testo integrale con note e bibliografia

Premessa
Il tema dell’intelligenza artificiale (IA) ci invita, più di altri, al confronto con studiosi, giuristi e non giuristi, che se ne occupano con una prospettiva scientifica diversa da quella del diritto del lavoro: l’integrazione tra saperi è in questo caso particolarmente necessaria, e anche particolarmente fruttuosa. I giuslavoristi hanno molto da imparare (si pensi ad es. – per uscire dal settore giuridico – all’interessante letteratura informatica sull’equità algoritmica), ma hanno pure qualcosa da dire e il nostro campo di studio è guardato con interesse dalle altre discipline, anche come terreno di sperimentazione, come ben dimostrano le questioni giuridiche sollevate dal lavoro dei riders del food delivery che in questi anni hanno fatto da apripista veicolando nodi problematici di carattere generale.
Rispetto al passaggio dall’IA alla cd. intelligenza simbiotica, tutti concordano sulla necessità che sia l’intelligenza umana a dover guidare, con un approccio integrato, la rivoluzione che l’IA ha innescato e che si sviluppa così velocemente nell’era digitale che il diritto (non solo del lavoro) fa molta fatica a trovare strumenti di regolazione capaci di tenere il passo: dal nostro angolo visuale la domanda da porsi verte su quale contributo possa dare il diritto del lavoro nello sforzo di guidare la rivoluzione in corso; e a ciò si accompagna l’interrogativo su quali siano i protagonisti di questo complesso processo.
Si stanno moltiplicando le prove empiriche che le applicazioni di IA ‘guidate’ dall'apprendimento automatico, il cd. machine learning, possono discriminare i gruppi legalmente protetti. E ogni giorno un numero sempre maggiore di decisioni è sottoposto a procedimenti algoritmici, anche sul luogo di lavoro: bisogna verosimilmente solo aspettare che i costi della tecnologia si abbassino perché vi sia una diffusione capillare di questi strumenti.
Questo processo di cd. datificazione – grazie a una infrastruttura di acquisizione dei dati che è ormai tentacolare – crea forme di potere nuove e insidiose . Il datore di lavoro che fa uso dell’IA per monitorare l’attività lavorativa e per prendere decisioni è dotato di un insieme di ‘poteri aumentati’, che necessitano di limiti e contrappesi adeguati, anche loro ‘aumentati’, in una prospettiva antropologica e precauzionale. I diritti fondamentali garantiti dalle norme sulla protezione dei dati e dal diritto antidiscriminatorio mantengono in questo quadro una valenza di sistema e hanno potenzialità di sviluppo importanti, ma sinora sono stati prevalentemente interpretati come diritti individuali, con un’insufficiente attenzione alla dimensione collettiva : a maggior ragione quando si ha a che fare col cd. management algoritmico, è invece necessario fare affidamento su fattori di controllo che si esercitino anche a livello collettivo, in modo da facilitare la condivisione delle conoscenze tecniche, ridurre i costi e ottenere effetti più ampi minimizzando i rischi di ritorsione .
A questo proposito, nell’attesa di conoscere nei prossimi mesi l’esito finale del controverso iter della proposta di direttiva sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali – dopo l’intensa negoziazione portata avanti nel trilogo dalla presidenza spagnola del Consiglio e al momento in fase di stallo –, la domanda a cui si vuole cercare di rispondere è la seguente: qual è il ruolo che la proposta vuole assegnare alla dimensione collettiva della tutela?
Guardando ai frutti più recenti dell’Europa sociale nel solco del Social Pillar in quelli che sono stati efficacemente chiamati i ruggenti anni ‘20 , cioè alla direttiva sui salari minimi adeguati n. 2022/2041, pur nella sua evidente specificità, ma anche alla direttiva sulla trasparenza retributiva n. 2023/970, non v’è dubbio che quelle norme testimoniano il ruolo importante che l’Unione riserva ai sindacati e alle relazioni collettive, in linea con la prospettiva secondo cui il sostegno alla regolazione collettiva è parte integrante del modello sociale europeo : fa altrettanto la proposta di direttiva sul lavoro tramite piattaforma?
