Testo integrale con note e bibliografia
1. La ricostruzione della fattispecie concreta oggetto del giudizio.
La pronuncia del Tribunale di Milano, qui in esame, è importante, anzitutto, perché affronta la controversa questione della qualificazione del rapporto di lavoro dei riders in modo chiaro e con un’argomentazione lineare svolta in poche dense pagine. Inoltre, il giudice perviene alla qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del rider ricorrente, in base ad un attenta valutazione delle circostanze di fatto in cui s’è svolta la prestazione lavorativa, delle sue caratteristiche e peculiarità, tenendo conto, altresì, del contesto organizzativo in cui essa è inserita.
Il rider aveva stipulato con Deliveroo Italia un “contratto denominato ‘contratto di lavoro autonomo’ e avente ad oggetto servizi quali il prelievo da parte del rider, presso ristoranti o altri partner, di cibo preparato caldo/freddo e/o bevande, proposti al rider per mezzo di un’applicazione, e la consegna di tali ordini per mezzo di bicicletta, motoveicolo, autoveicolo o motociclo ai clienti della convenuta”. Lo stesso rider aveva adito il Tribunale sostenendo la natura subordinata del suo rapporto di lavoro e, in subordine, l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato alla stregua dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 .
Il giudice, in primo luogo, sottolinea che, sulla questione della qualificazione del rapporto di lavoro dei riders, sono intervenute la dottrina, la giurisprudenza di merito e soprattutto la Cassazione che, “con la sentenza n. 1663/2020, in funzione nomofilattica, ha fatto luce su alcuni punti nodali”. Sicché, nella pronuncia, vengono richiamati alcuni dei più significativi passaggi della decisione della Suprema Corte . Tuttavia, tali riferimenti servono al giudice, più che altro, per arrivare alla parte della sentenza della Cassazione laddove questa, al di là del decisum del caso concreto (in cui era stata confermata la pronuncia della Corte di appello di Torino che aveva riconosciuto la natura etero-organizzata del rapporto di lavoro in questione), ammette, e non potrebbe fare diversamente, che la prestazione del rider possa essere ricondotta nell’ambito della fattispecie del lavoro subordinato. Ciò ovviamente in considerazione del principio generale che spetta al giudice il compito di qualificare un determinato rapporto di lavoro, e quindi di ricondurre la fattispecie concreta entro la fattispecie astratta, tenendo conto appunto delle caratteristiche dell’attività dedotta e svolta proprio nello specifico rapporto .
È interessante sottolineare che questa parte della sentenza della Cassazione sia ripresa anche dal Tribunale di Palermo, con la decisione del 24 novembre 2020 , che è stata la prima pronuncia italiana che ha qualificato come subordinata la prestazione di un rider. E lo stesso percorso ha seguito il Tribunale di Torino con la sentenza del 18 novembre 2021 che ha adottato una soluzione analoga a favore della subordinazione del rider. I tre Tribunali hanno affrontato la questione della qualificazione del rapporto dei rider ingaggiati da tre diverse multinazionali del food delivery (rispettivamente Foodinho/Glovo, Uber, Deliveroo) che si avvalevano di modelli organizzativi alquanto simili.
E’ probabile, quindi, che il suddetto artificio retorico sia stato utilizzato dai tre Tribunali per fondare la legittimazione delle loro scelte nelle indicazioni offerte dalla Cassazione, pur discostandosi dalla soluzione del caso al vaglio della stessa Suprema Corte che, invece, come s’è già detto, era stato inquadrato nell’alveo dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 .
In particolare, va sottolineato che il modello argomentativo prescelto dal Tribunale di Palermo è stato, in sostanza, sposato, in seguito, prima dal Tribunale di Torino e, poi, dal Tribunale di Milano. Quest’ultimo, però, come s’è già accennato, imposta un ragionamento più succinto e, si vedrà tra poco, molto più ancorato, rispetto alle altre due, alla nozione prevalente di subordinazione fondata sul criterio della etero-direzione.
