TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Introduzione
La disciplina del rapporto dei c.d. “Riders” (ovvero, a non voler essere a tutti i costi anglofili, più semplicemente ciclofattorini), è un fenomeno risalente agli anni ’90 con i c.d. “pony express” ovvero persone che con l’utilizzo di una biciletta o ciclomotore consegnavano beni a chi li richiedeva .
La differenza sostanziale tra questi ultimi ed i primi è di non poco conto poiché all’epoca non si conosceva (sebbene sussistesse già) l’esistenza e l’utilizzo delle piattaforme digitali.
Le modalità di svolgimento del servizio, tuttavia, erano del tutto simili -come vedremo- a quelle richieste ed espletate dai nuovi ciclofattorini.
All’epoca vi fu un nutrito contenzioso di merito (anche in quel caso con alterne e contrastanti decisioni) fino a che la questione venne risolta in maniera definitiva da Cass. 20 gennaio 2011 n. 1238 che stabilì la natura del rapporto autonomo del rapporto dei pony express.
Ovviamente la decisione venne raggiunta sulla base, da un lato, delle norme giuridiche esistenti e, dall’altro, della produzione giurisprudenziale che distingueva la subordinazione dal rapporto autonomo secondo indici ben individuati e catalogati.
All’epoca, e ancora oggi è riscontrabile in numerose sentenze di merito e legittimità -non riguardanti i ciclofattorini-, l’elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato e discretivo rispetto a quello autonomo, veniva considerato il vincolo della subordinazione, intesa come soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare e che si estrinsecava nell’emanazione di ordini specifici ed in una assidua vigilanza. Gli altri criteri dell’attività, come la continuità, la rispondenza a fini propri dell’impresa, le modalità di erogazione della retribuzione, l’assenza di rischio e l’osservanza di un orario, non assumevano rilievo determinante, poiché, entro certi limiti, venivano considerati compatibili sia con il lavoro subordinato, sia con quelli autonomo .
La decisione fu raggiunta principalmente sul presupposto, all’epoca dimostrato, che i ciclofattorini potevano autonomamente e discrezionalmente scegliere se rispondere o meno alla chiamata e individuare liberamente il percorso da seguire .
Indici questi, come si vedrà nel successivo capitolo 3), totalmente superati da una parte della recente giurisprudenza di merito con riguardo in particolare ai ciclofattorini.
Del resto, le nuove tecnologie ed in particolare il lavoro svolto tramite piattaforma -che non riguarda solo i ciclofattorini, ma diverse categorie di lavoratori tra cui gli autisti di Uber, gli animatori ai villaggi turistici, gli addetti ai “call center” gli addetti al ricevimento delle giocate presso le agenzie ippiche e sale scommesse, consulenti finanziari etc. -, ha comportato una inevitabile modificazione dello svolgimento della attività lavorativa, peraltro accentuatasi dalla diffusione del Covid dall’anno 2020 in poi, interessando sia il legislatore che la giurisprudenza.
Quest’ultima si è giustamente preoccupata dei livelli di sotto-protezione di questi lavoratori, al limite dello sfruttamento, anche se in alcuni casi la “reazione è stata peggiore della azione” con la emanazione di alcune sentenze “barbare” .
La vera difficoltà nell’individuare la natura del rapporto di lavoro, risiede principalmente nel fatto che, mentre per il lavoro subordinato il legislatore ha nel tempo individuato le caratteristiche e soprattutto le tutele in diversi provvedimenti, manca nel rapporto autonomo una specifica ed organica disciplina –se si eccettua quanto disposto nel c.d. Jobs Act degli autonomi per mezzo della L. 81/2017, nelle poche norme ad esso dedicate– che lo qualifichi.
Inoltre la distinzione originariamente prevista dalla dualità nei rapporti di lavoro, si è resa più articolata (rectius: complicata) con l’introduzione di disposizioni che hanno comportato almeno una tripartizione del lavoro in: lavoro autonomo, lavoro c.d. parasubordinato e lavoro subordinato.
La via di mezzo tra il rapporto di lavoro autonomo e quello subordinato, infatti, è stata definita sia dalla previsione contenuta nell’art. 409 n. 3 c.p.c., sia dall’art. 2 D.Lgs 81/2015.
