testo integrale con note e bibliografia

1. Il caso.
Con ricorso ex art. 28, d.lgs. n. 150 del 2011 le rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali hanno chiesto che l’accertamento della natura discriminatoria del sistema di valutazione di eccellenza adottato da una società di consegna di cibo a domicilio, con particolare riferimento ai parametri della assiduità, dello svolgimento della prestazione negli slot ad alta domanda e del “no show”, nonché del riconoscimento facciale.
A sostegno delle domande le organizzazioni sindacali ricorrenti hanno dedotto che il sistema di organizzazione del lavoro della società convenuta sarebbe discriminatorio, innanzitutto, sotto il profilo della valutazione dei corrieri, con specifico riguardo 1) ai parametri utilizzati per la “valutazione di eccellenza”, integrandosi una discriminazione multifattoriale per genere, esigenze di cura, handicap ed età, nonché una discriminazione religiosa e sindacale; 2) al parametro del “no show”, ovvero la “mancata presentazione”, integrandosi una discriminazione sindacale. In secondo luogo, l’organizzazione della convenuta sarebbe discriminatoria anche sotto il profilo del sistema di log in mediante riconoscimento facciale, integrandosi una discriminazione geografica.
La società convenuta ha eccepito, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti, per carenza del requisito della maggiore rappresentatività comparata; nel merito, invece, ha chiesto il rigetto del ricorso, contestando la fondatezza delle plurime doglianze avversarie; in estremo subordine, infine, ha eccepito l’inammissibilità della richiesta risarcitoria e della pretesa ex art. 614 bis c.p.c.

2. La questione preliminare della discriminazione potenziale.
Dalla lettura della decisione emerge un primo interessante profilo: le associazioni ricorrenti hanno agito in giudizio denunciando una discriminazione soltanto potenziale, le stesse, invero, non hanno dedotto specifici episodi di discriminazione, né individuato specifici lavoratori discriminati.
Parte convenuta, quindi, ha contestato l’ammissibilità dell’azione giudiziaria avversaria sostenendo il carattere meramente astratto ed ipotetico della discriminazione di cui si chiede l’accertamento. Secondo la società, l’accertamento di una discriminazione non potrebbe prescindere da elementi di fatto concreti, magari anche desunti da dati di carattere statistico, ma comunque comprovanti l’effettività della discriminazione, non potendosi ricorrere all’autorità giudiziaria per l’accertamento di violazioni meramente astratte ed ipotetiche. Con riferimento a tale circostanza, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato che la tutela giurisdizionale finalizzata alla rimozione delle condotte discriminatorie, ex artt. 4 del d.lgs. n. 215 del 2003 e 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, soggiace alla disciplina generale dell’art. 100 c.p.c., sicché, in caso di conseguimento del bene della vita, nelle more del giudizio, da parte dei soggetti lesi dalla discriminazione, va esclusa la persistenza dell’interesse ad agire in capo all’ente esponenziale portatore dell’interesse collettivo, essendo venuto meno il legame con la concreta vicenda di fatto in rapporto alla quale si era posta l’esigenza di tutela. (Cass., sez. lav., sentenza n. 32388 dell’8 novembre 2021). Secondo questo orientamento, dunque, chi agisce in giudizio deve avere interesse ad ottenere un’utilità concreta, consistente nell’attribuzione di un bene della vita giuridicamente tutelato.
Il giudice di prime cure, tuttavia, supera tale eccezione alla luce dell’art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998 che nella prospettiva di tutela delle discriminazioni, prevede il carattere discriminatorio del comportamento aziendale nel caso in cui venga posto in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche qualora non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni; in tali casi, il ricorso può essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Nella prospettiva di tutela delle discriminazioni, dunque, tale disposizione prevede la possibilità di sottoporre al vaglio dell’autorità giudiziaria anche atti o comportamenti discriminatori di carattere collettivo in cui i lavoratori lesi non siano immediatamente e direttamente individuabili.
