Testo integrale con note e bibliografia
La recente sentenza della Corte di Appello di Torino sul caso dei ciclofattorini di Foodora, pur concernendo una figura minore nella galassia delle fattispecie aventi ad oggetto una attività lavorativa, ha attirato l’attenzione della dottrina e dei media perché ripropone il tema della validità ed efficacia delle tradizionali categorie qualificatorie dei rapporti di lavoro e della rinnovata tendenza espansiva delle tutele giuslavoristiche. Tema che, invero, si ripropone ogni volta che taluno dei fattori di produzione o il loro mix si presenta, come nel caso in esame, con caratteristiche innovative o alterate .
La Corte, confermando per questo profilo l’assunto del Tribunale di Torino , esclude che possa configurarsi una ipotesi di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. sul rilievo della piena libertà dei riders di fornire o meno la propria disponibilità per i vari turni (slot) offerti dalla azienda e financo di revocare tale disponibilità successivamente alla propria accettazione, ciò che contrasta con il requisito della obbligatorietà della prestazione.
L’affermazione è sintonica sia con le pronunzie giurisprudenziali che tempo addietro riguardarono i c.d. Pony express e sia con un precedente del Tribunale di Milano , sempre relativo ad una vicenda di consegna di cibo a domicilio tramite piattaforma, che avevano escluso per le medesime ragioni la riconducibilità a rapporti di lavoro subordinato.
Non può essere però dimenticato che il diniego di subordinazione ha trovato un qualche dissenso dottrinario sul rilievo che l’asserita libertà dei fattorini digitali di dare o meno la propria disponibilità per uno dei turni indicati dal committente è solo formale, potendo essi incorrere in una definitiva disconnessione punitiva della mancata disponibilità e che tale libertà non è provvista di rilievo qualificatorio specie in presenza di altri elementi che attestano l'esistenza di un potere direttivo ed organizzatorio in capo al committente e financo di un potere latamente disciplinare. Favorevole alla qualificazione in termini di subordinazione è stata altresì una recente pronunzia della Chambre sociale della Cour de Cassation francese secondo cui la subordinazione e le sue tutele sono compatibili con la libera scelta da parte del riders degli orari e della durata del lavoro allorquando siano presenti quei poteri che evocano un “lien de subordination” . Analogamente, del resto, si erano pronunziate in precedenza la Corte di appello del lavoro di Londra - che però aveva riconosciuto ai lavoratori in questione la natura di workers - e la Corte Suprema della California .
2) Sembra a chi scrive che se è vero che i riders appaiono caratterizzati da una evidente debolezza socio-economica bisognosa di adeguate tutele, deve però condividersi l’opinione, espressa sia dal Tribunale che dalla Corte di appello di Torino, che non ricorrono nel rapporto in questione elementi tali da materiare l’esposizione ad un compiuto esercizio del potere direttivo e del potere di controllo da parte della committente, dovendosi escludere la presenza degli elementi che connotano il lavoro subordinato. Anche il riferimento ad una potestà lato sensu punitiva, consistente nel potere di "disconnettere" il lavoratore poco disponibile ad accettare gli incarichi, si rivela fallace giacché anche i lavoratori autonomi possono essere oggetto di mancata proroga o di disdetta dell’incarico se non dimostrano una particolare disponibilità nei confronti del cliente e non per questo possono ritenersi esposti al potere disciplinare tipico della subordinazione.
Non resta allora che chiedersi se l’attività dei fattorini digitali possa essere o meno inquadrata nell’ambito della figura della eteroorganizzazione fotografata dall’art. 2 d.lgs 81/2015. Propedeutico a tale quesito è però domandarsi se davvero tale figura ha una propria autonomia concettuale e giuridica rispetto al lavoro subordinato di cui all’art 2094 c.c. e rispetto alle collaborazioni continuative e coordinate di cui all’art. 409 c.p.c.
La Corte di Appello di Torino risponde favorevolmente a tale interrogativo isolando ben quattro distinte fattispecie cui ricondurre l‘attività lavorativa in generale:
- il lavoro autonomo in senso stretto di cui all’art. 2222 c.c.,
- la collaborazione continuativa e coordinata, in cui le modalità del coordinamento sono stabilite d’accordo tra le parti e che presenta una ridottissima disciplina di tutela,
- la collaborazione continuativa e coordinata eteroorganizzata, delineata dall’art 2 del D. Lgs. n.81/2015, che vi riconnette le tutele del lavoro subordinato
- il lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.
