L’esperienza di Riders Union Bologna, definito in seguito alla sua nascita come una nuova forma di sindacalismo informale metropolitano, è cominciata nell’inverno del 2017. A quel tempo, le piattaforme di food delivery presenti nel territorio di Bologna erano già numerose, ma apparivano molto diverse da oggi. Questo non solo per le condizioni organizzative e retributive che caratterizzavano il settore durante la sua ascesa, e che sono andate via via peggiorando nel corso del tempo, ma anche per le retoriche scintillanti della condivisione e del lavoretto, costruite dalle piattaforme per nascondere lo sfruttamento delle quali sono responsabili e per garantire consenso attorno alla loro ascesa. Un processo ancora più facilitato dalle trasformazioni economiche e sociali avuto dalla città nell‘ultimo decennio e che hanno fatto guadagnare a Bologna il titolo di “città del cibo”. Fu una violenta e improvvisa nevicata nel novembre 2017 a rompere l’idillio delle piattaforme nella città del cibo, facendo emergere un malcontento che da tempo viveva tra i lavoratori. Quel giorno, di fronte all’ennesima prova di arroganza delle piattaforme che, nonostante le pessime condizioni, hanno imposto ai fattorini di continuare l’attività di consegna dei pasti a domicilio. Diversi di noi si rifiutano, comunicando la volontà di interrompere il servizio così da salvaguardare la sicurezza nostra e dei tanti colleghi presenti in città. Quasi senza rendercene conto, in quel moto di spontaneo di rifiuto nei confronti dell’ennesima minaccia ricevuta dalle piattaforme, il sindacato dei fattorini era già nato. Non passò molto tempo da quel giorno che dalle chiacchierate in piazza ci siamo ritrovati in assemblea, che dai gruppi di mutuo aiuto siamo passati ai gruppi whats’app di Riders Union Bologna. Partendo dalla necessità di organizzarsi per tutelare la nostra salute e sicurezza, ben presto è andata formandosi la consapevolezza di quanto il settore del food delivery sia lontano da quegli standard di diritti, tutele e paga dignitosa che la costituzione garantisce a tutti i lavoratori.
La menzogna costruita ad arte per cui è l’algoritmo, innalzato a strumento neutro, ad organizzare interamente il lavoro, senza l’intervento delle aziende, appare evidente a tutti noi che ci vediamo un ordine disassegnato di punto in bianco, licenziati come forma di rappresaglia agli scioperi. Vengono persino coniati nuovi termini nel tentativo di rendere meno sferzanti i colpi inferti dalle multinazionali. Licenziare diventa “sloggare”, lavoratore diventa collaboratore o imprenditore di te stesso, sfruttamento diventa sistema di ranking reputazionale o rating. Tutto ciò con l’obiettivo di impedire il formarsi una consapevolezza tra le decine di migliaia di ciclofattorini in Italia, che al contrario, vengono trasformati in una rappresentazione digitale impegnata a gareggiare con gli altri lavoratori per raggiungere un punteggio superiore nel ranking così da poter sperare di sbarcare il lunario anche stavolta. Il rispetto della regolamentazione stradale e la divisione tra tempi di lavoro e tempi di vita sono stati sacrificati al culto della flessibilità, del lavoretto ideale per quegli studenti che trovano qualche ora libera per mettere su qualche spiccio. Ma la composizione della forza lavoro cambia e la facilità di accesso al mondo delle consegne attrae i tanti emarginati della popolazione migrante, anche tanti italiani espulsi dal mercato del lavoro. E così il mondo sfavillante, innovativo e di successo del food delivery si trasforma in una gabbia che concentra i più ricattabili, soggetti talmente precari e isolati da essere sottomessi nella nuova morsa del caporalato digitale.
Abbiamo visto accadere questi processi anche a Bologna, che mentre da un lato diventava sempre più città del cibo, dall’altro sembrava dimenticarsi della sua Storia e di quella dei suoi lavoratori. Per questo abbiamo scelto di rivolgere le nostre rivendicazioni anzitutto alla città, intesa sia come le istituzioni cittadine, che a nostro avviso dovevano impegnarsi per impedire che la città venisse saccheggiata dall’arrivo delle piattaforme, sia come le reti di attivismo cittadino che hanno fornito mezzi e supporto essenziali a poter sviluppare non solo le rivendicazioni, ma anche la struttura di solidarietà e mutualismo necessario radicarci un terreno particolarmente ostile alle formazioni sindacali come quello delle piattaforme.