Il Tribunale di Palermo, per l’effetto, afferma che l’azione civile contro la discriminazione possa essere esperita prescindendo dall’allegazione di concreti episodi di discriminazione, risultando sufficiente accertare, ai fini dell’interesse ad agire e quindi dell’ammissibilità dell’azione, l’effettiva e concreta potenzialità del carattere discriminatorio della condotta della società, rimanendo escluse dal vaglio giudiziarie soltanto gli atti ed i comportamenti che non presentino alcuna potenzialità lesiva concreta.

3. Il sistema di calcolo del cd. punteggio di eccellenza basato anche sui criteri del “contributo” e delle “ore ad alta domanda”.
Occorre, a questo punto, esaminare le singole questioni controverse nel merito della causa.
Le associazioni sindacali ricorrenti, in primo luogo, hanno contestato il modello organizzativo della convenuta nella parte in cui, attraverso i criteri del “contributo” e delle “ore ad alta domanda” utilizzati per l’attribuzione del cd. punteggio di eccellenza, pone in una situazione di particolare svantaggio i corrieri esposti a fattori di discriminazione e, specificamente, coloro che per condizione personale, familiare, età o handicap risultino o possano risultare meno produttivi.
Il modello organizzativo della società convenuta, come emerge in sentenza, “premia” i corrieri più efficienti attraverso i criteri della “valutazione dei clienti”, basato sulle recensioni degli utenti, e del “contributo”, basato sul numero di consegne effettuate negli ultimi ventotto giorni. Premia, inoltre, i più affidabili attraverso i criteri delle “ore ad alta domanda”, determinato dal lavoro prestato intorno all’ora di cena nel fine settimana e nei giorni festivi, e della “mancata presentazione (cd. no show)”, basato sulle assenze dei corrieri negli slot prenotati.
Il vantaggio assicurato dal punteggio di eccellenza consiste nella possibilità per ciascun corriere di prenotare in anticipo, rispetto agli altri, un determinato slot.
Ebbene, la società, sul punto, ha eccepito che lo svantaggio che il punteggio di eccellenza influirebbe soltanto nell’attribuzione degli slot e non anche, come diversamente sostenuto ex adverso, nell’assegnazione del numero degli ordini, specificando, inoltre, che, in ogni caso, i casi di saturazione degli slot sarebbero pochi.
Il giudice del Tribunale di Palermo, tuttavia, non ha condiviso la difesa della resistente, affermando che la priorità attribuita ad alcuni lavoratori rispetto ad altri nella scelta dell’orario in cui prestare l’attività lavorativa (derivante dalla possibilità di prenotare uno slot in anticipo rispetto agli altri) costituisce già da sola un vantaggio, a prescindere dalla possibile affluenza sul numero di ordini disponibili per chi ha la possibilità di accedere soltanto agli slot residui. Il giudice, dunque, non ha accolto l’affermazione della convenuta secondo cui gli slot saturati sarebbero “pochi” atteso che l’essere “poco frequente” non significa che sia inesistente, ma il contrario. E ha dedotto tale affermazione anche da un ulteriore assunto della società, che, con riferimento al criterio della “mancata presentazione (cd. no show)”, ha espressamente dichiarato che la penalizzazione dei corrieri prenotati in uno slot che non abbiano successivamente effettuato il check-in sarebbe prevista “a tutela degli altri corrieri” (cioè necessariamente quelli non prenotati), effettivamente intenzionati ad effettuare consegne in un determinato slot. Da tale circostanza è stato dedotto che il sistema in questione distribuisce strutturalmente (e volutamente) dei vantaggi e degli svantaggi.
Appurato che vi sia un vantaggio, il Giudice ha verificato se lo stesso sia causalmente collegato ad un modello organizzativo discriminatorio, come sostenuto dalle ricorrenti.
Giova precisare, sul punto, che nel caso di specie si fa riferimento alla “discriminazione indiretta” ovvero all’ipotesi in cui una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o nazionalità o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone (art. 2, d.lgs. n. 216 del 2003; Cass., 25 luglio 2019, n. 20204).
Il Tribunale, dunque, è chiamato ad interrogarsi se il disinteresse della resistente per le condizioni personali dei corrieri, ovvero la circostanza che la società convenuta non conosca le condizioni personali dei suoi corrieri, sia conforme al dettato del d.lgs. n. 216 del 2003, nella parte in cui afferma il principio di parità di trattamento anche in relazione all’accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione.