La differenza principale tra queste due ultime forme di lavoro risiede nel fatto che le norme contenute nell’art. 409 n. 3 c.p.c. sono di natura processuale per cui si è dubitato che realmente individuassero una ulteriore tipologia di lavoro a metà strada tra il rapporto di lavoro autonomo e quello subordinato, ritenendo che il legislatore del 1973 si fosse preoccupato di apprestare ad alcuni tipi di rapporti -quelli appunto indicati nel n. 3- una tutela processuale più snella e veloce, introdotta con la l. n. 533/73, rivolta essenzialmente ai rapporti di lavoro subordinato; mentre sicuramente le previsioni contenute nell’art. 2 del D.lgs 81/2015 sono di natura sostanziale e disciplinano alcuni rapporti nella maniera che individueremo nel successivo paragrafo.
Un’altra differenza sostanziale, almeno per coloro che ritengono che si tratti di due distinti ed ulteriori modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, risiede nel coordinamento dell’attività.
Nei rapporti disciplinati dall’art. 409 n. 3 c.p.c. questo viene deciso di comune accordo tra le parti oggetto del contratto, per quelli disciplinati dall’art. 2 D.Lgs. 81/2015, viene deciso autonomamente ed unilateralmente dal datore di lavoro.
2. L’art. 2 del D.Lgs.81/2015
A seguito della Legge delega 183/2014 che ha delegato il Governo, tra l’altro, a emanare una specifica normativa di “riordino della disciplina dei rapporti di lavoro” previsto dall’art. 1 comma 7, è stato emanato il D.lgs. 15.6.2015 n. 81.
L’art. 2 di questo decreto prevede le “Collaborazioni organizzate dal committente” che nel tempo ha subito modifiche sostanziali ad opera della L. 2.11.2019 n. 128 di conversione del D.L. 3.9.2019 n. 101.
In estrema sintesi il legislatore del 2015 ha disciplinato quei rapporti di lavoro non caratterizzati dalla subordinazione il cui svolgimento viene organizzato in via esclusiva dal datore di lavoro, disponendo che per tali rapporti “si applica” la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
La formulazione originaria prevedeva che la prestazione di lavoro, per avere le tutele ivi previste, fosse esplicata in via “esclusivamente personale” dal lavoratore e che l’organizzazione di detta attività da parte del datore di lavoro fosse rivolta anche ai tempi ed al luogo di lavoro dove viene eseguita la prestazione lavorativa.
La modifica ad opera della ricordata L.128/2019 ha riguardato sia l’avverbio “esclusivamente”, sostituito con “prevalentemente”, sia l’eliminazione dell’espressione “tempi e luoghi di lavoro” tra le modalità di organizzazione del rapporto da parte del datore di lavoro.
Inoltre la novella ha aggiunto, alla fine del primo comma dell’articolo in esame, la previsione che le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa possano essere organizzate anche mediante piattaforme digitali.
Queste modifiche, insieme a quanto previsto dal successivo capo V bis che ha aggiunto gli artt. da 47 bis a 47 octies ad opera sempre della L. 128/2019 (di conversione del Dl101/2019), sembrano essere state effettuate proprio per disciplinare il rapporto intercorrente tra le società di “delivery” (cioè di quelle aziende che si occupano della consegna e distribuzione di beni) ed i ciclofattorini anche mediante “piattaforme digitali”.
Riguardo alla interpretazione da dare all’articolo in esame, và rilevato che la Dottrina da un lato e la Giurisprudenza dall’altro hanno fornito interpretazioni disparate e distanti tra loro.
Di seguito una inevitabile e rapida sintesi per imposti limiti editoriali.
A parte l’affermazione di un fine giurista che ha sostenuto che la regolamentazione prevista dalla disposizione in esame deve essere ritenuta una “norma apparente” , che ha il sapore più di una tesi difensiva (da non sottovalutare che l’Autore era il difensore del noto contenzioso Foodora di cui si parlerà al successivo paragrafo 3) che ragionevolmente confligge non tanto e non solo con la specifica regolamentazione prevista dalla richiamata disposizione, ma soprattutto con la successiva produzione legislativa modificativa/integrativa della stessa ad opera della richiamata L. 128/2019, la dottrina -unita solamente nel condividere che tale regolamentazione era stata introdotta per neutralizzare i disastri e soprattutto la portata fraudolenta dei c.d. contratti a progetto introdotti dal D.lgs. 276/03 e successivamente affinati dalla L. 92/2012- per l’indiscriminato abuso fattone , si è divisa in diverse posizioni.
In particolare se tale disposizione ricadesse nell’alveo del rapporto autonomo , ovvero subordinato , ovvero introducesse una terza autonoma categoria (soluzione questa da me prediletta) , ovvero ancora se rappresentasse una norma di “disciplina” e non di “fattispecie”.
