1. Premessa.
Lo scorso 7 dicembre il Ministro del Lavoro e 26 organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori hanno sottoscritto un Protocollo per disciplinare il lavoro agile nel settore privato.
Il Protocollo è stato il frutto di una lunga e paziente negoziazione che il Ministro del Lavoro Orlando ha portato avanti con tutte le parti sociali nonché del contributo della Commissione di studio che lo stesso Ministro ha istituito sul tema .
L’individuazione delle regole che ispirano un progetto riformatore ha il suo epicentro nel confronto con i protagonisti e con i rappresentanti degli interessi – interessi che sono diversi e anche contrapposti – che quelle regole vivono nella quotidianità dei rapporti: senza questo presupposto la formazione di nuove regole è destinata a produrre difetti ed incoerenze, difficoltà applicative e contrasti.
Non a caso il dialogo sociale è uno dei pilastri del diritto sociale europeo e, anche da questo punto di vista, l’esercizio messo in campo con il lavoro agile va nella giusta direzione e si colloca in una visione aperta delle relazioni sindacali.
Il lavoro agile è fra i simboli delle trasformazioni in atto, è una delle espressioni più evidenti della dura lezione pandemica e degli interrogativi difficili della modernità rispetto ai quali, con molta umiltà, bisogna individuare alcune prime risposte, dettate dalla prudenza che occorre avere davanti ad un fenomeno che al momento conosciamo solo in parte.
Sappiamo che il lavoro agile del prossimo futuro non potrà essere quello domiciliare e segregante conosciuto durante la pandemia. Sappiamo ancora che molto difficilmente si tornerà alla situazione pre-pandemica e dunque la diffusione del lavoro agile sarà decisamente più intensa rispetto al passato.
Dobbiamo dunque attrezzarci a gestire la possibile transizione di una parte significativa del mondo del lavoro verso forme stabili di lavoro agile e dobbiamo essere consapevoli che questo può avere effetti benefici sulle condizioni di vita di milioni di persone e può anche comportare un netto miglioramento delle condizioni ambientali, con la riduzione delle emissioni inquinanti come effetto della riduzione del traffico delle auto.
Il lavoro agile può dunque essere un punto qualificante della transizione ecologica, come emerge da alcuni interessanti progetti già avviati in Italia (pensiamo al progetto Near Working Community messo in atto dal Comune di Milano).
D’altra parte il rapporto INAPP recentemente realizzato dimostra quanto il lavoro agile sia al centro delle grandi trasformazioni del mercato del lavoro e, come è stato rilevato, il lavoro agile è oramai una realtà per un italiano su tre.
Non si possono ovviamente trascurare le insidie che questa modalità di lavorare porta con sé. In particolare il rischio dell’iper-connessione del lavoratore, che va contrastato efficacemente come già la legislazione italiana tenta di fare, trovando ora supporto nel Protocollo che può dare una dimensione di concretezza per fronteggiare gli abusi e le deviazioni dal modello.
Un’altra insidia da non sottovalutare si annida nell’idea che il lavoro agile possa essere il terreno sul quale coltivare discriminazioni di genere, addossando sulla donna il carico del lavoro da casa: sarebbe una beffa se la modernità del lavoro agile si traducesse in un ritorno al passato, in una vera e propria regressione sociale.
2. Oltre l’emergenza.
Abbiamo già sperimentato nella fase iniziale della pandemia l’importanza di uno strumento che ha salvaguardato la vita e la salute di milioni di lavoratori e, al tempo stesso, consentito la prosecuzione di molte attività economiche.
Tuttavia abbiamo anche dovuto fare i conti con lo snaturamento del lavoro agile, snaturamento imposto dalle ragioni tragiche dell’emergenza.
Bisogna peraltro considerare che, al di là dell’emergenza, il lavoro agile può prestarsi a tendenze ben diverse fra loro.
Da un lato, il lavoro agile può esprimere un modello organizzativo che garantisce un notevole miglioramento delle condizioni dei lavoratori e, al tempo stesso, una straordinaria flessibilità gestionale per il datore di lavoro.
Dall’altro, non si possono sottovalutare utilizzazioni distorte del lavoro agile, nelle quali si mette in pratica una sorta di isolamento domiciliare dei lavoratori, che annulla la distinzione tra vita e lavoro e il tratto umano e relazionale del rapporto di lavoro.
Le due tendenze, tra loro contrapposte, non sono affatto da banalizzare: la prima esprime un dover essere che è in ragionevole misura auspicabile e la seconda è purtroppo il lato peggiore di una degenerazione sempre possibile.
