testo integrale con note e bibliografia

1. Introduzione.
Di grande attualità è ancora oggi la vexata quaestio della dicotomia “autonomia – subordinazione”, cui è strettamente correlata la questione della qualificazione del rapporto dei riders e, conseguentemente, delle tutele ad essi applicabili.
Trattasi di una questione giuridica all’attenzione dei giuslavoristi, alla ricerca della disciplina applicabile a quelle collaborazioni eterorganizzate che si trovano nella zona grigia tra le prestazioni d’opera professionali (art. 2222 c.c.) e i rapporti di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.). Non vi è dubbio che, a fronte dell’affermazione della Gig Economy e della globalizzazione, il modello codicistico risulta ormai insufficiente a regolare quelle nuove forme di lavoro in piattaforma dal facile accesso e flessibili.
Il dibattito giuslavoristico odierno si sta concentrando sugli interventi per il contrasto alle discriminazioni dei riders, fornendo utili riflessioni in relazione al funzionamento del sistema di conferimento degli incarichi gestito dagli algoritmi delle piattaforme digitali ed alla repressione della libertà sindacale in sede contrattuale .
Apprezzabile è l’evoluzione che si registra nella giurisprudenza interna, nel tentativo di fornire tutele effettive a questi lavoratori “atipici”. Varie le questioni interpretative ancora aperte, perché il peculiare modello di lavoro dei riders non ha una regolamentazione normativa specifica ed organica. Si rimette quindi allo sforzo dell’interprete la individuazione della disciplina applicabile, avuto riguardo – caso per caso – alle concrete modalità di esecuzione del rapporto.
L’esigenza di una regolamentazione organica di questa nuova tipologia di rapporto di lavoro, sempre più diffusa, è avvertita sia a livello unieuropeo, sia sul piano nazionale, ove timidi risultano i riconoscimenti in favore di tali lavoratori da parte del D.L. n. 101/2019, conv. in legge n. 128/2019, che ha integrato la previsione contenuta nell’art.2 del D.Lgs. n. 81/2015. La disciplina, tuttora incompleta e frammentaria, si muove nell’ammirevole direzione della universalizzazione delle tutele fondamentali oltre il lavoro subordinato, e ciò a tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali al fine di scongiurare il capolarato digitale dove i lavoratori della Gig Economy hanno sostituito i braccianti agricoli .

2. Obblighi di informazione nei sistemi automatizzati e quadro normativo di riferimento.

Alle collaborazioni etero-organizzate sono stati estesi vari obblighi informativi, e ciò a tutela del lavoro tramite piattaforme digitali.
In particolare, il D.Lgs. 27 giugno 2022, n. 104, anche noto come “Decreto Trasparenza”, ha recepito nell'ordinamento interno le previsioni della Direttiva UE n. 1152 del 2019, arricchendo, mediante la tecnica della novella, il testo del D.Lgs. n. 152 del 1997, in cui è fissato l'elenco delle informazioni inerenti al costituendo rapporto di lavoro che il datore è tenuto a fornire al momento della sottoscrizione del contratto ovvero con una successiva comunicazione .
Nel corpo del decreto delegato è stato aggiunto l’art. 1-bis, che prevede specifici obblighi di trasparenza allorché l'imprenditore si determini ad utilizzare sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, spingendosi quindi oltre le indicazioni della Direttiva UE 2019/1152, silente su questo specifico punto. E’ stato, in particolare, introdotto un supplemento d’informativa a carico di chi, nella propria organizzazione, si avvale di sistemi decisionali o di monitoraggio “integralmente automatizzati”, che dev’essere assolto anche nei riguardi dei soggetti collettivi , titolari di un diritto di accesso immediatamente esigibile e azionabile in giudizio.