In tali aporie di interpretazioni, risulta illuminante la definizione di altro fine giurista data all’art. 2 del D. lgs 81/2015 quale “norma che la distingue tra subordinazione, etero-organizzazione e coordinamento”, destinata ad alimentare le incertezze del diritto ed a dilatare eccessivamente i margini di discrezionalità del giudice .
Non v’è dubbio che sebbene la disposizione in esame sia di non facile esegesi e ne è prova il rilevante dibattito (rectius: contrasto) dottrinario e giurisprudenziale, il legislatore abbia voluto dare “l’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate” e che tale tutela apprestata, rappresenti una reazione alla debolezza contrattuale dei collaboratori dell’impresa che non godano di una vera e/o reale autonomia , ma nello stesso tempo non possiedano i requisiti propri di un lavoratore subordinato.
Pertanto, in estrema sintesi nell’ambito dei possibili rapporti esistenti nell’offerta di lavoro si potranno avere in generale -e tale suddivisione non potrà non valere anche per i ciclofattorini-, tre distinti possibili rapporti aventi o la natura subordinata, ovvero autonoma, ovvero ancora “parasubordinata”; tra questi ultimi rientrano coloro che vengono etero-organizzati in via esclusiva dal committente (seppure abbiano natura autonoma), per i quali, onde evitare casi di sfruttamento, il legislatore ha correttamente previsto abbiano le stesse tutele apprestate per i lavoratori subordinati, ovviamente per i sol istituti applicabili in forza del rapporto che comunque non ha natura subordinata.
La scelta di quali diritti possano essere goduti dal lavoratore rientrante nella previsione disciplinata dall’articolo in esame non sarà di facile soluzione, ma certamente si potrà sostenere che sono esclusi quelli tipici del rapporto di lavoro subordinato, quale ad esempio la tutela apprestata in caso di scioglimento del rapporto.
Questa mia personale posizione, in estrema sintesi, si sposa con una delle prime decisioni giudiziarie emesse che richiamerò nel successivo paragrafo 3).
Naturalmente, come accade per qualsiasi attività lavorativa, questa potrà essere esplicata in via subordinata se il lavoratore sarà soggetto alla etero-direzione da parte del datore di lavoro, ovvero in via parasubordinata se etero-organizzato dal datore di lavoro, ovvero ancora in via autonoma se ha la libertà di svolgere il proprio lavoro senza essere etero-diretto ovvero etero-organizzato.
Indici quali la continuità della collaborazione non potranno, pertanto, essere presi come indice esclusivo della subordinazione se non vengono accompagnati dalla dimostrazione, il cui onere probatorio non può che ricadere sul lavoratore essendo elemento costitutivo delle sue eventuali pretese, giusta previsione contenuta nell’art. 2697, 1^ co cod. civ., della sussistenza degli elementi propri della natura del rapporto richiesto .
3) i Rider ed il lavoro da piattaforma digitale: lavoro autonomo ovvero subordinato o cos’altro?; Soluzioni individuate dalla Giurisprudenza.
La poca chiarezza della norma in esame ha comportato, come visto, una varietà di interpretazioni non comune.
La giurisprudenza per non essere da meno della dottrina, si è altrettanto sbizzarrita ad emanare decisioni le cui motivazioni sono le più disparate e meritano di essere ricordate ed alcune anche commentate.
Non si può certo iniziare la elencazione suddetta senza partire dal contenzioso che -a quanto mi risulti- oltre che essere cronologicamente il primo di grande significato, ha visto la definizione in tutti i gradi di giudizio.
Mi riferisco ovviamente alla -per i più- nota questione “Foodora”, risolta nel merito dagli uffici piemontesi per poi approdare in tempi record, del tutto inusuali, in Cassazione, la quale ha, con altrettanto tempismo invidiabile e raro, deciso la significativa questione.
La prima sentenza è del Tribunale di Torino del 7 maggio 2018 .
Un nutrito drappello di ciclofattorini, assistito da un abilissimo e preparatissimo avvocato del Foro di Napoli, ha convenuto in giudizio la società Foodora che gestiva la piattaforma digitale a cui i lavoratori facevano integralmente riferimento.
In quella causa i ciclofattorini chiedevano l’accertamento e/o riconoscimento del lavoro subordinato in relazione alla esplicazione della attività lavorativa effettivamente da loro espletata ed in via subordinata l’applicabilità di quanto prescritto dall’art. 2 D.Lgs 81/2015 nella sua formulazione (ovviamente) originale.
