testo integrale con note e bibliografia

1) Evoluzione tecnologica e diritto del lavoro.

Le rivoluzioni tecnologiche si susseguono a velocità sostenuta; riscrivendo i canoni tradizionali della società investono i settori produttivi, le comunicazioni, i servizi, la vita quotidiana, sia nella sfera personale che collettiva, plasmano abitudini, linguaggio, comportamenti, sensibilità individuale, la percezione di sé e del rapporto con gli altri.
Ogni cambiamento epocale porta innovazione, evoluzione, crescita, nuove opportunità, ma nello stesso tempo determina la destabilizzazione dei meccanismi di assestamento, di riequilibrio delle disfunzioni e di soluzione degli inconvenienti acquisiti nell’assetto preesistente; per governare il nuovo ed adeguare il presente alle sfide del futuro il modo migliore resta sempre quello di elaborare nuove regole preservando e migliorando gli insegnamenti del passato.
“Industria 4.0” , è il termine con cui viene avveniristicamente identificata l’attuale fase tecnologica, che tende ad una implementazione dei modelli produttivi e di organizzazione del lavoro grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale (cd. AI) , della digitalizzazione, della connessione globale; non più solo automazione, dove la macchina sostituisce l’uomo in intere fasi del ciclo produttivo mediante tecnologie che applicano regole e parametri preimpostati dall’uomo, ma addirittura macchine in grado di rielaborare e interpretare in tempo reale, ed in modo più o meno trasparente, i dati acquisiti dall’esperienza e dall’ambiente circostante per assumere in autonomia le decisioni che algoritmicamente risultano le più efficienti rispetto agli obiettivi perseguiti.
Questa profonda trasformazione va ad impattare pesantemente sul mondo del lavoro e, benché tra le sue finalità dovrebbe esserci quella di migliorare le condizioni di lavoro e di sostenere cambiamenti ambientali positivi perseguendo uno sviluppo sostenibile, è stato da subito evidente quanto potesse non solo mettere in crisi le categorie lavoristiche tradizionali ma anche farsi strumento di nuove forme di sfruttamento e di depotenziamento di diritti e di tutele dei lavoratori.
La consapevolezza dei rischi del cambiamento ha indotto i giuslavoristi con interesse crescente ad analizzare le novità apportate dalle nuove tecnologie alla ricerca di soluzioni che rendessero socialmente sostenibile la trasformazione.
Il salto tecnologico, se porta in dote un aumento di produttività e di efficienza, la creazione e lo sviluppo di nuove figure professionali, contemporaneamente impone l’adeguamento sia delle norme di sicurezza sul lavoro rispetto al nuovo assetto industriale, sia delle misure di tutela e protezione sociale rispetto alle incidenze negative che la tecnologia può avere sulla qualità dell’occupazione in atto e sulle future opportunità di lavoro; come dunque non preoccuparsi della ingerenza dei controlli attuati mediante dati biometrici sensibili, della tutela della privacy e riservatezza del lavoratore, delle discriminazioni determinate da una selezione del personale o da una organizzazione del lavoro governate da sistemi standardizzati, della contrazione della domanda per innumerevoli profili lavorativi, dell’aumento della disoccupazione “tecnologica” o dello sviluppo di nuove patologie professionali determinate dal “tecnostress”.
Rispetto al progresso tecnologico la vera sfida è garantire che la rivoluzione in atto sia un’occasione di avanzamento per tanti, senza lasciare indietro nessuno; le novità del contenzioso giuslavoristico degli ultimi anni dimostrano che le richieste di protezione e di intervento giudiziale generate dalla trasformazione dei lavori e delle modalità di lavoro indotte dalla rivoluzione tecnologica consegnano agli interpreti uno scenario sorprendentemente immutato nel tempo.
Nell’invarianza delle istanze di tutela la qualificazione del rapporto di lavoro, e le sue ricadute in tema di tutele applicabili, restano i temi centrali e controversi, con la subordinazione che permane quale paradigma della massima tutela possibile e l’autonomia che, se non corrispondente ad una effettiva opzione del prestatore di lavoro, viene confezionata di volta in volta su misura per schermare questa tutela, con nel mezzo tentativi, più o meno riusciti, di aggirare le pratiche elusive mediante l’estensione, più o meno ampia, di garanzie tipiche della prima.
All’attualità, nonostante lo stravolgimento prodotto dall’intelligenza artificiale, dall’economia digitale, dalla cibernetica, da forme sofisticate di organizzazione del lavoro che hanno superato i tradizionali limiti spazio-temporali, da una costellazione di nuove tecnologie che hanno modificato le relazioni lavorative, frammentando e scomponendo l’assetto classico del rapporto datore-lavoratore, rimane inalterata quella condizione di debolezza personale, sociale ed economica del prestatore di lavoro che costituisce la ragion d’essere del diritto del lavoro, sia sostanziale che processuale, quale disciplina speciale e settoriale, nata per rispondere ad esigenze di riequilibrio del contratto di lavoro ed al bisogno di protezione sociale dei lavoratori.
A fondamento del diritto del lavoro delle origini vi erano le rivendicazioni in tema di retribuzione e di orario di lavoro che hanno ispirato la Convenzione OIL n. 1 del 1919; a ben cento anni di distanza, il d.lgs. 27 giugno 2022 n. 104, di attuazione della Direttiva UE 2019/1152 del 20 maggio 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, disciplina il diritto all'informazione sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro e sulle condizioni di lavoro e la relativa tutela con particolare attenzione alla retribuzione ed all’orario del lavoro, mentre alla tutela di un salario minimo adeguato nell’Unione Europea ed alla protezione dalla povertà lavorativa è dedicata la Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022.
Il diritto ad un lavoro dignitoso mantiene intatta la sua centralità anche nei nuovi scenari aperti dal progresso tecnologico; anzi il rischio del dissolvimento della componente umana nella selezione, nell’organizzazione e nella gestione dell’attività lavorativa rende tale centralità ancora più irrinunciabile, in quanto il rispetto della dignità di ogni individuo passa attraverso il riconoscimento del diritto ad un lavoro equo dal punto di vista della retribuzione e delle condizioni di lavoro, l’eliminazione delle discriminazioni, la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro, il diritto all’informazione, prevenzione e formazione, la tutela previdenziale, la libertà sindacale e di accesso alla contrattazione collettiva.

2) L’economia delle piattaforme digitali.

