testo integrale con note e bibliografia

1. Il caso e l’oggetto della ricerca.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza 19 ottobre 2023, n. 3237, contribuisce ad arricchire ulteriormente il vivace dibattito sul nodo qualificatorio dei ciclofattorini , aggiungendo, rispetto ad un filone giurisprudenziale in continuo movimento , l’inapplicabilità dell’art. 10, c. 1, D.Lgs. n. 81/2015. La vicenda prende le mosse da alcuni verbali notificati dall’Ispettorato territoriale del lavoro di Milano-Lodi nei confronti di una nota piattaforma di delivery. Nel verbale di accertamento ispettivo i numerosi rapporti di lavoro dei riders sono stati ricondotti nell’alveo dell’art. 2, c. 1, D.Lgs. n. 81/2015, poiché la piattaforma digitale gestisce e dirige le prestazioni dei collaboratori, i quali, pertanto, sono inseriti in una organizzazione imprenditoriale di mezzi materiali e immateriali riconducibili alla società proprietaria della piattaforma. Il sistema di lavoro etero-organizzato e controllato è scandito – secondo gli ispettori del lavoro – da una serie di fasi, tracciate tramite l’app, anche per una successiva analisi statistica: accettazione dell’ordine, segnalazione di arrivo al ristorante, segnalazione di ritiro della merce, segnalazione di arrivo presso il cliente, segnalazione di ordine consegnato al cliente. La localizzazione del rider e la sua posizione sarebbero utilizzate dal sistema per l’assegnazione dell’ordine, al fine di ottimizzare i tempi di consegna, tenuto anche conto della sede del ristorante, del cliente e del mezzo di trasporto utilizzato dal ciclofattorino. Il rider, inoltre, avrebbe un’autonomia limitatissima in quanto, costantemente geolocalizzato dalla piattaforma, dovrebbe rapportarsi continuamente con l’operatore della società anche per la risoluzione di insignificanti problemi tecnici-operativi. L’opera del rider, infatti, non consentirebbe alcun margine di discrezionalità nella scelta delle consegne da effettuare poiché, una volta prenotata la fascia oraria (slot), l’app prevederebbe un sistema di turnazione basato essenzialmente su indici di affidabilità e partecipazione ai picchi di attività da parte del lavoratore . Infine, il rider lavorerebbe con uniformi e attrezzature di lavoro fornite dalla società e contrassegnate con il relativo logo. Secondo gli ispettori del lavoro e l’INPS, dunque, sussistono, nel caso di specie, i presupposti della prestazione prevalentemente personale, continuativa ed etero-organizzata, risultando, invece, residuale la tutela di cui agli artt. 47-bis e seguenti del D.Lgs. n. 81/2015. All’applicazione anche ai riders della disciplina dei lavoratori dipendenti, non potrebbe, poi, che seguirne l’assimilazione di trattamento in termini di contributi e prestazioni sociali e previdenziali, ivi compreso il principio di automaticità delle prestazioni che assicurerebbe la copertura contributiva anche nel caso di mancato versamento da parte del soggetto obbligato. La base imponibile presa in considerazione è stata quella degli importi retributivi giornalieri previsti dal vigente CCNL Trasporti e Logistica, quinto livello, calcolati su un orario full time in virtù di una interpretazione estensiva dell’art. 10, c. 1, D.Lgs. n. 81/2015 secondo cui in mancanza di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore, è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese.
La pronuncia in commento offre perciò l’occasione per indagare se la vigente normativa lavoristica consenta di tutelare la particolare figura dei riders (rectius lavoratore non standard) non solo sul piano della qualificazione del rapporto di lavoro, ma soprattutto sul versante della disciplina applicabile, con particolari riflessi sul piano previdenziale.
L’ampia scelta a disposizione dei committenti dei riders, potendo la prestazione resa dagli stessi essere svolta potenzialmente sia nella forma subordinata sia in quella autonoma (etero-organizzata, autonomamente coordinata o pienamente autonoma ), pone dunque il delicato problema della qualificazione della fattispecie, potendosi dare per scontato che i committenti (rectius le piattaforme digitali) cercheranno di eliminare all’interno dei contratti di collaborazione qualsiasi riferimento all’etero-organizzazione per non dover sopportare i vincoli e i costi della subordinazione e indirizzeranno, in sede negoziale, l’esecuzione della prestazione del collaboratore verso una collaborazione autonomamente organizzata, ai sensi del novellato art. 409, n. 3, c.p.c., se non proprio verso una prestazione d’opera, ai sensi dell’art. 2222 c.c. .

2. L’accertamento negativo sui verbali ispettivi.
Prima di addentrarci nelle motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano, appare interessante soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità del ricorso e, specificatamente, sulla carenza dell’interesse a impugnare il verbale ispettivo che – secondo l’Ispettorato – non imporrebbe a carico del datore di lavoro alcun adempimento avente immediata efficacia esecutiva, trattandosi di atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile. L’eccezione non è condivisa dal Tribunale che ritiene viceversa sussistente un interesse al ricorso per ottenere un accertamento negativo unico di fronte a tutti gli enti, anche al fine di evitare contrasti nelle decisioni . Il verbale conclusivo costituisce, infatti, un atto unitario dell’INPS, dell’INAIL e dell’Ispettorato del lavoro, fondato sugli stessi fatti costitutivi, cosicché la materia non potrebbe essere accertata separatamente, se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale.
La posizione assunta dal Tribunale di Milano non è tuttavia esente da critiche. Il verbale unico di accertamento e notificazione è disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004, come modificato dalla L. n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro) che, in sintonia con la promozione del lavoro regolare espressa dal Libro Bianco del 2001 , ristruttura l’istituto su cui ruota l’intero procedimento ispettivo, ossia la “diffida” ad adempiere alle prescrizioni impartite dall’ispettore in caso di constata inosservanza delle norme di legge o del contratto collettivo in materia di lavoro e legislazione sociale. La diffida assolve quindi a tre funzioni : offre al datore di lavoro la possibilità di sanare le irregolarità accertate accedendo in tal modo al pagamento delle sanzioni in misura minima; garantisce il ripristino della legalità violata con un evidente vantaggio per i lavoratori; deflaziona il contenzioso poiché con l’adempimento e il pagamento della sanzione il procedimento ispettivo si estingue . Pertanto, la diffida non ha alcuna finalità repressiva o sanzionatoria, né può essere inquadrata nell’ambito dei provvedimenti amministrativi poiché difetta dei caratteri tipici degli atti a natura provvedimentale (efficacia costitutiva, discrezionalità, imperatività, esecutività). L’atto di diffida rappresenta perciò un mero invito al trasgressore e all’eventuale obbligato in solido a conformarsi al precetto della norma violata . La natura procedimentale della diffida esclude dunque la possibilità di poter esperire un’azione di accertamento negativo avverso il verbale conclusivo contenente la diffida ad adempire .