In questo quadro non si può neppure trascurare la circostanza che il lavoro agile non riguarda affatto l’intero mercato del lavoro perché una parte, decisamente importante, di questo, composta prevalentemente (ma non solo) da lavoratori con bassi profili professionali, ne è esclusa.
Non va dunque trascurato il rischio che il mercato del lavoro possa subire un ulteriore effetto di segmentazione ed essere sottoposto ad un nuovo dualismo, con elementi di diseguaglianza e di disparità rispetto ai quali i giuristi del lavoro non possono rimanere insensibili.
Poste queste premesse, occorre rimarcare che l’attuale unilateralità del lavoro agile – che non è certamente obbligatoria, ben potendo le parti comunque stipulare un accordo individuale –rappresenta una deviazione importante dal modello legislativo ordinario, una deviazione possibile solo nel contesto emergenziale.
Peraltro l’esperienza sul campo ha dimostrato che l’autonomia collettiva ha svolto un ruolo non trascurabile sul fronte della regolazione del lavoro agile anche nella stagione pandemica.
Ovviamente non possiamo pensare di continuare ad utilizzare ancora a lungo la versione emergenziale del lavoro agile; occorre guardare oltre, aprire nuove prospettive che facciano tesoro dell’esperienza maturata fin qui, anche in termini di semplificazioni procedurali.
3. La centralità della contrattazione collettiva.
Nella regolazione del lavoro agile è da ritenersi fondamentale il ruolo della contrattazione collettiva.
La contrattazione collettiva è fonte di regolazione privilegiata di disciplina del lavoro agile.
Occorre rimarcare che nella legge vigente non vi è alcun rinvio esplicito alla contrattazione collettiva, fatto salvo il richiamo all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, all’art. 20, c. 1, con riferimento al trattamento economico e normativo da garantire ai lavoratori che svolgono la prestazione in modalità agile.
La prospettiva di un ricorso al lavoro agile ben più intenso rispetto al passato impone di considerare la funzione regolativa svolta dalla contrattazione collettiva, anche alla luce della circostanza che i contratti mostrano una propensione a prevedere elementi di criticità non ancora rilevati dalla legge ed hanno dimostrato una buona capacità di bilanciare gli interessi in gioco.
Pertanto è opportuno valorizzare con maggiore intensità la fonte regolativa contrattuale devolvendole la funzione normativa primaria proprio nelle materie su cui essa, a oggi, si è maggiormente esercitata.
Si tratta di prendere atto che l’attività della contrattazione collettiva si è incentrata sulla determinazione dei vincoli temporali della prestazione di lavoro, seppur con margini di flessibilità, oppure con riferimento ai profili della sicurezza collegati al luogo di lavoro estraneo all’azienda.
L’esperienza contrattuale collettiva andrebbe valorizzata assegnandole quelle funzioni normative che essa ha già esercitato (quindi confermando quanto ha già fatto) e incentivando il sistema di relazioni industriali a cimentarsi con maggiore ampiezza nella regolamentazione del lavoro agile.
Ovviamente, condizione necessaria è che il rinvio alla contrattazione collettiva sia qualificato attraverso la selezione degli agenti negoziali. Si tratta di una tecnica normativa ormai largamente utilizzata dal legislatore e che – in attesa di una legislazione sulla misurazione della rappresentatività delle parti sociali – si affida al modello descritto nell’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015.
4. La circolarità virtuosa fra legge e contrattazione collettiva.
La legge apprende dall’autonomia collettiva, si nutre dell’esperienza che sul campo le parti sociali mettono in pratica per poi realizzare una sistematizzazione dei quei risultati.
Mai come in questo caso l’impostazione sopra ricordata, che appartiene al patrimonio della riflessione giuslavoristica, si rivela utile, quasi una tappa obbligata.
Un intervento della legge che metta mano ad una riforma del lavoro agile presuppone che, cessato lo stato di emergenza, si possa apprezzare come i datori di lavoro gestiranno il ritorno alla “normalità” e, soprattutto, come l’autonomia collettiva si atteggerà nella regolazione di questo tema.
Per questa ragione è virtuoso attendere e monitorare gli sviluppi che, anche alla luce del Protocollo, si concretizzeranno nei prossimi mesi nella regolazione autonoma del lavoro agile.
Il Protocollo sul lavoro agile, a ben vedere, rappresenta solo il punto di inizio di un dialogo sociale che dovrà proseguire nei prossimi mesi e di un monitoraggio che dovrà portare alla luce gli elementi di novità e le criticità che andranno emergendo nell’applicazione.