testo integrale con note e bibliografia

1. Il problema qualificatorio del rapporto di lavoro dei riders delle piattaforme digitali tra diritto interno ed europeo

Nel sintetizzare l’evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali in materia di qualificazione del rapporto di lavoro dei ciclofattorini delle piattaforme digitali, è stato recentemente osservato che «si è assistito a un progressivo mutamento degli stessi che ha portato al superamento delle iniziali pronunce favorevoli a ricondurre il lavoro dei riders nell’alveo del lavoro autonomo coordinato e continuativo e in definitiva a una “demistificazione della narrativa dell’autonomia”» . In effetti, come è avvenuto anche in altre vicine giurisdizioni , le prime pronunce inclini a una qualificazione in termini tout court di autonomia – essenzialmente per il rilievo dirimente attribuito alla libertà di accettare la chiamata, formalmente riconosciuta ai riders – sono state ben presto superate da orientamenti, ormai decisamente prevalenti, favorevoli a un inquadramento vuoi nella specie del lavoro autonomo etero-organizzato, ex art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 , vuoi senz’altro in quello subordinato, ai sensi dell’art. 2094 c.c. .
Tuttavia, anche se sembra essersi ridislocata lungo il sottile crinale che separa etero-direzione ed etero-organizzazione, in certo modo sdrammatizzandone gli esiti applicativi (convergenti nell’attribuzione dell’insieme delle tutele proprie del lavoro subordinato), la querelle qualificatoria resta centrale anche nel nostro ordinamento e pare destinata a complicarsi ulteriormente in vista della definitiva adozione della Direttiva sui lavoratori delle piattaforme , che, seppure con previsioni sensibilmente diverse da quelle contenute nella iniziale proposta della Commissione europea , dedica alla qualificazione del rapporto di lavoro alcune delle sue più significative e innovative disposizioni , a partire da quella (di cui all’attuale art. 5) che richiede agli Stati membri di prefigurare meccanismi presuntivi, in funzione anti-elusiva, destinati in astratto a favorire l’inquadramento nella subordinazione quantomeno di quelle figure ormai social-tipiche della gig economy costituite dai riders delle piattaforme per la consegna di cibo in ambito urbano .
Gli spunti di riflessione che seguono hanno lo scopo di saggiare le potenziali ricadute della «Direttiva piattaforme» sulla qualificazione del rapporto di lavoro dei riders, dove in realtà un’applicazione in qualche modo «artigianale» della nozione europea di lavoratore subordinato si è già fatta strada nella giurisprudenza, come dimostrano proprio le recenti pronunce milanesi, a ben vedere anche quelle che hanno optato per l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, con effetti pratici pressoché interamente corrispondenti a quelli senz’altro conseguenti all’inquadramento nella subordinazione ex art. 2094 c.c. . L’attribuzione, in prospettiva «rimediale», secondo il noto insegnamento fatto proprio dalla stessa Suprema Corte, dello statuto protettivo del lavoro subordinato anche ai collaboratori etero-organizzati sdrammatizza, evidentemente, di certo sul piano pratico ed «effettuale», la questione qualificatoria, che appunto non incide sulle tutele garantite al lavoratore, comunque accordate anche ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015. Ma se sul piano pratico l’ordinamento italiano – in virtù di tale previsione – può concedere una qualche dose d’indifferenza rispetto agli esiti della qualificazione (incoraggiando, a ben vedere, un certo eclettismo combinatorio negli argomenti utilizzati dalle parti e dagli stessi giudici per ascrivere la fattispecie al campo della subordinazione ovvero soltanto a quello della collaborazione autonoma etero-organizzata), sul piano dogmatico il problema della individuazione di una precisa linea di confine tra i due campi, con ogni evidenza, rimane, e sembra in prospettiva acuito proprio dalla richiesta d’introdurre un meccanismo presuntivo in favore del riconoscimento della natura subordinata del rapporto, che viene ora rivolta al legislatore nazionale dalla Direttiva europea .