3. Le questioni definitorie e l’approccio europeo.
Al fine di inquadrare correttamente la fattispecie, alla luce delle indicazioni offerte dalla sentenza in commento, è necessario anteporre alcune questioni definitorie. La distinzione più diffusa e accettata nella ormai sterminata letteratura giuslavoristica sul platform work è quella tra lavoro prestato “tramite” ovvero “su” piattaforma . Tra le diverse proposte ricostruttive dei modelli organizzativi del nuovo “capitalismo delle piattaforme” , è stato infatti efficacemente affermato che “la distinzione più densa di implicazioni appare oggi quella fra lavoro on demand, detto anche lavoro ‘tramite’ piattaforma, e crowdworking, o lavoro ‘su’ piattaforma” . Entrambi i modelli sono “fenomeni di mobilizzazione di una forza lavoro temporanea e dispersa” , in cui la gestione algoritmica della prestazione lavorativa o del servizio mediato e organizzato dalla piattaforma svolge un ruolo determinante ; tuttavia, essi differiscono in relazione al non meno decisivo profilo del luogo di adempimento della prestazione. Nel lavoro “su” piattaforma vi è una “interazione remota a cui si accompagna una spinta alla esternalizzazione delle attività su scala globale”, nel lavoro “tramite” piattaforma, invece, assistiamo ad un contatto concreto con il cliente su scala locale .
Se il primo fenomeno è stato definito “lavoro apolide” , in quanto i crowdworkers sono privi di un qualunque statuto protettivo ; i lavoratori a chiamata tramite app, invece, potranno trovare, a livello europeo, una concreta risposta nella proposta di direttiva sul lavoro nelle piattaforme digitali .
Questa proposta ha invero l’ambizione di rivolgersi, almeno con talune previsioni di base, anche al lavoro su piattaforma. L’accomunare le tutele per entrambi i fenomeni, tuttavia, vuol dire non tenere nella debita considerazione “l’inconciliabile differenza (almeno) fra le due forme principali di lavoro tramite piattaforma” , senza poter realmente superare il problema cruciale della extraterritorialità e dunque della sua effettiva regolamentazione.
La proposta rappresenta, per lo specifico settore del lavoro su piattaforma, un completamento della Direttiva n. 1152/2019 sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili , nelle cui premesse si evidenzia un elevato rischio di errata classificazione della situazione occupazionale. In particolare, a causa dell’errata qualificazione, questi lavoratori non possono godere dei diritti e delle tutele cui hanno diritto in quanto lavoratori subordinati. Tali diritti comprendono il diritto a un salario minimo, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la protezione della salute e della sicurezza sul lavoro, la parità di retribuzione tra uomini e donne e il diritto a ferie retribuite, nonché un migliore accesso alla protezione sociale contro gli infortuni sul lavoro, la disoccupazione, la malattia e la vecchiaia. La via intrapresa dalla Commissione, dunque, è quella di rendere più facilmente percorribile da parte dei lavoratori delle piattaforme l’accesso ad una corretta qualificazione del rapporto attraverso una presunzione relativa di subordinazione che si integra laddove ricorrano determinati indici quali: a) determinazione effettiva del livello della retribuzione o fissazione dei limiti massimi per tale livello; b) obbligo, per la persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali, di rispettare regole vincolanti specifiche per quanto riguarda l’aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro; c) supervisione dell’esecuzione del lavoro o verifica della qualità dei risultati del lavoro, anche con mezzi elettronici; d) effettiva limitazione, anche mediante sanzioni, della libertà di organizzare il proprio lavoro, in particolare della facoltà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di ricorrere a subappaltatori o sostituti; e) effettiva limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi. Si tratta, in sostanza, di un insieme di indici seguiti in moltissimi stati dell’Unione ed indicati dalla dottrina come tratti significativi della subordinazione, soprattutto in una fase di incerta classificazione rispetto all’elemento dell’etero direzione della prestazione collegata ad orari e luoghi stabiliti dal datore di lavoro . Del resto, il diritto dell’Unione europea e la giurisprudenza della Corte di Giustizia hanno sempre spinto verso una nozione allargata di subordinazione, promuovendo la costruzione di una base protettiva comune a qualunque forma di lavoro, a prescindere dalla tipologia contrattuale e dalla sua natura autonoma o subordinata . Non potendo soffermarmi sul contenuto della proposta per ovvi motivi di spazio , appare però interessante rimarcare con forza l’idea che i lavori non standard potranno trovare un’adeguata tutela regolativa solo se in un’operazione qualificatoria spostiamo l’asse di valutazione dell’etero-organizzazione della prestazione di lavoro in avanti sino a sconfinare nella contigua area della parasubordinazione . Seguirò perciò questa traccia nella lettura e nell’analisi della sentenza in commento.

4. La qualificazione della fattispecie: la vis espansiva dell’etero-organizzazione.
Il Tribunale di Milano, rileggendo la sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione , verifica, attraverso l’istruttoria testimoniale, il grado di autonomia dei riders nell’esecuzione della prestazione di lavoro. Innanzitutto, colloca l’art. 2 cit. nell’area del lavoro autonomo e, in particolare, in quello delle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c., dalle quali si distingue per il carattere dell’etero-organizzazione in luogo del coordinamento. Seguendo, dunque, l’orientamento della Suprema Corte, la sentenza in commento distingue tra la fase genetica dell’accordo e quella funzionale di esecuzione del rapporto. Nella prima, l’autonomia del prestatore è integra; nella seconda, invece, il coordinamento esterno è unilateralmente imposto dal committente al lavoratore, che, per svolgere la prestazione, è obbligato ad adeguarsi alla organizzazione del primo, rendendolo così assimilabile, quanto alle esigenze di protezione lavoristica e previdenziale, al lavoratore dipendente. Dall’istruttoria testimoniale è emerso, dunque, che nei contratti sottoscritti dai riders è disciplinata un’autonomia nella fase genetica del rapporto, potendo, ciascuno di essi, decidere se, quando, dove e per quanto tempo utilizzare l’app e se accettare, rifiutare o ignorare qualunque richiesta per la fornitura dei servizi di consegna del cibo, oltre che l’assenza di un vincolo di esclusiva. La mancanza di autonomia, invece, è emersa nella fase funzionale della relazione giuridica. Il rider, infatti, è tenuto a connettersi alla piattaforma entro quindici minuti dall’inizio del turno; l’intera esecuzione della prestazione, una volta accettato l’ordine, tramite il sistema di geolocalizzazione, è controllata e disciplinata, passo a passo, nelle sue singole fasi, dalla piattaforma, che obbliga il collaboratore ad attestare non solo l’accettazione dell’ordine, ma altresì, il suo arrivo al ristorante, l’acquisizione del cibo da recapitare e la consegna dello stesso al cliente. In sostanza, il rider non conserva alcun margine di autonomia nella fase esecutiva della prestazione poiché sia i luoghi sia i tempi sono veicolati dalla piattaforma (rectius dall’applicazione informatica).