La costruzione di una piattaforma rivendicativa che mettesse insieme le rivendicazioni presentate dal gruppo di rider organizzatisi attorno a Riders Union Bologna è la prima conseguenza di un’azione che presenta alle istituzioni cittadine e alla clientela il problema di un sistema iniquo sotto i colori sgargianti dei cubi, la funzionalità di un sistema istantaneo e l’efficienza delle consegne direttamente a casa.
I rider dal canto loro comprendono come una rete di mutualismo costruita attorno a centri solidali della realtà bolognese sia un contributo prezioso alla causa dei rider, soprattutto nella necessità di risolvere problemi pratici, anche banali, come la sostituzione di un pezzo malfunzionante del mezzo, la disponibilità di un luogo accessibile come dopo lavoro per scambiare quattro chiacchiere o come spazio per le assemblee che si fanno sempre più partecipate, intense e costruttive.
Sono questi gli ingredienti che si trovano alla base della firma della “Carta dei diritti dei lavoratori digitali in contesto urbano” che rappresenta u punto di svolta importante non solo per Riders Union Bologna, ma per tutti i rider d’Italia. Si tratta infatti del primo accordo tra le rappresentanze dei lavoratori e le piattaforme digitali in cui quest’ultime si impegnano a rispettare, per tutti i rider attivi in città, gli standard retributivi agganciati ai CCNL della logistica, diritto alla disconnessione, interruzione del servizio in caso di condizione atmosferiche particolarmente difficili, garanzia di assemblee retribuite. Tuttavia, se da un lato ad aderire sono la locale Sgam/MyMenu e, l‘anno successivo, la multinazionale Domino’s, consentendo dunque ai loro rider di accedere a diritti importanti, mantenendo standard retributivi decenti, le altre peggiorano progressivamente le condizioni di lavoro scegliendo la strada della progressiva cottimizzazione del salario, lasciandoci senza diritti e senza la possibilità di accedere a un salario dignitoso.
Così, abbiamo deciso di non fermarci su Bologna, ma, mettendoci in rete con le altre esperienze che nel frattempo si erano moltiplicate dentro e fuori i tradizionali spazi sindacali, abbiamo deciso di partecipare ai tavoli ministeriali convocati dal Ministero del lavoro tra 2018 e 2020. Tre anni nel quale Riders Union Bologna ha continuato a mobilitarsi senza sosta, portando la voce dei ciclofattorini dentro e fuori le istituzioni. La stessa app viene utilizzata come strumento di rifiuto continuo degli ordini da consegnare, le chat come strumento di pressioni nei confronti di tutti i lavoratori, gli sportelli dei partner delle multinazionali come luoghi di pressione per la rimozione dei collegamenti via tablet con Deliveroo, Just Eat, Glovo ecc.
L’impegno profuso dalla realtà bolognese unito alle altre esperienze cittadine ha portato alla creazione della rete RiderXiDiritti, allo scopo di costruire una piattaforma nazionale in grado di discutere come realtà coordinata all’interno degli spazi di contrattazione ministeriale e aziendale.
Nel frattempo l’entrata in vigore della legge 128/2019 ha creato i presupposti per la frammentazione dei due fronti, sia aziendale che sindacale, lasciando colpevolmente margine di manovra alle aziende che hanno potuto riorganizzarsi per scongiurare l’entrata in vigore di quella seconda parte del provvedimento che le avrebbe costrette a delle migliorie sostanziali sul piano dei diritti e delle tutele dei rider. Da una parte le aziende in possesso della quota più rilevante del mercato hanno optato per il perseguimento della deregolamentazione selvaggia e della fuga dai vincoli stabiliti dalla legge (paga orario, standard di diritti e tutele, assicurazione per i sinistri stradali), dall’altra la scelta di un’azienda come Just Eat di assumere i rider come lavoratori subordinati a partire dal 2021.