Il Giudice monocratico ha risolto la vertenza rigettando entrambe le domande (sia quella principale che quella subordinata) ritenendo che non sussistesse un rapporto di lavoro subordinato in quanto -aderendo alla giurisprudenza decisamente risalente- i ciclofattorini non erano soggetti alla eterodirezione della convenuta atteso che era nella loro libertà accedere ai turni programmati (c.d. “slot”) con la libertà assoluta di successivamente rinunziarvi (c.d. funzione “swap”) oppure di non recarsi nei luoghi e nei tempi stabiliti per iniziare la prestazione loro richiesta (c.d. funzione “no show”).
Il giudicante quindi ha ritenuto del tutto irrilevanti le modalità di esplicazione del lavoro nella fase successiva -perché considerate poco funzionali- a differenza delle situazioni individuate ed esaltate nella fase genetica del rapporto.
In estrema sintesi il Giudice nel ritenere che non vi fosse un obbligo di espletare la prestazione lavorativa, ha escluso la ricorrenza della subordinazione per mancanza di etero-direzione da parte del datore di lavoro.
Analoga decisione di rigetto fu presa con riguardo alla domanda subordinata volta al riconoscimento della applicabilità dell’art. 2 Dlgs in quanto ritenuto da quel giudice norma equivalente se non addirittura più restrittiva di quella contenuta nell’art. 2094 cod.civ. che definisce il lavoratore subordinato.
La decisione della Corte di Appello di Torino del 4 febbraio 2019
.La Corte ha confermato la sentenza di primo grado riguardo alla domanda di riconoscimento (negandola) del rapporto di lavoro subordinato, principalmente sul presupposto della limitata durata delle attività svolte da ogni singolo ciclofattorino ricorrente (nessuno superava l’anno di lavoro), dell’esiguità dell’orario di lavoro espletato (nessuno ha svolto una attività che lo impegnasse più di dodici ore settimanali) e in modo determinante le modalità di espletamento della attività lavorativa, in particolare la non obbligatorietà di aderire agli “slot” e di successivamente una volta evidentemente aderito, consentivano ai lavoratori di essere liberi di adempiere o meno.
La sentenza, inoltre, merita di essere segnalata per la critica svolta ad un’altra decisione della Cassazione su modalità pressoché uguali a quella al loro esame e che, viceversa, aveva riconosciuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Si tratta della sentenza di Cass. 13/02/2018 n. 3457 , emessa l’anno precedente, , ove si è sostenuto, con riguardo agli addetti alle sale corse dove si effettuavano le scommesse ippiche, che la non obbligatorietà allo svolgimento della attività era da ritenersi irrilevante in quanto non attiene “al materiale svolgimento del rapporto, bensì è situazione esterna in quanto precede lo svolgimento dell’attività”.
Viceversa, in quel caso la Corte ha accolto la domanda relativa al riconoscimento delle tutele previste dall’art. 2 D.Lgs 81/2015 sul presupposto che la norma dovesse avere un carattere precettivo e che quindi si tratta di una terza qualificazione (tertium genus) del rapporto, da collocarsi tra il rapporto di natura subordinato e quello previsto dall’art. 409 n. 3 c.p.c. di carattere sicuramente autonomo.
La sentenza, inoltre, nel ritenere applicabile ai rapporti lavorativi in esame, le tutele previste per i lavoratori subordinati così come previsto dalla normativa accolta, ha però operato un distinguo in ordine ai diritti da riconoscere; infatti, ha chiarito che potevano essere riconosciuti solo i diritti compatibili con la natura non subordinata del rapporto, con esclusione di quelli posti a tutela del posto di lavoro in caso di estromissione dallo stesso e quindi le norme sui licenziamenti.
La decisione della Cassazione 24 gennaio 2020 n. 1663 .
Come anticipato, la Cassazione, ha aderito ad un orientamento dottrinale secondo cui l’art. 2 in questione non disciplina affatto fattispecie classificabili come subordinata od autonoma né una fattispecie intermedia come statuito dalla Corte di Appello di Torino da cui proviene, ma è da intendersi una norma di “disciplina” e non di “fattispecie”.
In realtà la Cassazione non si distanzia dalla decisione della Corte di Appello di Torino almeno quanto agli effetti -tanto è vero che non la cassa-, ma contesta l’esistenza di una distinta fattispecie qualificatoria del rapporto lavorativo.