Il Tribunale osserva che le regole comportamentali imposte attraverso un codice escludono che la prestazione si possa collocare nell’ambito del coordinamento ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., in quanto le modalità di esecuzione sono imposte unilateralmente dalla piattaforma per tutti gli operatori in maniera indistinta e non sono dunque il frutto di un libero accordo sulle modalità operative tra le parti contrattuali. Inoltre, la sentenza riconosce gli ulteriori elementi di cui all’art. 409, cit., oltre l’etero-organizzazione, per l’integrazione della figura di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 81/2015. In particolare, riconosce la natura prevalentemente personale della prestazione in quanto l’uso di mezzi elementari, quali uno smartphone o di un veicolo di uso comune (bicicletta, monopattino, motorino), non possono assumere preminenza nella gestione del rapporto di lavoro. Pertanto, lo svolgimento di un’attività non complessa, l’uso di mezzi elementari e l’assoluta assenza di collaboratori avvalorano l’ipotesi della mancanza di una gestione imprenditoriale dell’attività con organizzazione di mezzi e persone, viceversa, configurandosi una prestazione prevalentemente personale ove è prevalente il fattore umano nell’esecuzione della prestazione. Alle medesime conclusioni, sottolinea la sentenza, si deve pervenire anche in virtù della modifica apportata dal D.L. n. 101/2019 in cui alla locuzione “esclusivamente” si è sostituita quella “prevalentemente”, in quanto, secondo una lettura costituzionalmente orientata, la norma deve intendersi nel senso che il lavoratore non deve essere dotato di strumentazione particolarmente significativa (o di collaboratori propri) tale da porre in dubbio la natura personale della sua opera. Secondo il Tribunale sussiste anche il requisito della continuità della collaborazione, che, seppur contrattualmente individuato come mera “possibilità” di continua e ripetuta prestazione, deve comunque intendersi come destinata a regolare una molteplicità di prestazioni che possono susseguirsi nel tempo, secondo la libera volontà del collaboratore e non prestazioni di tipo occasionale.
In punto di qualificazione della fattispecie, il Tribunale, una volta esclusa la possibilità di ricadere nell’ambito di un rapporto di coordinazione ex art. 409 cit., evidenzia la marcata sussistenza dell’etero-organizzazione al punto da “rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente”, tale da escludere che possa configurarsi una prestazione autonoma ex art. 2222 c.c. e, dunque, neanche con quella, sempre di tipo autonomo, di cui all’art. 47-bis e ss. D.Lgs. n. 81/2015, in cui il lavoratore, ricevuta la commessa, dovrebbe potersi gestire liberamente nella esecuzione dell’incarico. Infatti, qualora si trattasse di lavoro autonomo, dovrebbe permanere nella libertà del rider la gestione della prestazione dopo l’accettazione dell’ordine di consegna tramite piattaforma, non dovendo render conto del momento del suo arrivo al ristorante, di quello di ricezione del cibo e di quello di consegna al cliente, potendo, quindi, organizzarsi nella gestione del tempo lavorativo anche per poter realizzare il recapito di ordini plurimi, senza continua geolocalizzazione.
L’emersione di nuovi lavori non standard, come quello dei riders, caratterizzati dalla destrutturazione del tempo e del luogo di lavoro, pone in evidenza una realtà fenomenica ben distante dal prototipo di lavoro subordinato, in relazione al quale si è sviluppata nel tempo l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sui caratteri distintivi tra quest’ultima fattispecie e quella del lavoro autonomo .
La crisi del tradizionale sistema di classificazione dei rapporti di lavoro, inciso in maniera significativa dai nuovi modelli organizzativi deconcentrati e flessibili, conducono l’interprete verso l’alternativa tra due possibili strade: la prima è quella della risistemazione della nozione di subordinazione alla luce della rinnovata centralità del contratto individuale come “strumento di programmazione dei vincoli e dei costi della prestazione lavorativa entro l’assetto organizzativo prescelto dal datore di lavoro” . La seconda prospettiva è l’aggiornamento della nozione di subordinazione in proiezione della riforma legislativa .
Prendendo spunto dalla sentenza in commento, pertanto, qui si vuole privilegiare la prima opzione, ritenendo che attraverso l’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015, la fattispecie regolata dall’art. 2094 c.c. ha perso di centralità, con conseguente dilatazione della categoria del lavoro subordinato verso nuove modalità di lavoro, secondo “una lettura evoluzionistica” della formula originaria, da aggiornare alla luce dei processi di trasformazione del sistema produttivo e delle conseguenti evoluzioni della legislazione del lavoro .
Nei modelli organizzativi e produttivi in cui sono presenti prestazioni caratterizzate da elevate professionalità o, inversamente, a basso contenuto (c.d. subordinazione attenuata), il potere direttivo non può esprimersi con direttive puntuali e specifiche, soprattutto in presenza di modelli organizzativi improntati alla valutazione dei risultati (ed al raggiungimento di specifici obiettivi) .
La destrutturazione del tempo e del luogo di lavoro conducono quindi l’interprete verso un diverso ed innovativo concetto di trovarsi al lavoro, nell’esercizio delle proprie attività e a disposizione del datore di lavoro, da intendersi secondo un profilo sostanziale e funzionale; ciò che rileva è lo svolgimento di un’attività strettamente connessa alla prestazione principale. L’eterodirezione assume pertanto una valenza elastica, intesa come direttiva di risultato, affinché il lavoratore si ponga nella condizione necessaria ad adempiere alla prestazione principale.
L’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015, si inserisce in questa opera di qualificazione della fattispecie, in chiave antielusiva , poiché, senza incidere direttamente sulla disposizione di cui all’art. 2094 c.c., ricollega alla fattispecie delle collaborazioni organizzate dal committente l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La norma non pone una presunzione assoluta di subordinazione ma sembra stabilire “un criterio di qualificazione o meglio un indicatore legale della natura effettivamente subordinata della prestazione” . Difatti, da un’interpretazione letterale della disposizione, è possibile accostare al sintagma “si applica” l’equivalente funzionale del “si considera”, in ragione della portata sostanziale della presunzione legale di equiparazione . Ne consegue, che l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, anche di natura previdenziale, non può che essere integrale .
La vis espansiva dell’art. 2094 c.c. abbraccia dunque anche le collaborazioni che si concretano in una prestazione di lavoro, esclusivamente personale, continuativa le “cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente”.
