili né la necessità di indicare al lavoratore, tra i vari contenuti di cui all’art. 19, le misure tecnico-organizzative di disconnessione, né la necessità di attuarle in occasione dell’esecuzione delle prestazioni in forma agile.
Secondo il d.m. 19 ottobre 2020 (misure per il lavoro agile nella pubblica amministrazione nel periodo emergenziale), in vigore fino al 30 aprile 2021, il lavoro agile si svolgeva “ordinariamente senza vincoli di orario .. di lavoro” (art. 5, comma 1), in modo non meglio precisato, ma la disconnessione trovava comunque tutela in quanto:
a) in mancanza di fasce di contattabilità, al lavoratore erano garantiti i tempi di riposo e la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (comma 3);
b) laddove la natura della prestazione lo consentisse o ricorressero puntuali esigenze organizzative individuate dal dirigente, il lavoro agile poteva essere organizzato “per specifiche fasce di contattabilità” (comma 2): questa era indubbiamente l’opzione principale secondo il decreto, alla luce del fatto che i sistemi di misurazione e valutazione della performance devono essere improntati al raggiungimento dei risultati (art. 6). E tuttavia, come detto, le fasce di contattabilità presuppongono che il lavoratore non sia contattabile – ergo sia disconnesso – senza potersi sovrapporre ai periodi di riposo minimo consecutivo giornaliero e settimanale. Del resto il decreto stesso vieta che l’assegnazione al lavoro agile comporti un aggravio dell'ordinario carico di lavoro (art. 1, comma 3).
4.1. L’impatto della nuova previsione della l. n. 61/2021: una disposizione rilevante ma pur sempre emergenziale. – Il 13 maggio è entrata in vigore la legge n. 61 del 2021, di fondamentale importanza poiché, in occasione della conversione del d.l., n. 30 del 2021, ha riconosciuto espressamente il diritto alla disconnessione del lavoratore agile anche nell’emergenza epidemiologica, a fronte dell’attivazione unilaterale da parte del datore di lavoro, sia esso pubblico o privato (art. 2, comma 1-ter). Si aggiunge un riferimento, tra le strumentazioni tecnologiche, anche alle piattaforme informatiche, e ciò senza riferimenti – aspetto rilevante perché amplia l’oggetto del diritto – alla loro inerenza all’esecuzione della prestazione lavorativa.
La norma, inoltre, non è espressamente riferita alla pubblica amministrazione, ma certamente contempla anche il lavoro pubblico, in quanto esordisce con la locuzione “Ferma restando, per il pubblico impiego, la disciplina degli istituti del lavoro agile stabilita dai contratti collettivi nazionali…”. Ancora una volta, solo con riferimento al pubblico impiego, si evidenzia una relazione di sussidiarietà tra la legge e la contrattazione collettiva, ora specificamente rivolta al diritto alla disconnessione. Per la disconnessione, tuttavia, si precisa che l’unica disciplina collettiva che prevale sulla disciplina legale è quella dei contratti collettivi nazionali.
La seconda precisazione rilevante, forse la prima suscettibile di dare una precisa portata sostanziale al diritto alla disconnessione, è che il suo esercizio non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi. Il principio poteva forse già desumersi implicitamente in precedenza, nell’art. 19 comma 1, legge n. 81/2017, ma il fatto che espressamente si riconosca un preciso effetto del diritto alla disconnessione non può che essere considerato in modo positivo.
Il terzo profilo rilevante è che il diritto alla disconnessione è riconosciuto come “necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore” : questo riconoscimento non implica che il diritto di disconnessione sia limitato alla tutela di tali diritti, ma certamente indica che il diritto alla disconnessione è essenziale quantomeno per garantirne la fruizione.
