Testo integrale con note e bibliografia

Testo della sentenza

1.La Corte d’Appello di Torino (sent. n. 26/2019) compie un significativo passo avanti verso il corretto inquadramento giuridico dei lavoratori app driven.

            Resta fermo il punto di approdo acquisito dalla pronuncia di primo grado (cfr. T. Torino 11.4.2018 e, non diversamente, T. Milano 10.9.2018) circa l’obbligo di obbedienza che caratterizza il lavoratore subordinato: <<quello che rileva per escludere la sussistenza della subordinazione è la circostanza che gli appellanti erano liberi di dare, o no, la propria disponibilità per i vari turni (slot) offerti dall’azienda>>. Se esiste questo spazio di libertà, viene meno <<il requisito dell’obbligatorietà della prestazione>> che rappresenta un elemento strutturale dello schema negoziale, costitutivo della fattispecie dell’art. 2094 c.c.

            L’approdo resta fermo a differenza di quanto emerge dagli indirizzi giurisprudenziali di altri Paesi europei che, viceversa, hanno ritenuto di svalutare il profilo della volontarietà dei servizi prestati dai fattorini digitali, sino al punto di collegare l’accertamento dello status di subordinazione esclusivamente alle modalità di esecuzione e all’esercizio del potere organizzativo della piattaforma. Pur ammettendo che esiste la libertà di accettare o meno l’assegnazione dei turni di lavoro - ha argomentato il Juzgado de lo Social n. 6 de Valencia (sentenza 1°.6.2018, n. 244) – non si può negare che, nel caso concreto, ricorrano le condizioni tipiche di alienità e dipendenza: la prestazione eseguita dai riders <<se incardina dentro del àmbito de organización e dirección de la empresa>>.

            Ha ripreso con più forza questo argomento il Jusgado de lo Social n. 33 de Madrid (sent. 11.2.2019, n. 53), ritenendo che occorra adattare e modulare l’apprezzamento degli elementi classici della subordinazione nello scenario dell’economia digitale. Da questo punto di vista, il peso indiziario e qualificatorio della porzione di libertà del rider risulta quasi nullo, tenuto conto che la piattaforma può disporre di un’ampia platea di lavoratori potenziali e assolutamente intercambiabili, mentre il singolo non ha alcuna possibilità di condizionare o solo d’influire sull’organizzazione imprenditoriale. Secondo l’approccio ricostruttivo del tribunale spagnolo, la facoltà di scegliere il giorno e il turno di lavoro costituisce solo la conseguenza logica dell’atomizzazione del tempo di lavoro: il fattorino digitale è tenuto ad offrire la propria disponibilità in un arco temporale prestabilito, in attesa dell’assegnazione di una o più micro-prestazioni in base alla richiesta del committente e alla domanda di mercato. In tal modo, la piattaforma trasferisce sul prestatore la maggior parte del costo del tempo di lavoro.

Un ragionamento analogo ha orientato la Chambre Sociale della Cassazione francese (arrêt du 28.11.2018, n. 1737). Considerato che la piattaforma digitale esercita un potere sanzionatorio attraverso un meccanismo di bonus-malus ed un penetrante controllo sull’attività svolta dai riders tramite la geolocalizzazione, non si può escludere la qualificazione giuridica del lavoro subordinato. Il riscontro fattuale della condizione di etero-direzione, a partire dal momento in cui i lavoratori si trovano inseriti nei turni prestabiliti dal committente, finisce per mettere in ombra quello spazio limitato, anche se innegabile, di autonomia contrattuale.

È probabile che quella stessa giurisprudenza straniera – certo, non univoca sebbene volonterosa – abbia suggerito ai giudici italiani che occorre proseguire l’indagine e superare il monito un po’ troppo lapidario della sentenza di primo grado, secondo cui, una volta accertata la non obbligatorietà della prestazione eseguita dai fattorini digitali, <<il discorso potrebbe chiudersi già qui>> (così T. Torino, 11.4.2018). Viceversa, procedendo oltre nell’analisi, la Corte d’Appello ha deciso di affrontare la questione relativa all’applicazione dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015, rivendicando il dovere di prendere sul serio questa <<norma di non facile interpretazione>>, riconoscendole un valore precettivo e verificando <<se la fattispecie concreta (oggetto di causa) rientri nella previsione stessa>>.