Conseguentemente la Corte, ritenuto che nel caso di specie “le modalità di esecuzione erano organizzate dalla committente quanto ai tempi e al luogo di lavoro”, ma che tale eterorganizzazione “non sconfinava nell’esercizio del potere gerarchico-disciplinare (che è alla base della eterodirezione), rilevato altresi’ il carattere continuativo della prestazione (in quanto concretantesi in “attività" che vengono, anche se intervallate, reiterate nel tempo), qualifica il rapporto dei riders come autonomo, ma destinatario delle tutele previste per i rapporti di lavoro subordinato sulla base di quanto sancito dall’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015.
La Corte, peraltro, diversamente dal Tribunale, non chiarisce se al fine di tale inquadramento sia necessario che concorrano due requisiti - la eteroorganizzazione più (“anche”) la possibilità per il committente di stabilire i tempi e il luogo di lavoro - o se invece la prima si identifichi nella seconda, ma ciò non intacca, nell’ottica della Corte, il distinguo proposto tra le quattro fattispecie e segnatamente tra la subordinazione in senso stretto e la collaborazione autonoma eterorganizzata: la prima comportante un potere di impartire capillari direttive; la seconda estrinsecantesi nel coordinamento organizzativo ed esecutivo della prestazione, anche sotto il profilo logistico e temporale.
La soluzione offerta dalla Corte, pur nel tentativo di manifestare fedeltà esegetica e sistematica al dato normativo, lascia tuttavia perplessi sotto tre profili.
Innanzitutto per la difficoltà a seguire la sentenza in esame nella ricerca di un impalpabile confine tra la fattispecie delineata dall’art. 2 e quella dell’art. 2094 c.c. e, quindi, per la non agevole praticabilità applicativa del distinguo, posto che, come è stato adeguatamente puntualizzato , non è affatto facile rinvenire in concreto uno spazio autonomo per una subordinazione che non sia caratterizzata dall’ organizzazione da parte del datore/committente dei tempi e luoghi della prestazione (notoriamente costituente un indice sussidiario, ma rilevante della subordinazione); così come, per altro verso, non è facile comprendere quando le modalità del coordinamento sono effettivamente concordate tra le parti - ciò che da luogo alla co co co ex art. 409 n. 3 c.p.c. come ridefinita dall’art. 15 della legge n. 81/2017- e quando invece tali modalità siano di fatto imposte - ricadendosi nella eteroorganizzazione ex art 2.
In secondo luogo qualche dubbio suscita la contraddittoria ricostruzione in fatto operata dalla Corte che prima riconosce che la committente “poteva disporre della prestazione lavorativa degli appellanti solo se questi decidevano di candidarsi a svolgere l’attività nelle fasce orarie (slot) stabilite” dalla società e che questa “non aveva il potere di imporre ai riders di lavorare nei turni in questione o di non revocare la disponibilità data” (pag. 18 della sentenza) , ma poi ritiene, di converso, decisivo al fine della riconduzione all’art. 2 che “gli appellanti lavoravano sulla base di una turnistica stabilita dalla appellata”, che “erano determinate dalla committente le zone di partenza...e i tempi di consegna erano predeterminati (30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo)”.
Ora è il caso di precisare - sulla base di quanto rilevato dalla stessa sentenza di Appello e già da quella di primo grado -, che anche le zone di partenza e di attesa erano liberamente scelte dai riders tra quelle indicate dalla committente e che, i ciclofattorini potevano, pur dopo aver dato la disponibilità al turno, non presentarsi per rendere la prestazione e, dunque, conservavano una sovranità piena sulla determinazione dei tempi di lavoro e non lavoro. Inoltre anche gli altri profili esecutivi della prestazione (e tra essi il vincolo della consegna entro 30 minuti) evocano semmai l’esistenza di un coordinamento (consensualmente preordinato) della prestazione con l’organizzazione, le esigenze della committente e le caratteristiche del predetto da consegnare, ma non evidenziano la presenza di una compiuta eteroorganizzazione ne attestano che i tempi e il luogo fossero unilateralmente stabiliti dal committente.