Per provare a rispondere ci si deve basare su testi del tutto provvisori, non essendo andato a buon fine l’accordo politico raggiunto il 13 dicembre 2023 durante una lunga notte di negoziati nel processo di trilogo, i cui contenuti, in mancanza di un testo ufficiale, si possono solo desumere dai comunicati stampa dei giorni immediatamente successivi . Le considerazioni sviluppate in questo scritto partono per lo più dal testo originario della proposta (presentato dalla Commissione a dicembre 2021, d’ora in poi proposta), anche se si cercherà di mettere pure in evidenza alcune differenze tra quel testo e altri due testi ufficiali, quello contenente le proposte di emendamento del Parlamento europeo di dicembre 2022 e quello del Consiglio di giugno 2023 , i quali differiscono, tra loro e rispetto alla proposta, per diversi e rilevanti aspetti: a grandi linee, per quanto qui interessa, se il testo del Parlamento cerca di rafforzare, per rispondere alla domanda di partenza, la dimensione collettiva della tutela rispetto al testo della Commissione, e più in generale vuole alzare l’asticella della protezione dei lavoratori, il Consiglio ha invece in linea di massima agito in direzione opposta.

1. Verso una forma di partecipazione “debole”?
Dalla proposta di direttiva emerge la scelta di prevedere specifici diritti di informazione e di consultazione a favore, in primis, dei rappresentanti dei lavoratori: una scelta che si pone in continuità con la direttiva quadro n. 2002/14 (che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori), la quale viene infatti espressamente richiamata in alcune sue disposizioni e più in generale fatta salva, e in sostanza rafforzata. Si opta quindi per una classica forma di partecipazione “debole”, considerato che i diritti di informazione e di consultazione, per quanto rilevanti, rappresentano il nucleo minimo dei diritti partecipativi .
La principale norma di riferimento da cui partire (ma non è la sola, come si dirà più avanti) è l’art. 9, il cui condivisibile obiettivo è quello di promuovere il dialogo sociale sulla gestione algoritmica, come conferma il considerando n. 32 ove sottolinea che quei diritti vengono attribuiti ai rappresentanti “affinché possano esercitare le loro funzione”: tali diritti sono cioè condizione necessaria per la costruzione dell’interesse collettivo e per l’esercizio dell’azione collettiva, nell’ottica che vede la trasparenza necessariamente funzionale all’esercizio di diritti sostanziali. Le disposizioni della proposta che dovrebbero contribuire a realizzare quell’importante obiettivo sono però alquanto timide: qualcosa c’è, ma qualcosa manca.
È opportuno esaminare in proposito tre aspetti: la titolarità, il contenuto e le modalità di esercizio dei diritti.
L’art. 9 della proposta attribuisce in prima battuta i diritti di informazione e consultazione “ai rappresentanti dei lavoratori delle piattaforme digitali” o, in mancanza di tali rappresentanti, quindi solo in subordine, “ai lavoratori delle piattaforme digitali interessati”. Quanto all’ambito di applicazione, non ci sono soglie di organico da superare perché scattino tali diritti, a differenza di quanto invece previsto nella direttiva n. 2002/14 .
Le caratteristiche della rappresentanza dei lavoratori non vengono precisate: a fronte della pluralità dei modelli di rappresentanza nazionali, il legislatore europeo non impone uno standard e definisce i rappresentanti dei lavoratori come “le organizzazioni o i rappresentanti dei lavoratori previsti dal diritto o dalle prassi nazionali, o entrambi” (art. 2, par. 1, 5)). Si ribadisce così la consueta scelta astensionistica dell’Unione nell’individuazione del soggetto titolare dei diritti collettivi: poiché si tratta di questioni legate alle tradizioni e alle prerogative degli stati membri, ove sono presenti modelli a canale unico, a canale doppio e ibridi, la “strategia regolativa” dell’Unione è quella di porsi in maniera neutrale, dimodoché saranno gli ordinamenti nazionali in sede di recepimento a decidere se conferire il diritto a soggetti aventi natura sindacale oppure elettiva .