Ebbene, ai fini di tale valutazione, il giudice assume un valore fondamentale al sistema di selezione dei suoi prestatori d’opera, utilizzato dalla società convenuta. Tale sistema, invero, secondo la pronuncia in commento, pone i lavoratori esplicitamente in concorrenza tra loro, offrendo migliori (se non maggiori) opportunità di lavoro a coloro che si dimostrano maggiormente produttivi e disponibili.
Secondo la pronuncia in commento, invero, i corrieri che effettuano più consegne e che lavorano con costanza nell’orario di cena dei fine settimana hanno il vantaggio di poter scegliere, con precedenza rispetto agli altri, quando svolgere le successive prestazioni, con evidenti conseguenze positive nella gestione della propria vita privata e senza neppure considerare la ragionevole possibilità, una volta prenotato uno slot ad alta domanda, da un lato, di poter scegliere tra diversi ordini quello più conveniente e, dall’altro lato, di poter effettuare più ordini nel medesimo tempo.
Da tale contesto organizzativo, il giudice ha dedotto che il disinteresse della società convenuta per le condizioni personali di ciascun prestatore d’opera, nell’ambito del sistema di selezione utilizzato, comporti una discriminazione indiretta dei lavoratori che per condizione personale, familiare, età o handicap siano svantaggiati rispetto ai “concorrenti” (per esempio perché più giovani, senza necessità di cura o assistenza familiari ovvero privi di disabilità).
L’art. 3, d.lgs. n. 216 del 2003, invero, prevede che il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età, di nazionalità e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, con specifico riferimento, tra l’altro, all’accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione.
Tale disposizione, dunque, secondo il Tribunale di Palermo, non consente ad un “committente/datore di lavoro” di predisporre ed utilizzare un sistema di selezione che ignori deliberatamente le individualità dei lavoratori posti in competizione tra loro, visto che il riconoscimento di condizioni differenziate di lavoro incide quanto meno indirettamente sulle possibilità di accesso al lavoro.
Il giudice, dunque, ha dichiarato illegittimo, perché discriminatorio ex d.lgs. n. 216 del 2003, il sistema di calcolo del cd. punteggio di eccellenza basato anche sui criteri del “contributo” e delle “ore ad alta domanda”.
Vale la pena evidenziare, sul punto, che la resistente per giustificare il trattamento riservato ai corrieri non ha opposto alcuna esigenza organizzativa suscettibile di tutela, avendo genericamente richiamato la libertà di impresa che ha copertura costituzionale. La società, quindi, sembrerebbe non aver esplicitato nelle sue difese eventuali specifiche sue esigenze, ma si sarebbe limitata ad affermare che le misure controverse sarebbero state adottate in favore dei lavoratori e, quindi, a loro tutela.
Sul punto, un rilievo critico che va fatto, ad avviso di chi scrive, è che il richiamo, sia pure generico alla libertà di impresa, imponeva al giudice qualche considerazione sul bilanciamento tra l’interesse collettivo tutelato dalle organizzazioni sindacali e la libertà di impresa sotto il profilo organizzativo, tutelata dall’art. 41 Cost.

4. Discriminazione religiosa del criterio “ore ad alta domanda”.
Con la seconda doglianza, parte ricorrente ha dedotto la discriminazione di carattere religioso.
Le associazioni sindacali, invero, hanno sostenuto che, sempre in relazione al “punteggio di eccellenza”, il criterio delle “ore ad alta domanda” discriminerebbe i corrieri che, in ossequio alla loro fede religiosa, non possono lavorare nel fine settimana: segnatamente islamici ed avventisti il venerdì, gli ebrei il sabato ed i cristiani la domenica.
Parte convenuta ha contestato la discriminazione denunciata dalle ricorrenti perché, a prescindere dagli ulteriori rilievi di carattere generale, ciascun corriere potrebbe conciliare la prestazione lavorativa con i precetti del proprio culto.
Sul punto, il Tribunale di Palermo rileva che la resistente non ha posto in essere una discriminazione diretta, bensì indiretta, avendo elaborato un sistema di reclutamento ed organizzazione del lavoro “cieco”, contrario, per tale caratteristica, al dovere di assicurare la parità di trattamento delle persone (senza distinzione, in questo caso, tra appartenenti a diverse confessioni religiose).