I dispositivi d'informazione introdotti da tale ultima disposizione e posti a carico dei datori di lavoro e, “nei limiti della compatibilità”, anche ai committenti pubblici e privati , sono volti a contrastare il fenomeno acutamente definito come doppia opacità : degli algoritmi possono risultare oscuri sia l'effettivo impiego sia i relativi meccanismi di funzionamento, ossia i percorsi logici seguiti per la produzione di un determinato esito, onde verificare se questo sia conforme alla legge ovvero, al contrario, dettato da intenti ritorsivi, discriminatori ed emarginatori. Proprio l’avvertita esigenza di antagonizzare tale seconda opacità ha indotto il Legislatore a prevedere obblighi informativi dettagliati, relativi anche alla logica ed al funzionamento dei sistemi automatizzati nonché al dataset, ai principali parametri utilizzati per programmare o addestrare i sistemi e al relativo livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza.
Il legislatore domestico ha dunque inteso garantire massima effettività al principio di trasparenza, al punto da far porre il dubbio che l'art. 1-bis si ponga al di fuori del perimetro della delega, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost., giacché nessuna norma della Direttiva UE 2019/1152 richiama i sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati e non si scorge né fra i considerando né all'interno dell'articolato precettivo alcun riferimento alle particolari questioni poste dall'utilizzo dei processi algoritmici in ambito lavorativo .
E’ stato osservato che il legislatore interno avrebbe precorso i tempi di approvazione della direttiva sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori delle piattaforme , mutuando da essa alcune soluzioni regolative che avrebbero spinto l’Esecutivo all’eccesso di delega.
In realtà, la previsione degli obblighi informativi in relazione ai sistemi automatizzati di cui all'art. 1-bis del D.Lgs. n. 104/2022 non viola la delega di attuazione della Direttiva UE 2019/1152, la quale, nello stabilire gli obblighi informativi dei datori in favore dei lavoratori e dei sindacati di riferimento su tutti gli elementi del rapporto di lavoro, prevede espressamente che gli Stati membri possano stabilire condizioni di miglior favore .
Apprezzabile è lo forzo interpretativo del Ministero del Lavoro, che con Circolare 20 settembre 2022 n.2 ha reso significativi chiarimenti in ordine all’effettiva portata degli obblighi informativi introdotti dal D.Lgs. n. 104/2022, avendo chiarito che è obbligo del datore di lavoro procedere all’informativa di cui all’art.1-bis “quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all’attività decisionale di sistemi automatizzati”, anche in caso di “intervento umano meramente accessorio”.
In ogni caso, la prospettata questione di legittimità costituzionale risulta ormai superata in quanto gli obblighi informativi relativi ai sistemi (ora “integralmente”) automatizzati sono stati riaffermati con il D.L. n. 48 del 2023, convertito con L. n. 85 del 2023, che ha aggiunto l'avverbio “integralmente” quale specificazione qualificante dei “sistemi automatizzati”, non essendo soggetto alle limitazioni contenute nell'originaria legge delega o nella Direttiva da recepire .
In particolare, l’art. 26 del D.L. n. 48/2023 impone un dovere di ostensione datoriale, in favore dei lavoratori e delle loro formazioni sindacali, in riferimento alle informazioni relative ai sistemi di decisione e monitoraggio "integralmente" automatizzati, cioè quelli che non prevedono alcun intervento umano nella fase finale del processo decisionale o di monitoraggio, sempre che tale sistema non sia coperto da segreto industriale o commerciale .
Giova precisare che siffatti obblighi informativi si aggiungono a quelli già previsti dal General data protection regulation (GDPR) che confluiscono, ex artt. 13 e 14 GDPR, nell'informativa sul trattamento dei dati personali nella gestione del rapporto di lavoro, non potendo il Legislatore nazionale derogare alle norme contenute in un Regolamento UE.
Così intrapresa la via di una nuova procedimentalizzazione dei poteri datoriali , può dirsi configurabile un “diritto di informazione di terza generazione”, diretto a “commutare il linguaggio e la logica delle macchine in un linguaggio comprensibile all’uomo, razionalmente spiegabile e, di conseguenza, verificabile nella sua potenziale lesività” .