In questa prospettiva, il Tribunale di Milano, dopo gli anzidetti richiami della pronuncia della Cassazione, procede a riportare le dichiarazioni testimoniali rese nel corso del processo, e sulla base di tutti gli atti della causa, a ricostruire i connotati essenziali della prestazione del rider. Sicché, il giudice afferma che tale attività va inquadrata nel perimetro della subordinazione. Questo perché il rider lavora “all’interno e per le finalità di un’organizzazione della società titolare della piattaforma, sulla quale non può esercitare alcuna influenza, senza avervi interesse e senza assumere alcun rischio d’impresa”. E, in particolare, il Tribunale aggiunge che “deve evidenziarsi come, all’epoca dei fatti di causa, la prestazione attorea risultasse completamente organizzata dall’esterno con un’incidenza diretta sulle modalità di esecuzione, sui tempi e suoi luoghi, atteso che: l’accesso alle fasce orarie di prenotazione non era libero, ma era condizionato dal punteggio posseduto dal rider, secondo gli indici di prenotazione” (che attribuiscono al rider un punteggio in funzione del rispetto delle prescrizioni della piattaforma); “il rider veniva penalizzato con decurtazione del punteggio per il ritardo (superiore a 15 minuti) nel login nella sessione prenotata e/o se non si rendeva disponibile negli orari e nei giorni che Deliveroo considera ‘più rilevanti per il consumo di cibo a domicilio’; il rider, per essere selezionato dall’algoritmo e ricevere la proposta, doveva trovarsi nelle vicinanze del locale da cui deve essere ritirata la merce; la piattaforma indicava al rider dove recarsi per ritirare il prodotto e dove consegnarlo; Deliveroo, attraverso il sistema di geolocalizzazione, controllava la posizione del rider durante tutto lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Come si vede, già questa ricostruzione dei fatti di causa consente di ritenere accertata la presenza del potere organizzativo, e dei poteri direttivo, di controllo e disciplinare della piattaforma tali da sussumere la fattispecie concreta nell’ambito dell’art. 2094 c.c. Certo, non può nascondersi che, in questi passaggi, sicuramente il giudice milanese sia stato sedotto dal modus procedendi del Tribunale di Palermo la cui decisione ha avuto notevole risalto nell’ambiente degli addetti ai lavori e non solo. Difatti, nelle parole appena citate del Tribunale di Milano potrebbe riscontrarsi anche un indiretto richiamo alla teoria della subordinazione come “doppia alienità” che ha rappresentato, nella pronuncia palermitana , un indiscutibile punto di riferimento per avvalorare la soluzione a favore della natura subordinata del rapporto controverso; anche se, poi, rilevanza centrale è stata attribuita al requisito tradizionale della etero-direzione .
Beninteso, come si vedrà tra poco, la parte successiva della motivazione del Tribunale di Milano è tutta concentrata nel riscontrare la presenza della subordinazione attraverso l’uso del paradigma classico della etero-direzione: che, per chi voglia cogliere la realtà materiale del rapporto, si disvela in una forma dura e cruda.
2.La questione dell’obbligo (formale) ad eseguire la prestazione.
Così, il giudice milanese affronta l’argomento principale, avanzato dalla società convenuta, volto ad escludere la natura di rapporto di lavoro subordinato della prestazione del rider, e basato sulla circostanza che, in forza del contratto stipulato (di lavoro autonomo), è assente un obbligo ad eseguire la prestazione “essendo l’attore sempre libero di non accettare o disdire le proposte di consegna e lavorare per altri committenti”.