Tale pronuncia è stato raggiunta analizzando le modifiche alla disposizione in esame e l’ampliamento della disciplina ad opera del capo V bis ad opera della più volte richiamata L. 128/2019 di conversione del D.L. 101/2019, pur non potendole applicare in quanto le norme da ultimo emanate non avevano efficacia retroattiva.
Nella sentenza si legge infatti al punto 27 che il legislatore ha voluto “rendere più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato”, salvo successivamente al punto 41, dare atto che “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con la fattispecie da regolare, che per definizione non sono ricomprese nell’ambito dell’art. 2094 cod. civ.”, senza peraltro specificare quali siano escluse.
Non solo, ma l’alternanza dei concetti non si arresta qui.
La Corte, infatti, non chiarisce se si tratti nella fattispecie in esame di un rapporto di lavoro subordinato - né avrebbe potuto farlo poiché i ciclofattorini non avevano proposto ricorso, né diretto né incidentale, alla sentenza della Corte di Appello di Torino che li aveva visti soccombenti nella parte in cui chiedevano l’accertamento della natura subordinata – però, nello stesso tempo, afferma l’applicabilità della disciplina della disposizione in esame seppure con le limitazioni sopra evidenziate.
Questi elementi sono sufficienti a rendere l’interprete assolutamente confuso circa la portata reale e gli effetti dalla predetta disposizione anche in ragione delle modifiche intervenute.
L’abrogazione dei riferimenti ai “tempi e luoghi di lavoro” e il passaggio da una prestazione “esclusivamente” a “prevalentemente personale”, hanno infatti fortemente ridotto la distinzione tra etrodirezione ed eteroorganizzazione, quale elemento discretivo tra il rapporto di lavoro subordinato e quello autonomo che, tuttavia, “applica” la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Le sentenze di merito successive a quelle della Cassazione appena esaminata.
Come rilevato, le difficoltà interpretative, per nulla risolte dalle sentenze esaminate, hanno prodotto una ulteriore diversità di pronunciamenti successivi che, comunque, meritano di essere evidenziati suddividendoli in due gruppi: quelli che hanno ritenuto il rapporto dei ciclofattorini rientrante nel lavoro subordinato e quelli che hanno escluso la subordinazione.
Riguardo alle prime pronunce, meritano essere segnalate le seguenti che direttamente o incidenter tantum, hanno dichiarato la sussistenza della subordinazione: Tribunale di Palermo del 24.11.2020 n. 3570; Tribunale Palermo 12.4.2021; Tribunale Milano 20.4.2022 n. 1018; Trib. Bologna 12.01.2023 (sentenza confermativa del decreto ex art. 28 S.L. 2949/2019); Tribunale Milano 28/09/2023.
Tali sentenze, seppure con percorsi apparentemente diversi statuiscono la natura subordinata del rapporto di lavoro.
Per ragioni di sintesi esamineremo solo la prima decisione, atteso che con sfumature diverse le altre ripercorrono le stesse ragioni di diritto per sostenere la natura subordinata del rapporto.
La citata sentenza del Tribunale di Palermo n. 3570/2020, si distingue per la minuziosa elencazione delle modalità di svolgimento delle attività richieste ed espletate dal ciclofattorino ricorrente.
Dalla ricostruzione di tale attività emerge chiaramente l’orientamento del Giudice che ha enfatizzato la fase “funzionale” successiva minimizzando quella c.d. “genetica” del rapporto.
In estrema sintesi il Giudice, ignorando totalmente la novella introdotta dalla L. 128/2019 con l’introduzione del capo V bis, ha esaltato il dato fattuale rappresentato dalla -a suo dire- carenza di libertà nella scelta dei turni da parte del ciclofattorino e dalla minuziosa cadenza delle attività imposte dall’algoritmo della piattaforma, per giungere facilmente alla conclusione della presenza di eterodirezione nel rapporto svolto.
Tale sentenza, con ardita interpretazione, deduce altresì l’esercizio del potere disciplinare da parte di quel datore di lavoro rappresentato dal limitare ed in alcuni casi escludere la partecipazione ai turni da parte del ricorrente, per non avere il ciclofattorino restituito l’incasso dovuto nei termini prescritti; da qui, la sua sospensione dalla possibilità di aggiudicarsi le future corse essendogli stato inibito l’ingresso alla piattaforma per scegliere il turno di lavoro, che, come si legge nella pronuncia in commento, avrebbe rappresentato una “sanzione indiretta” (quindi non tipizzata) con esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.