La realtà ci consegna un mondo di “nuovi” lavori dominato dalla cd. gig-economy; nella sua accezione positiva l’”economia delle piattaforme” è caratterizzata da un mercato occupazionale flessibile, dinamico e moderno, ove i lavoratori si avvantaggiano dell’autonomia organizzativa, della possibilità di lavorare da remoto, da casa o da qualsiasi altro angolo del mondo, della libertà della” pianificazione dell’ultimo minuto”.
Purtroppo la frequente associazione ad attività al confine tra lavoro remunerato e hobby ha alimentato l’insidiosa convinzione che le prestazioni gestite dalle piattaforme siano svolte al di fuori di una genuina dimensione lavorativa, da soggetti che vi fanno ricorso per divertimento o per “arrotondare”, e che per questo non hanno né il diritto né il bisogno di alcuna protezione.
Questa suggestione, alimentata dalla leggerezza richiamata dalla definizione, non rende giustizia ai tantissimi gig workers per i quali, a causa della difficoltà di trovare occupazioni lavorative alternative, o anche solo perché attirati dalla facilità di accesso ai siti e alle applicazioni dedicate a mettere in contatto domanda e offerta, tale modalità di lavoro costituisce l’unica o prevalente fonte di reddito e quindi forma di sostentamento.
L’universo delle piattaforme digitali offre un panorama molto variegato: le capital platform, che connettono clienti con venditori o affittuari per transazioni dirette che hanno ad oggetto beni di cui i secondi sono proprietari, vanno distinte dalle labour platform, che in modo immediato connettono clienti con prestatori di servizi caratterizzati da tassi di complessità e qualità molto diversi.
Nella seconda categoria di piattaforme, alcune forniscono prestazioni standardizzate ed uniformi, quali consegna di cibo a domicilio mediante biciclette o altri veicoli a motore, trasporto mediante l’uso dell’auto privata come taxi su richiesta, altre prestazioni di carattere fiduciario più o meno specializzate, quali baby sitting, dog sitting, personal shopping, servizi per la casa quali pulizie, piccoli lavori di manutenzione, pagamento di bollette, altre ancora prestazioni intellettuali e qualificate, più o meno complesse, quali ripetizioni private, traduzioni di testi, elaborazione di progetti, consulenze legali o commerciali.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha sgombrato il campo da ogni ambiguità chiarendo in modo definitivo che tali piattaforme non sono mere fornitrici di un servizio tecnologico di intermediazione tra microimprenditori e clientela, bensì imprese qualificabili come “datore di lavoro” che operano in virtù di un ciclo produttivo organizzato da un algoritmo che, sulla base di previsioni statistiche, calcola il fabbisogno di manodopera necessario per soddisfare la domanda dell’utenza di una determinata area e in una determinata fascia oraria, offrendo un servizio creato ed interamente organizzato dalla piattaforma digitale che non esiste se non grazie a tale piattaforma.
Nell’ambito dei servizi forniti dalle labour platform le due principali forme di lavoro sono il crowdwork ed il work-on demand via apps, entrambe esternalizzate ed a richiesta; mentre nel primo modello un’impresa affida in outsourcing la progettazione, ovvero la realizzazione di un determinato bene immateriale, spaziando da mini-operazioni, parcellizzate e ripetitive, ad attività creative o di elevata professionalità, rivolgendosi ad una “folla” indefinita di lavoratori potenzialmente connessi da qualsiasi parte del mondo, il lavoro a chiamata mediante piattaforme si svolge nel mondo reale, in una dimensione territoriale, ed ha ad oggetto la prestazione di servizi più tradizionali.
Le imprese che governano tali ultime applicazioni hanno tendenzialmente un ruolo più pervasivo, in quanto non si limitano a mettere in collegamento domanda e offerta ma intervengono nella gestione dei soggetti che forniscono i servizi, aggiudicano i lavori, stabiliscono gli standard minimi di qualità e le tariffe, vigilano sulle prestazioni in base a recensioni, voti o rating, che i lavoratori ricevono dagli utenti; alla maggiore specificità delle istruzioni e dei termini di servizio corrisponde una maggiore intensità del monitoraggio sull’esecuzione, e quindi un più invasivo sistema di incentivi e di “sanzioni” per la violazione degli standard o la mancata accettazione dei lavori.
Nel primo caso il rischio principale è il dissolvimento dell’umanità del lavoro, il rapporto si espleta virtualmente, con lavoratori che diventano “invisibili”, si dematerializzano, vengono identificati con il servizio che offrono, sicché viene meno addirittura la percezione che al di là dello schermo vi sia un individuo in carne ed ossa titolare di diritti, prerogative e aspettative da garantire; di contro per il lavoratore a chiamata che offre prestazioni di prossimità ed impegna nell’attività lavorativa la sua fisicità, le carenze di tutela sono talmente evidenti da divenire quasi imbarazzanti per chi abbia il tempo di soffermarsi sulle condizioni di lavoro che sono costretti ad accettare per poter lavorare e continuare a farlo.
Il rider del food delivery, in Italia e in tanti altri paesi, è divenuto protagonista iconico del lavoro mediante piattaforme digitali; il rider opera generalmente nel settore delle consegne a domicilio di prodotti, gestito da multinazionali, svolge la sua attività a chiamata con mezzi propri, utilizza in comodato abbigliamento e contenitori che recano i colori e il logo della App di appartenenza.
Il legislatore italiano si è occupato per la prima volta del lavoro attraverso piattaforme con le modifiche apportate dal d.l. 3 settembre 2019, n. 101, conv., con modif., dalla l. 2 novembre 2019, n. 128, all'art. 2 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81, il cui comma 1 novellato prevede l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ad ogni forma di collaborazione che, contemporaneamente, si caratterizzi quale prestazione prevalentemente personale, (e non più “esclusivamente” come previsto nel testo previgente), continuativa ed eseguita secondo modalità organizzate dal committente (senza più quell’“anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, presente nella vecchia formulazione).
In sede di conversione all’interno del medesimo comma 1 è stato aggiunto un ulteriore periodo che ne prevede l’applicazione “anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”
Con riferimento all’ambito applicativo delle collaborazioni di cui all’art. 2, comma 1, non è stata fornita alcuna definizione di piattaforma, digitale e non, a differenza di quanto è avvenuto per i rapporti di lavoro autonomo di cui all’art. 47 bis dello stesso decreto, inoltre non è stato introdotto alcun riferimento ad uno specifico settore di attività.
Dando per utilizzabile la nozione informatica di piattaforma digitale, non è ben chiaro cosa debba intendersi per piattaforma “non digitale”, a cui allude l’utilizzo della congiunzione” anche”; si è pensato ad esempio ad un sistema basato su chiamate telefoniche, ma in ogni caso la definizione omnicomprensiva non dovrebbe porre problemi applicativi, né al momento ne emergono dalla lettura della giurisprudenza che si è cimentata con l’applicazione della norma.
Nessun dubbio quindi che, ricorrendone i presupposti, possano beneficiare delle tutele di cui all’art. 2, sia le collaborazioni etero-organizzate mediante piattaforme digitali che tramite piattaforme non digitali, e sia che abbiano ad oggetto le consegne di beni sia che non riguardino tale specifica attività.
Sin dal suo esordio l’individuazione della natura della norma si è rivelata oltremodo problematica, suscitando un animato ed articolato dibattito dottrinale che non è questa la sede per approfondire.
Qui è sufficiente ricordare come tutte le vie siano state percorse dalle diverse tesi “accademiche”, significative per numero e complessità: quella che ha individuato nella innovazione un sostanziale rafforzamento, in funzione evolutiva, della nozione civilistica di subordinazione desumibile dall’art. 2094 c.c.; quella che, restando nell’ambito del lavoro autonomo, ne ha esaltato solo la funzione rimediale realizzata con l’applicazione a rapporti di collaborazione autonoma del regime del lavoro subordinato, con differenziazioni tra le posizioni favorevoli o ad una estensione totale o parcellizzata; quella che ha interpretato la nuova disposizione come il paradigma legale del tertium genus della cd. etero-organizzazione, intermedio dunque tra subordinazione ed autonomia.
Da segnalare che il 24 aprile 2024 la plenaria del Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza le norme contenute nella proposta di una prima Direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali, frutto di una trattativa travagliata durata più di due anni, conclusasi l’11 marzo 2024 con la conferma da parte dei ministri dell’Occupazione e degli affari sociali dell’UE dell’accordo raggiunto tra la presidenza del Consiglio e i negoziatori del Parlamento europeo; il testo della direttiva dovrà essere ratificato dal Consiglio europeo e, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, gli Stati membri avranno due anni di tempo per il suo recepimento.
Gli obiettivi che emergono dall’analisi del testo sono il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme digitali e la protezione dei loro dati personali; ai sensi dell’art.1 della direttiva tanto dovrà avvenire nei seguenti modi: “a) introducendo misure volte a facilitare la corretta determinazione della situazione occupazionale delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali; b) promuovendo la trasparenza, l’equità, la sorveglianza umana, la sicurezza e la responsabilità nella gestione algoritmica del lavoro mediante piattaforme digitali; e c) migliorando la trasparenza nel lavoro mediante piattaforme digitali, anche in situazioni transfrontaliere”.

3) Il rider, il prototipo di lavoratore mediante piattaforme digitali.