E’ noto che questo argomento ha trovato riscontro nelle prime sentenze di merito che hanno escluso la subordinazione dei riders . Invece, le pronunce dei Tribunali di Palermo e di Torino, poc’anzi menzionate, per ritenere presente la subordinazione, hanno subito concentrato l’attenzione sulla fase esecutiva del rapporto, in modo tale da accertare l’insussistenza, in realtà, di tale libertà e, quindi, per converso, la presenza di un assetto di interessi tipico del lavoro subordinato.
Il Tribunale di Milano, anzitutto, osserva “come la facoltà di rifiutare la singola prestazione non integri un elemento di incompatibilità rispetto alla subordinazione”. E “ciò sia perché il lavoro subordinato può afferire ad una singola prestazione (si pensi al lavoro agricolo a giornata, secondo le disponibilità del lavoratore, oppure al lavoro a chiamata, che resta comunque una forma speciale di lavoro subordinato”. Più conferente sembra qui il richiamo della seconda ipotesi rispetto alla prima. In effetti, una cosa è l’unicità della prestazione, altra cosa è se la prestazione sia o meno obbligatoria. Proprio l’ipotesi del lavoro intermittente senza obbligo di rispondere alla chiamata dimostra la compatibilità con la subordinazione della libertà di scelta del lavoratore se accettare o meno la prestazione. S’è infatti sottolineato che “anche in questo caso il contratto rimane di lavoro subordinato se è stipulato come tale, poiché è lo stesso datore di lavoro a consentire la indicata limitazione dei suoi poteri, riservandosi di esercitarli solo quando il lavoratore accetta la chiamata” . Peraltro, il giudice richiama, nel dettaglio, la giurisprudenza della Cassazione in materia di addetti alla ricezione delle scommesse presso le agenzie ippiche , nella quale rinviene la giustificazione dell’affermazione secondo cui “ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, non presenta significato determinante la circostanza che il collaboratore sia libero o meno di accettare se svolgere la prestazione trattandosi di elemento non rilevante per la natura del rapporto”. Tale indirizzo trova accoglimento in altre pronunce della Suprema Corte concernenti ipotesi di peculiare debolezza dei lavoratori e di frammentarietà dei loro rapporti , ma la sua applicabilità al caso dei riders non è unanimemente condivisa e si espone a varie obiezioni d’ordine sistematico .
Al di là di queste perplessità, rimane, però, che il Tribunale di Milano, proprio in linea con il suddetto orientamento della Cassazione, può così affermare che “la scelta del lavoratore di accettare o meno l’offerta è un elemento esterno al contenuto del rapporto, idoneo a incidere, quindi, sulla sua costituzione e sulla sua durata, ma non sulla forma e sul contenuto della prestazione: la continuità del rapporto (che esiste e rimane in forza dell’accordo tra le parti) non esclude che vi possa essere discontinuità della prestazione”. Sicché, il giudice conclude che “poiché la subordinazione è limitata al rapporto effettivamente svoltosi, resta irrilevante il fatto che nel caso in esame il lavoratore fosse libero di accettare o non accettare l’offerta” .
3.La valutazione complessiva delle effettive modalità di svolgimento del rapporto.
Ad ogni modo, quest’ultima parte del ragionamento del giudice, per quanto significativo (e controverso) sul piano della struttura della nozione di subordinazione, non assume rilievo nel caso in questione. Ciò perché egli subito dopo afferma che “del resto, con riguardo alla presente fattispecie, si è propensi a dubitare dell’effettiva libertà del rider”. Sicché, l’analisi successiva porta a disvelare che, nella realtà effettuale, e quindi nell’effettivo comportamento delle parti, quell’autonomia consacrata del documento contrattuale non esiste affatto.
E questo percorso argomentativo è pressoché analogo a quello seguito dai Tribunali di Palermo e Torino che hanno riconosciuto la natura subordinata del rapporto dei riders occupati presso altre società di food delivery. Infatti, come si nota leggendo la motivazione, l’intera prestazione del rider risulta diretta, condizionata e disciplinata dalla piattaforma: a partire dal sistema di accesso alle fasce di prenotazione, influenzato dal ranking reputazionale del medesimo rider, passando per l’assegnazione delle proposte, determinate dall’algoritmo in base a criteri del tutto estranei “alle preferenze e alle scelte del lavoratore”, fino ad arrivare allo svolgimento dell’incarico, pervasivamente controllato tramite il sistema di geolocalizzazione.