3. Il lavoro dei riders nella giurisprudenza europea e interna: tra autonomia, subordinazione ed etero-organizzazione.
Il rider esegue in maniera continuativa una prestazione individuale, consistente nella consegna di cibo a domicilio, utilizzando un mezzo proprio (bici, moto, smartphone) e senza l'ausilio di alcun collaboratore. Le modalità di esecuzione della prestazione non sono concordate tra le parti, bensì “imposte” dal committente con un algoritmo.
La questione circa la natura giuridica del rapporto intrattenuto dai riders con le piattaforme digitali è stata affrontata negli ultimi anni, oltre che da autorevole dottrina , sia dalla giurisprudenza europea sia da quella italiana.
Quanto alla giurisprudenza europea , giova premettere che nel diritto euro-unitario la nozione di lavoratore è priva di definizione. L'art. 45 del TFUE parla di “lavoratori” nell'ambito di una disposizione finalizzata ad assicurare la “libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione”. La collocazione in tale disposizione spiega come la nozione, nella ratio dell'art. 45 TFUE, sia finalizzata ad assicurare la libera circolazione dei lavoratori europei nel mercato comune “mirando alla garanzia dell'eguaglianza tra gli stessi nel mercato prima che nel rapporto e non alla correlazione delle disparità nascenti dal contratto di lavoro”.
La Corte di Giustizia Europea, nella sentenza FNV Kunsten Informatie (sentenza 4 dicembre 2014, C-413/13), ha evidenziato che un prestatore di servizi può perdere la qualità di operatore economico indipendente, qualora non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal suo committente, per il fatto che non sopporta nessuno dei rischi finanziari e commerciali derivanti dall'attività economica di questo ultimo e agisce come ausiliario integrato nell'impresa di detto committente (cfr. sentenza Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio, EU:C:2006:784, punti 43 e 44). E’ stato poi chiarito che la caratteristica essenziale di tale rapporto è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione (v. sentenze N., C-46/12, EU:C:2013:97, punto 40, nonché Haralambidis, C-270/13, EU:C:2014:2185, punto 28). La Corte ha inoltre sottolineato che la qualifica di "prestatore autonomo", ai sensi del diritto nazionale, non esclude che una persona debba essere qualificata come "lavoratore", ai sensi del diritto dell'Unione, se la sua indipendenza è solamente fittizia e nasconde in tal modo un vero e proprio rapporto di lavoro (v., in tal senso, sentenza Allonby, C-256/01, EU:C:2004:18, punto 71). Ne consegue che lo status di "lavoratore" ai sensi del diritto dell'Unione non può essere pregiudicato dal fatto che una persona è stata assunta come prestatore autonomo di servizi ai sensi del diritto nazionale per ragioni fiscali, amministrative o burocratiche, purché tale persona agisca sotto la direzione del suo datore di lavoro, per quanto riguarda in particolare la sua libertà di scegliere l'orario, il luogo e il contenuto del suo lavoro (v. sentenza Allonby, EU:C:2004:18, punto 72), non partecipi ai rischi commerciali di tale datore di lavoro (sentenza Agegate, C-3/87, EU:C:1989:650, punto 36) e non sia integrata nell'impresa di detto datore di lavoro per la durata del rapporto di lavoro, formando con essa un'unità economica (v. sentenza Becu e a., C-22/98, EU:C:1999:419, punto 26).
La Corte ha, dunque, individuato l'area dei rapporti contrattuali di lavoro che necessitano di una disciplina protettiva, ivi compreso il principio di autonomia collettiva che consente di dettare disposizioni restrittive della concorrenza, nell'insieme dei rapporti di lavoro caratterizzati non tanto da una mera dipendenza economica intesa quale “dipendenza reddituale” bensì da una “dipendenza organizzativa”. In ogni caso, ciò che rileva è il concreto atteggiarsi del rapporto, indipendentemente dalla qualificazione formale data dalle parti al contratto stipulato, sicché devono trovare applicazione le tutele del lavoro subordinato in tutte quelle fattispecie in cui l'autonomia del prestatore sia meramente fittizia.