La legge di conversione n. 128 del D.L. n. 101/2019, modificando le caratteristiche della prestazione, ha allineato le collaborazioni etero-organizzate a quelle dell’art. 409, n. 3, c.p.c. Quindi, la prestazione, in entrambe le collaborazioni, deve essere “prevalentemente personale” , nonché “continuativa” nel tempo . Ciò che differenzia le collaborazioni etero-organizzate ex art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015 dalle collaborazioni autonomamente organizzate di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. è dunque l’intensità del potere giuridico del committente sull’autonomia del collaboratore. Nell’art. 2, come in precedenza detto, l’organizzazione del committente si spinge sino alle “modalità di esecuzione della prestazione”; in quella dell’art. 409 l’autonomia del collaboratore è piena, anche nella fase esecutiva. Il coordinamento , quindi, si limita (a differenza dell’organizzazione) ad orientare l’esecuzione della prestazione alle condizioni definite nel programma negoziale in vista del soddisfacimento dell’interesse del creditore-committente .
La modifica apportata all’art. 409 c.p.c. dall’art. 15 della L. n. 81/2017 ha il merito di chiarire che nelle collaborazioni autonomamente organizzate è necessario un accordo tra le parti per determinare le modalità di esecuzione; per stabilire, in sostanza, “quanta ingerenza il collaboratore potrà subire dal controllo del committente sull’esatto adempimento dell’obbligazione” . La norma, infatti, afferma che “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.
La legge di conversione n. 128/2019 ha eliminato anche il riferimento “ai tempi e al luogo di lavoro” del potere organizzativo del committente; tuttavia, tali elementi rimangono utili per comprendere il grado di inserimento del collaboratore nell’organizzazione del committente. Infatti, nella collaborazione autonomamente organizzata ex art. 409 l’attività del collaboratore rimane estranea all’organizzazione; nella collaborazione etero-organizzata ex art. 2 l’attività è pienamente integrata nell’attività produttiva e commerciale del committente e ciò risulta indispensabile per rendere la prestazione lavorativa . La destrutturazione del tempo e del luogo di esecuzione della prestazione divengono quindi elementi interni dell’etero-organizzazione, rafforzando l’idea che nelle obbligazioni di mezzi “l’alternativa mezzi-risultato nelle obbligazioni di facere attiene al contenuto teleologico – e cioè l’utilità (immediata o finale; oppure mediata e quindi, strumentale) – della prestazione del debitore a fronte dell’interesse del creditore: essa ricade perciò sull’individuazione dell’oggetto della prestazione dovuta e, correlativamente, del limite (impossibilità oggettiva della prestazione – art. 1256 c.c.) della responsabilità del debitore per inadempimento dell’obbligazione” .
Il creditore della prestazione, pertanto, può rinunciare “volontariamente” ad un segmento del proprio potere organizzativo a favore del debitore della prestazione, il quale autonomamente organizza il proprio lavoro – quindi anche i mezzi – finalizzando l’adempimento alla realizzazione dell’interesse creditorio. Laddove, invece, le parti contrattuali dovessero decidere di concordare le modalità di coordinamento ed il collaboratore organizzi autonomamente l’attività lavorativa rientreremmo nell’area del lavoro autorganizzato.
Ne consegue che il limite invalicabile tra etero-organizzazione e autorganizzazione è rappresentato dalla volontà delle parti e quindi, dal regolamento negoziale , ed in particolare dalla regolazione quantitativa dell’ingerenza organizzativa del committente sull’esecuzione della prestazione di lavoro. Del resto, l’art. 409, n. 3, c.p.c., attraverso la locuzione “anche se non a carattere subordinato”, comprende sia le collaborazioni con carattere subordinato sia quelle autonome; dunque, tracciando la linea tra prestazioni etero-organizzate e attività lavorativa auto-organizzata.
Di converso, se in sede di concreta esecuzione della prestazione dovesse emergere una prevalenza quantitativa del potere unilaterale di organizzazione del committente/datore di lavoro sul facere del prestatore – al di fuori dei limiti negoziali – scatterà la presunzione dell’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015, con applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato .
La lettura offerta conferma, perciò, la rilevanza dell’etero-organizzazione come indice interno di qualificazione della fattispecie del lavoro subordinato che allarga i suoi confini fino a ricomprendere anche le collaborazioni autonomamente organizzate dal prestatore in assenza di un espresso accordo negoziale sulle modalità di coordinamento. La etero-organizzazione, perciò, ha lo stesso fondamento del potere direttivo, orientato quale potere specificativo non delle mansioni esigibili, ma delle modalità di loro esecuzione ex art. 2104 c.c. .
A sostegno del ragionamento proposto si può richiamare l’art. 1 del D.Lgs. n. 104/2022 sul campo di applicazione degli obblighi informativi . Il decreto si applica, infatti, sia alle collaborazioni ex art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015, sia alle collaborazioni di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. Se per le prime l’estensione sembrerebbe “ridondante” , poiché tale tipologia contrattuale, come argomentato, rientrerebbe nel perimetro del lavoro subordinato; per le seconde, invece, l’art. 1, co. 5, D.Lgs. n. 152/1997 prevede che al rispetto degli obblighi informativi di carattere generale di cui al co. 1 del medesimo articolo, il committente sia tenuto “nei limiti di compatibilità”. Pertanto, l’applicazione selettiva dei contenuti dei singoli obblighi informativi (ma anche delle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro) si arresta innanzi al lavoro auto-organizzato, restando, perciò, alla corte del lavoro etero-organizzato. Del resto, la dottrina, nell’ambito delle collaborazioni ex art. 409, n. 3, c.p.c., fa leva sulla necessità che il regolamento negoziale sulle condizioni del coordinamento dell’attività lavorativa sia oggetto di “una vera e propria trattativa individuale” per non ricadere nell’ambito di una clausola vessatoria, in analogia con quanto previsto dall’art. 34, co. 4, del D.Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del consumo) .

5. Il coordinamento tra l’art. 2 e il Capo V-bis D.Lgs. n. 81/2015: la tutela minima inderogabile applicabile al rider autonomo.
Il D.L. n. 101/2019 ha introdotto nel corpo del D.Lgs. n. 81/2015 il capo V-bis composto di sette articoli (dal 47-bis al 47-octies), che regolamenta le prestazioni lavorative rese, in regime di autonomia, dai ciclo-fattorini individuati con specifico rinvio alle norme del codice della strada, attraverso piattaforme anche digitali, definite come “i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione” .
La disciplina del Capo V-bis si applica “fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 1” del D.Lgs. n. 81/2015.