In particolare, l’apparato valutativo gestito dall’algoritmo della piattaforma elimina ogni possibile autonomia del rider. Il Tribunale sente il bisogno di descrivere, con accuratezza, il meccanismo di funzionamento della piattaforma per dissipare ogni dubbio sulla insussistenza di una reale libertà del rider, facendo leva su una sequenza di elementi sintomatici già messi in luce dalla precedente giurisprudenza straniera, richiamata nella stessa pronuncia, e dal Tribunale di Palermo.
Il Tribunale afferma che “nel sistema di prenotazione dei turni settimanali, solo i lavoratori che hanno ottenuto un punteggio massimo possono accedere alla finestra di prenotazione delle ore 11.00 e scegliere tra tutti i turni disponibili nella settimana”. E “invece chi presenta indici inferiori, può accedere solo alle finestre di prenotazione successive (delle ore 15.00 e delle ore 17.00), quando molti turni sono stati già prenotati, e ha quindi un ambito di selezione più ridotto: il che incide non poco sulla libertà di determinare la fascia oraria (il quando) di svolgimento dell’attività”. Pertanto, “questo meccanismo di classificazione finisce verosimilmente per indurre il rider ad effettuare (e tempestivamente) il login nelle sessioni prenotate (per evitare di perdere punti ‘affidabilità’) e a rendersi disponibile nelle sessioni che la datrice ha indicato come più rilevanti (per soddisfare l’indice di ‘partecipazione durante le sessioni con maggiore richiesta di lavoro’), così limitando la sua (apparente) libertà di decidere l’an e il quando della prestazione”.
Decisiva è la successiva considerazione, secondo cui “la decurtazione del punteggio, allora, non solo si configura come espressione di un potere disciplinare (sanzionando un rendimento del lavoratore inferiore alle sue potenzialità con il divieto di accesso alla finestra di prenotazione delle ore 11.00 e, quindi riducendo la possibilità di lavorare a condizioni migliori o più vantaggiose ); ma, avuto riguardo anche alle suggerite possibili influenze sulle future prestazioni si appalesa anche quale manifestazione di un più generale potere direttivo: se il datore stabilisce che l’unico modo per prenotare sessioni di lavoro più comode e vantaggiose è di adottare determinati comportamenti prestazionali che garantiscano di raggiungere il massimo di punteggio, quei comportamenti risultano di fatto etero-diretti (se non addirittura imposti dal datore)”. A ciò si aggiunge l’affermazione che “far dipendere la scelta dei turni orari da un sistema di punteggio nega di per sé che possa parlarsi di libertà”.
Peraltro, parafrasando un passaggio del Tribunale di Palermo (anch’esso ripreso dal Tribunale di Torino ), il giudice afferma che: “le modalità di assegnazione degli incarichi di consegna (in base all’algoritmo) costringono il lavoratore ad essere a disposizione del datore di lavoro nel periodo di tempo antecedente l’assegnazione, mediante la connessione all’app, e ad essere fisicamente vicino ai locali di ritiro: un elemento non trascurabile anche sul piano della qualificazione del rapporto di lavoro, poiché si impone al rider di essere già disponibile ad effettuare la consegna” .