La figura professionale del rider ha costituito negli ultimi anni il banco di prova di un crocevia di questioni giuridiche: la difficile qualificazione del suo rapporto di lavoro, il tema del lavoro mediante piattaforme digitali, l’impatto dell’intelligenza artificiale ed il problema della trasparenza delle decisioni algoritmiche.
Nella normativa interna, inspiegabilmente, la definizione del “ciclo-fattorino” è stata inserita nel Capo V-bis del d.lgs. n. 81/2015 dedicato alla disciplina del rider lavoratore autonomo.
Si è posto il problema se a tale definizione potesse essere riconosciuta una portata generale; in assenza di esplicite previsioni contrarie, l’ampiezza e la esaustività degli elementi fattuali utilizzati, induce ad escludere che vi siano ostacoli ad esportare la definizione di cui all’art. 47-bis, comma 1, ogni qual volta all’interprete si richieda di fare i conti con tale fattispecie.
I contratti individuali proposti dalle piattaforme prevedono clausole diversificate.
Circa la determinazione del compenso si contrappongono il modello del compenso orario, parametrato alle ore di disponibilità o alle ore di lavoro effettivo, il modello a cottimo, che può essere di tipo fisso o variabile, in cui alla determinazione del corrispettivo concorre anche il chilometraggio percorso, e i modelli ibridi in cui, accanto al compenso orario, sono previsti una serie di “bonus” aggiuntivi, ad esempio in caso di pioggia, di lavoro festivo o prefestivo, di produttività elevata.
Il criterio remunerativo utilizzato si ripercuote sulle modalità di aggiudicazione degli incarichi di consegna: le piattaforme che prevedono un compenso orario, onde evitare di pagare il rider anche in assenza di ordini, pianificano la turnistica utilizzando un sistema di aggiudicazione preventiva “a calendario” (cd. slot); il lavoratore prenota, con anticipi variabili, un determinato turno, attende la conferma da parte della App, che verifica il numero di riders necessari per fascia oraria, all’esito dell’assegnazione, salve limitate facoltà di disdetta, è tenuto ad effettuare il log-in all’inizio del turno e procedere alle consegne.
Il sistema a “slot” a volte è libero, nel senso che segue solo un ordine temporale di prenotazione, in altri casi è vincolato, in quanto gli “slot” vengono preventivamente assegnati da un algoritmo sulla base del rating attribuito al rider; il punteggio è condizionato generalmente dalla produttività e dai feedback dei clienti, sicché un rider con basso rating rischia di trovare gli slot occupati o comunque liberi solo quelli meno appetibili e redditizi
Prenotato il turno, il lavoratore ha quasi sempre limitate possibilità di revocare la disponibilità senza penalità; molti contratti prevedono una clausola risolutiva espressa, messa agevolmente in esecuzione con la disattivazione dell’account, nel caso in cui il rider non effettui il log-in all’inizio del turno prefissato, rifiuti la chiamata, non effettui la consegna o la effettui sistematicamente in ritardo.
Molto spesso il rider è soggetto a geo-localizzazione, è obbligato a non allontanarsi dalla zona di assegnazione, a garantire la reperibilità attraverso una adeguata connessione e livello di carica del telefono, ad effettuare la consegna del cibo entro un preciso lasso di tempo, a seguire un determinato percorso, ad informare immediatamente la committente di eventuali inconvenienti.
L’aggiudicazione per slot non è invece utilizzata dalle piattaforme che prevedono un compenso a cottimo, ed il fattorino, su cui ricade per intero il rischio dell’assenza di ordini, è effettivamente libero di decidere se, dove e quando effettuare il log-in e se accettare o rifiutare gli incarichi proposti.
Variabile anche la durata dei contratti, più ridotta e a termine laddove le piattaforme operano come committenti, anche a tempo indeterminato dove si propongono come meri intermediari con singole convenzioni stipulate di volta in volta per ogni consegna; alcune piattaforme consentono che il fattorino rimanga inattivo per un certo periodo, per altre è espressamente previsto, a pena di risoluzione, un minimo di consegne, che tra l’altro condiziona la determinazione del rating; alcuni contratti prevedono per entrambe le parti la risoluzione in qualsiasi momento senza alcun preavviso, altri un obbligo di preavviso, salve le ipotesi di giusta causa.
Da subito si è posto il problema della qualificazione del loro rapporto di lavoro; in molti Stati europei ed anche nei paesi di common law, dalla California all’Australia, molti giudici si sono orientati verso il riconoscimento della natura subordinata dei rapporti di lavoro tramite piattaforma, ivi compreso quello dei ciclo-fattorini.
In particolare la giurisprudenza francese e spagnola , dopo qualche iniziale esitazione, ha optato in maniera decisa a favore della natura subordinata dando prevalenza, ai fini qualificatori, alle modalità di effettivo svolgimento della prestazione rispetto alla volontà espressa delle parti nei contratti, valorizzando non la nozione di subordinazione, ma la prova della sua sussistenza, desunta dall’esistenza in capo all’impresa di un incisivo potere di controllo, esercitato attraverso sistemi di geo-localizzazione, e del potere sanzionatorio attuato mediante la disconnessione dei lavoratori dalla piattaforma.
La proposta di Direttiva UE relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali prevede all’art. 5 l’introduzione, da parte degli Stati membri, di una presunzione legale del rapporto di lavoro subordinato nei rispettivi ordinamenti giuridici, in presenza di fatti che indichino il potere di controllo e direzione della piattaforma, conformemente al diritto nazionale e ai contratti collettivi, e tenendo conto della giurisprudenza dell’UE.
Da tale qualificazione deriverebbero per i lavoratori diritti tipici della subordinazione, quali salario minimo, regolamentazione dell’orario di lavoro, ferie, diritti alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro, parità retributiva, nonché l’accesso alla protezione sociale contro gli infortuni, la disoccupazione, la malattia e l’anzianità; la presunzione è invocabile da parte di lavoratori, loro rappresentanti e autorità nazionali e al contempo spetta alla piattaforma l’onere di confutazione della stessa, dimostrando l’assenza del rapporto di lavoro.
Questa presunzione semplice di subordinazione, che affida agli Stati membri il compito di definire la nozione di lavoratore e i fatti e le circostanze necessarie per la sua operatività, è stata oggetto di numerose riformulazioni che hanno portato all’abolizione dei cinque indici presuntivi indicati nella proposta iniziale della Commissione, e quindi ad una soluzione di compromesso che ne ha posto il fondamento su criteri nazionali e sulla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Nel considerando n. 7 si dà atto dei problemi sorti in numerosi Stati membri circa l’errata classificazione dei lavoratori nei settori in cui le piattaforme di lavoro digitali esercitano un certo livello di direzione o controllo; anche in Italia si è sviluppato un significativo contenzioso che si è polarizzato su due soluzioni, quella della etero-organizzazione ex art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 e quella della subordinazione, entrambe appaiono appaganti seppure non sovrapponibili.

4) Riders ed etero-organizzazione.