Muovendosi in tale direzione, la CGUE, con l’ordinanza 22 aprile 2020 C-692/2019, ha affermato che “la direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, deve essere interpretata nel senso che osta a che una persona assunta dal suo presunto datore di lavoro in base a un contratto di servizi, in cui viene precisato che essa è imprenditore autonomo, sia qualificata come "lavoratore" ai sensi di tale direttiva, allorché dispone della facoltà di avvalersi di subappaltanti o di sostituti per svolgere il servizio che essa è tenuta a fornire; di accettare o di non accettare i diversi incarichi offerti dal suo presunto datore di lavoro, o di fissarne unilateralmente il numero massimo; di fornire i suoi servizi a qualsiasi terzo, ivi inclusi diretti concorrenti del presunto datore di lavoro e di fissare le proprie ore di lavoro nell'ambito di taluni parametri, nonché di organizzare il proprio tempo secondo le esigenze personali piuttosto che in base ai soli interessi del presunto datore di lavoro, in quanto, da una parte, l'indipendenza di detta persona non risulta fittizia e, dall'altra, non è possibile dimostrare l'esistenza di un vincolo di subordinazione tra tale persona e il suo presunto datore di lavoro. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio procedere, tenendo conto dell'insieme degli elementi pertinenti relativi alla stessa persona, nonché dell'attività economica che essa esercita, alla sua qualificazione alla luce della direttiva 2003/88”.
In questo contesto interpretativo, con la sentenza del 28.10.2016 n. 2202550 l'Employment Tribunal of London ha definito la piattaforma Uber riguardante gli autisti non come mero algoritmo di intermediazione, bensì come azienda privata di trasporto: a seguito dell'accertamento dell'esercizio di un potere di controllo da parte di Uber, gli autisti sono stati qualificati come workers e non come self-employed, ai sensi dell'art. 230 (lett. b) dell'ERA e, conseguentemente, sono stati loro riconosciuti i diritti ad una giusta retribuzione e all'applicazione delle norme sull'orario di lavoro degli autisti privati. Lo status giuridico di worker, che si distingue da quello di employee derivante da contract of employment, secondo la norma inglese sussiste se il rapporto deriva da un contratto di lavoro (lett. a) o da qualsiasi altro contratto in forza del quale una parte si obbliga a fare o a esercitare personalmente un lavoro o servizi per un terzo, il quale non sia un cliente del prestatore (lett. b). Pertanto, lo status di worker implica che agli autisti vengano riconosciuti 28 giorni di ferie annuali retribuite e un limite di 48 ore settimanali, nonché il pagamento del salario minimo, attualmente di 7.50 sterline all'ora per i lavoratori sopra i 25 anni. Agli autisti di Uber vanno pertanto riconosciuti diritti quali le ferie retribuite e il minimo salariale. Tale sentenza, confermata in appello, è stata definitivamente condivisa dalla Corte Suprema del Regno Unito con la sentenza UKSC 5, del 19 febbraio 2021, che ha precisato che il rapporto contrattuale dei drivers è intrattenuto con Uber, non con i passeggeri di volta in volta trasportati.