Sicché, il Tribunale milanese rintraccia l’esercizio del potere direttivo della piattaforma anche nella fase di attesa e preparatoria dell’esecuzione della singola prestazione, perché è indotta la disponibilità del lavoratore alla chiamata, altrimenti, se egli non risponde alla chiamata, subisce penalizzazioni. In questo modo, è evidente la presenza dell’indice della subordinazione costituito dalla “continuità giuridica” ovvero dalla “persistenza nel tempo dell’obbligo di mantenere a disposizione del datore di lavoro la propria energia lavorativa” . In altri termini, si accerta “l’esistenza di un’obbligazione continuativa di disponibilità al lavoro in capo al prestatore derivante dalle specifiche condizioni di realizzazione dell’attività” . In questa prospettiva, una volta che il tempo di attesa della chiamata risulta permeato dal vincolo obbligatorio, sorge la questione della specifica compensazione della suddetta disponibilità ; questione che, nel caso concreto, è risolta con l’accertamento della natura subordinata e a tempo pieno del rapporto e con l’applicazione al rider dei trattamenti del CCNL Commercio per il 6° livello .
Inoltre, il giudice sottolinea che “il lavoratore non dispone di un concreto spazio di libertà decisionale nemmeno in ordine al quantum della prestazione”, perché può effettuare solo le consegne affidategli dalla piattaforma. E che “l’asserita libertà di scelta è ulteriormente erosa dal fatto che le proposte vengono assegnate dalla piattaforma, tramite l’algoritmo, sulla scorta di criteri del tutto estranei alle preferenze e agli interessi del lavoratore” .
In sostanza, la piattaforma esercita un potere (algoritmico) di conformazione delle modalità della prestazione che non riguarda solo il suo svolgimento effettivo, ma anche tutta la fase ad essa preparatoria e antecedente, tale da determinare un pieno assoggettamento del lavoratore.
Di conseguenza, non v’è dubbio di essere di fronte ad una fattispecie concreta che incarna una sorta di neo-taylorismo digitale che rientra in pieno nella fattispecie astratta di cui all’art. 2094 c.c. . D’altra parte, il Tribunale di Palermo rintraccia, esplicitamente, una soggezione del rider di fronte alla piattaforma del tutto paragonabile a quella “di un operaio del secolo scorso rispetto alla modalità di funzionamento della catena di montaggio”. Come si vede, la pronuncia in commento e le altre due dello stesso tenore effettuano un’interpretazione evolutiva dell’art. 2094 c.c. e delle sue letture più consolidate in modo da tenere conto delle trasformazioni organizzative dell’impresa in cui il lavoro è inserito. E di ciò è consapevole il Tribunale di Palermo che, al di là dell’imprecisione circa il riferimento al modello sociale sotteso all’art. 2094 c.c., mette nero su bianco la sua impostazione metodologica volta ad interpretare “in modo evolutivo” la suddetta disposizione.
È ovvia la sensazione di déjà vu con la vicenda dei pony express degli anni ottanta del secolo scorso . Anzi, si potrebbe dire che, mutatis mutandis, si sia di fronte a fattispecie concrete alquanto simili, in cui, sul piano formale, non esiste un obbligo ad eseguire la prestazione lavorativa. Proprio questa similitudine è stata sfruttata da quella giurisprudenza che ha escluso la subordinazione dei riders: e cioè, attraverso l’applicazione alla questione della qualificazione del rapporto dei riders del modello di decisione prescelto dalla Cassazione quanto ai pony express .
Tuttavia, il giudice milanese, per suffragare la sua soluzione, adotta la tecnica argomentativa elementare di sostenere di essere di fronte ad “un quadro, dunque, ben diverso da quello che aveva condotto la giurisprudenza di legittimità a qualificare come autonoma l’attività dei pony express”. Per un verso, il Tribunale afferma che, nella sentenza n. 7608/1991, la Cassazione “non si era in realtà pronunciata sulla questione, essendosi limitata a rilevare un vulnus procedimentale nella mancanza di una verifica nel merito della soggezione reale”, così cassando la sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice.