4) discriminazione nella attività svolta dai riders
Per completare il quadro relativo alle pronunzie giurisprudenziali riguardanti il lavoro espletato dai ciclofattorini, occorre rilevare la più che nutrita giurisprudenza che ha individuato nell’esclusione e/o limitazione del ciclofattorino alla partecipazione ai turni di lavoro, una discriminazione indiretta perpetrata dal datore di lavoro.
Gran parte delle sentenze richiamate nella parte finale del paragrafo precedente dove è stata dedotta la sussistenza del rapporto subordinato, sono state incardinate -prevalentemente da alcune OO.SS. talvolta anche attraverso la specifica procedura ex art. 28 S.L. per condotta antisindacale- giudizi volti a dimostrare la discriminazione consistente nell’utilizzo dei sistemi “premiali e/o penalizzanti” governati dagli algoritmi delle piattaforme nell’accesso ai turni di lavoro.
La prima vertenza è stata risolta dal Tribunale di Bologna nel 2019 a seguito di procedura ex art. 5 comma 2 del D.Lgs. 216/2003 (che ha recepito la direttiva UE 78/2000) promossa da tre federazioni della CGIL (Filcams, Filt e Nidil) che ha reputato discriminatorio il comportamento del datore di lavoro poiché l’algoritmo che governava l’assegnazione delle corse penalizzava coloro che non si candidavano, oppure una volta candidatisi, successivamente si cancellavano, senza distinguere il motivo della mancata candidatura e/o cancellazione che poteva dipendere da ragioni di salute, familiari o tutela di diritti sindacali.
Analoga decisione sempre del Tribunale di Bologna sopra richiamata, questa volta resa nella procedura prevista dall’art. 28 S.L. (iniziata nel 2019 ed a seguito di opposizione con sentenza 12/01/2023), è stata raggiunta poiché è stato ritenuto discriminatorio il comportamento della società che aveva imposto a tutti i ciclofattorini, l’adesione ad una contrattazione collettiva (in particolare UGL riders, su cui infra si tratterà) per poter continuare a lavorare.
Da evidenziare la novità della decisione che è intervenuta in un periodo antecedente la disciplina dettata dall’art. 47 quinquies che ha disciplinato il divieto di discriminazione per i ciclofattorini.
Successivamente la sentenza di Milano 28/09/2023 che ha dichiarato antisindacale il comportamento della società poiché non ha svolto la dovuta informativa ai sensi del D.lgs 25/07 rispetto alla decisione di cessare l’attività in Italia con la conseguente cessazione dei rapporti che, accertata in via incidentale la natura subordinata degli stessi, sono stati qualificati come licenziamenti collettivi e quindi conseguentemente anche con la dichiarazione di avvenuta violazione delle procedure previste dalla 223/1991.
In linea di continuità con l’ultima decisione, che ha anche affrontato la problematica relativa all’obbligo di informativa gravante sul datore di lavoro di informare il lavoratore circa le condizioni applicabili al rapporto di lavoro ed in particolare di informarlo sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio dapprima “automatizzati” ora -dopo l’ultima novella- “integralmente automatizzati” (v. il c.d. “decreto trasparenza” e cioè il D.lgs. 152/1997 recentemente modificato dal D.Lgs 104/2022 e poi ancora dal D.L. 48/2023 convertito in L. 85/2023), va segnalata la recentissima sentenza del Tribunale di Torino, depositata in data 12 marzo 2024 sentenza n. 231/2024 in cui, in sede di opposizione ex art. 28 S.L. (nel giudizio originario promosso da alcune sigle sindacali), il Tribunale ha confermato il decreto ritenendo un comportamento antisindacale il non aver informato compiutamente le sigle sindacali che avevano per conto dei lavoratori richiesto specificatamente la informativa su come veniva assegnato il punteggio in base al quale ogni singolo lavoratore veniva classificato dal programma, che li avrebbe successivamente prediletti nell’assegnazione delle corse.
Tale pronunzia è, peraltro, particolarmente importante e va segnalata poiché affronta e risolve -tra le tante problematiche- due specifiche questioni: la prima riguarda la definizione espressamente indicata dalla legge con riguardo ai “sistemi decisionali integralmente automatizzati”, volendosi intendere con questa espressione, una volta inserite le specifiche tecniche ed i dati iniziali, il processo arriva a compimento senza necessità di intervento umano, mentre non è integralmente automatizzato quando l’intervento umano è possibile e comporta l’adozione di decisioni che modificano il risultato.
La seconda concerne il superamento della eccezione svolta dalla società riguardo al fatto che il dato non doveva essere rivelato perché rientrante nel segreto industriale e commerciale con riferimento alle formule dell’algoritmo ed alle specifiche del funzionamento, poiché -ritiene il Giudicante- si tratta solo di dati squisitamente matematici.