La riconducibilità del rapporto di lavoro dei ciclo-fattorini alle collaborazione etero-organizzate di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 è stata avallata dalla Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sul famoso caso dei riders di Foodora, nella sentenza n. 1663 del 24 gennaio 2020 ; trattandosi di decisione nota e ripetutamente commentata verrà qui utilizzata come spunto solo per l’approfondimento di questioni tutt’ora controverse.
La Suprema Corte, cui, per l’assenza di un appello incidentale dei lavoratori, era preclusa ogni indagine sul fronte della subordinazione, possibilità che tuttavia non esclude in un chiarissimo obiter, respinge tutte le censure relative alle condizioni individuate dalla Corte territoriale per l'applicabilità dell'art. 2, salvo correggerne la motivazione quanto alla riconduzione dell'ipotesi ivi prevista a un tertium genus, intermedio tra la subordinazione ed il lavoro autonomo, e alla necessità di operare una selezione delle norme sulla subordinazione applicabili.
Ai fini dell'individuazione della nozione di etero-organizzazione, che assume carattere dirimente per l'applicazione della disciplina della subordinazione, ritiene sufficiente che il coordinamento imposto dall'esterno sia funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la unilaterale determinazione delle modalità predisposta dal primo, inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa.
La pronuncia si rivela di ampio respiro per aver posto il primo punto fermo, quanto meno sul piano rimediale, sulla natura dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015.
La Corte ne verifica quattro diverse soluzioni interpretative: a) qualificazione tipologica come versione moderna ed evoluta della subordinazione; b) figura intermedia fra subordinazione e autonomia, caratterizzata dalla etero-organizzazione e tipizzata nella norma in esame (cd. teoria del terzo genere); c) permanenza nell’ambito del lavoro autonomo come ulteriore ipotesi di para-subordinazione; d) approccio rimediale che ove ricorrono gli indicatori previsti dall’art. 2 consente di applicare la tutela “rafforzata” dei lavoratori subordinati.
Non prende, invece, in considerazione la tesi della “norma apparente”, sul presupposto che nell’attività di interpretazione il giudice deve dare un senso alle norme, in vista di assicurare tutela agli interessi protetti, piuttosto che ricercare soluzioni ermeneutiche che le vanifichino privandole di ratio e spazio applicativo.
Nella parte più contestata della decisione, il giudice di legittimità prende posizione sulla questione interpretativa e definisce l’art. 2 come una «norma di disciplina che non crea una nuova fattispecie»; nessun tertium genus, ma norma che si limita a regolare l'estensione della disciplina del lavoro dipendente ad una eterogenea fascia di rapporti, collocati in quella che definisce zona grigia tra autonomia e subordinazione, accomunati da elementi tecnico-funzionali che li rendono congeniali ad una tutela omogenea a quella assicurata alla classica subordinazione in quanto operanti in una medesima condizione di “ debolezza economica”.
Tale conclusione viene raggiunta all’esito di una contestualizzazione dell’intervento del legislatore che, in un’ottica sia di prevenzione che “rimediale”, avrebbe adottato una prospettiva antielusiva, in quanto consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad un’unica tipologia, prevedendo, al fine di limitare gli abusi e con esonero del giudice da ogni ulteriore indagine, l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizzate con l'ingerenza funzionale dell'organizzazione predisposta unilateralmente da chi commissiona la prestazione.
Un interessante passaggio è quello che ha ad oggetto la soppressione ad opera del d.l. n. 101/2019 dell’inciso “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” presente nel vecchio testo dell’art. 2; si era infatti discusso se la determinazione del tempo e del luogo di lavoro da parte del committente, laddove applicabile ratione temporis, dovesse costituire o meno un elemento necessario ai fini della configurazione della etero-organizzazione.
Secondo l’interpretazione della S.C., dalla presenza nel testo di tale congiunzione non discende che l'etero-organizzazione debba necessariamente coinvolgere tempi e modi della prestazione, esprimendo tali modalità solo una delle possibili estrinsecazioni del potere di etero-organizzazione; la parola "anche" assumerebbe un valore meramente esemplificativo, deponendo in tal senso la successiva soppressione dell’inciso, e la considerazione che nell’epoca della rivoluzione informatica le modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa sono sempre meno significative, anche ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.
Per aversi etero-organizzazione non è dunque necessario che sia il committente ad organizzare tempi e luogo di lavoro, ma nello stesso tempo può essere ravvisata eterorganizzazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa; diviene così irrilevante se sia prevista la facoltà o l’obbligo di lavorare nei locali aziendali o di rispettare un turno lavorativo, restando evidente che la previsione di obblighi potrebbe far propendere più per la riconduzione del rapporto alla subordinazione che alla collaborazione eterorganizzata.
Altro aspetto che si è rivelato controverso è quello della possibile applicazione d’ufficio dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, allorché le allegazioni in fatto e la successiva attività istruttoria siano comunque sufficienti a far emergere la sussistenza dell’etero-organizzazione.
Indiscusso il potere del giudice di procedere ad un accertamento di fatto relativo alle effettive modalità di atteggiarsi di un rapporto ed alla sua conseguente qualificazione, non sembra che una indicazione in senso affermativo possa essere desunta da Cass. n. 1663/2020, che si limita a ribadire la sussistenza del “potere del giudice di qualificare la fattispecie riguardo all'effettivo tipo contrattuale che emerge dalla concreta attuazione della relazione negoziale”, sia esso subordinato che etero-organizzato, senza alcun riferimento all’ipotesi in cui tale qualificazione possa o debba essere effettuata d’ufficio.
Anzi la Corte condiziona l’accertamento della subordinazione ad una “specifica domanda della parte interessata fondata sul parametro normativo dell'art. 2094 cod. civ.” ed evidenzia “quanto le controversie qualificatorie siano influenzate in modo decisivo dalle modalità effettive di svolgimento del rapporto, da come le stesse siano introdotte in giudizio, dai risultati dell'istruttoria espletata, dall'apprezzamento di tale materiale effettuato dai giudici del merito, dal convincimento ingenerato in questi circa la sufficienza degli elementi sintomatici riscontrati”
L’opzione giurisprudenziale che porta ad individuare nell’art. 2 una norma di disciplina dovrebbe consentire, secondo alcuni, di ricondurre la sua applicazione ad una attività di mera qualificazione giuridica della fattispecie, come tale riservata al giudice; resta tuttavia il fatto che il principio iura novit curia va coordinato con il principio della domanda e con il divieto di ultra-petizione.
I fatti costitutivi della subordinazione restano del tutto diversi da quelli delle collaborazioni etero-organizzate ex art. 2, apparendo quasi un caso di scuola quello in cui la parte alleghi e deduca fatti riconducibili ad entrambi i rapporti, limitando poi la sua domanda all’accertamento della subordinazione, soprattutto oggi che risulta palese la posizione della nomofilachia sulla portata della norma.
La distinzione poi non è meramente quantitativa, bensì qualitativa, sussistendo una differenza ontologica tra etero-direzione ed etero-organizzazione, che costituisce la principale ragione per cui i rapporti del secondo tipo non sono ricondotti alla subordinazione, bensì beneficiano di una estensione della stessa tutela solo in virtù di una specifica disposizione legislativa.
Ferma l’allegazione dei fatti, che corrispondono presumibilmente al concreto atteggiarsi del rapporto, la prospettazione e la deduzione in termini di subordinazione è fondata su di un petitum, probabilmente analogo, ma su di una causa petendi necessariamente diversa rispetto a quella di un rapporto etero-organizzato, in quanto come innanzi visto, ne sono differenti i presupposti; ne consegue che, al di là della qualificazione giuridica dei fatti, la possibilità di una applicazione d’ufficio della norma sembrerebbe contrastare con il principio della domanda, con il diritto di difesa del convenuto rispetto ad una questione che non ha formato ab initio oggetto del giudizio (su cui, oltre ad essere attivato il contraddittorio ex art. 101, secondo comma, c.p.c., dovrebbe essere rimesso in termini anche sul piano delle deduzioni istruttorie), con il principio della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato e quindi con il divieto di ultra-petizione.

5) Le tutele applicabili ai riders etero-organizzati, tra integralità, selezione e compatibilità.