Altra parte della giurisprudenza europea ha accertato la subordinazione del rapporto di lavoro dei riders con l'impresa che gestisce la piattaforma digitale in considerazione della mancanza di autenticità della scelta dei riders di lavorare oppure no. A mero titolo esemplificativo, si richiama la Cour de Cassation francese, Chambre Sociale del 4.3.2020, n. 374, relativa agli autisti di Uber, ha ritenuto che il prestatore di lavoro non sia un partner commerciale, in quanto nel momento della stipulazione del contratto aderisce ad un servizio di trasporto interamente organizzato da Uber attraverso la piattaforma digitale e i sistemi di elaborazione algoritmici che ne determinano il funzionamento. L'autista che ricorre all'infrastruttura tecnologica non ha la possibilità di crearsi una propria clientela né di determinare liberamente le tariffe da applicare e, in tal modo, colloca la propria attività lavorativa nell'ambito di un quadro di regole determinato dall'esterno. La Corte francese ha così messo in rilievo le condizioni applicate al lavoro degli autisti ritenute rilevanti: l'imposizione di uno specifico percorso da seguire, ricavabile dal fatto che deviazioni inefficienti avrebbero determinato penalizzazioni economiche; la facoltà di Uber di sospendere temporaneamente l'account dopo tre incarichi rifiutati e di disattivarlo per ragioni rimesse 'à la discrétion raisonnable d'Uber'; lo svelamento della destinazione solo al momento del contatto con il cliente; la disconnessione o sospensione dall'account in caso di “comportamento problematico” senza alcuna valutazione di proporzionalità della misura o in merito all'attendibilità degli elementi di prova. Il carattere stringente di tali vincoli esclude, dunque, la libertà del prestatore di scegliere se e quando lavorare.
Nello stesso senso, la Corte Suprema Spagnola (Tribunal Supremo, Sala de lo Social, Pleno) con la sentenza n. 805/2020 ha accertato che l'indipendenza del rider era solo apparente, anche con riferimento alla scelta del come e del quando lavorare, in quanto assoggettato alla piattaforma nell'organizzazione del proprio lavoro, in relazione al funzionamento dell'algoritmo di assegnazione degli slot, funzionale al migliore servizio per il datore di lavoro, e al sistema premiale e/o punitivo delle valutazioni. A seguito di tale sentenza in Spagna è stato approvato il Real Decreto Ley n. 9/2021 entrato in vigore il 12.8.2021 con il quale ai riders è stato riconosciuto lo Statuto di lavoratori subordinati.
Avuto riguardo alla giurisprudenza interna, secondo i primi giudici di merito pronunciatisi su questa tematica , la libertà dei ciclo-fattorini di scegliere se e quando lavorare escludeva un’organizzazione datoriale dei tempi di lavoro e, conseguentemente, non consentiva di configurare né la subordinazione né una forma di etero-organizzazione. In particolare, i Tribunali di Torino e di Milano, seppur attraverso un percorso logico-argomentativo in parte differente, hanno ritenuto la prestazione lavorativa dei rider non riconducibile né al lavoro subordinato né alla collaborazione etero-organizzata ex art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, accertandone, piuttosto, la natura autonoma, e ciò in ragione della libertà dei ciclofattorini di decidere se e quando renderla.
Successivamente, parte della giurisprudenza di merito , ritenuto che l’art.2 D.Lgs. n. 81/2015 postuli un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che ha il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore stabilendo i tempi e i luoghi di lavoro, ha ricondotto l’attività dei riders nella forma della collaborazione eterorganizzata soggetta alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato in forza dell’art.2 cit. E’ stato precisato che, pur senza sconfinare nell'esercizio del potere gerarchico e/o disciplinare che è alla base della eterodirezione, la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile un'effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente, in modo tale che la prestazione lavorativa finisce con l'essere strutturalmente legata a questa e si pone come un qualcosa che va oltre alla semplice coordinazione di cui art. 409 n. 3 c.p.c., poiché in questa ipotesi è il committente che determina le modalità della attività lavorativa svolta dal collaboratore. E siffatta collaborazione etero-organizzata è stata ravvisata dalla Corte d'Appello di Torino con la nota sentenza n. 26/2019, con la quale ha accertato che i ricorrenti erano integrati funzionalmente nell'organizzazione determinata in via unilaterale dalla committente. La Corte ha ritenuto applicabile la disciplina di cui al primo comma dell’art.2 D.Lgs. n. 81/2015, sottolineando, tuttavia, che ciò non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto il fattorino rimane un lavoratore autonomo nell'esercizio della sua attività.