Più in generale la norma fa salvi “eventuali accordi sottoscritti dalle parti” (individuali): la precisazione non significa certo che il diritto alla disconnessione può venir meno in presenza di un patto di lavoro agile, ma implica semplicemente che l’entrata in vigore della norma non può costituire l’occasione per dismettere o modificare tutele già raggiunte in forza di accordi con il datore di lavoro. E del resto gli accordi individuali, che già in una P.A. in stato non emergenziale, come osservato (supra, § 3), sarebbero la soluzione ordinaria, non potrebbero certo dismettere le tutele relative al diritto alla disconnessione neppure nel vigore dell’attuale disciplina emergenziale sul lavoro agile (art. 263 d.l. n. 34/2020). Infatti, la forma semplificata permette di prescindere dagli accordi individuali, non di eliminare le tutele che tali accordi sono diretti a garantire.
Una questione più delicata e incerta attiene alla natura emergenziale dell’art. 2 del decreto n. 30/2021, che assume riflessi diretti sulla sua efficacia temporale. Gran parte delle previsioni dell’art. 2 restano in vigore sino al 30 giugno 2021, ma non il comma 1-ter, previsione priva di scadenza, e questo aiuta a comprendere il fatto che la norma, pur inserita all’interno del comma 1, non sia rivolta esclusivamente ai lavoratori genitori di cui ai commi 1 e 1-bis. La stessa rubrica della norma era intitolata “congedi per genitori e baby sitter” e con la conversione del decreto e l’inserimento del comma è divenuta “Lavoro agile, congedi per genitori e baby sitter”, giustapponendo gli ambiti delle previsioni. Dunque la previsione, sia pure in senso molto lato, si annovera tra quelle – per usare la rubrica del provvedimento – “dirette a fronteggiare la diffusione del Covid-19”, come misura di tipo corollario, funzionale a una (migliore) applicazione della disciplina emergenziale sul lavoro agile.
Proprio questa considerazione consente di inquadrare la norma come emergenziale.
Due dati all’interno della norma permettono di giungere a questa conclusione.
In primo luogo, il riconoscimento di una competenza sussidiaria alla regolamentazione legislativa rispetto a quella collettiva è comune alla sopra indicata disciplina emergenziale (art. 263 citato) che prevede l’attivazione unilaterale e semplificata del lavoro agile “fino alla definizione della disciplina del lavoro agile da parte dei contratti collettivi”. All’infuori della disciplina legislativa emergenziale, invece, la legge n. 81/2017 non fa riferimento alla regolamentazione collettiva se non in funzione parametrica (artt. 18 comma 1 e 20) e di certo non si pone in relazione di sussidiarietà rispetto ad essa in materia di disconnessione.
In secondo luogo, l’art. 2 comma 1 ter fa salvi “eventuali” accordi individuali, ma questo non pare possibile nel regime ordinario, alla cui stregua il lavoro in modalità agile, il relativo documento in forma scritta e tutti i requisiti del medesimo – ivi compreso l’art. 19 l. n. 81/2017 sulle modalità di disconnessione – devono essere il frutto di un accordo tra le parti.
Queste considerazioni permettono di riconoscere l’applicazione della norma in commento sino al termine dello stato di emergenza e comunque entro il 31 dicembre, in linea con la disciplina vigente di cui all’art. 263 d.l. n. 34/2020. Ad oggi, peraltro, il 31 dicembre coincide con il termine dello stato di emergenza in virtù del disposto di cui all’art.1 del d.l. n. 105 del 2021 .
5. Le ipotesi previste dalla contrattazione collettiva. – Al di là della disciplina emergenziale già osservata, nella citata Direttiva n. 3/2017 è comunque previsto che in materia di lavoro agile si tenga conto di quanto previsto nei contratti collettivi nazionali di lavoro e integrativi e nei contratti decentrati per la regolamentazione dei diritti e gli obblighi direttamente pertinenti il rapporto di lavoro: tale materia certamente può estendersi alla regolamentazione del diritto alla disconnessione.
Nell’applicazione concreta si osservano alcune interessanti esperienze .