È esattamente su questa complessa interazione tra i diversi piani di rilevanza, nazionale ed europeo, che condizionano le operazioni di qualificazione del rapporto di lavoro dei riders delle piattaforme digitali, che occorre sollevare qui qualche interrogativo e tentare di formulare qualche ipotesi di risposta.

2. La pragmatica inclinazione verso la prospettiva «rimediale» dei giudici italiani

Come si accennava, il classico dilemma qualificatorio autonomia/subordinazione – sempre centrale sul piano dogmatico – nel nostro sistema è stato stemperato, sul piano pragmatico delle concrete conseguenze di tutela in favore del prestatore di lavoro, essenzialmente in virtù della innovativa previsione contenuta nel primo comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 , come modificata dalla legge n. 128/2019, la quale, «alla stregua di una norma o comando di parificazione» , salva la deroga (vincolata e limitata) consentita alla contrattazione collettiva nazionale dal secondo comma e al di fuori delle specifiche esclusioni soggettive ivi contemplate, impone l’integrale estensione della disciplina protettiva del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Si tratta, come ha ben puntualizzato Giorgio Fontana, di una «misura di parificazione, dunque, più che di “norma di disciplina” in senso proprio» , poiché estende al collaboratore autonomo etero-organizzato lo statuto protettivo del lavoro subordinato «integralmente e complessivamente inteso […], di derivazione quindi sia legale che pattizia» , «senza che si possa far transitare, attraverso tale dispositivo, un aggravamento dell’area dell’obbligo del lavoratore o, ancora, un assoggettamento del collaboratore ai poteri dell’imprenditore che attengono e riguardano esclusivamente i contratti rientranti nello schema ex art. 2094 c.c.» .
Poiché, sul concreto e decisivo piano della effettività delle tutele , è relativamente indifferente – anzitutto per il lavoratore ricorrente – che la prestazione lavorativa svolta venga sussunta nella fattispecie del lavoro subordinato o venga invece ricondotta alla previsione dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, la «norma di parificazione», o di «disciplina», racchiusa in tale disposizione ha in qualche modo incoraggiato un certo ecclettismo nell’impiego giudiziale degli indici di qualificazione del rapporto, con una tendenza – rintracciabile soprattutto nella giurisprudenza di merito più recente – ad un uso sincretico, per così dire, di quelli tipicamente elaborati nell’ordinamento interno e di quelli di provenienza europea.
Offrono un esempio particolarmente calzante di questa tendenza le sentenze che hanno riconosciuto la natura senz’altro subordinata del rapporto di lavoro dei riders delle piattaforme digitali per la consegna di cibo a domicilio . Ma non sono estranee a tale tendenza neppure quelle che hanno preferito optare per l’inquadramento di tali rapporti di lavoro nell’ambito dell’ampio perimetro visualizzato dalla previsione dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 , come risulta in particolare dalla valorizzazione della distinzione tra «fase genetica» e «fase esecutiva» del rapporto .
È agevole in tal senso constatare come detta distinzione, che nel ragionamento svolto dal Tribunale di Milano nella sentenza del 19 ottobre 2023 (e prima ancora in quello della Corte di cassazione nel leading case 1663/2020) è stata «funzionale a ricondurre le relazioni di lavoro intrattenute dai ciclofattorini con la piattaforma di food delivery nello schema delle collaborazioni etero-organizzate» , nella sentenza palermitana del 24 novembre 2020 – la prima ad accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di un rider – sia rimasta invece assorbita dentro lo schema della subordinazione per la forza attrattiva, e per l’appunto assorbente, del potere direttivo e di controllo esercitato dalla piattaforma nel momento dell’effettiva esecuzione della prestazione. Una forza attrattiva che – anche nell’assai eclettica motivazione del decreto ex art. 28 St. lav. del 28 settembre 2023 con cui, in prima istanza, il Tribunale di Milano ha dichiarato l’antisindacalità della condotta di Uber Eats Italy s.r.l. per l’omissione delle procedure di informazione e consultazione previste dall’art. 1, commi 224 e seguenti, della legge n. 234/2021 e dall’art. 4 della legge n. 223/1991 – finisce, a ben vedere, per retroagire sulla stessa «fase genetica» del rapporto, consentendo così al giudice di svalutare il rilievo qualificatorio della libertà di rifiutare la corsa formalmente riconosciuta al prestatore di lavoro .