Onestà intellettuale vuole che, sul piano della speculazione teorica, si possa criticarla e persino ritenerla sprovvista di autentici effetti di conformazione giuridica, ma il compito del giudice è un altro: quello d’interpretare ed applicare la norma di legge, attribuendole un significato compiuto e un’utilità per regolare le fattispecie concrete.

  1. Il passo avanti compiuto dalla Corte d’Appello di Torino è di estremo rilievo perché, forse per la prima volta, si approccia la questione ricostruttiva posta dall’art. 2, d. lgs. n. 81/2015: quando la collaborazione autonoma è qualificabile come etero-organizzata dal committente ? Qual è il <<sottile distinguo>> rispetto al disposto dell’art. 2094 c.c. ?

Rispetto ad un dettato normativo così poco perspicuo, la dottrina ha fornito un florilegio di letture interpretative, talora piuttosto astratte, che in quest’occasione vengono finalmente sottoposte al vaglio giurisprudenziale.

 Non sono mancate le censure dei commentatori sul passo della pronuncia che ravvisa nella disposizione <<un terzo genere>> di lavoro, collocato tra il tipo subordinato e la collaborazione autonoma dell’art. 409, n. 3, c.p.c. Come se la Corte d’Appello avesse inteso avallare quella categoria intermedia - il tertium genus - tra l’area dell’autonomia e quella della subordinazione che, per lungo tempo, è stata al centro d’un dibattito senza sbocco (e con una forte inclinazione autoreferenziale).

Una simile censura, però, rivela subito una finalità strumentale. La pronuncia non si abbandona affatto alla dogmatica accademica né a concettualizzazioni tipologiche, ma chiarisce  – proprio al contrario – che la disposizione dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015 non individua alcun (nuovo) tipo legale, limitandosi a svolgere una <<funzione di tutela>> delle forme di lavoro che si stanno sviluppando (anche) attraverso la diffusione delle tecnologie.

Nell’ipotesi in esame, la Corte ribadisce la natura autonoma della collaborazione in base all’assetto negoziale stabilito dalle parti – il prestatore <<resta tecnicamente autonomo>> - ed espressamente nega che l’applicazione dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015 possa comportare la costituzione d’un rapporto di lavoro subordinato oppure la conversione nel tipo standard, in quanto la norma è diretta a realizzare <<l’estensione delle tutele previste per i rapporti di lavoro subordinato>>.

La disciplina protettiva viene estesa al collaboratore autonomo quando sia inserito nell’(etero)-organizzazione predisposta dal committente che incide significativamente (e in modo unilaterale) sulle modalità esecutive della prestazione – in particolare, determinando i tempi e i luoghi della stessa – pur senza sconfinare nell’uso più stringente dei poteri che sostanziano il requisito dell’etero-direzione ex art. 2094 c.c. e caratterizzano esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato.

La nozione di etero-organizzazione delineata dalla Corte d’Appello ricalca quasi alla lettera il passaggio della sentenza FNV Kunsten Informatie della Corte di giustizia europea (sentenza 4.12.2014, C-413/13) nel quale si descrive la condizione di dipendenza organizzativa dei prestatori che, in forza d’un contratto d’opera, <<si trovano in una situazione paragonabile a quella dei lavoratori>> subordinati. Il giudice europeo avverte che il prestatore di servizi può perdere la qualità di operatore economico indipendente <<quando non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal committente per il fatto che non sopporta i rischi derivanti dall’attività economica di quest’ultimo e agisce come ausiliario integrato nell’impresa di detto committente>>.

Negli stessi termini, secondo la Corte torinese, si deve configurare la collaborazione dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015, la quale comporta <<un’effettiva integrazione funzionale>> nell’organizzazione produttiva del committente e la prestazione di servizi risulta strutturalmente connessa alla stessa organizzazione (anziché solo “coordinata” attraverso modalità definite consensualmente, come avviene nell’ipotesi dell’art. 409 n. 3, c.p.c.). Sul punto c’è una piena sintonia anche con il Tribunale del lavoro spagnolo che parimenti sottolinea come il fattorino digitale sia impossibilitato ad espletare i suoi servizi senza l’organizzazione predisposta dal committente e <<para realizar su actividad necesariamente se integra en la plataforma>> (così Juzgado de lo Social n. 33 de Madrid, n. 53/2019, cit., che però assume tale elemento come indiziario della subordinazione). 