Una prima questione interpretativa attiene, dunque, all’applicabilità della disciplina del Capo V-bis anche alle collaborazioni etero-organizzate “mediante piattaforme anche digitali” . Una possibile lettura è quella di ritenere distinte le fattispecie, poiché diversa è la qualificazione dei rapporti di lavoro . A tal proposito, l’Ispettorato, con la circolare n. 7/2020 , distingue i collaboratori etero-organizzati dai lavoratori autonomi. Per i primi le prestazioni sono integrate nell’organizzazione del committente. La piattaforma, in sostanza, interviene unilateralmente nella determinazione delle modalità esecutive della prestazione del ciclo-fattorino, il quale è conseguentemente obbligato a seguire le indicazioni predeterminate dal committente in relazione alla fase esecutiva del rapporto. Al contrario – prosegue la circolare – le ipotesi di lavoro autonomo previste dal Capo V-bis sono connotate da un maggior grado di autonomia decisionale da parte del collaboratore in ordine alle modalità esecutive delle prestazioni, conformemente a quanto stabilito dall’art. 2222 c.c. per i prestatori d’opera; nonché per l’assenza dell’elemento determinante della continuità della prestazione.
A questo punto si pone l’altra questione interpretativa dell’applicabilità ai riders – etero-organizzati o autonomi – della L. n. 81/2017 (il c.d. “Jobs Act” dei lavoratori autonomi).
Nel campo di applicazione di questa legge rientrano i rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro V del c.c., cioè quelli regolati dagli artt. 2222 (contratto d’opera) e 2230 (contratto di prestazione intellettuale). L’art. 1 della L. n. 81/2017 opera altresì un rinvio alla “disciplina particolare ai sensi dell’art. 2222 c.c.” che dilata il campo di applicazione del provvedimento anche ai rapporti disciplinati dalla legislazione speciale, ovvero ai negozi giuridici comunque riconducibili all’area dell’autonomia.
Secondo una prima lettura , rientrano nell’ambito applicativo esclusivamente i contratti disciplinati nel libro V del c.c. e cioè quelli di appalto, trasporto, agenzia, mediazione, deposito e comodato, sempre che non siano esercitati in forma di impresa. Inoltre, sarebbero attratti alla L. n. 81/2017 anche tutte le ipotesi di cui all’art. 2, co. 2, lett. da a) a d-ter) del D.Lgs. n. 81/2015 alle quali, non trovando applicazione la disciplina del lavoro subordinato, come previsto dal co. 1, si applica la disciplina del lavoro autonomo o quella del lavoro libero professionale .
Nel caso dei riders l’art. 47-quater D.Lgs. n. 81/2015 demanda alla contrattazione collettiva la determinazione del compenso con una sostanziale sovrapposizione con la previsione della lett. a), co. 2, dell’art. 2 D.Lgs. n. 81/2015 che, a sua volta, deroga all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato per le collaborazioni la cui disciplina del trattamento economico e normativo è contenuta in accordi collettivi nazionali. Con la sottoscrizione del CCNL Riders tra l’Assodelivery e l’Ugl Rider (oggetto di attenzione da parte della sentenza in commento), secondo la tesi in parola, si consentirebbe di allargare il campo di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo anche ai ciclo-fattorini. Il Tribunale di Bologna con la sentenza del 30 giugno 2021 ha tuttavia affermato che il sindacato “Ugl Rider” è soggetto negoziale carente di valido potere negoziale ai fini dell’effetto derogatorio di cui agli artt. 2 e 47-quater del D.Lgs. n. 81/2015 (vedi infra).
Una seconda lettura, invece, allarga il campo di applicazione del Capo I della L. n. 81/2017 a tutte le ipotesi di lavoro autonomo “a condizione che si rinvenga una disciplina particolare relativa ad una singola fattispecie contrattuale, che si ponga in rapporto di species rispetto al genus rappresentato dal Job Act del lavoro autonomo o, meglio alle disposizioni che di questo provvedimento possano trovare applicazione”. Pertanto, lo Statuto del lavoro autonomo potrà essere applicato anche ai riders autonomi solo nelle parti che risulteranno compatibili con la disciplina prevista dal Capo V-bis D.Lgs. n. 81/2015 .
Al di fuori di una possibile riqualificazione del rapporto e in assenza dei requisiti di cui all’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015, il lavoro dei riders autonomi sarà disciplinato dal Capo V-bis D.Lgs. n. 81/2015, che introduce norme minime di tutela inderogabile in alcuni casi e derogabili in altri attraverso la contrattazione collettiva. Si conferma così l’applicazione residuale della specifica disciplina prevista per i riders autonomi.
Nella circolare n. 7/2020 dell’Ispettorato del lavoro si affrontano tre profili applicativi della disciplina prevista dal Capo V-bis.
In primo luogo, si dovrà accertare, a partire dal 3 novembre 2020 (data di “operatività” dell’art. 47-quater), se esiste un contratto collettivo applicato dal committente e se questo contratto sia idoneo (in quanto sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) a superare il divieto di cottimo e la garanzia di un compenso minimo orario parametrato sui minimi dei contratti di settori affini. In assenza di un contratto idoneo, anche alla luce dello standard di rappresentatività fissato dalla legge, saranno quindi applicabili i minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale . L’Ispettorato, a tal fine, individua il CCNL della Logistica, conformemente a quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1663/2020 e dalla sentenza in commento. Non può, tuttavia, farsi a meno di segnalare che il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile ai lavoratori subordinati storicamente non ha mai sortito effetti positivi (vedi ad esempio l’esperienza Assocontact per il Call center outbound ), senza contare che ad oggi non è individuabile un preciso standard di rappresentatività comparata sindacale (vedi infra).
Nelle ipotesi descritte sarà pertanto possibile, per il personale ispettivo, utilizzare lo strumento della diffida accertativa per il recupero dei crediti patrimoniali dei lavoratori risultanti da un raffronto tra quanto loro dovuto in applicazione dei predetti minimi tabellari e quanto effettivamente erogato dal committente che non applichi alcun contratto collettivo o applichi una disciplina collettiva non conforme alle prescrizioni di legge.
Il secondo profilo oggetto di attenzione da parte dell’Ispettorato attiene alla tutela previdenziale e antinfortunistica . L’art. 47-septies del D.L. n. 101/2019 specifica che il premio assicurativo viene agganciato al “tasso di rischio corrispondente all’attività svolta”, che per la sua variabilità potrebbe determinare oggettive incertezze. Quanto all’imponibile, viene richiamata “la retribuzione convenzionale giornaliera di importo corrispondente alla misura del limite minimo di retribuzione giornaliera in vigore per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza e assistenza sociale, rapportata ai giorni di effettiva attività”, con un prevedibile aggravamento del costo a carico del committente soprattutto per il rinvio ai giorni di “effettiva attività” , con l’effetto che per una sola consegna giornaliera scatterebbe la contribuzione (vedi infra).