Rispetto alla formula classicamente utilizzata, al termine rappresentanti si affianca qui quello di “organizzazioni”: dal punto di vista lessicale, però, non compare il termine “sindacato”, né nella definizione né altrove nella proposta (e neanche nel testo presentato dal Consiglio), a differenza che nel testo emendato dal Parlamento, ove è invece presente in diversi punti . Si può ipotizzare che il non richiamare i sindacati si debba alla volontà della proposta di includere agevolmente iniziative di rappresentanza non istituzionali o di base , che hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo significativo nel particolare contesto delle piattaforme, ove appunto operano movimenti collettivi dal basso, autorganizzati, senza mediazione sindacale . Resta peraltro il dubbio che questa “leggerezza” di formulazione non sia necessariamente virtuosa ma si riveli un sintomo di debolezza .
Va anche ricordato che tale scelta di self-restraint ha dato in passato da discutere alla Corte di giustizia, che, ormai 30 anni fa, in due note sentenze pronunciate nel 1994 nei confronti del Regno Unito , ha chiarito una volta per tutte che il rinvio alle leggi e prassi nazionali nella materia della rappresentanza, in virtù del principio dell’effetto utile, “non è una delega in bianco” : sulla base di quella giurisprudenza, in particolare, “il diritto dell’Unione, nel momento in cui configura i diritti di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, pone un obbligo in capo agli Stati membri di garantire la presenza di una rappresentanza, salvo il caso in cui siano i lavoratori stessi a rinunciare autonomamente al diritto di costituirla” . Un aspetto ribadito altre volte e che va qui tenuto presente .
Con riguardo alla titolarità dei diritti collettivi di informazione e consultazione di cui all’art. 9 la proposta (anche nei testi provenienti dal Parlamento e dal Consiglio) presenta in ogni caso un limite significativo, rappresentato dal fatto che quei diritti restano prerogativa dell’area della subordinazione, risultando escluse le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforma senza avere un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro, vale a dire coloro che il diritto dell’UE chiama i “veri” lavoratori autonomi, che sulla base della proposta godono comunque dei diritti individuali di trasparenza sanciti a norma degli artt. 6, 7 e 8 della proposta . Considerato che le piattaforme utilizzano sistemi di gestione algoritmica invasivi indipendentemente dallo status occupazionale di chi lavora per loro, l’esclusione dei lavoratori autonomi dall’accesso collettivo a informazione e consultazione vuole quindi dire confinarli in maniera irragionevole a una forma di tutela inferiore, di secondo livello, rispetto ai lavoratori subordinati .
Quanto all’oggetto dei diritti collettivi di informazione e consultazione, si tratta delle “decisioni che potrebbero portare all’introduzione o a modifiche sostanziali nell’uso di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati” . Data la natura altamente tecnica di queste informazioni, l’art. 9, par. 3, consente ai rappresentanti dei lavoratori della piattaforma di essere “assistiti da un esperto di loro scelta” e impone le spese dell’esperto alla piattaforma, a condizione che abbia più di 500 lavoratori (soglia che gli emendamenti del Parlamento hanno abbassato a 250) e che le spese siano proporzionate. Il tema delle competenze – analogamente a quanto avviene nell’ambito della sicurezza e salute sul lavoro e qui a maggior ragione – è evidentemente centrale per garantire una tutela effettiva dei lavoratori.
L’art. 9, par. 2, della proposta rinvia esplicitamente alle definizioni di informazione e consultazione contenute nella direttiva quadro n. 2002/14 e ad alcune sue specifiche disposizioni: il che significa – mutuando nel contesto che ci interessa l’interpretazione che è stata data dalla Corte di giustizia in materia di diritti collettivi di informazione e consultazione – che la trasmissione dei dati ai rappresentanti deve permettere loro di conoscere le decisioni della piattaforma e il sistema algoritmico, di svolgere uno studio adeguato e di prepararsi per la fondamentale fase della consultazione, in cui si instaura un dialogo con la piattaforma “al fine di ricercare un accordo sulle decisioni” del datore di lavoro . Si tratta cioè di un dovere di consultazione che va letto come obbligo della piattaforma a trattare, ma non come obbligo a contrarre; nonostante la rilevanza di tale obbligo, che è evidentemente un continuum ben diverso dal solo dovere di informazione, la proposta non compie l’importante passo successivo, quello di garantire il diritto fondamentale alla contrattazione: non si spinge fino a prevedere il diritto collettivo a “negoziare l’algoritmo” , a decidere insieme.