Un ulteriore chiarimento, ai fini dell’esatta qualificazione della collaborazione etero-organizzata, concerne il carattere continuativo (oltre che esclusivamente personale) della prestazione secondo quanto previsto dall’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015. Tale requisito è da intendersi, da un lato, come <<non occasionalità>> della collaborazione (i contratti sottoscritti dai riders prevedono, infatti, un determinato periodo di durata), mentre dall’altro lato, si deve ammettere l’esecuzione di attività reiterate nel tempo (sebbene intervallate), quali sono appunto le singole consegne effettuate dai fattorini digitali.

In questo senso s’è espressa anche la Circolare del Ministero del lavoro n. 3/2016, che considera <<continuative>> le prestazioni di servizi quando si ripetono <<in un determinato arco temporale al fine di conseguire una reale utilità>> per l’organizzazione del committente.

  1. Se si condivide l’inquadramento dell’attività dei riders nella cornice dell’etero-organizzazione – in quanto la piattaforma fornisce l’indispensabile infrastruttura produttiva nella quale operano come <<ausiliari integrati>> - occorre interrogarsi sul trattamento giuridico applicabile ai rapporti di collaborazione instaurati con il committente.

Gli effetti di tale inquadramento sono (troppo) brevemente enunciati dalla Corte d’Appello: la collaborazione etero-organizzata conserva la natura autonoma che le parti contraenti hanno stabilito, ma <<per ogni altro aspetto>> si rinvia alla disciplina del lavoro subordinato. La pronuncia elenca le principali garanzie <<per quel che riguarda la sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza>>. Restano alcune rilevanti eccezioni: in particolare, la tutela contro i licenziamenti illegittimi viene esclusa <<posto che non vi è riconoscimento della subordinazione>>.

È pur vero che, nel caso concreto, le collaborazioni erano giunte a naturale scadenza e non rinnovate: dunque, in mancanza di un atto estintivo del rapporto contrattuale, il rigetto della domanda di tutela sarebbe giustificato ([1]). Tuttavia l’interrogativo non può essere eluso né aggirato poiché risulta cruciale ai fini dell’effettiva tutela dei fattorini digitali e, più in generale, per la funzionalità d’una disposizione per molti versi ancora oscura.

È ovvio che l’interpretazione letterale dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015 non basta a fornire una risposta. Come si legge nella circolare ministeriale n. 3/2016, la formulazione utilizzata dal legislatore risulta <<di per sé generica>> e semplicemente <<lascia intendere>> che si debba applicare qualsivoglia istituto, legale o contrattuale, previsto per il rapporto di lavoro subordinato.

Tra l’altro, l’estensione ex lege della <<disciplina>> lavoristica, senza alcuna specificazione, potrebbe indurre a richiamare, non solo le misure di tutela, ma anche gli obblighi connessi al vincolo di subordinazione (e allo svolgimento di <<prestazioni di lavoro esclusivamente personali>>). Una conclusione, quest’ultima, che si può scartare solo condividendo l’idea che la norma - come osserva la Corte torinese - sia stata introdotta <<evidentemente per garantire una maggior tutela>> alle nuove forme di lavoro, emerse soprattutto con il fenomeno della digitalizzazione.

Seguendo una lettura piana dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015, accolta dalla circolare ministeriale, tutte le protezioni lavoristiche (anche quelle in materia di licenziamento illegittimo) sarebbero da ricomprendere nello statuto applicabile alla collaborazione etero-organizzata ([2]). C’è un punto, però, dove emerge una significativa divergenza rispetto alla soluzione prospettata dalla Corte d’Appello: mentre la circolare assume che il legislatore <<ha inteso far derivare le medesime conseguenze legate ad una riqualificazione del rapporto>> nel senso della subordinazione, la pronuncia respinge decisamente la tesi della ri-qualificazione giuridica della collaborazione autonoma. Fatto salvo l’assetto stabilito dalle parti in sede di stipulazione del contratto, sono le modalità esecutive della prestazione in regime di etero-organizzazione a legittimare l’applicazione delle tutele lavoristiche. Tutele che, secondo l’esemplificazione formulata dai giudici torinesi, riguardano il trattamento economico-normativo e quello previdenziale.