È utile segnalare tra i primi CCNL quello del comparto Istruzione e ricerca – relativo alla scuola –, sottoscritto il 19 aprile 2018, che all’art. 22, c. 4, lett. c8, rubricato “Livelli, soggetti e materie di relazioni sindacali per la Sezione Scuola”. L’aspetto più innovativo di tale accordo è che si tratta dell’unico a demandare alla contrattazione integrativa, a livello di istituzione scolastica ed educativa, la definizione di criteri generali per l’utilizzo di strumentazioni tecnologiche di lavoro in orario diverso da quello di servizio, al fine di una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare .
Sotto altro versante, si segnalano altresì le “Linee guida per la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ambasciate, Consolati, Legazioni, Istituti culturali ed Organismi internazionali in Italia Triennio 2020 – 2022” , che all’art. 12, c. 2, rubricato Lavoro agile (smart-working), prevedono la possibilità in capo alle rappresentanze diplomatiche di stipulare protocolli per la sperimentazione del lavoro agile con le rappresentanze sindacali dei lavoratori e le OO.SS. territoriali definendo, tra i tanti aspetti, anche l’orario di lavoro e il diritto alla disconnessione.
Anche il recente “Protocollo su sicurezza e lavoro agile nel ministero delle infrastrutture e dei Trasporti Continua in Funzioni centrali” del 4 novembre 2020, garantisce in ogni caso il diritto alla disconnessione, sia rispetto ai responsabili, sia in senso orizzontale, cioè tra colleghi. Inoltre, il diritto alla disconnessione è riconosciuto dal lunedì al venerdì dalle 18.00 alle 10.00, il sabato e nei giorni festivi.
Un ulteriore accordo di rilievo è quello per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, siglato lo scorso 10 marzo 2021 , il quale si pone l’obiettivo con riferimento alle prestazioni svolte a distanza del superamento della gestione emergenziale, mediante la definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati e che concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle P.A., consentendo, allo stesso tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata.
Soprattutto in tale contesto, appare utile monitorare come, nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro del triennio 2019-2021, saranno disciplinati, in relazione al lavoro svolto a distanza, aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro, tra i quali viene menzionato proprio il diritto alla disconnessione.
È opportuno menzionare la bozza di rinnovo del CCNL relativo al personale del comparto funzioni centrali triennio 2019-2021 , con particolare attenzione al Titolo V sul “lavoro agile”, per l’interessante articolazione delle prestazioni e del diritto alla disconnessione.
In base a tale previsione, la giornata verrebbe divisa in tre fasce. Nella 1° fascia il lavoratore deve essere celermente operativo e, di conseguenza, in grado di compiere in tempi molto rapidi i compiti e le attività richieste. La 1° fascia comprende, perciò, finalità di coordinamento con altri componenti dell’organizzazione e può contenere indicazioni e direttive sulle modalità di esecuzione del lavoro o per esigenze organizzative di funzionalità ed efficienza nell’erogazione dei servizi.
Nella 2° fascia oraria, che si potrebbe definire intermedia, il lavoratore può essere contattato telefonicamente via e-mail o attraverso analoghe modalità, ma non è richiesta una operatività immediata, a differenza della prima fascia.
Infine, nella 3° fascia, quella cosiddetta di disconnessione, il lavoratore non deve svolgere alcuna prestazione e non è contattabile.
6. La proposta di direttiva sul diritto alla disconnessione: una disciplina unica per tutti i settori (pubblici e privati). – L’evoluzione del diritto alla disconnessione è ancora in corso e ricca di prospettive. Inizialmente, vi era chi sosteneva che si trattasse di un diritto da definire e, a distanza di diversi anni, la prospettiva di sviluppo del diritto è notevole. Infatti, la disconnessione sembra destinata a ricevere una regolamentazione specifica europea.