Oggetto di un mai sopito dibattito è l’individuazione della disciplina applicabile all’esito della riconduzione del rapporto di lavoro dei riders all’ambito dell’art. 2; anche su questo punto si sono confrontate posizioni più radicali, a favore di una integrale applicazione delle tutele previste per il lavoro subordinato, e posizioni compromissorie che hanno proposto una selezione di volta in volta delle misure di protezione oggetto di estensione.
La Corte di legittimità, sempre nel citato arresto del 2020, seppure prima facie sembra porsi a favore della integralità dell’applicazione, opta in realtà per la posizione intermedia della “compatibilità ontologica”; dopo aver sottolineato la necessità di estendere l'intera disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni organizzate dal committente, apponendo il suo veto ad operazioni selettive affidate ai singoli interpreti, in un problematico inciso, l’ormai famoso punto 41, non esclude situazioni in cui “l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile”.
In questo obiter la Corte, pur ripudiando la tesi dell’estensione selettiva delle tutele, con la precisazione che «la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici», mentre in passato il legislatore, quando ha voluto, ha precisato quali parti della disciplina della subordinazione dovevano trovare applicazione, con il riferimento alla “incompatibilità ontologica” sembra arrendersi alla difficoltà di un’applicazione integrale dell’intero statuto protettivo della subordinazione, che resta potenziale e tendenziale ma non assoluta ed inderogabile.
La regola del rinvio integrale, con il solo limite della compatibilità, affida comunque all’interprete uno scrutinio tra i diritti e i doveri propri del lavoratore subordinato e la peculiare posizione giuridica del collaboratore etero-organizzato, onde individuare norme “incompatibili” e dunque inapplicabili.
Sebbene la S.C. non fornisca indicazioni specifiche, nel porre l’esclusione come eccezione e l’integralità come regola, impone interpretazioni necessariamente restrittive della “incompatibilità”, che in quanto “ontologica” dovrebbe essere individuabile ex ante ed in astratto; il criterio prescelto induce a considerare i collaboratori ex art. 2 come subordinati a tutti gli effetti, anche cd. esterni, perché la ratio della loro equiparazione è fondata sulla analoga posizione di debolezza.
Certa l’applicazione integrale della disciplina dei licenziamenti in caso di recesso ante tempus di eventuali rapporti a tempo indeterminato, ritenuta compatibile dalla stessa Corte, permane qualche perplessità circa quelle norme (ad es. gli artt. 2103, 2104 e 2105 c.c.) che, in quanto espressione del potere direttivo, sottoporrebbero il collaboratore ad un potere disciplinare o di controllo che eccede quello consentito nell’ambito della etero-organizzazione.
In effetti nessuna incompatibilità ontologica sembrerebbe sussistere per la disciplina delle mansioni di cui all’art. 2103 c.c., in quanto la natura della prestazione svolta e la sua corretta collocazione in un profilo professionale previsto dalla contrattazione collettiva può non essere influenzata dalle modalità con cui la prestazione viene svolta, se eterodirette o etero-organizzate, residuando tuttavia la possibilità che, ai fini dell’inquadramento in alcune categorie specifiche, possa essere determinante la presenza o il grado di soggezione alle direttive del datore di lavoro o di suoi preposti.
Quanto all’obbligo di diligenza, seppure da adempiere con modalità adeguate alla natura della prestazione dovuta ed all’interesse della committente, e nei limiti della etero-organizzazione, è difficile negare che anche un collaboratore etero-organizzato sia tenuto ad eseguire la sua prestazione con la diligenza di cui all’art. 2104, comma 1, c.c.; diverso sarebbe pretendere il rispetto delle direttive e delle istruzioni di cui al comma 2 che costituiscono invece la principale modalità di attuazione della etero-direzione tipica della subordinazione.
In presenza di un vincolo di esclusiva apposto al contratto, come negare che un collaboratore ex art. 2 sia tenuto all’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. prima parte, o che, pur in assenza di specifiche previsioni, sia tenuto a non divulgare notizie sull’organizzazione o sui metodi di produzione della committente o a farne uso per arrecarle pregiudizio, e che di conseguenza di eventuali violazioni di tali norme ne risponda disciplinarmente.
L’applicazione integrale dello statuto della subordinazione, in assenza di una disposizione contraria legale o contrattuale e di una incompatibilità ontologica, dovrebbe imporre il calcolo dei collaboratori ex art. 2 per la determinazione del requisito dimensionale ai vari fini previsti dalla legge; ai fini dell’obbligo di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la valutazione dovrebbe astrattamente includere anche la eventuale disponibilità di posizioni subordinate, ove sussista una comparabilità e fungibilità tra le mansioni del lavoratore subordinato e del collaboratore.
Analogamente in tema di licenziamento collettivo, se la regola è l’applicazione integrale, nessuna incompatibilità logica dovrebbe sussistere rispetto ad un calcolo degli etero-organizzati ai fini della determinazione del numero minimo di licenziamenti necessari per l’attivazione della procedura, né rispetto ad una loro inclusione nel contesto aziendale interessato dalla riduzione, sia ai fini della valutazione dell’effettività della situazione di crisi aziendale sia ai fini dell’applicazione dei criteri di scelta .
Indubbia poi l’applicazione della tutela antidiscriminatoria in riferimento alle condizioni di lavoro di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 216/2003, che rispetto alle condizioni di accesso e di assunzione è applicabile a prescindere dalla qualificazione del rapporto se autonomo o subordinato.
Il Tribunale di Bologna, ordinanza 31 dicembre 2020, ha ad esempio accolto il ricorso presentato congiuntamente dai sindacati dei lavoratori Nidil Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil avverso Deliveroo, in cui si lamentava la discriminazione nelle condizioni di accesso al lavoro determinate dall’algoritmo utilizzato dalla piattaforma per organizzare le prestazioni di lavoro dei riders, in conformità al c.d. ranking reputazionale.
La piattaforma digitale, con la distribuzione del lavoro in modo automatizzato e “cieco”, attraverso un sistema selettivo di prenotazione delle sessioni di lavoro basato sul punteggio attribuito dall’algoritmo a ciascun rider ed elaborato sui due parametri dell’affidabilità e della partecipazione, non consentiva di differenziare le ragioni in base alle quali il lavoratore non aveva rispettato la sessione prenotata.
Tale sistema di accesso alle prenotazioni (SSB) di fatto penalizzava l’adesione del rider a forme di autotutela collettiva e, in particolare, ad astensioni totali dal lavoro coincidenti con la sessione prenotata, o la posizione del rider che si era astenuto dalla prestazione di lavoro per ogni altra causa legittima, dalla malattia ad esigenze di assistenza o legate ad un figlio minore, realizzando così una discriminazione indiretta, in quanto, sulla base di una disposizione apparentemente neutra (la normativa contrattuale sulla cancellazione anticipata delle sessioni prenotate), collocava una determinata categoria di lavoratori (ad es. quelli in sciopero), seppure legittimati dall’esercizio di diritti con copertura costituzionale, in una posizione di potenziale ed ingiustificato svantaggio.

5.1. Le tutele previdenziali.

La posizione della S.C. rafforza poi le tesi a sostegno di una integrale applicazione delle innumerevoli leggi speciali, fondate sull’art. 38 Cost., che garantiscono le tutele previdenziali al lavoro subordinato.
Anche sul tema dello statuto previdenziale dei collaboratori etero-organizzati si sono registrate posizioni contrastanti tra chi si è dichiarato favorevole ad una estensione di tutti gli istituti previdenziali applicabili ad un lavoratore subordinato, in considerazione della natura integrale del rinvio dell’art. 2 alla disciplina del lavoro subordinato, chi, pur optando per una applicazione selettiva della disciplina, si è dichiarato comunque favorevole ritenendo questi istituti compatibili con le caratteristiche del rapporto, e chi invece ne ha del tutto escluso l’applicazione, facendo leva sulla perdurante natura autonoma della collaborazione etero-organizzata.
La qualificazione dell’art. 2 come norma di disciplina e l’esclusione della selezione delle norme applicabili, fatta salva la compatibilità, sembrano costituire seri argomenti nel senso della piena applicazione della disciplina previdenziale del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate.
Risulta infatti difficile sostenere che la disciplina previdenziale del lavoro subordinato sia ontologicamente incompatibile con la posizione giuridica del collaboratore etero-organizzato, anche perché tale applicazione risulta coerente con la ratio di rafforzamento delle tutele riconosciuta all’art. 2, quale norma volta ad estendere lo «statuto protettivo» del lavoro subordinato per garantire protezione a quello stato di «bisogno» comune a subordinati ed etero-organizzati, che è particolarmente evidente proprio ove vengano ad esistenza le condizioni che giustificano l’accesso alle tutele previdenziali.
Il carattere inderogabile e indisponibile del regime previdenziale ad opera dell’autonomia collettiva non sembra costituire un argomento preclusivo perché in questo caso l’estensione troverebbe il suo fondamento nella legge.
Nel senso dell’applicazione alle collaborazioni etero-organizzate della disciplina previdenziale del lavoro subordinato si è del resto pronunciata la Circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 7 del 30 ottobre 2020 che ne ha fatto conseguire innanzitutto l’obbligo del committente di versare gli stessi contributi previsti per i lavoratori dipendenti, secondo il criterio generale dei minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi leader (art. 1, comma 1, d.l. n. 338/1989), applicando le aliquote previste per i lavoratori subordinati dal Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti», con le scontate ricadute in tema di sanzioni previste per l’omissione contributiva (art. 116, comma 8 lett. a), l. n. 388/2000) e di scomputo dei contributi già versati presso altra gestione previdenziale.
Viene ivi precisato che «Ai lavoratori eteroorganizzati vanno, inoltre, applicate le tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro (ad es. la NASPI), l’indennità di malattia, l’indennità di maternità e gli assegni al nucleo familiare nella misura riconosciuta ai lavoratori subordinati» e che a questi lavoratori verrà esteso il principio dell’automaticità delle prestazioni.
Una interessante applicazione sia della tutela previdenziale che del giudizio di compatibilità ontologica è stata effettuata dal Tribunale di Milano, sentenza n. 3237/2023, che in un giudizio di opposizione a verbali di accertamento per omissioni contributive emessi da INPS, INAIL e Ispettorato del lavoro, accertata in fatto con ampia motivazione la legittimità dell’inquadramento dei riders nell’ambito dei rapporti di collaborazione ex art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, in virtù sia del principio del parallelismo e automatismo nell’applicazione della disciplina lavoristica unitamente a quella previdenziale, sia del criterio teleologico che riconduce i due rapporti ad un identica ratio di protezione, ha ritenuto che, nell’assenza di deroghe previste dagli accordi collettivi di cui al comma 2 dello stesso articolo, all’applicazione della disciplina lavoristica ex art. 2094 c.c. al collaboratore etero-organizzato “segue, in immediata successione, quella di tipo previdenziale collegata ai prestatori subordinati” con obbligo di versamenti da effettuarsi alla Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato.
All’esito della valutazione di compatibilità il Tribunale ha tuttavia escluso l’applicazione della regola di cui all'art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 riconoscendo ai lavoratori il diritto alla contribuzione nei limiti delle prestazioni orarie effettivamente svolte.
La norma è stata ritenuta strutturalmente incompatibile con il rapporto di lavoro per come descritto e inquadrato in concreto nell'ambito dell’art. 2 cit., in quanto il collaboratore, potendo scegliere se lavorare o meno e in quali periodi, manteneva nella fase genetica un'ampia autonomia che risultava inconciliabile con l'accertamento di un rapporto a tempo pieno.
Ci si limita ad osservare che in questo caso la valutazione di compatibilità non è stata effettuata rispetto ad una caratteristica ontologica astratta del rapporto di collaborazione ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015, bensì rispetto ad un atteggiarsi concreto del rapporto oggetto dell’accertamento, laddove resta astrattamente possibile che in diversi rapporti etero-organizzati tale autonomia non sussista.
Nessun dubbio anche sulla estensione integrale della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nonché sull’obbligo per il committente di assicurare il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, tra cui quelle sui dispositivi di protezione individuali di sicurezza.
Da escludere invece l’operatività per tutte le collaborazioni etero-organizzate sia dell’art. 21 d.lgs. n. 81/2008, secondo cui i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’art. 2222 c.c. devono munirsi di dispositivi di protezione con oneri a proprio carico, sia del limite dettato all’art. 3, comma 7, dello stesso d.lgs. che, in riferimento alle collaborazioni ex art. 409 n. 3 c.p.c., condiziona l’estensione della disciplina prevenzionistica valida per i lavoratori subordinati alla circostanza che la prestazione si svolga nei luoghi di lavoro del committente.