Sebbene non emerga chiaramente dalla pronuncia (e tanto meno trapeli dal dettato dell’art. 2, co.1, d. lgs. n. 81/2015), la Corte sembra utilizzare un criterio di compatibilità in base al quale la <<disciplina>> lavoristica non si applica per intero e in modo automatico, ma solo in quanto coerente con le caratteristiche della collaborazione convenuta tra le parti. Ciò probabilmente spiega perché il trattamento retributivo dei lavoratori subordinati venga riconosciuto a favore dei fattorini digitali, <<ma solo riguardo ai giorni e alle ore di lavoro effettivamente prestate>>, senza prendere in considerazione (forse discutibilmente) l’arco temporale di disponibilità tra una consegna e l’altra, che comunque è parte integrante del modello organizzativo della piattaforma.

Le tutele collettive (relative all’inquadramento professionale e ai minimi retributivi) vengono estese ai riders in via mediata per il tramite del potere del giudice di determinare il trattamento economico proporzionato e sufficiente ex art. 36, co. 1, Cost. (in combinato disposto con l’art. 2099, co. 2, c.c.), mancando allo stato il presupposto dell’affiliazione sindacale da parte della piattaforma.

Ciò peraltro non significa che la <<disciplina>> lavoristica applicabile allo schema contrattuale dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015 debba ritenersi limitata alla sola fonte legale. Secondo un orientamento consolidato in giurisprudenza, la mancanza del presupposto per l’applicazione diretta del contratto collettivo non preclude il ricorso al parametro collettivo, quale riferimento in materia retributiva, non essendo opponibile una presunta violazione della libertà sindacale dell’impresa.

Del resto, come ha insegnato la sentenza FNV Kunsten Informatie, la contrattazione collettiva è abilitata a coprire l’ambito dei rapporti di collaborazione autonoma che, secondo la valutazione del giudice nazionale, sono caratterizzati dalla dipendenza economica ed organizzativa rispetto al committente, senza che si ravvisi una restrizione illegittima della libera concorrenza nel mercato dei servizi in contrasto con il diritto europeo (cfr. art. 101, par. 1, TFUE).

Un rapido accenno nella pronuncia della Corte d’Appello riguarda la tutela previdenziale applicabile al collaboratore autonomo ed etero-organizzato.

In linea di principio, adottando un criterio di coerenza logica – siccome i profili sostanziali e previdenziali della disciplina applicabile sono strettamente connessi - nel paniere delle tutele si dovrebbero ricomprendere gli istituti e le misure di protezione sociale riconosciute al lavoratore subordinato. Le indagini empiriche sugli operatori della gig-economy documentano che è proprio la mancanza delle tutele assicurativo-previdenziali a pesare in misura maggiore sulla loro condizione lavorativa 

Vero è che, considerata la rilevanza pubblicistica e l’indisponibilità della materia previdenziale, l’inquadramento ai fini contributivi in una determinata gestione avrebbe richiesto un riferimento chiaro e inequivoco da parte del legislatore (com’è avvenuto, ad es., per le c.d. partite IVA ri-configurate come rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 1, co. 26, l. n. 92/2012). In assenza di un’espressa previsione legislativa, gli interpreti hanno optato in prevalenza per l’iscrizione dei collaboratori etero-organizzati alla gestione separata dell’Inps, tenuto conto che l’art. 2, co. 26, l. n. 335/1995 e l’art. 50, co. 1, lett. c-bis) TUIR individuano un campo molto largo degli iscritti a tale regime, riferito a tutti <<i rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione … nel quadro di un rapporto unitario e continuativo e senza impiego di mezzi organizzati>>. Una conclusione, questa, che pare giustificata dalla (giusta) preoccupazione per le ricadute in termini finanziari e di spesa pubblica, piuttosto che da un robusto fondamento giuridico.

Nei confronti dei fattorini digitali la questione contributiva e previdenziale può (forse) trovare una soluzione abbastanza semplice quando si tratti di collaboratori o lavoratori occasionali ancora sprovvisti di iscrizione ad una gestione previdenziale. Ma si potrebbero presentare situazioni ben più complesse e confuse, dunque - in attesa dell’annunciato intervento del legislatore sul lavoro tramite piattaforme digitali - l’opera interpretativo-ricostruttiva della giurisprudenza risulterà decisiva.

 

 

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