Sebbene questo paragrafo sia dedicato alle pronunzie giurisprudenziali, si ritiene opportuno evidenziare anche due ulteriori “fonti” che si sono interessate al problema: la prima riguarda la contrattazione collettiva, la seconda i provvedimenti “amministrativi”.
Con riguardo al primo aspetto non si può omettere di evidenziare il CCNL rider del 15 settembre 2020 sottoscritto da Assodilevery (associazione datoriale a cui hanno aderito diverse società di delivery tra cui Foodora che dopo la decisione della Corte di Appello di Torino ha ispirato tale contratto) e da UGL rider una federazione aderente alla confederazione UGL.
In detto contratto veniva esplicitamente dichiarato tra le parti che il rapporto esistente tra le società di delivery ed i riders aveva natura autonoma seppure con le garanzie previste dall’art. 2 D.Lgs 81/2015.
Nonostante tale contratto fosse stato stipulato in forza di quanto previsto dall’art. 39, 1ì co Cost. la CGIL è riuscita con le richiamate sentenze del tribunale di Bologna sopra indicate a far dichiarare il comportamento antisindacale delle Società che avevano aderito ed applicato quel contratto.
Con riguardo al secondo, non possono non essere ricordate la nota dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro del 17 settembre 2020 e la Circolare dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro dell’11/11/2020.
Il primo provvedimento è stato emanato proprio per risolvere il conflitto verificatosi a seguito della sottoscrizione del contratto collettivo tra Assodelivery ed Ugl che si è appena trattato.
Il Ministero, nella nota richiamata, ho aderito alle tesi delle tre confederazioni che avevano dedotto la illegittimità dell’accordo; la successiva Circolare allineandosi alle motivazioni espresse dalla nota -ed a mia conoscenza, per il momento unica- sentenza della cassazione precedentemente commentata.
5) La Direttiva della UE
Il 24 aprile 2024 il Parlamento europeo ha finalmente e definitivamente approvato la Direttiva sul lavoro tramite piattaforme digitali dopo due anni di discussioni a livello politico tra gli Stati, che sembravano poter compromettere il consenso per la promulgazione.
In particolare, lo slittamento è stato dovuto principalmente alla contrarietà manifestata dalla Francia e parzialmente della Germania, alla primigenia formulazione della presunzione legale ivi prevista e relativa alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato qualora fossero sussistiti almeno due dei cinque requisiti richiamati nell’allora art. 4 e segnatamente i seguenti:: 1) “determinazione effettiva del livello della subordinazione o fissazione dei limiti massimi per tale livello; 2) obbligo, per la persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali, di rispettare regole vincolanti specifiche per quanto riguarda l’aspetto esteriore, il comportamento nei confronti dei destinatari del servizio o l’esecuzione del lavoro; 3) supervisione dell’esecuzione del lavoro o verifica della qualità dei risultati del lavoro, anche con mezzi elettronici; 4) effettiva limitazione, anche mediante sanzioni, della libertà di organizzare il proprio lavoro, in particolare della facoltà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di ricorrere a subappalti o sostituti; 5) effettiva limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi.
E’ pacifico che l’elencazione suddetta e soprattutto la ricorrenza di soli due dei cinque presupposti, avrebbe comportato la ragionevole soccombenza delle società di delivery nel caso in cui fosse stato dedotto da parte dei ciclofattorini la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
E’ vero che la presunzione legale ha natura “iuris tantum” e non assoluta come dimostrato dal fatto che il testo originario affiancava all’art. 4 appena indicato, il successivo articolo in cui veniva rubricato: “possibilità di confutare la presunzione legale”; tuttavia, non solo la prova sarebbe stata di difficilissima realizzazione in quanto la disposizione in esame prevedeva pure che tali “procedimenti non hanno effetto sospensivo sull’applicazione della presunzione legale”.
L’odierna formulazione -quella approvata- seppure preveda anch’essa all’art. 5 la presunzione legale di natura subordinata del rapporto, lascia tuttavia al diritto nazionale di ciascun Stato membro dell’Unione di stabilire i criteri in base ai quali opererebbe tale presunzione, sebbene tali criteri debbano conformarsi alle decisioni della Corte di Giustizia Europea.