Ed è in particolare qui che il giudice di Milano, come aveva già fatto quello di Palermo, si rifà alla nozione di lavoratore subordinato elaborata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, nella quale pure emerge – nel contesto di una concezione eminentemente economico-organizzativa di subordinazione, che prescinde dalla esistenza di un vero e proprio potere direttivo-conformativo del datore di lavoro – una tendenziale irrilevanza di una siffatta libertà , quando risulti priva di effettiva incidenza sul concreto svolgimento della prestazione. In effetti, è questo il profilo in cui la nozione elaborata a livello euro-unitario – che tende a gravitare su un’ampia idea di dipendenza organizzativa e prima ancora sul carattere reale ed effettivo della prestazione svolta in contropartita di una retribuzione – si discosta con più evidenza dalla tradizionale configurazione del concetto di etero-direzione.
La nozione europea di subordinazione, risultante dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, è nella sostanza sovrapponibile a quella di collaborazione etero-organizzata ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 . Questa convergenza pratica tra le due nozioni, se da un lato facilita operazioni di attrazione nel regime protettivo del lavoro subordinato in via «rimediale», in una logica che conforma «per l’effetto» l’ordinamento interno a quello dell’Unione, il quale fa evidentemente propria una concezione allargata e sovra-inclusiva di subordinazione, dall’altro lato potrebbe determinare – come avremo modo di notare meglio più avanti – qualche difficoltà nel recepimento espresso della previsione in tema di presunzione legale contenuta nell’art. 5 della «Direttiva piattaforme».
Peraltro, nel citato provvedimento del 28 settembre 2023 il giudice milanese di spinge oltre il riferimento al concetto europeo di lavoro subordinato, per aderire a una lettura della subordinazione, che viene con qualche forzatura interpretativa riferita alla sentenza 1663/2020 della Suprema Corte, «in termini socio-economici», ritenendo «opportuno abbandonare criteri formali come il potere di coordinamento e ancor più il potere organizzativo che difficilmente, almeno nel concreto svolgimento del rapporto di lavoro, si distinguono dal potere direttivo e optare per la adozione di criteri ermeneutici come la debolezza contrattuale o la dipendenza economica del collaboratore» . In realtà, questo passaggio, forse la punta più estrema di quell’eclettismo qualificatorio al quale abbiamo alluso, oltre che discutibile in sé, pare piuttosto avulso e inconferente rispetto al complessivo impianto motivazionale, che è in definitiva saldamente ancorato a criteri giuridico-formali, sia pure rivisitati alla luce della nozione europea di subordinazione.
Questa nozione è destinata probabilmente a rafforzare la propria incidenza sull’ordinamento interno alla stregua delle nuove previsioni della «Direttiva piattaforme», che pure esibiscono – come stiamo per dire – tratti di qualche ambivalenza.

3. La nuova Direttiva europea e la presunzione semplice di subordinazione

La Direttiva, che in talune sue previsioni è applicabile anche alle persone che svolgono in favore delle piattaforme prestazioni di lavoro propriamente autonomo , fa propria la stessa definizione di lavoratore subordinato che è ormai stabilmente presente nella più recente legislazione euro-unitaria, a partire dalla Direttiva 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea. Ai sensi dell’art. 1, par. 2, primo alinea, e dell’art. 2, par. 1, n. 4) della Direttiva, per «lavoratore delle piattaforme digitali» deve intendersi «qualsiasi persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali e ha un contratto di lavoro o si ritiene che abbia un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati membri, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia».