Gli emendamenti del Parlamento alla proposta della Commissione sono invece nel complesso ben più incisivi nella valorizzazione della rappresentanza collettiva degli interessi. Basti qui ricordare due modifiche di rilievo apportate al testo iniziale: da un lato il Parlamento ha previsto l’obbligo per le piattaforme, prima dell’introduzione di un trattamento automatizzato, di effettuare una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati coinvolgendo attivamente i rappresentanti dei lavoratori ; dall’altro ha proposto l’inserimento di un nuovo articolo, intitolato “Promozione della contrattazione collettiva nel lavoro su piattaforma”, in cui gli stati membri sono chiamati a promuovere la contrattazione in tale settore “anche per quanto riguarda le caratteristiche dei sistemi automatizzati di monitoraggio e di decisione, al fine di migliorare le condizioni di lavoro” . Entrambe le integrazioni sono però assenti nel testo del Consiglio e resta da vedere se il testo definitivo della direttiva farà proprie, anche solo in parte, le proposte del Parlamento nell’auspicabile direzione di una maggiore proiezione della tutela dei lavoratori nella dimensione collettiva.
In relazione, infine, alle modalità di esercizio dei diritti collettivi, merita almeno un accenno la questione della tempistica del coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori, che deve avvenire – ancora in virtù del principio dell’effetto utile – prima che la decisione sia definitiva, vale a dire in un momento che non annulli la funzione della consultazione e del dialogo che deve scaturirne. Un principio che, com’è noto, è “scolpito” nell’art 27 CDFUE, che stabilisce espressamente che l’informazione e la consultazione devono essere garantite ai lavoratori o ai loro rappresentanti, ai livelli appropriati, “in tempo utile”. Il che è di primaria importanza perché può permettere “agli attori collettivi di valutare i sistemi algoritmici prima della loro messa in opera e di offrire contributi ex ante all’adozione e alla modifica di tali sistemi” .

2. I diritti collettivi al di fuori dell’area del lavoro subordinato
Nella proposta sono anche presenti alcune previsioni relative alla dimensione collettiva della tutela che, a differenza dell’art. 9 sopra esaminato, estendono la loro portata al di fuori dell’ambito del lavoro subordinato: tra di esse vi è anzitutto l’art. 12, che pone in capo alle piattaforme un obbligo di informazione a favore dei “rappresentanti delle persone che lavorano su piattaforma” (dunque di tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro posizione contrattuale) e di altre autorità competenti, richiedendo in particolare di fornire a tali soggetti, a intervalli regolari, informazioni rilevanti quali il numero, lo status e le condizioni contrattuali delle persone che lavorano su piattaforma e di rispondere a eventuali richieste di chiarimenti in relazione alle informazioni ricevute: grazie a questo costante flusso di informazioni tali rappresentanze hanno la possibilità di conoscere meglio l’organizzazione del lavoro e il legame tra la gestione algoritmica e le condizioni contrattuali dei lavoratori del settore.
L’ampio ambito di applicazione dell’art. 12 – che appunto fuoriesce dal lavoro subordinato – è condiviso con altre disposizioni della proposta, che confermano, come già il citato art. 9, la necessità di una linea di continuità tra il livello individuale e collettivo dell’informazione, appunto a riprova del fondamentale ruolo di garanzia giocato dai rappresentanti dei lavoratori ai fini dell’effettività dei diritti dei singoli. A norma dell’art. 6.4, in primo luogo, si prevede che le informazioni sulla gestione algoritmica di cui sono destinatari i lavoratori su piattaforma, anche autonomi, siano messe a disposizione dei rispettivi rappresentanti, su loro richiesta. In secondo luogo, l’art. 14 della proposta – con l’obiettivo, esplicitato nel considerando n. 44, di “di agevolare i procedimenti che altrimenti non sarebbero avviati a causa di ostacoli procedurali e finanziari o per timore di ritorsioni” – garantisce che anche i rappresentanti dei lavoratori, sia subordinati che autonomi, possano intraprendere procedure giudiziarie e amministrative “per conto o a sostegno” di una singola persona o di più persone, purché con l’approvazione dell’interessato . Sulla possibilità di un’azione rappresentativa degli enti esponenziali gli emendamenti proposti dal Parlamento e la posizione del Consiglio si differenziano dalla proposta in quanto non richiedono l’approvazione della persona interessata, mostrando così un’apertura ad un’azione rappresentativa senza mandato , che vedremo se verrà percorsa o meno nel testo definitivo.