La società, d’altro canto, sembra non aver giustificato tale profilo organizzativo in virtù di esigenze aziendali (potenzialmente meritevoli di tutela o bilanciamento), avendo richiamato le esigenze di tutela dei corrieri, cioè potenziali “concorrenti” di persone che professano dei culti con prescrizioni parzialmente incompatibili con il sistema premiale adottato. Gli appartenenti alle confessioni religiose richiamate, secondo il giudice di prime cure, invero, potrebbero sempre lavorare in alcuni slot ad alta domanda, ma avrebbero, in ogni caso, a disposizione un minor numero di “ore ad altra domanda” in cui lavorare.
Pertanto, anche il criterio delle “ore ad alta domanda” è stato dichiarato discriminatorio per ragioni di religione.

5. Il carattere discriminatorio del criterio della “mancata presentazione (cd. no show)”.
Il terzo motivo di ricorso riguarda la discriminazione sindacale derivante dall’applicazione del criterio della “mancata presentazione (cd. no show)” per l’attribuzione del cd. punteggio di eccellenza.
Sul punto, le ricorrenti hanno evidenziato che la penalizzazione connessa alla mancata presentazione del corriere in uno slot prenotato non tiene in alcuna considerazione la ragione dell’assenza, la quale, infatti, potrebbe essere riconducibile ad uno sciopero. In definitiva, dunque, il lavoratore che eserciti un diritto (qual è lo sciopero) risulterebbe pregiudicato perché trattato nello stesso modo (penalizzante) di chi si sia assentato per altre ragioni prive di tutela giuridica.
Da parte sua la resistente, precisando il ridotto rilievo del criterio in questione (valutato soltanto il 5% ai fini del cd. punteggio di eccellenza), ha dedotto, da un lato, che i corrieri ben potrebbero astenersi dal lavoro senza subire la penalizzazione della “mancata presentazione (cd. no show)” semplicemente effettuando il check-in e rifiutando gli ordini proposti (senza subire, così, alcuna penalizzazione) e, dall’altro lato, che in ogni caso la previsione di una penalità connessa alla mancata presentazione del corriere prenotato risponderebbe ad una finalità legittima, consistente nella tutela di altri corrieri che sarebbero stati interessati a lavorare nel medesimo slot.
Come noto, invero, il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l’entità del danno arrecato, non ha altri limiti, attesa la necessaria genericità della sua nozione comune presupposta dal precetto costituzionale (art. 40 Cost.) e la mancanza di una legge attuativa di questo, se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale, nonché la libertà dell’iniziativa economica (ex multis, Cass., sez. lav., 14 marzo 2024, n. 6787; 3 dicembre 2015, n. 24653). Il “committente/datore di lavoro”, dunque, non può limitare, con specifiche disposizioni, le modalità di sciopero.
Come evidenziato dal giudice, nel caso di specie, il problema si pone per le peculiarità del sistema organizzativo adottato dalla società resistente, atteso che ciascun corriere è formalmente libero di lavorare o meno, con la conseguenza che l’astensione dalla prestazione, se non dichiarata, potrebbe non essere percepibile.
Alla luce di tali coordinate, il giudice ha considerato il modello organizzativo della resistente, sotto lo specifico profilo del criterio della “mancata presentazione (cd. no show)”, incompatibile con la libertà dei lavoratori di scioperare secondo le modalità ritenute più adeguate.
Questo perché lo sciopero, in una organizzazione così articolata, si svolgerebbe mediante rifiuto delle consegne dopo l’effettuazione del check-in e non con la modalità alternativa, suggerita dalle associazioni sindacali, consistente nella mancata presentazione del corriere prenotato in un determinato slot. Secondo il giudice, infatti, la prima modalità è assimilabile al lavoratore che si presenti sul luogo di lavoro e rifiuti di fornire la prestazione, mentre la seconda è assimilabile al lavoratore che, aderendo allo sciopero, non si presenti del tutto sul luogo di lavoro: posta in questi termini, nessuno potrebbe dubitare della legittimità di entrambe le modalità di esercizio del diritto di sciopero.