Infine, l’Ispettorato, conformemente alla previsione dell’art. 47-septies, co. 3, estende la disciplina sulla tutela in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al D.Lgs. n. 81/2008 e, quindi, il rispetto di quanto previsto dall’art. 71 del T.U. Sicurezza, recante gli “obblighi del datore di lavoro” anche in relazione alla formazione e all’informazione dei collaboratori, al controllo del committente sulle attrezzature di lavoro, alla denuncia di infortunio, alla sorveglianza sanitaria e alla completezza del documento di valutazione dei rischi, oltre all’obbligo a carico del datore di lavoro di fornitura e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale .
Il Ministero del lavoro, con la circolare n. 17/2020, ha posto invece l’attenzione sulla previsione della forma scritta e sulla tutela antidiscriminatoria. Per la prima l’art. 47-ter detta una specifica disciplina, comprensiva di sanzioni anche di carattere risarcitorio , sull’obbligo informativo nei confronti dei riders, in linea con la citata Direttiva U.E. n. 2019/1152, più di quanto possa accadere con i lavoratori subordinati, in quanto per questi l’informativa scritta è esclusa in caso di rapporti di durata complessiva non superiore ad un mese e il cui orario non superi le otto ore settimanali ex art. 5, D.Lgs. n. 152/1997.
Quanto alla disciplina antidiscriminatoria l’art. 47-quinques estende ai riders il D.Lgs. n. 216/2003 e la L. n. 67/2006 nonché la disciplina sulla tutela della libertà e dignità del lavoratore (titolo I della L. n. 300/1970) , con rilevanti problemi applicativi poiché, soprattutto la disciplina contenuta nello Statuto dei lavoratori è tradizionalmente costruita per il lavoro in fabbrica. In chiara funzione antidiscriminatoria è la previsione del co. 2 che vieta l’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro quale conseguenza della mancata accettazione della prestazione.
Al riguardo è opportuno segnalare due ordinanze del Tribunale di Bologna, del 31 dicembre 2020 e del 2 gennaio 2021, che ritengono discriminatorio il sistema di profilazione dei riders basato sui due parametri della affidabilità (c.d. ranking reputazionale) e della partecipazione alla sessione di lavoro, nel momento in cui tratta allo stesso modo chi non partecipa alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando (o perché è malato, o portatore di un handicap, ovvero assiste un soggetto fragile o un minore malato). Considerare irrilevanti i motivi della mancata partecipazione alla sessione prenotata o della cancellazione tardiva alla stessa, sulla base della natura assertivamente autonoma dei lavoratori, infatti, implica l’applicazione dello stesso trattamento a situazioni che sono, però, diverse, così paradossalmente realizzando una discriminazione indiretta .

6. L’effettiva prestazione e la nozione di orario di lavoro.
Il Tribunale di Milano, una volta ritenuto applicabile l’art. 2 cit., estende ai collaboratori la normativa del lavoro subordinato, salvo il limite dell’incompatibilità. La sentenza della Corte di Cassazione n. 1663/2020 prende atto che il legislatore non ha provveduto in maniera esplicita a stabilire quale disciplina è applicabile alle collaborazioni etero-organizzate, con la conseguenza che deve ritenersi adottabile l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato con l’unico limite delle disposizioni “ontologicamente incompatibili con le fattispecie da regolare che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094 cod. civ.”. In particolare, l’estensore procede ad una valutazione di compatibilità dell’art. 10, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015 con le collaborazioni etero-organizzate ex art. 2 cit. La disposizione stabilisce che in mancanza di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore, è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese. Nel verbale dell’Ispettorato, dunque, i contributi previdenziali, gli interessi e le sanzioni sono stati computati su un rapporto a tempo pieno, mentre il Tribunale ritiene che gli stessi debbano essere calcolati solo con riguardo alla “prestazione effettivamente svolta” dai collaboratori, poiché – secondo l’estensore – la strutturale incompatibilità deriva dall’ampia autonomia del rider nella fase genetica, potendo scegliere se lavorare o meno e in quali periodi. Ne consegue che i contributi, a prescindere da un diverso atteggiarsi del rapporto nella fase esecutiva, devono essere calcolati nei limiti di una prestazione oraria effettivamente svolta che inizia con il login alla piattaforma e termina con il logout. In sostanza, secondo l’estensore, il rider si rende “disponibile” a ricevere gli incarichi dalla piattaforma dal momento dell’attivazione sino allo spegnimento dall’app, dovendosi, dunque, computare come “tempo lavorato” anche il “tempo intermedio” tra una consegna e un’altra.
La condivisibile conclusione cui perviene la sentenza in commento involge, pertanto, il problema di considerare come orario di lavoro i c.d. “tempi terzi” o “tempi intermedi” , con conseguente incidenza nella determinazione dell’imponibile previdenziale. I riders – come del resto emerge anche dall’istruttoria – sono a “disposizione” della piattaforma in determinate fasce orarie, nei pressi, normalmente, dei punti di raccolta del cibo, per poi tornare, al termine della consegna, al medesimo punto o comunque vicino ai ristoranti dai quali prelevare la successiva consegna.
A livello europeo si assiste ad una dilatazione del tempo di lavoro attraverso la diversa modulazione delle tre diverse nozioni di orario di lavoro ricavabili dall’art. 2 della Direttiva CE 2003/88: essere il lavoratore “al lavoro”, “a disposizione del datore di lavoro” e “nell’esercizio delle sue attività o delle funzioni” . In particolare, con la sentenza Matzak del 2018 la Corte di Giustizia ricostruisce la nozione di orario di lavoro sulla base dell’intensità del vincolo datoriale sul tempo del lavoratore, così attraendo anche l’ipotesi in cui il lavoratore sia reperibile con l’obbligo di rispondere alla chiamata entro tempi brevi e secondo le direttive impartite dal datore di lavoro . Ciò che è dirimente ai fini qualificatori è, dunque, il requisito dell’”essere a disposizione” del datore di lavoro, da accertarsi attraverso una valutazione qualitativa e quantitativa dei vincoli imposti al lavoratore che non devono essere tali da pregiudicare in modo oggettivo la facoltà del lavoratore di gestire liberamente il tempo da dedicare ai propri interessi. La linea interpretativa è stata confermata dalla Corte di Giustizia nel 2021 , la quale ha precisato che il luogo di attesa del lavoratore ha una capacità assorbente rispetto alla compromissione del godimento del tempo libero. Ne consegue che, ai fini dell’individuazione del discrimen tra orario di lavoro e periodo di riposo, l’interprete deve anzitutto applicare il criterio cumulativo e, solo in assenza dei tre requisiti ex art. 2 della Direttiva CE 2003/88, deve verificare se l’intensità dei vincoli imposti al lavoratore sono tali da compromettere il tempo dedicato alla cura dei propri interessi. La giurisprudenza italiana , adeguandosi a quella europea, ha ampliato la nozione di orario di lavoro dando decisiva rilevanza alla sottoposizione del lavoratore al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, con conseguente assottigliamento, sino alla scomparsa, del potere di autodeterminazione dei tempi intermedi . Il legislatore, dal canto suo, seguendo la citata Direttiva UE 2019/1152, ha approvato il D.Lgs. n. 104/2022 in cui la prevedibilità viene declinata in senso temporale quale diritto del lavoratore di godere di un tempo di vita liberamente programmabile, da contemperare con l’esigenza di flessibilità del datore di lavoro. Questa nuova nozione del tempo di lavoro, pertanto, è suscettibile di estendere il suo campo di applicazione anche nell’ambito del rapporto di lavoro dei riders etero-organizzati, in cui il potere di organizzazione della piattaforma incide sensibilmente sui tempi di riposo del lavoratore da dedicare alla gestione del tempo libero.