Per altro verso, il Tribunale di Milano sfrutta, a regola d’arte, il passaggio della sentenza della Cassazione n. 811/1993, in cui l’esclusione della subordinazione del lavoratore si fonda sulla sua libertà e autonomia “di effettuare un vaglio fra le varie chiamate, al fine di raccogliere solo quelle che, riguardando le consegne da effettuare nella zona in cui egli avesse ragione di trovarsi o in zone limitrofe e non già in punti opposti della città, costituivano sicura fonte di guadagno con lavoro in limiti ragionevoli e non già onerosi, eccessivi allontanamento in zone della città remote e raggiungibili con maggiore dispendio anche di energie lavorative”.
Sicché, il giudice così conclude: “un grado di libertà, quello così descritto dalla Corte del 1993, che non si rinviene affatto nella prestazione oggetto dell’odierna controversia, tenuto conto del ristretto margine di scelta di cui gode il rider per via delle significative limitazioni sin qui tratteggiate (che, come si è visto, certamente non contemplano gli interessi del lavoratore né gli consentono di fare valutazioni per preferire soluzioni a lui confacenti o, comunque, involgenti un più equilibrato dispendio di energie, come invece accertato nel caso dei pony express”.
Orbene, allora la discussione fu molto accesa e v’erano forti argomenti che mettevano in dubbio la predicata autonomia dei pony express . Ma tant’è. Si può dire, però, che i loro eredi, i riders, sono riusciti, in qualche modo, ad ottenere giustizia per entrambi, demistificando una narrazione, alquanto diffusa, che rappresenta l’economia digitale come il luogo del gioco e del divertimento e ne nasconde gli aspetti di sfruttamento più abietto. Ma, alla fine, c’è sempre un giudice a Berlino!
4.Conclusioni.
L’accertamento della subordinazione, nel caso in esame, è stato effettuato dal giudice milanese in relazione a modalità di svolgimento della prestazione lavorativa profondamente etero-dirette, attraverso la cosiddetta gestione algoritmica, e tali da rientrare anche nella nozione più rigida di subordinazione. Tuttavia, è noto che molte piattaforme del food delivery, tra cui quella coinvolta nel presente giudizio, stanno adottando forme organizzative diverse, basate sul free login in cui non vi sono più i turni di prenotazione governati dalla piattaforma e il connesso ranking reputazionale, bensì il rider è libero di collegarsi a sua discrezione. Giustamente v’è chi rileva che tale scelta sembra influenzata dalla volontà di sfuggire a future rivendicazioni da parte dei riders . E’ anche vero che alcuni sostengono che comunque, anche in tale nuovo contesto, la prestazione sarebbe subordinata ; altri valorizzano la portata dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 che prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato quando “le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate” dal committente “mediante piattaforme anche digitali”, e quindi senza la necessità dell’accertamento anche del requisito della etero-direzione.
Né va trascurato l’effetto, una volta che sarà approvata, della proposta di direttiva “relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali”, presentata dalla Commissione europea il 9 dicembre 2021. La proposta, infatti, introduce tutele per i lavoratori delle piattaforme, sia subordinati sia autonomi; e, quando entrerà in vigore, il legislatore italiano, nel rispettare i suoi obblighi di trasposizione, non potrà nemmeno esimersi dal revisionare la confusa disciplina del Capo V-bis del d.lgs. n. 81/2015 .
Insomma, il dibattito resta aperto. Le innovazioni tecnologiche favoriscono il progresso sociale, ma al tempo stesso creano nuovi pericoli per le libertà delle persone. Perciò, il diritto del lavoro, di fronte ad ogni mutamento degli assetti produttivi e organizzativi, deve sempre seguire la sua stella polare: la protezione della persona che lavora. D’altra parte, come hanno scritto Giorgio Ghezzi e Umberto Romagnoli “il diritto del lavoro è costretto a riaffermare continuamente la propria legittimazione a governare le province che gli spettano, battendosi con l’ostinazione del vecchio capitano Achab contro gli imbrogli e i trucchi dei suoi stessi governati” .