Per quanto concerne, invece, i sindacati, da una parte la rete di organizzazioni metropolitane, insieme ai sindacati confederali, hanno spinto e continuano ad essere fautori della chiusura di un contratto che si inserisca nel solco del contratto nazionale della logistica, mentre dall’altra parte UGL, sfruttando le mancanze della sopracitata Legge rider, ha approfittato dei 12 mesi lasciati alla contrattazione con quella formula infelice che ha deputato ai “soggetti comparativamente più rappresentativi del settore” la possibilità di siglare un accordo con le aziende, ben felici di chiudere l’attuale contratto specifico per i rider che altro non è se non una fotografia della realtà preesistente con l’aggravante di un tentativo di cristallizzazione dell’inquadramento del rider come figura autonoma.
A riprova di ciò, l’esperienza di tante e tanti riders assunti col nuovo contratto, e che si sono opposti a questo malcelato tentativo di ristrutturare il rapporto lavorativo seguendo (ancora una volta) il principio del cottimo, dimostra come il compenso, apparentemente fissato in dieci euro l’ora per eludere la legge che un minimo orario richiede, in realtà è da calcolare e parametrare in base ai minuti: non quelli effettivamente impiegati, naturalmente, ma quelli che secondo il totale arbitrio unilaterale della piattaforma sono necessari. Ciò comporta il riconoscimento di una minor paga oraria rispetto a quella prevista dalla legge, e dagli standard contenuti nel CCNL logistica applicato dalle piattaforme aderenti alla “Carta dei diritti dei lavoratori digitali in contesto urbano”, poiché il compenso del Rider essendo legato all’esecuzione delle consegne e parametrato sulla base del tempo stimato per la realizzazione delle stesse non tiene conto dell’attesa tra l’arrivo di un ordine e l’altro, o delle lunghe attese davanti le vetrine dei partner commerciale della piattaforma (ristoranti, catene di fast food ecc.) per ritirare quanto ordinato dal cliente, tempo in cui il Rider rimane a piena disposizione della piattaforma. Non solo, il continuo riferimento contrattuale alla natura autonoma del rapporto preclude al Rider testualmente “la maturazione di compensi straordinari, mensilità aggiuntive, ferie, indennità di fine rapporto o altri istituti riconducibili al rapporto di lavoro subordinato” pertanto l’esclusione da una qualsiasi disciplina contrattuale di garanzia. Ulteriore elemento di profonda criticità riscontrato dai nuovi lavoratori riguarda la possibilità, col nuovo contratto, di contrattualizzare un numero praticamente illimitato di persone, a causa dell’inesistenza di vincoli quantitativi in relazione all’utilizzo di collaborazioni occasionali e/o partite Iva, con le drammatiche conseguenze che la piattaforma dispone su un bacino di riserva potenzialmente inesauribile di riders e quest’ultimi si ritrovano un monte ore (parametrato sul numero di consegne) ridotto data la distribuzione delle consegne su più lavoratori e in una posizione di maggior ricatto contrattuale da parte dell’azienda che vanifica ogni protesta, data la facilità di sostituzione, e attiva meccanismi di competizione e autosfruttamento tra i lavoratori senza controllo.
Avvalendosi della collaborazione di ANAR, associazione di lavoratori pro-cottimo vicina agli interessi delle aziende che li ha debitamente istruiti sulla natura dell’intervento sindacale da esercitare per disinnescare la legge, piattaforme e UGL si inseriscono e occupano gli spazi normativi della lacunosa l. 128/2019, soprattutto intorno al tema della rappresentatività e dei soggetti abilitati a derogare le previsioni normative sui compensi, e giungono a quello che abbiamo definito come l’accordo pirata del settore e non un contratto portatore delle rivendicazioni ripetutamente espresse da migliaia di rider nel Paese.
Come continuiamo a ripetere, la nostra battaglia non rappresenta un avanzamento solo per i diritti dei Riders ma per un settore come quello della “Gig Economy” che intende evadere tutele e garanzie dei lavoratori estendendo il lavoro autonomo e riscrivendo il concetto di subordinazione.