7. I riflessi sul piano previdenziale.
La vis espansiva della nozione di orario di lavoro, nei termini sopra delineati, consente ai lavoratori non standard una maggiore tutela sul piano previdenziale, con incremento del montante contributivo e conseguentemente delle prestazioni pensionistiche .
Il lavoro dei rider si inserisce a pieno titolo nel fenomeno della “flessibilità previdenziale” ( ). Le tipologie contrattuali che rientrano in questa macro-categoria sono caratterizzate, infatti, dalla discontinuità e dalla breve durata della prestazione lavorativa, nonché dal livello minimo del compenso da erogare, che determinano inevitabilmente una contribuzione previdenziale ridotta influendo sulla effettività della tutela pensionistica ( ).
La temporaneità e la discontinuità della prestazione scardinano in pratica il sistema previdenziale basato storicamente sul modello tradizionale di lavoro subordinato, a tempo pieno, continuativo e di durata. I modelli contrattuali caratterizzati da una breve durata o da un’intermittenza hanno pertanto come conseguenza una ridotta possibilità di una tutela effettiva pensionistica. Il livello pensionistico è, invero, inevitabilmente influenzato e condizionato dalla durata dell’attività lavorativa prestata e dal livello della retribuzione assoggettato a contribuzione.
Il problema, quindi, non è l’assenza di una copertura previdenziale, ma l’incapacità dell’attuale modello assicurativo di adattarsi alle peculiarità dei lavori atipici, pregiudicando, così, l’adeguatezza quale prima garanzia di effettività del livello di protezione previdenziale garantibile al futuro pensionato.
Il nostro sistema previdenziale, infatti, è ancorato al sistema contributivo e, perciò, al quantum dell’attività lavorativa prestata; pertanto, l’art. 38, co. 2, Cost. deve raccordarsi con l’art. 36, co. 1, Cost., in ordine all’adeguatezza del lavoro svolto e al contributo apportato al benessere collettivo ( ).
Il punto di raccordo tra le due disposizioni citate è rappresentato dal meccanismo d’imposizione

contributiva basato sul reddito percepito dal lavoratore ai sensi dell’art. 12, L. 30 aprile 1969, n. 153 ( ). Ne consegue, tra l’altro, che il livello dei trattamenti pensionistici è proporzionato alla retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale ( ).
L’adeguatezza della prestazione finisce con il rapportarsi al reddito da lavoro prodotto e, dunque alla meritevolezza acquisita in ragione del contributo offerto al benessere collettivo ( ).

8. Il Ccnl applicabile.
L’adeguatezza previdenziale è direttamente influenzata dall’applicazione del contratto collettivo, poiché ai sensi dell’art. 1, co. 1, del D.L. n. 338/1989 la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale .
Una prima questione, prima di analizzare la sentenza in commento sulla maggiore rappresentatività del CCNL UGL-Riders, attiene alla possibilità, ai sensi del co. 2 dell’art. 2 cit., di un accordo collettivo nazionale che disciplini il trattamento economico e normativo del rapporto dei collaboratori etero-organizzati di derogare al comma 1 e, dunque, escludere l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato. Una prima tesi ritiene che il comma secondo della disposizione in parola non può derogare alla disciplina previdenziale sia perché non richiamata nel testo della norma sia per l’indisponibilità della materia previdenziale tramite pattuizione negoziale . In tal modo, si afferma che lo stesso comma 1 non includerebbe la materia previdenziale ma solo quella lavoristica . In realtà si potrebbe obiettare che l’interpretazione sistematica attiene al comma 2 della norma in questione non intaccando l’integrità dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche dal lato previdenziale. Una seconda teoria, invece, facendo leva su quest’ultimo argomento, afferma che in virtù del principio del parallelismo e automaticità tra l’applicazione della disciplina lavoristica e quella previdenziale, ai collaboratori etero-organizzati vada applicata ai sensi del comma 1 l’intera disciplina del lavoro subordinato e, dunque, qualora in virtù del comma 2 il contratto collettivo preveda una deroga, questa si estende anche alla disciplina previdenziale .
La sentenza del Tribunale di Milano ritiene carente la prova della maggiore rappresentatività del CCNL sottoscritto il 15 settembre 2020 dalla Assodelivery con la UGL-Riders; pertanto, “per la pluralità e l’importanza delle associazioni sindacali sottoscrittrici”, condivide l’applicazione del CCNL Logistica operato dall’INPS e dall’Ispettorato del lavoro nei verbali ispettivi. Dal lato della collocazione previdenziale, dovendosi fare applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato, appare corretta – secondo l’estensore – la scelta dell’INPS di porre la fattispecie nell’ambito della Gestione Dipendenti con le aliquote contributive per il lavoro subordinato e non nella Gestione Separata, non risultando elementi di incompatibilità sotto questo aspetto.
Il CCNL siglato il 15 settembre 2020 tra Assodelivery e il neo-sindacato UGL-Riders è stipulato “ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, 2° comma, lettera a, nonché dell’art. 47 quater, 1° comma, del D.Lgs. n. 81 del 2015”, dunque con dichiarata finalità derogatoria .
La vicenda relativa alla prima esperienza contrattuale della platform economy mette a nudo antiche questioni irrisolte del nostro diritto sindacale , dal problema – in assenza di una cornice legislativa di riferimento della (effettiva) misurazione e perimetrazione della maggiore rappresentatività alla sovrapposizione fra gli ambiti di applicazione dei contratti collettivi in settori affini e sempre più segmentati, dalle problematiche connesse al ricorso al sistema dei rinvii all’autonomia collettiva sino all’atavica questione dell’efficacia del contratto collettivo di diritto comune e alla latitudine del dissenso individuale .