La possibilità di esercitare un’azione collettiva a tutela dei diritti individuali può anche risultare facilitata grazie a un nuovo diritto previsto dalla proposta all’art. 15, che impone alle piattaforme di lavoro digitali di agevolare il contatto e la comunicazione tra le persone che svolgono il lavoro su piattaforma, sia tra di loro che con i loro rappresentanti. Come sottolinea il considerando n. 45, poiché il lavoro mediante piattaforme è caratterizzato dall’assenza di un luogo di lavoro comune (basti pensare ai crowdworkers che per definizione sono globalmente dispersi), è necessario mettere a disposizione di tali lavoratori canali digitali di comunicazione liberi dall’accesso e dal monitoraggio della piattaforma stessa. Viene cioè proposto “un pionieristico diritto alla socializzazione e comunicazione orizzontale” , che si pone pienamente in linea con l’organizzazione digitale del lavoro. L’obiettivo pare essere quello di provare a superare un vero e proprio “paradosso”, che si realizza quando le tecnologie della comunicazione su cui si basa l’economia digitale “sono usate solo a favore dei gestori dei vari servizi, mentre i lavoratori sono di fatto esclusi dal godimento di esse e si trovano in uno stato di isolamento e di invisibilità” . Una situazione a cui questo nuovo diritto, anche se sancito con una formulazione alquanto generica (solo un po’ rafforzata nella versione emendata dal Parlamento), cerca di porre rimedio, sebbene non sia certo agevole creare canali di solidarietà e di contropotere collettivo all’interno della stessa infrastruttura della piattaforma .

3. Un possibile punto di partenza
Tornando alla domanda di partenza – con cui ci si è chiesti se la proposta di direttiva in esame si collochi nel solco delle più recenti direttive dell’Unione che valorizzano i diritti collettivi e la negoziazione collettiva –, la risposta che in conclusione si può provare a dare è più negativa che positiva, anche se alcuni segnali interessanti in tale direzione sono certamente già presenti: se la proposta andrà in porto, seppur caratterizzata dalla limitazione “genetica” di riguardare soltanto la ristretta categoria dei lavoratori delle piattaforme (che ancora una volta fanno da apripista su questioni generali), la nuova direttiva sarà un punto di partenza, che risulterà più o meno significativo a seconda dell’ampiezza dei contenuti su cui sarà raggiunto un accordo nel trilogo riapertosi nelle prime settimane di gennaio 2024 sotto la presidenza belga. Un punto di partenza che aprirà la partita del recepimento negli Stati membri e dovrà essere coordinato con le altre discipline, anche eurounitarie, in materia, in primis con il regolamento sull’IA da poco concluso . Sarà inoltre una prima conferma del fatto che senza una dimensione collettiva non è possibile regolare efficacemente questo fenomeno e proteggere i singoli lavoratori , che, per avere “voce in capitolo sul modo in cui la digitalizzazione li riguarda” ed esercitare “il diritto di dare forma a una digitalizzazione equa” , non possono far da soli e hanno bisogno degli strumenti classici del potere collettivo.
Per riprendere i concetti di cui ci ha parlato Alessandro Bellavista nella sua relazione, c’è bisogno di rafforzare la dimensione collettiva come strumento di democrazia, per dare maggiore spazio, nel “solito vecchio scontro tra l’Europa dei mercanti e l’Europa dei cittadini”, alle “ragioni della persona” .

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