Il modello organizzativo adottato dalla società convenuta è stato censurato di illegittimità per discriminazione indiretta anche allorquando, disinteressandosi deliberatamente dei motivi di assenza dei corrieri, penalizza chi eserciti un diritto sindacale trattandolo nello stesso modo di chi non eserciti alcun diritto, ponendo in una situazione di svantaggio chi manifesta legittimamente le proprie convinzioni.
Tale discriminazione indiretta non è stata esclusa neppure dalla possibilità del lavoratore di dichiarare il motivo della propria assenza, perché tale condotta, secondo il Tribunale, al pari di colui che sciopera rifiutando gli ordini dopo aver effettuato il check-in, è solo una modalità di esercizio del diritto di sciopero, ma non l’unica legittima e quindi suscettibile di tutela.
Il d.lgs. n. 216 del 2003 invero, vieta le discriminazioni nei confronti del lavoratore che partecipi ad attività sindacali, esplicitando, così, le proprie convinzioni personali. Come affermato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, l’intervenuto rafforzamento della tutela antidiscriminatoria, quale garanzia dei diritti fondamentali, costituisce elemento di lettura della direttiva n. 78/2000, recepita nell’ordinamento nazionale dal decreto appena richiamato, nel senso che i diritti in materia di lavoro e sindacali, riconosciuti dall’ordinamento unionale e nazionale, devono potersi svolgere in condizioni di parità, e devono essere tutelati da violenze, mobbing e altri atti o condotte lesive, senza che possano assumere rilievo i suddetti fattori. In particolare, l’espressione “convinzioni personali” deve essere interpretata in tale contesto, come formula di chiusura del sistema, nel senso che le opinioni del lavoratore, che possono riguardare temi diversi tra cui anche l’esercizio dei diritti sociali (associazione sindacale, sciopero), anche con una proiezione dinamica e fattuale (adesione ad una associazione sindacale, esercizio del diritto di sciopero), non possono legittimare una condotta discriminatoria, che cioè non consenta al lavoratore di esercitare in situazione di parità i propri diritti. Ne consegue che nell’espressione “convinzioni personali”, richiamata dagli artt. 1 e 4 del predetto d.lgs. n. 216 del 2006, caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, va ricompresa la discriminazione per motivi sindacali (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 21 luglio 2021, n. 20819).
Alla luce di tali motivazioni, il Tribunale di Palermo ha dichiarato discriminatorio, sotto il profilo esaminato, anche il criterio della “mancata presentazione (cd. no show)”. Anche qui potrebbe essere svolto un rilievo critico sulla mancata motivazione in ordine al bilanciamento tra l’interesse sindacale e quello dell’impresa, la cui libertà di organizzazione poteva essere anche in funzione di consentire ad altri lavoratori di accedere al lavoro.

6. L’insussistenza del carattere discriminatorio del sistema di riconoscimento facciale.
Non comporterebbe una discriminazione in base alla provenienza geografica dei corrieri, secondo il giudice di Palermo, invece, il riconoscimento facciale.
I corrieri della società resistente, invero, almeno una volta al giorno (ovviamente laddove utilizzino l’app), devono sottoporsi al riconoscimento facciale: la società, tuttavia, tollera un numero di tentativi falliti diverso in base alla città (per esempio a Palermo sono 8, a Padova e Reggio Emilia 6, a Genova 8, a Torino 17 e a L’Aquila 18).
Le associazioni sindacali non eccepiscono la legittimità del riconoscimento facciale che risulta incontroversa, bensì che la previsione di un differente numero di tentativi tollerati in base alle città sarebbe discriminatorio. Questo perché, secondo la difesa di parte ricorrente, la minor tolleranza a seconda della provenienza geografica del rider produce effetti rilevanti sia sulle possibilità di accesso al lavoro che sulle possibilità di guadagno: il ciclofattorino, subendo la disconnessione, anche solo temporaneamente, non può accedere alle possibilità di consegne nello slot prenotato essendo del tutto improbabile che il rider possa ottenere in tempo reale la valutazione e la correzione del mancato log-in. Circostanza, questa, contestata da parte resistente, sostenendo che il superamento del numero massimo di tentativi di riconoscimento facciale consentiti precluderebbe la prenotazione di nuovi slot, ma non anche l’attribuzione di consegne negli slot già prenotati.