Si tratta – come è stato da più parti osservato – di una nozione «ibrida», che tempera il tradizionale rinvio sussidiario al diritto nazionale, tipico delle direttive di armonizzazione minima, con l’esplicito riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia, di cui i legislatori nazionali dovranno tenere conto in sede di trasposizione della Direttiva onde disegnarne il campo di applicazione in sintonia con la più ampia nozione europea, quale appunto risultante dal consolidato acquis giurisprudenziale . Da questo punto di vista, la previsione maggiormente innovativa della «Direttiva piattaforme» non sta tanto nella nozione mista, o ibrida, di lavoratore subordinato, che essa recepisce in linea con la più recente legislazione sociale europea; essa è invece contenuta nella disposizione – l’attuale art. 5 del testo di compromesso finale – che regola la presunzione legale. Sennonché, come noto, il contenuto innovativo della iniziale proposta della Commissione europea è stato sensibilmente depotenziato nella versione finale della Direttiva.
L’originaria proposta della Commissione conteneva una previsione, subito oggetto di una vivace discussione non soltanto dottrinale, che avrebbe potuto fornire un forte impulso al processo di europeizzazione della nozione estensiva di lavoratore subordinato. La proposta della Commissione prevedeva, infatti, una innovativa presunzione semplice di lavoro subordinato, legata a una serie di indici che, essendo stati pensati sulla scia della giurisprudenza della Corte di giustizia , risultavano sintomatici, nella sostanza, di situazioni di dipendenza economico-organizzativa del prestatore di lavoro, piuttosto che di assoggettamento in senso proprio al potere direttivo datoriale .
Alla stregua della formulazione originaria della proposta, il controllo dell’esecuzione del lavoro che avrebbe reso operante la presunzione semplice di subordinazione era inteso, ex art. 4, par. 2, «come caratterizzato dalla presenza di almeno due dei seguenti elementi: a) determinazione effettiva del livello della retribuzione o fissazione dei limiti massimi per tale livello; b) obbligo, per la persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali, di rispettare regole vincolanti specifiche per quanto riguarda l’aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro; c) supervisione dell’esecuzione del lavoro o verifica della qualità dei risultati del lavoro, anche con mezzi elettronici; d) effettiva limitazione, anche mediante sanzioni, della libertà di organizzare il proprio lavoro, in particolare della facoltà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di ricorrere a subappaltatori o sostituti; e) effettiva limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi».
In una prima riformulazione proposta dalla Presidenza ceca del Consiglio con intenti di mediazione , l’impianto della presunzione semplice non era stato inizialmente modificato nella sostanza, visto che la previsione di cui alla lettera d) veniva scomposta in tre distinti criteri: la limitazione, anche mediante sanzioni, della libertà di organizzare il proprio lavoro (in particolare della facoltà di scegliere l’orario o i periodi di assenza), quella di accettare o rifiutare incarichi e quella di ricorrere a subappaltatori o sostituti diventavano, pertanto, indici separati (con la conseguenza che sarebbe salito a tre su sette il numero di indici la cui allegazione e prova era richiesta per far scattare la presunzione). A tal fine gli Stati membri erano comunque chiamati a stabilire un quadro di misure conformemente ai rispettivi ordinamenti giuridici e sistemi giudiziari nazionali onde rendere applicabile la presunzione legale in tutti i procedimenti amministrativi e giudiziari pertinenti. La riformulazione suggerita dalla Presidenza ceca riduceva al contempo significativamente il raggio applicativo della presunzione, esentando i procedimenti in materia fiscale, previdenziale e penale.
Neppure tale formula di mediazione ha, però, superato la forte contrarietà manifestata da alcuni governi nazionali come anche da settori del Parlamento europeo. La presunzione – pur relativa – di subordinazione è infatti rimasta, durante tutto il travagliato iter di discussione, il punto maggiormente controverso, registrandosi su di essa una persistente contrarietà di taluni governi nazionali (tra i quali principalmente quello francese) come anche all’interno di alcuni gruppi politici del Parlamento europeo.