Durante il corso del 2020, il Parlamento Europeo ha iniziato i lavori, conclusi con una Risoluzione il 21 gennaio 2021, per formulare raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione, perché non esiste, attualmente, una normativa generale in materia. Il Parlamento si è focalizzato su questa tematica perché la digitalizzazione, a seguito della pandemia, ha comportato enormi svantaggi con riferimento all’organizzazione dell’orario di lavoro, con effetti e implicazioni in relazione all’obbligo di salute e sicurezza dei lavoratori , che potranno essere salvaguardati esclusivamente con un’adeguata previsione di un diritto alla disconnessione. La risoluzione sottolinea che il diritto dei lavoratori alla disconnessione è essenzialmente riferito alla protezione della loro salute fisica e mentale e del loro benessere, nonché per la loro tutela dai rischi psicologici e psicosociali sia nelle imprese pubbliche, sia in quelle private, ma corrisponde anche all’obiettivo di creare condizioni migliori di lavoro.
Alla risoluzione è allegata, in particolare, una proposta di direttiva sul diritto alla disconnessione .
La proposta legislativa è considerevole giacché precisa che “essa si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati”, dunque, è diretta “a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro” , dunque non solo per i lavoratori agili o che prestino attività da remoto, e non solo ai lavoratori del settore privato, ma anche ai dipendenti della pubblica amministrazione .
La proposta di direttiva reca prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro.
Tra i punti fondamentali della proposta è opportuno segnalare, innanzitutto, l’art. 2 che definisce il diritto alla disconnessione come “diritto dei lavoratori di non svolgere mansioni o comunicazioni lavorative al di fuori dell’orario di lavoro per mezzo di strumenti digitali, come telefonate, e-mail o altri messaggi... di scollegarsi dagli strumenti lavorativi e di non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro, senza correre il rischio di subire conseguenze negative, come il licenziamento e altre misure di ritorsione” . Da sottolineare è l’esteso ambito del diritto di disconnessione, che copre tutti i periodi di non lavoro, al di fuori dell’orario, e non solo i periodi di riposo minimo consecutivo.
Il disegno di direttiva, poi, affida agli Stati membri il compito di stabilire, previa consultazione delle parti sociali, le modalità dettagliate per permettere l’esercizio del diritto di disconnessione da parte dei lavoratori e per garantire “che i datori di lavoro attuino tale diritto in modo equo e trasparente”. Gli stessi Stati, inoltre, possono “affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale, settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro” affinché sia realmente garantito il diritto alla disconnessione (art. 4, comma 2). Alle parti sociali, dunque, è riconosciuto un ruolo molto importante sia nella definizione della disciplina legislativa, sia nella “conclusione di accordi collettivi di attuazione della normativa in materia di disconnessione” . In particolare il ruolo delle parti collettive è esaltato laddove si riconosce che le modalità pratiche per l'esercizio del diritto alla disconnessione da parte del lavoratore e per l'attuazione di tale diritto da parte del datore del lavoro dovrebbero essere concordate dalle parti sociali per mezzo di un accordo collettivo o a livello dell'impresa datrice di lavoro (Considerando 21 della proposta). Anche il ruolo degli ispettorati nazionali del lavoro trova un importante riconoscimento, perché si ritiene opportuno “che i datori di lavoro forniscano ai lavoratori una dichiarazione in cui sono stabilite tali modalità pratiche” (ivi).
Inoltre, la proposta riconosce una forte tutela contro i trattamenti sfavorevoli . A tal fine, è previsto che gli Stati membri debbano garantire il divieto di “discriminazione, di trattamento meno favorevole, di licenziamento e di altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che il lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione” (art. 5, comma 1). Tutela, questa, espressamente estesa anche ai rappresentanti dei lavoratori. Queste tutele, specifica il disegno di direttiva, devono essere accompagnate da sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive (art. 8).
Tra le misure si segnala la previsione di un accesso ad una tutela d'urgenza (Diritto di ricorso) che ricorda, su un piano generale, l'art. 700 c.p.c. e, su un piano speciale, il rito della legge n. 92/2012: “ Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla presente direttiva” (art. 6, comma 1).
Sul punto, merita una particolare attenzione la previsione in materia di onere della prova (Considerando 29 e art. 5). Qualora i lavoratori ritengano di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole, per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione, e alleghino in giudizio fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, l’onere della prova incombe sul datore di lavoro, che deve dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole sia stato basato su motivi diversi, sulla falsariga di quanto si osserva nell’art. 40 del Codice delle pari opportunità .