Al fine di effettuare tale verifica, il giudice deve verificare se tale disposizione aziendale comporti o possa comportare una situazione di svantaggio in capo ad una categoria di lavoratori rispetto agli altri.
Ebbene, con specifico riferimento a tale circostanza, il Tribunale di Palermo ha ritenuto insussistente il carattere discriminatorio della misura organizzativa in esame.
In primo lugo, poiché il differente trattamento riguarda corrieri che non sono in concorrenza tra loro, dato che i lavoratori della stessa città hanno a disposizione il medesimo numero di tentativi, così da non ricevere alcun pregiudizio dal maggior numero di tentativi concessi a corrieri che lavorano in altri ambiti territoriali.
In secondo luogo, giacché il differente trattamento non è legato alla provenienza geografica del corriere, ma al suo luogo di lavoro.
In terzo ed ultimo luogo, perché la conseguenza del superamento del numero massimo di accessi consentito (a Palermo, peraltro, un numero - otto - oggettivamente significativo e non certo, di per sé, lesivo della posizione del corriere), pur sicuramente pregiudizievole (per la necessità di ottenere l’intervento della società per lo sblocco dell’app), appare appropriata e proporzionata rispetto all’esigenza di contrasto al caporalato cui è pacificamente improntato il sistema di riconoscimento facciale.
Secondo il Tribunale di Palermo, dunque, il riconoscimento facciale non determina una discriminazione in base alla provenienza geografica dei corrieri.

7. Conclusioni
La questione non è nuova nel panorama giurisprudenziale italiano. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del dicembre 2020, ha accolto il ricorso promosso dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per l’accertamento della natura discriminatoria delle condizioni di accesso alle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale della società convenuta, operante nel settore delle consegne del cibo a domicilio. In particolare, in questo caso, l’oggetto del giudizio era il sistema di prenotazione delle sessioni di lavoro basato su un punteggio, attribuito dall’algoritmo a ciascun rider ed elaborato su due parametri: affidabilità e partecipazione. Le associazioni sindacali hanno eccepito, in particolare, il funzionamento dell’algoritmo, atteso che il rider, una volta prenotata una sessione di lavoro correlata ad una determinata zona di consegna, ove non provvedesse a cancellarla nelle 24 ore antecedenti, era tenuto obbligatoriamente a recarsi all’interno del perimetro della zona di lavoro prenotata al fine di connettersi (id est “loggarsi”) entro un lasso temporale massimo di 15 minuti, giacché in caso contrario la mancata connessione entro tale termine determinava una perdita di punteggio. In tal caso, qualsiasi “cancellazione” ovvero annullamento della prenotazione della sessione, con un preavviso inferiore alle 24 ore, determinava per il rider una penalizzazione delle sue statistiche. Risulta, quindi, penalizzata anche l’adesione del rider a forme di autotutela collettiva e, in particolare, ad astensioni totali dal lavoro coincidenti con la sessione prenotata.
Ebbene, secondo il Tribunale di Bologna, è proprio nel considerare irrilevanti i motivi della mancata partecipazione alla sessione prenotata o della cancellazione tardiva della stessa, sulla base della natura asseritamente autonoma dei lavoratori, che consiste tipicamente la discriminazione indiretta, poiché implica necessariamente riservare lo stesso trattamento a situazioni diverse. Il sistema di profilazione dei rider adottato dalla piattaforma di consegna a domicilio, basato sui due parametri della affidabilità e della partecipazione, nel trattare nello stesso modo chi non partecipa alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando o perché è malato, è portatore di un handicap, o assiste un soggetto portatore di handicap o un minore malato, ecc., in concreto, discrimina quest’ultimo, eventualmente emarginandolo dal gruppo prioritario e dunque riducendo significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro.
In entrambi i casi, dunque, i giudici hanno accertato che la condotta aziendale, con precipuo riferimento al sistema di valutazione dei rider, configuri una discriminazione collettiva indiretta.

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