Tale costruzione dogmatica di un tertium genus non è stata condivisa dalla Suprema Corte che, nel suo primo intervento con funzione nomofilattica sul tema , pur confermando la sentenza impugnata (in mancanza di ricorso da parte dei lavoratori in relazione alle domande relative ai licenziamenti), ha ritenuto che “dal 10 gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente. Il legislatore, d'un canto consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad unità tipologica, e, d'altro canto, conscio degli esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell'art. 2094 cod. civ, si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi. In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina. Tanto si spiega in una ottica sia di prevenzione sia "rimediale". Nel primo senso il legislatore, onde scoraggiare l'abuso di schermi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare, ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori. In ogni caso ha, poi, stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato. Si tratta di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea. L'intento protettivo del legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza per l’applicabilità della norma di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero-organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", così mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione. Una volta ricondotta la etero-organizzazione ad elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, si mette in evidenza (nell'ipotesi dell’art.2 D.Lgs. n. 81 del 2015) la differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di comune accordo dalle parti che, invece, nella norma in esame, è imposto dall'esterno, appunto etero - organizzato. Tali differenze illustrano un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell’art.2 D.Lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone e che "possa essere ravvisata etero-organizzazione rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa", concludendo nel senso che "al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art.2, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione". La Corte di Cassazione nella stessa sentenza ha altresì affermato che "non può neanche escludersi che, a fronte di specifica domanda della parte interessata fondata sul parametro normativo dell’art. 2094 cod. civ., il giudice accerti in concreto la sussistenza di una vera e propria subordinazione (nella specie esclusa da entrambi i gradi di merito con statuizione non impugnata dai lavoratori), rispetto alla quale non si porrebbe neanche un problema di disciplina incompatibile ...”.
Più avanzata la posizione della giurisprudenza di merito che, valutate le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa da parte del ciclo-fattorino e rilevato che la possibilità per il medesimo di decidere l'an e il quantum della prestazione è solo formale, ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti , chiarendo che ciò che distingue le fattispecie di cui all’art. 2094 cod. civ. e all’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 non è l'etero-direzione contrapposta all'etero-organizzazione, bensì la “dipendenza” intesa quale messa a disposizione da parte del lavoratore in favore dell'impresa del proprio tempo e delle proprie energie . Se nel momento genetico del rapporto di collaborazione i riders avevano la possibilità di decidere liberamente di obbligarsi allo svolgimento delle prestazioni di consegna delle varie pietanze a domicilio, tuttavia gli stessi non potevano organizzare tempi e modi della propria prestazione in maniera autonoma, ma erano soggetti alle direttive provenienti dall'applicazione, che condizionavano la prestazione sino ad annichilire del tutto la autonomia del lavoratore ed a configurare in concreto le modalità di esecuzione nell'esclusivo interesse della stessa società che aveva il controllo totale della applicazione.
4. La repressione della condotta antisindacale nel lavoro dei riders: il punto nella giurisprudenza.
Così ricostruite le caratteristiche salienti dell'intervento riformatore di cui al D.Lgs. n. 104 del 2022, come anche modificato dal D.L. 4 maggio 2023 n. 48 nonché l’evoluzione giurisprudenziale relativa alla qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro dei riders, la giurisprudenza interna ha esaminato la questione dell'azionabilità dello strumento rimediale sancito dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro, che ometta di comunicare alle OO.SS richiedenti le informazioni in relazione all'utilizzo di sistemi integralmente automatizzati e non coperti da segreto industriale e commerciale.
Le soluzioni giuridiche prospettate appaiono sostanzialmente uniformi oltre che condivisibili.
Dopo i primi arresti iniziali di segno contrario , in alcuni procedimenti promossi dalle OO.SS. nei confronti di piattaforme di Food delivery ai sensi dell'art. 28 Stat. Lav., i giudici del lavoro hanno offerto la invocata tutela ritenendo previamente ammissibile l'accertamento incidentale circa la natura subordinata ovvero etero-organizzata del rapporto di lavoro dei riders (estranei ai giudizi) e vi hanno (pure) provveduto senza l'espletamento di alcuna attività istruttoria limitandosi a richiamare i precedenti giurisprudenziali intervenuti in materia .