A completamento del quadro presentato nel disegno di direttiva, si segnala la previsione che obbliga i datori di lavoro a fornire, per iscritto, a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti e adeguate sul diritto alla disconnessione, ivi compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili (art. 7).
L’idea alla discussione in ambito europeo, dunque, è quella di fornire una soglia minima di tutela del diritto alla disconnessione efficace ed effettiva per tutti i lavoratori, oltre a garantire il diritto del lavoratore a ricevere informazioni trasparenti e prevedibili di cui alla direttiva 2019/1152 del parlamento Europeo e del Consiglio. La direttiva viene espressamente richiamata nel preambolo della raccomandazione del 21 gennaio scorso, proprio al fine di consentire un miglioramento delle condizioni di lavoro, promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile.
7. Brevi conclusioni. – Si è potuto osservare come il diritto alla disconnessione nel lavoro agile, nella P.A. come nel settore privato, rappresenti un istituto cruciale per assicurare un’effettiva e sostanziale modalità di conciliazione tra vita e lavoro. I profili critici aumentano nel momento in cui si ammetta un’attivazione unilaterale del lavoro in modalità agile, come tuttora avviene, ormai da tempo, per far fronte all’emergenza epidemiologica. E tuttavia si è avuto modo di precisare che anche in caso di attivazione unilaterale, già prima dell’intervento del d.l. n. 30/2021, il diritto alla disconnessione dovesse necessariamente trovare specificazione e tutela, al pari del diritto al riposo.
A monte, tanto nell’attivazione consensuale, quanto nella modalità semplificata unilaterale, l’istituto della disconnessione pone l’interprete di fronte a una scelta definitoria ricca di riflessi: da un lato si può ritenere che l’istituto sia funzionale a garantire il rispetto dei tempi di riposo minimo giornaliero e settimanale. Diversamente, si può ritenere che la disconnessione attiene al diritto del lavoratore a non essere sollecitato tramite gli strumenti di lavoro e si realizzi interdicendo i mezzi di comunicazione. La conseguenza sarebbe quella di escludere la possibilità per il datore di lavoro di mettersi in contatto, quantomeno tramite gli strumenti tecnologici di lavoro non solo durante il periodo di riposo minimo, ma anche per tutti i periodi non compresi nell’orario di lavoro, salvo specifiche pattuizioni. Il problema può essere anche affrontato dal punto di vista materiale, tanto che è stato prospettato di interdire l’invio del messaggio da parte del datore al lavoratore, inibendolo prima che arrivi sul terminale del lavoratore, per poi renderlo a lui visibile solamente al termine del tempo di disconnessione.
Osservando l’art. 2 comma 1 ter del d.l. n. 30/2021, tale previsione opera con riferimento all’attivazione unilaterale del lavoro agile (supra, § 4.1) ed è innovativa nel riconoscere espressamente il suddetto diritto nonché, come pare ovvio e conseguenziale, nel vietare qualsiasi trattamento peggiorativo legato all’esercizio del diritto stesso.
E tuttavia, se si adotta la lettura prospettata dell’art. 18 l. n 81/2017 (supra, § 2 e 2.1), non può esservi dubbio sul fatto che esista un diritto alla disconnessione, non delimitato ma esercitabile in concreto, già prima dell’emergenza epidemiologica e dunque certamente anche dopo la stessa.
Resta comunque forte l’esigenza di un intervento che, in modo più netto e preciso, disciplini in modo organico il diritto alla disconnessione, in linea con la crescente digitalizzazione del lavoro oltre che con gli sviluppi attesi in ambito europeo (supra, § 6) . In particolare, i tempi sembrano maturi per riconoscere uno statuto generale del diritto alla disconnessione, con misure rivolte non solo ai lavoratori agili ma anche ad altri lavoratori : i telelavoratori, oggi esclusi in modo del tutto irragionevole, nonché tutti quei lavoratori che possano essere contattati tramite strumenti tecnologici di lavoro fuori dai locali aziendali.