Tale ultima formulazione ha consentito di superare l’”empasse” determinato dalla prima formulazione giudicata, replicasi, troppo rigida ed incapace di rispecchiare la reale esplicazione del rapporto raffrontata ai casi concreti; infatti, l’attuale formulazione ripercorre in realtà quanto già statuito dalla precedente Direttiva che ha disciplinato le condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.
Oltre a tale importantissima novità, si segnala la Direttiva per altri tre aspetti importantissimi.
Il primo riguarda quanto previsto al capo III e segnatamente l’art. 7, che disciplina le misure necessarie per garantire la trasparenza e la protezione dei dati personali del lavoratore (previsioni comunque in gran parte già esistenti nel GDPR e nella direttiva trasparenza ripetute probabilmente per dare maggiore enfasi a tali discipline senza alcuna possibilità di equivoco e/o di interpretazioni restrittive applicate da talune piattaforme).
In particolare, è di grandissimo rilievo il divieto di trattare dati personali che possano far desumere lo stato emotivo e psicologico dei lavoratori (presente anche nel Regolamento UE in materia di Intelligenza Artificiale nella parte in cui oltre ad elencare la classificazione dei sistemi indica le pratiche vietate suddividendole in rischio inaccettabile (quei sistemi che alla fine manipolano il comportamento umano ) ad alto rischio (quelli cioè volti a ledere i diritti fondamentali tutelati dalla carta di Nizza ) e quelli a rischio minimo e quindi esclusi da violazioni specifiche.
Altre norme degne di segnalazione sono quelle contenute nella disposizione 17^ che regola il diritto di accesso delle autorità nazionali ad informazioni specifiche per conoscere il numero degli occupati nelle piattaforme digitali, la corresponsione degli emolumenti di ciascuno e l’eventuale inquadramento.
Infine, tra le tante norme da segnalare vi sono gli artt. 10 ed 11 che prevedono l’obbligo della sorveglianza umana dei sistemi automatizzati (art. 10) ed il riesame umano (art. 11).
In detti articoli (prescrizioni già presenti nell’art. 22 GDPR), viene semplificato l’accesso alla procedura interna per conoscere le ragioni di alcune decisioni quali ad es. la penalizzazione ai turni sino alla disattivazione dell’account (sul punto si è già trattato al paragrafo 3, quando alcuni pronunciamenti giudiziari hanno affrontato le specifiche problematiche).
6) Conclusioni
Emerge chiaramente che tutti gli argomenti affrontati, seppure velocemente per esigenze di sintesi, hanno in comune un filo conduttore ovvero quello di riportare al centro e prestare garanzie ai lavoratori della c.d. “gig economy”.
Tale encomiabile obiettivo e stato sicuramente frutto dell’emergenza sociale rappresentata da tali nuove forme di lavoro che non avevano alcuna disciplina e men che meno alcuna tutela ed in alcuni casi si versava in un vero e proprio sfruttamento di quei lavoratori.
E’ tuttavia chiedersi se la risposta data dalle norme legali prima, dalla giurisprudenza poi, con tutte le aporie esistenti ed alcune delle quali segnalate, abbiano rappresentato una soluzione adeguata alle varie problematiche scaturenti, oppure rappresenti, specialmente con riguardo alla giurisprudenza, una reazione non sempre corretta per riequilibrare certe situazioni.
Certamente ha aiutato avere delle decisioni “orientate”, il fatto che la disciplina esistente sia farraginosa, poco chiara e per certi versi lacunosa, permettendo quindi decisioni che hanno assicurato tutele e diritti a chi non sempre doveva averne.
L’inadeguatezza del legislatore, non solo nostrano, e la talvolta speciosità di alcune sentenze, impongono una rivisitazione dell’intera materia auspicando che la funzione di supplenti venga adeguatamente intrapresa dalla contrattazione collettiva non sempre presente e comunque adeguatamente preparata ad una sistemazione organica ed equa degli opposti interessi.
In tal modo, attraverso l’intervento delle organizzazioni sindacali previste dall’art. 51 del D.Lgs. 81/2015, si potrà giungere ad un intervento adeguato volto ad evitare ulteriori disparità tra le parti di questo così controverso rapporto lavorativo.
Una specificazione infatti della natura della disposizione in esame -mai effettuata chiaramente dal legislatore- e la specificazione delle tutele apprestate per ogni forma di lavoro, potrebbe evitare decisioni come quelle che anziché partire dalla verifica del dato normativo per giungere alle tutele, hanno fatto un percorso inverso preoccupandosi prima delle tutele per poi interpretare le norme.
Ma forse, chissà, a molti fa comodo rimanere in questa indeterminatezza.