La giurisprudenza di merito appare ormai assestata nel senso di riconoscere la tutela sindacale anche ai riders, ritenendo che l'espressione "datore di lavoro" utilizzata dall’art. 28 Stat. Lav. necessiti di essere interpretata alla luce dell'attuale sistema di tutela dei diritti. In particolare, atteso che, secondo quanto stabilito dall’art.2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, nelle collaborazioni etero-organizzate il committente acquisisce tutti gli obblighi che il datore di lavoro ha nei confronti del lavoratore subordinato, la tutela collettiva di cui all'art. 28 deve ritenersi applicabile anche ciclofattorini, quali lavoratori non necessariamente subordinati bensì solo etero-diretti ovvero etero-organizzati.
Ed invero, l’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 ha riconosciuto alle collaborazioni organizzate dal committente una protezione sostanzialmente equivalente a quella dei lavoratori subordinati, con conseguente applicazione “quasi” integrale della disciplina del lavoro subordinato, compresi i diritti affermati nello Statuto dei Lavoratori e senza alcuna esclusione esplicita della normativa processuale.

Peraltro la Suprema Corte ha chiarito che al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione, non contenendo peraltro la norma alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici .

Il richiamo alla figura del “datore di lavoro” utilizzato nell'art. 28 Stat. Lav., dunque, viene attualizzato, interpretandolo alla luce della innovazione legislativa introdotta dal disposto del menzionato D.Lgs. n. 81/2015, che sancisce la piena acquisizione del committente, nelle collaborazioni da lui organizzate, di tutti gli obblighi che il datore di lavoro ha nei confronti del lavoratore subordinato.
In altri termini, la sussistenza di obblighi di informazione, la cui violazione può essere tutelata attraverso lo strumento di cui all’art. 28 Stat. Lav., va affermata a prescindere dalla qualificazione dei riders come lavoratori subordinati ovvero come collaboratori etero-organizzati, considerando che ai sensi del citato art. 2 D.Lgs. n. 81/2015 “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme digitali”.
E l’estensione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato non può riguardare esclusivamente la disciplina sostanziale, dovendo necessariamente estendersi a quella processuale. Peraltro, l’azione ex art. 28 Stat. Lav. garantisce una protezione a livello collettivo, a fronte di condotte lesive, non tipizzate, di beni giuridici quali la libertà ed attività sindacale e il diritto di sciopero, di cui sono titolari sia i singoli lavoratori sia le organizzazioni sindacali .
Il tenore letterale della norma contenuta nell’art. 28 Stat. Lav., con l'esplicito riferimento al "datore di lavoro", va dunque interpretato attualizzando le tutele del rapporto di lavoro subordinato e rendendole così applicabili anche alle nuove fattispecie di collaborazioni etero-organizzate, soggette – ex art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 alla disciplina del rapporto subordinato. Tra l’altro l'art. 28 non è una norma meramente processuale poiché essa individua beni giuridici da tutelare di rilevanza costituzionale, quali la libertà di attività sindacale e il diritto di sciopero, e mira a reprimere, mediante lo strumento processuale, qualunque comportamento che leda i predetti beni tutelati.

Conclusioni.
Mirabile risulta dunque lo sforzo interpretativo della giurisprudenza, in presenza di un quadro normativo indubbiamente deficitario e frammentario, volto a trovare e offrire gli strumenti di tutela sostanziale e processuale alle nuove forme di lavoro etero-diretto o etero organizzato.
D’altra parte “il diritto del lavoro è costretto a riaffermare continuamente la propria legittimazione a governare le province che gli spettano, battendosi con l’ostinazione del vecchio capitano Achab contro gli imbrogli e i trucchi dei suoi stessi governati” .

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