L’idoneità del CCNL Riders a derogare alle norme di legge (nel caso di specie all’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015) è stata contestata dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro con la circolare del 19 novembre 2020, ove si sono ritenuti insussistenti, nei soggetti stipulanti, i requisiti di legittimazione a tal fine prescritti dalla legge; e ciò in quanto, da un lato, deve trattarsi di una pluralità di agenti negoziali e, dall’altro, le stesse parti debbono comunque poter vantare una maggiore rappresentatività comparata all’interno della categoria produttiva di riferimento, che se può essere rinvenuta nella rappresentanza datoriale fa invece difetto a UGL Rider, come peraltro affermato anche in sede giudiziaria . Sia nella previsione del secondo comma dell’art. 2 cit. che in quella del successivo art. 47-quater (quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 47-bis, co. 1), i contratti collettivi abilitati a introdurre una disciplina derogatoria rispetto a quella legale sono soltanto quelli stipulati da (o dalle, come si esprime più incisivamente la seconda disposizione) associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (vedi supra). Alla stregua della legge, dunque, deve trattarsi “per un verso di una pluralità di agenti negoziali, e non di un singolo agente, giacché entrambe le norme parlano al plurale di organizzazioni sindacali (con previsione che nell’art. 47-quater è rafforzata dall’uso dell’articolo determinativo). E, per altro verso, è necessario che le stesse organizzazioni possiedano il requisito della maggiore rappresentatività comparativa da individuarsi sulla base degli indici comunemente impiegati in giurisprudenza [...]”, dovendo ritenersi che tale criterio debba essere determinato “avuto riguardo alle parti firmatarie del contratto collettivo nazionale del più ampio settore, al cui interno, in ragione di particolari esigenze produttive ed organizzative, si avverte la necessità di prevedere discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo dei lavoratori in oggetto” . Nella specie, peraltro, risulta carente non solo la idoneità sotto il profilo soggettivo, ma anche quella oggettiva di tale disciplina collettiva a derogare alle tutele legali, visto che “deve ritenersi che all’interno della delega alla contrattazione collettiva non rientri la facoltà di fissare il compenso del rider autonomo facendo esclusivamente riferimento al sistema del cottimo (cd. “puro” o “integrale”). Ciò, in quanto la legge autorizza il contratto collettivo a fissare criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano, soltanto, conto delle modalità di svolgimento della prestazione, oltre che dell’organizzazione della piattaforma committente (cd. cottimo misto)” .
Il CCNL Riders, quindi, incentrato essenzialmente su un rapporto di natura autonoma, sarebbe ontologicamente incompatibile con la fattispecie di cui all’art. 2, co. 1, cit., ma anche con i rapporti regolati dal Capo V-bis del D.Lgs. n. 81/2015, poiché, al di là di qualche ambiguità terminologica , introduce un meccanismo di remunerazione basato soltanto sulle consegne effettuate e non sul tempo di lavoro, finendo così per disattendere la tutela minima inderogabile fissata dalla legge.

9. Considerazioni conclusive.
L’intervento estensivo della L. n. 128/2019 ha “senza dubbio semplificato l’inquadramento dei lavoratori delle piattaforme digitali come lavoratori etero-organizzati ai quali spettano i diritti e le tutele spettanti ai lavoratori subordinati” , rafforzando la linea già emersa nella giurisprudenza di merito a partire dalla sentenza della Corte di appello di Torino sul caso Foodora . I riders, dunque, che non potendo essere qualificati come lavoratori subordinati e non rientrando neppure nella sfera applicativa dell’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015, devono essere fatti rientrare nel perimetro del nuovo Capo V-bis del medesimo decreto. La ragione della residualità di tale ultima disciplina risiede nella vis espansiva dell’etero-organizzazione, che a sua volta esclude la possibilità, almeno in linea di principio, che i riders possano intrattenere con la piattaforma forme di collaborazione continuativa riconducibili allo schema dell’art. 409, n. 3, c.p.c. Ne consegue, quindi, che i riders, che risultano etero-organizzati dalla piattaforma (quando non siano dalla stessa senz’altro etero-diretti), saranno di regola destinatari delle tutele derivanti dall’applicazione dell’art. 2, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2015; ma quando non ricorrano i presupposti che consentano di applicare tale norma di disciplina, essenzialmente in considerazione della occasionalità della loro prestazione autonoma, ad essi si applicherà, in via residuale, il Capo V-bis.
La problematica della qualificazione del rapporto di lavoro dei rider (rectius dei lavoratori non standard) non sembra tuttavia mettere in crisi i classici criteri di identificazione delle fattispecie, rimanendo in piedi l’alternativa fra autonomia e subordinazione che, sempre meno connotata dall’elemento della etero-direzione, continua a muoversi verso l’elemento della presenza di una “organizzazione etero-predisposta” e nella quale il collaboratore viene stabilmente inserito.
La concezione funzionale dell’etero-organizzazione non determina, comunque, una sovrapposizione dell’oggetto del contratto di lavoro subordinato con quello del contratto di lavoro autonomo, in quanto, pur potendosi rilevare come ormai l’interesse del datore sia quello di ottenere un dato risultato dal dipendente, “alcun riflesso si può desumere in merito al rischio del lavoro, che resta in capo a chi organizza la produzione e alla circostanza che la disponibilità continuativa (anche se in tempi e luoghi rivisitati) della prestazione umana resta, pur sempre, il criterio ineliminabile per accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato” . Nel caso dei riders, dunque, il tempo di lavoro ovvero la disponibilità del ciclofattorino a svolgere una prestazione a favore della piattaforma, funge, al contempo, sia da criterio di qualificazione del rapporto di lavoro sia da criterio discretivo rimediale anche sotto il profilo dell’adeguata contribuzione previdenziale ed assistenziale .
Il criterio della continuità non deve riferirsi all’ininterrotta esecuzione della prestazione , quanto alla disponibilità funzionale del lavoratore all’impresa ; dunque, ai fini della qualificazione della subordinazione, non è dirimente lo svolgimento della prestazione, ma la “persistenza del tempo dell’obbligo di mantenere la propria energia psico-fisica a disposizione del datore di lavoro” .
Come opportunamente sostenuto in dottrina, del resto, “se si desidera ricevere un’attività lavorativa qualificata dalla subordinazione del prestatore, non si può evitare il rischio dell’utilità (o produttività) del lavoro; e viceversa, se si desidera scrollarsi di dosso quest’ultimo, non si potrà godere della subordinazione del soggetto che deve effettuare l’attività lavorativa”. In caso contrario “si consentirebbe al datore di lavoro ciò che l’ordinamento non intende permettere, e cioè di incassare la subordinazione senza pagare il rischio dell’utilità (o produttività) del lavoro” .

 

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