5.2 La derogabilità contrattuale di cui al comma 2, lett. a), dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015.

L’applicazione generalizzata di ogni istituto legale e contrattuale del rapporto di lavoro subordinato al collaboratore etero-organizzato trova dei limiti espressi nel comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, alle lettere da a) a d-bis).
Problematica appare la previsione di cui alla lett. a), che affida la possibilità di introdurre limitazioni delle tutele applicabili, anche significative e senza specifici vincoli di scopo, alle eventuali diverse previsioni adottate con accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che possono prevedere discipline specifiche riguardanti il trattamento, sia economico che normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.
La derogabilità contrattuale al comma 1, che assicura prevalenza a “diverse previsioni” e la cui idoneità protettiva resta garantita dalla matrice contrattuale e dalla rappresentatività dei contraenti, costituisce la principale differenza tra questi rapporti e quelli di lavoro subordinato “genuini”.
La materia lavoristica è caratterizzata dalla presenza di norme di legge inderogabili in peius da parte dell’autonomia contrattuale, sia collettiva che individuale, al duplice fine, da un lato, di sottrarre alla dinamica negoziale la salvaguardia di beni ed interessi di rilevanza costituzionale, dall’altro di riequilibrare un rapporto contrattuale considerato ontologicamente asimmetrico.
Negli ultimi anni si è assistito ad un significativo ridimensionamento della regola della inderogabilità grazie ad interventi normativi che rinviano alla contrattazione collettiva per l’introduzione di deroghe sempre più pervasive, sul presupposto implicito che tale contrattazione costituisca uno strumento più duttile e flessibile per adattare la norma di legge alla varietà delle esigenze concrete.
In molti casi si è trattato di deroghe tipizzate , mentre una prima ipotesi di contrattazione in deroga “autorizzata” atipica si è avuta con l’art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con mod. dalla l. 14 settembre 2011, n. 148 che ha attribuito alla contrattazione collettiva territorialmente decentrata, altrimenti detta «di prossimità», il potere di derogare, oltre che al contratto collettivo nazionale, alle disposizioni di legge concernenti una vasta gamma di materie, con il solo limite del rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalla normativa comunitaria e internazionale.
Le «specifiche intese» di cui all’art. 8 cit., stipulate a livello aziendale, da soggetti sindacali variamente selezionati si configurano comunque come contratti di scopo, essendo espressamente finalizzati ad una serie di obiettivi quali l’incremento dell’occupazione, della competitività o degli investimenti, la qualità dei contratti di lavoro, l’emersione del lavoro irregolare, la gestione delle crisi aziendali, l’avvio di nuove attività; la genericità degli obiettivi ha fatto sorgere non pochi dubbi sia sulla loro utilità sia sulla loro compatibilità con il sistema delle fonti.
Egualmente atipica è la derogabilità introdotta dalla norma in commento che, se da un lato sconta l’assenza di vincoli espressi e di obiettivi di scopo specifici, stante il vago riferimento alle “particolari esigenze produttive ed organizzative del settore”, dall’altro non affida tale derogabilità al sindacalismo aziendale, bensì alla contrattazione collettiva nazionale, stipulata da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, sull’implicito presupposto che tale coinvolgimento possa fungere da garanzia per una contrattazione in deroga che sia meditata, circoscritta nelle dimensioni ed equilibrata nei contenuti.
La centralità dell’elemento rappresentativo a tali fini derogatori, che rileva anche nell’ambito della analoga previsione di cui all’art. 47 quater dello stesso decreto su cui infra, non ha tardato a palesarsi in occasione del primo contratto collettivo di categoria siglato il 15 settembre 2020 tra Assodelivery ed un sindacato di riders aderente all’UGL; tale accordo ha suscitato molte polemiche , tra cui una vibrata reazione dei sindacati confederali CGIL, CISL e UIL ed un intervento critico del Ministero del lavoro , per l’adozione preferenziale del modello contrattuale autonomo e di un sistema di retribuzione a cottimo, parametrata sulle consegne effettuabili nel tempo unilateralmente stimato dalla piattaforma.
Mentre Assodelivery, pur non appartenendo ad alcuna confederazione datoriale, rappresenta indubbiamente un’associazione datoriale comparativamente più rappresentativa che riunisce al suo interno più sigle, difficile sostenerlo per l’associazione sindacale firmataria in rappresentanza dei lavoratori ; il requisito della maggiore rappresentatività comparata sul piano nazionale, richiesto dalla norma, presuppone infatti una comparazione in concreto, di tipo quantitativo, che non sembra possa essere garantita da una sola sigla sindacale, per giunta non espressione del settore specifico.
La carenza di rappresentatività di quella sigla sindacale ha trovato già conferma nell’ordinanza del 12-4-21 del Tribunale di Palermo che, in un giudizio promosso ex art. 5 del d.lgs. n. 216/2003, ha ritenuto discriminatorio il licenziamento intimato ad un rider-rappresentante sindacale che si era rifiutato di sottoscrivere un contratto regolamentato dalla disciplina concordata con la UGL, associazione sindacale diversa da quella di appartenenza, nonché nel decreto ex art. 28 St. lav., emesso dal Tribunale di Bologna il 30 giugno 2021 (e nella sentenza n. 15 del 12 gennaio 2023 che ha definito il giudizio di opposizione) che, accertata la totale carenza di prova della maggiore rappresentatività comparativa di UGL Riders rispetto alle OO.SS. ricorrenti, anche sulla scorta delle informazioni richieste e fornite dal Ministero del Lavoro, ha ritenuto illegittima l’applicazione del c.c.n.l. ai riders etero-organizzati e discriminatorio il recesso intimato per la mancata sottoscrizione del contratto che lo recepiva.