Il profilo maggiormente problematico riguardava senza dubbio le modalità applicative del meccanismo presuntivo, a causa della latente discrasia tra il piano di rilevanza europea, nel quale si collocava la presunzione, e quello nazionale, nel quale la presunzione era, ed è, comunque destinata a operare in concreto. In dottrina si è al proposito parlato di una potenziale «aporia», in quanto «da una parte non si definisce il lavoratore delle piattaforme digitali (ma si rinvia al diritto, ai contratti e alle prassi degli ordinamenti nazionali), dall’altra si stabilisce che si presume subordinato, e che, pertanto, è di natura subordinata (sino a prova contraria) “il rapporto contrattuale tra una piattaforma di lavoro digitale che controlla, ai sensi del paragrafo 2, l’esecuzione del lavoro e una persona che svolge un lavoro mediante tale piattaforma”» .
Il problema posto così in evidenza era innegabile, ma la soluzione alla fine raggiunta per superarlo, con l’accordo dell’8 marzo 2024, potrebbe risolversi in una cura peggiore del male, visto che il testo conclusivo di compromesso finisce per dare una rilevanza preponderante al diritto nazionale, a scapito della ratio armonizzatrice che ispirava l’iniziale proposta della Commissione . Infatti, in base al citato testo di compromesso, gli Stati membri sono sì ancora tenuti ad introdurre un meccanismo presuntivo atto a facilitare l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro dei lavoratori delle piattaforme; non più, però, sulla base di criteri comuni definiti dalla stessa Direttiva, ma alla stregua degli indici fattuali di direzione e controllo della prestazione lavorativa rilevanti in forza del diritto interno del singolo Stato membro, sia pure tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia.
Il nuovo art. 5, par. 1, è infatti così formulato: «Si presume che il rapporto contrattuale tra una piattaforma di lavoro digitale e una persona che svolge un lavoro mediante tale piattaforma sia un rapporto di lavoro quando si riscontrano fatti che indicano un potere di controllo o di direzione, conformemente al diritto nazionale, ai contratti collettivi o alle prassi in vigore negli Stati membri, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia. Se la piattaforma di lavoro digitale intende confutare la presunzione legale, spetta a tale piattaforma dimostrare che il rapporto contrattuale in questione non è un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati membri, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia». Il secondo paragrafo aggiunge che, a tal fine, gli Stati membri «stabiliscono una presunzione legale confutabile efficace del rapporto di lavoro che costituisce un’agevolazione procedurale a vantaggio delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali e provvedono affinché tale presunzione legale non abbia l’effetto di aumentare l’onere degli obblighi a carico delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali, o dei loro rappresentanti, nei procedimenti di accertamento della loro situazione occupazionale» (una sorta di clausola di non regresso, quest’ultima, diretta a scongiurare che nella disciplina degli indici presuntivi i legislatori nazionali convertano, di fatto, in un aggravio probatorio e, quindi, in uno svantaggio quel che vuole essere un’agevolazione).
Pare piuttosto evidente che, così riformulata in termini che potremmo definire «sussidiari temperati», la presunzione rischi di perdere buona parte della sua capacità armonizzatrice e di essere fortemente depotenziata nei suoi riflessi espansivi della funzione protettiva della nozione europea di subordinazione risultante dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Non siamo più in presenza di un congegno presuntivo ancorato a criteri comuni definiti direttamente a livello europeo e costruiti sulla base di ampi indici di dipendenza economico-organizzativa del lavoratore. La previsione contenuta nel citato art. 5 prefigura, piuttosto, tanti diversi meccanismi presuntivi quanti sono gli Stati membri dell’Unione, con un forte rischio di soluzioni difformi e, in definitiva, di indebolimento di uno dei principali obiettivi di tutela sovranazionale dei lavoratori delle piattaforme digitali , che non sembra poter essere del tutto scongiurato dal richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia .

4. Ricadute prospettiche della Direttiva europea sull’ordinamento interno

Secondo talune opinioni l’assetto normativo prefigurato dal legislatore italiano, attraverso il combinato disposto degli artt. 2094 e del 2 d.lgs. n. 81/2015, sarebbe già idoneo a garantire il risultato imposto dalla Direttiva . In particolare, sarebbe il «magnete» dell’art. 2 ad assicurare, appunto sul piano effettuale o rimediale, una tale pre-conformazione del sistema di tutela prefigurato dall’ordinamento nazionale alla Direttiva europea e in particolare alla previsione sulla presunzione legale.
In altre parole, «il progressivo orientamento, sia pur solo tendenziale, verso la subordinazione (intesa come fattispecie o, eccezionalmente, come effetti, ovvero tutele), accompagnato da un parallelo processo di estensione, in alcune giurisdizioni (compresa quella italiana), di alcune guarentigie lavoristiche a favore dei lavoratori delle piattaforme autonomi (riders e non solo)» , allo stesso modo in cui depotenzia nei fatti il classico problema qualificatorio, ridimensionerebbe – in questa pragmatica prospettiva – anche l’esigenza di introdurre appositi meccanismi procedimentali di presunzione della natura subordinata del rapporto di lavoro con la piattaforma, visto che il contenitore dell’art. 2 è già oggi sufficientemente ampio da attrarre nel regime di tutela del lavoro subordinato, sia pure solo quoad effectum, i rapporti che, nelle intenzioni del legislatore europeo, potrebbero giovarsi della presunzione relativa di subordinazione.
L’opinione ha un indubbio fondamento argomentativo e potrebbe essere pragmaticamente condivisa, sia pure chiarendo talune premesse o condizioni. L’essenziale condizione implicita – che sembra peraltro utile esplicitare – è che, in sede di attuazione della Direttiva, il legislatore italiano, come ha già fatto trasponendo nell’ordinamento interno la Direttiva 2019/1152, includa espressamente, tra i destinatari delle tutele da questa prefigurate, tutti i rapporti di lavoro ai quali è riferibile la nozione di subordinazione elaborata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Sarebbe peraltro opportuno che, oltre a includere espressamente i rapporti di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, il legislatore facesse riferimento – come avvenuto con il d.lgs. n. 104/2022 – anche alle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c., ancorché oggi il crisma dell’autonomia (come facoltà di auto-organizzazione del collaboratore al di fuori di prerogative di coordinamento unilateralmente esercitabili dal committente) risulti chiaramente affermato a seguito della norma di interpretazione autentica recata dall’art. 15 della legge n. 81/2017.
Resta, però, che, per l’ordinamento interno, per quanto difficile in pratica, come dimostra l’ambivalente giurisprudenza di merito sopra sommariamente analizzata, la distinzione tra etero-direzione ed etero-organizzazione rimane netta sul piano sistematico, perché solo ove ricorra la prima la prestazione lavorativa potrà essere ricondotta alla fattispecie della subordinazione ex art. 2094 c.c., dovendo invece essere attratta al relativo statuto protettivo soltanto «per l’effetto» e in via «rimediale» al ricorrere dei presupposti dell’ipotesi visualizzata dall’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, che delimita, tuttavia, un insieme trans-tipico di rapporti di lavoro pur sempre autonomo, per questo consentendo le deroghe previste dal secondo comma. Ciò può determinare una oggettiva difficoltà di raccordo tra i due livelli ordinamentali , per il tendenziale disallineamento tra fattispecie ed effetti, ovvero tra una convergenza pratica quanto a risultati di tutela e una divergenza sistematica nella classificazione o qualificazione del rapporto, pur neutralizzata dalla norma di parificazione contenuta nell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015.
La seconda condizione che pare allora opportuno esplicitare, a conclusione di questa analisi, è che – come peraltro occorre ritenere su un piano più generale – nessuna deroga alle tutele previste dalla Direttiva possa essere consentita alla contrattazione collettiva, neppure con riguardo ai rapporti di lavoro che, nell’ordinamento nazionale, risultino inquadrabili nello schema dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015.

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