5.3 La tutela dei diritti sindacali e la giurisprudenza penale.

Il ruolo centrale che la contrattazione collettiva occupa nella disciplina del lavoro etero-organizzato e l’intento protettivo perseguito con l’estensione delle norme sul lavoro subordinato, esaltato dalla novella del 2019 e nella ricostruzione offerta dal giudice di legittimità, conducono a ritenere assolutamente compatibile con la natura di questi rapporti l’intero sistema di tutela dei diritti di cui allo Statuto dei lavoratori, ed in particolare di quelli sindacali, con conseguente applicabilità del procedimento per la repressione di condotte antisindacali di cui all’art. 28 St.lav., la cui funzione è proprio quella di supportare i lavoratori in condizioni di debolezza economica.
In assenza di una previsione contraria, ed a fronte di un principio di integralità delle tutele applicabili, non sembra trovare alcuna giustificazione, né letterale né sistematica, la limitazione alle norme di natura sostanziale e l’esclusione di quelle processuali.
Numerose decisioni hanno individuato l’antisindacalità della condotta nella violazione degli obblighi di informazione alle O.O.S.S., da ultimo anche nella violazione dell’art. 1 bis del d.lgs. 26 maggio 1997 n. 152, introdotto dall’art. 4 del d.lgs. 104/2022, come modificato dall’art. 26 del d.l. 4 maggio 2023 n. 48, conv. con modif. dalla legge 3 luglio 2023 n. 85, ai sensi del quale i datori di lavoro e i committenti pubblici e privati sono tenuti a informare il lavoratore dell'utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio “integralmente” automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell'incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell'assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l'adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.
In particolare il Tribunale di Palermo, con decreto del 20 giugno 2023, ha ritenuto che, all’esito delle modifiche apportate dal d.l. n. 48/2023, le informazioni che vanno rilasciate sono quelle relative ai sistemi “integralmente” automatizzati, e che quindi non prevedono alcun intervento umano nella fase finale del processo decisionale o di monitoraggio, e riscontrate tali caratteristiche nella piattaforma informatica utilizzata dalla società di food delivery ne ha accertato la condotta antisindacale per la violazione di tale obbligo.
Da segnalare che un ricorso proposto al Tribunale di Milano, sezione specializzata delle imprese, avente ad oggetto un’azione di inibitoria collettiva ex art. 840 sexiesdecies c.p.c., introdotto dalla l. 12 aprile 2019 n. 31, ed entrato in vigore il 19 maggio 2021, avente ad oggetto l’illegittima applicazione del CCNL Ugl Rider, è stato rigettato con ordinanza del 13 ottobre 2022 sia per la carenza di legittimazione ad agire in proprio in capo alle organizzazioni sindacali ricorrenti, “non essendo le stesse presenti nell’elenco previsto dall’art.840 bis co.2° cpc (art. 840 sexiesdecies co.2° cpc), di cui al DM 17 febbraio 2022 n.27”, sia per la natura residuale dell’azione, desumibile dalla salvezza delle norme speciali di cui al comma 10 dell'art. 840-sexiesdecies c.p.c., esclusa dalla tutelabilità delle condotte denunciate attraverso lo strumento della repressione delle condotte antisindacali ex art. 28 St. lav.
La tutela dei riders ha avuto anche dei risvolti penali; molto scalpore ha suscitato il decreto del Tribunale di Milano, sez. misure di prevenzione, n. 9 del 28 maggio 2020, che aveva disposto l’amministrazione giudiziaria, misura di prevenzione prevista dall’art. 34 comma 1, del d.lgs. n. 159/2011, nei confronti della Uber Italia s.r.l., la cui attività di impresa era stata ritenuta di ausilio a soggetti, ad essa facenti capo a vario titolo, sottoposti a procedimento penale per il reato di sfruttamento di manodopera ex l’art. 603-bis c.p., delitto introdotto con la legge 29 ottobre 2016 n. 199, nell’ambito della gestione delle consegne a domicilio nel settore del food delivery, appaltate dalla stessa Uber agli indagati che fungevano da intermediari con i ciclo-fattorini.
Il provvedimento milanese trovava il suo presupposto nell’accertamento della costante violazione della disciplina contrattuale del lavoro autonomo, che regolava formalmente tutti i rapporti, a fronte della sussistenza in concreto di rapporti definiti di “lavoro subordinato alterato”; la misura è stata revocata il 4 marzo 2021, a seguito dello sforzo fatto dall’azienda per eliminare le condizioni di sfruttamento e migliorare il trattamento economico dei lavoratori.
Altre indagini di analogo tenore si sono susseguite sull’intero territorio nazionale; risultano già emesse sentenze di condanna per reati fiscali e per il delitto di sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis cod. pen.

6) Riders e subordinazione.

Il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro dei riders è stato sino ad ora appannaggio della giurisprudenza di merito.
Sebbene le prime decisioni si fossero attestate su posizioni di netta chiusura rispetto alla natura subordinata di tali rapporti, valorizzando il fatto che nella fase di determinazione del programma negoziale i riders avrebbero sempre la possibilità di scegliere se e quando lavorare, successivamente si è registrata una netta inversione di tendenza.
Il Tribunale di Palermo, sentenza n. 3570 del 24 novembre 2020, in una causa intentata da un lavoratore contro Foodinho s.r.l., multinazionale spagnola operante in Italia con il marchio Glovo, nota piattaforma del food delivery, ha per la prima volta in Italia riconosciuto natura subordinata ex art. 2094 c.c. all’attività prestata da un ciclo-fattorino e ne ha disposto l’inquadramento come operaio di 6° livello del CCNL Commercio nonché la reintegra, dopo aver equiparato ad un licenziamento orale la disattivazione forzosa del suo account.
Il rider, cinquantenne, aveva iniziato a collaborare con la piattaforma sulla base di contratti di lavoro autonomo nell’ottobre 2018 e aveva svolto regolarmente attività di consegna di cibo a domicilio per quasi due anni consecutivi, lavorando, in media, 8 ore giornaliere per complessive 40 ore settimanali, prima di essere disconnesso, e quindi sostanzialmente espulso dall’organizzazione, per presunte irregolarità nella gestione della quota di contante, di cui era in possesso come corrispettivo versato dagli utenti, in misura eccedente il limite unilateralmente fissato dalla piattaforma.
L’esclusione del rapporto dall’ambito della autonomia si fonda sull’analisi delle concrete modalità di svolgimento del rapporto contrattuale con la piattaforma, nelle quali il giudice individua dei significativi elementi di etero-direzione della prestazione, sufficienti quanto meno a configurare una situazione di subordinazione attenuata.
Nel punto centrale del percorso argomentativo si afferma che la presunta autonomia del rider nella scelta dell’an e del quando della prestazione viene resa evanescente ed incolore, sino a sparire, nell’ambito della valutazione globale, e non segmentata, del modello organizzativo adottato dalla piattaforma che si caratterizza per l’esercizio di un potere direttivo e disciplinare tanto pervasivo da renderlo in grado di incidere non solo nella fase esecutiva del rapporto ma anche nel momento genetico, annullando di fatto ogni effettiva libertà di scelta del lavoratore.
Libertà di scelta che verrebbe resa fittizia dal fatto che il ciclo-fattorino è costantemente profilato dall’algoritmo che, nell’attribuire un punteggio (il cd “parametro di eccellenza”), ne determina l’accesso prioritario nella prenotazione delle sessioni di lavoro sicché gli è consentita la scelta solo del turno che gli viene assegnato in base al punteggio, che a sua volta dipende dalla disponibilità fornita alla piattaforma per i momenti nei quali la prestazione si profila maggiormente utile alla società datrice di lavoro.
Quanto al potere direttivo e di controllo viene messa in evidenza la presenza nell’applicativo di un sistema invasivo di geo-localizzazione in grado di monitorare anche il livello di carica della batteria dello smartphone, che, impedendo l’accesso alla sessione di lavoro in caso di carica inferiore al 20% ovvero di eccessiva distanza dall’area di lavoro, impone al fattorino di restare sempre connesso e di seguire pedissequamente le tempistiche e le fasi imposte dal programma, ivi compreso l’itinerario da percorrere per perfezionare la consegna nel minor tempo possibile.
Sul fronte disciplinare si stigmatizza infine la natura sostanzialmente sanzionatoria del meccanismo del ranking che premia il rider a seconda della conformità della sua condotta alle regole imposte dalla piattaforma quanto alla disponibilità a effettuare le consegne, alle modalità con cui è reso il servizio, all’efficienza del servizio reso profilato sulla base dei feedback ricevuti da partner e clientela, penalizzando di converso il rifiuto di una consegna nel turno assegnato o la mancata effettuazione della prestazione nei turni più utili per la datrice di lavoro.
Per un analogo esito si segnalano le sentenze del Tribunale di Torino 18 novembre 2021 , pronunciata nei confronti di Uber, e del 20 luglio 2023 nei confronti di Glovo, del Tribunale di Milano 20 aprile 2022 n. 1018 , pronunciata nei confronti di Deliveroo.
I modelli organizzativi di cui si avvalgono le tre diverse multinazionali del food delivery, descritti minuziosamente dai giudici, si presentano quanto mai simili e pressoché analogo è anche il percorso argomentativo utilizzato nelle tre sentenze per giungere al riconoscimento della natura subordinata del rapporto dei riders.
L’algoritmo delle piattaforme condiziona in maniera diretta ed integrale le modalità della prestazione del ciclo-fattorino privato di qualsiasi autonomia, a partire dalla fase preparatoria, in quanto il sistema di accesso alle fasce di prenotazione è influenzato dal ranking reputazionale, per addivenire poi all’assegnazione delle proposte, determinate dall’algoritmo in base a criteri che prescindono dalle preferenze e dalle scelte del lavoratore, fino alla fase di esecuzione dell’incarico, controllata minuziosamente in ogni passaggio tramite il sistema di geolocalizzazione.
Le pronunce sono anche accomunate dal fatto di richiamare gli identici passaggi della decisione della Suprema Corte n. 1663/2020, ove, al di là della soluzione prescelta per il caso concreto, condizionata dalla mancata riproposizione della domanda di subordinazione da parte dei lavoratori cui la Corte di appello aveva già riconosciuto l’inquadramento nell’alveo dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, si ammette che la prestazione del rider possa essere ricondotta alla fattispecie del lavoro subordinato, spettando al giudice il compito di qualificare un determinato rapporto di lavoro tenuto conto delle caratteristiche specifiche dell’attività svolta.
Alla subordinazione si è inaspettatamente convertita la parte datoriale; come annunciato dal country manager, la piattaforma Just Eat Take-away in data 29 marzo 2021 ha sottoscritto con FILT, FIT, UIL Trasporti un contratto collettivo aziendale che prevede l’assunzione come lavoratori subordinati dei riders dell’azienda, con il riconoscimento di tutti i trattamenti, normativi ed economici previsti dal CCNL Logistica, Trasporto, Merci e Spedizione.
Un nuovo impulso verso la subordinazione viene dalla presunzione semplice di cui all’art. 5 della proposta di Direttiva UE relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali, sicuramente applicabile al rapporto dei riders, la cui incisività sarà però oltremodo condizionata dai criteri che verranno adottati in sede di recepimento da parte del legislatore italiano, dato il rilievo preponderante assegnato al diritto nazionale nella determinazione delle modalità applicative del meccanismo presuntivo.

7) Le tutele minime del rider autonomo.

La legge n. 128/2019 ha inserito nel d.lgs. n. 81/2015 il nuovo Capo V-bis, rubricato “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”, composto dagli artt. da 47 bis a 47 octies, la cui ratio dichiarata è quella di introdurre livelli minimi di tutela per i riders autonomi, che operano cioè in assenza di subordinazione o di etero-organizzazione ai sensi dell’art. 2 dello stesso decreto.
Il Capo è dedicato alla sola disciplina dei ciclo-fattorini autonomi, come definiti dall’art. 47 bis, comma 1, che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso le piattaforme, anche digitali, definite dal successivo comma 2; per l’applicazione dei livelli minimi di tutela ivi previsti si richiede pertanto che la piattaforma, se digitale, si connoti per il settore di riferimento (quello della consegna di beni) e per il modello organizzativo (fissazione del compenso e determinazione delle modalità di esecuzione della prestazione).
La tutela residuale assicurata dal Capo V-bis ai riders autonomi ha ad oggetto il diritto ad ottenere la stipula di un contratto le cui condizioni devono essere formulate per iscritto, di ricevere ogni informazioni utile “per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza”, l’applicazione della disciplina antidiscriminatoria prevista per i lavoratori subordinati, in quanto compatibile con la natura del rapporto, ivi compreso l’accesso alla piattaforma, ed il divieto di pratiche di esclusione dalla piattaforma o di riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione.
Importante l’espressa estensione ad opera dell’art. 47 septies della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e dell’obbligo per il committente di assicurare il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. n. 81/2008 a propria cura e spese.
Sul tema della sicurezza si è giustamente evidenziato che la disposizione non chiarisce se il decreto debba trovare integrale applicazione o se ne debbano applicare solo le scarne previsioni dedicate al lavoro autonomo dall’art. 21; in quest’ultimo caso, leggendo l’art. 47-septies, comma 3, in combinazione con l’art. 21 del d.lgs. n. 81/2008, non sarebbe chiaro se l’obbligo dei committenti di rispettare a propria cura e spese il d.lgs. n. 81/2008 li costringa soltanto a sostenere gli oneri organizzativi ed economici in tema di formazione e sorveglianza sanitaria, connessi all’esercizio delle facoltà spettanti ai lavoratori, oppure anche a fornire a questi ultimi idonee attrezzature di lavoro ed i necessari dispositivi di protezione individuale.
La norma di più rilevante impatto è certamente quella che disciplina gli aspetti economici: l’art. 47-quater, applicabile dal 3 novembre 2020, decorsi cioè dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, delega ai contratti collettivi, stipulati da organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, la definizione dei criteri di determinazione del compenso complessivo, tenuto conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell'organizzazione del committente, e prevede poi, anche in difetto della stipula di tali contratti, il divieto di cottimo, la garanzia di un compenso minimo orario parametrato sui minimi dei contratti di settori affini e la corresponsione di specifiche indennità per il lavoro notturno, festivo o in condizioni meteorologiche avverse.
L’imprecisione del dettato normativo ha alimentato un dibattito sulla estensione del divieto, e quindi sulla derogabilità ad opera della contrattazione collettiva di cui al comma 1 del divieto di retribuzione a cottimo puro, ritenuta ammissibile alla luce dell’interdizione del compenso a chiamata contenuta espressamente nel solo comma 2, che disciplina la retribuzione in mancanza di accordi.
In verità l’interpretazione sistematica più coerente con la ratio protettiva della norma appare quella che porta ad un divieto di cottimo cd. puro generalizzato, operante non solo in mancanza di accordo collettivo ma anche con l’esclusione dalla delega prevista nel primo comma della facoltà per la contrattazione collettiva di fissare il compenso del rider autonomo facendo esclusivo riferimento alle consegne; in tal senso depone del resto il dato letterale che, facendo riferimento al “compenso complessivo”, presuppone una pluralità di modalità con una preclusione per il sistema del cottimo integrale.
Sui problemi connessi alla rappresentatività delle associazioni sindacali firmatarie degli accordi in deroga si rimanda a quanto già osservato in relazione agli accordi ex art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015.

8) Conclusioni.

L’analisi compiuta evidenzia che, come per tutte le tipologie di lavoro, anche per i riders è possibile che il regolamento contrattuale preventivamente convenuto non trovi effettiva attuazione o che si realizzi una divergenza tra l’auto-qualificazione e il concreto atteggiarsi del rapporto, anche per un intento ab initio simulatorio ed elusivo di una delle parti in posizione dominante.
È indubbio che ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto di un rapporto di lavoro autonomo, ma anche subordinato o atteggiarsi secondo forme più o meno articolate di coordinamento e collaborazione.
Per i lavori della gig economy la subordinazione non deve costituire un tabù, ma solo una delle diverse modalità possibili; come più volte ricordato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 121 del 1993, n. 115 del 1994, n. 76 del 2015), lo statuto protettivo inderogabile che caratterizza la subordinazione ha quale conseguenza ineludibile l’indisponibilità del tipo negoziale, sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali, e di fronte al moltiplicarsi degli interventi legislativi di qualificazione espressa dei rapporti di lavoro tale principio ricopre “un ruolo sistematico di rilievo, sia nell’opera adeguatrice dell’interprete, sia nel vaglio di costituzionalità”.
Anche per le nuove forme di lavoro appare quindi sufficiente il ricorso a categorie già note e normate che vedono, accanto alla tradizionale ripartizione tra lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. e lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., le più evolute figure del lavoro etero-organizzato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, o coordinato e continuativo e concordato ex art. 409 n.3 c.p.c.
A ciascuna di queste forme contrattuali corrisponde un diverso statuto protettivo con un sorta di gradualità decrescente, inversamente proporzionale all’autonomia, ed un livello minimo inderogabile; perché ad ogni lavoratore sia assicurata pari dignità è necessario che il sistema di protezione che gli viene riconosciuto sia quello corrispondente all’effettivo e reale atteggiarsi del suo rapporto di lavoro.
Ferme le difficoltà, l’indagine non può che essere condotta sul piano fattuale, verificando la vera natura del rapporto, in tutta la sua sequenza negoziale, dalla fase di costituzione, a quella di esecuzione, a quella del recesso, prestando particolare attenzione all’aspetto organizzativo, alla durata ed alla continuità del rapporto.
Da tempo attenta dottrina invoca una disciplina universale dei “lavori” che, ponendosi quale base comune minima ed inderogabile, garantisca un salario proporzionato e dignitoso, condizioni di lavoro accettabili e sostenibili, tutela della sicurezza e della salute del lavoratore, e depotenzi in partenza questa deleteria tendenza ad una mistificazione delle concrete modalità di svolgimento dei rapporti attraverso qualificazioni fittizie; seppure timidamente, il legislatore pare essersi mosso in questa direzione con le modifiche apportate al d.lgs. n. 81/2015 dal d.l. n. 101/2019, come convertito.

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