La piena equiparazione al lavoro eterorganizzato, operata dalla Corte di Appello di Torino, comporta, poi, l’ulteriore problema di una difficile selezione tra le tutele apprestate in via generale per il lavoro subordinato, dal momento che non tutte si attagliano ad una prestazione lavorativa così peculiare se non altro per i continui intervalli nello svolgimento e per gli strumenti informatici utilizzati. Ed infatti la Corte evidenzia una certa difficoltà nel motivare l’esclusione di singoli aspetti da un corpus garantistico che l'art. 2 sembra compattamente estendere e che solo un difficile vaglio di compatibilità potrebbe escludere.
Insomma, la soluzione cui perviene la Corte potrebbe essere condivisa solo da chi ritiene che lo statuto del diritto del lavoro è pienamente compatibile con la libera scelta del lavoratore dei suoi orari e della durata del lavoro: il che nell’attuale stadio evolutivo della materia e alla stregua di una nozione tecnica di subordinazione, aliena da influenze sociologiche, appare affatto condivisibile.
Viceversa, una volta acclarata la piena disponibilità del platform worker in ordine alla eventualità e ai tempi della prestazione ed una volta espunta dalla fattispecie concreta l’esistenza di un potere disciplinare, la qualificazione del rapporto in esame non può essere quella della collaborazione continuativa e coordinata in ragione della mera connessione funzionale con le esigenze e l’organizzazione del committente .
Condivisibile, dunque, la soluzione in precedenza offerta dal Tribunale di Torino in primo grado che, dopo aver escluso la presenza di un vincolo di subordinazione in senso stretto, aveva affermato, nella scia delle argomentazioni della difesa della azienda, la sostanziale sovrapposizione tra la fattispecie dell’art. 2094 c.c. e quella della eterorganizzazione. Una fattispecie, quest’ultima, che postulando la sottoposizione al potere organizzativo del committente anche quanto ai tempi e al luogo di lavoro, risulta assimilabile senza residui a quella della subordinazione . Una volta ridotte a tre le fattispecie basiche era conseguente per il Tribunale la riconduzione della prestazione dei ciclofattorini digitali al mero coordinamento con l’organizzazione della azienda, esulante dall’orizzonte dell’art. 2 e sostanzialmente riconducibile alla figura di cui agli artt. 409 n. 3 c.p.c. e l. 15 l. n. 81/2017.
In una similare prospettiva si era già posta, peraltro, la richiamata sentenza del Tribunale di Milano che, dopo aver escluso la presenza di un “vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo, e disciplinare del datore di lavoro” esplicativo di vera subordinazione, aveva escluso altresi la ricorrenza della eterorganizzazione sul presupposto che “la scelta fondamentale in ordine ai tempi di lavoro e di riposo era rimessa all’autonomia del lavoratore, che la esercitava nel momento in cui manifestava la propria disponibilità a lavorare in determinati giorni e orari e non in altri” e che non può “configurarsi come organizzazione dei tempi di lavoro la richiesta, da parte del committente, di svolgere il lavoro entro un determinato termine” (i trenta minuti per la consegna), termine necessitato dal mero coordinamento/funzionalità con la natura del servizio fornito e con la sua organizzazione.
La qualificazione condivisa da chi scrive sconta ovviamente la assenza di effettive tutele in favore dei collaboratori contiuativi e coordinati, ma è più facile ed opportuno ipotizzare un intervento legislativo e/o di contratto collettivo sul regime giuridico dei riders tarato sulle loro specifiche esigenze che non una pericolosa rivisitazione delle fattispecie affidata a criteri distintivi esili e comunque problematici.
3) Poiché la disciplina giuridica dei riders appare allo stato in fieri, come confermato da più di un disegno di legge posto alla attenzione del Parlamento, conviene in margine a queste note di commento alla pronunzia della Corte di appello, accennare a qualche opzione de iure condendo che valga a mantenere la propensione garantistica in favore dei riders, certamente portatori di una condizione di debolezza socio economica, all’interno di un disegno sistematico consapevole e tale da non slabbrare consolidate coordinate qualificatorie o stravolgere l’inquadramento di altre figure .
In questa ottica appare inopportuno ipotizzare troppe fattispecie dal distinguo impalpabile , essendo viceversa preferibile mantenere un impianto fondato su tre categorie dai confini ben precisi e ormai collaudati: la autonomia ex art. 2222 c.c.; il lavoro subordinato stricto iure e il lavoro continuativo e coordinato definito da ultimo dall’art. 15 della legge n. 81/2017. In effetti accanto alla tradizionale bipartizione è ormai emersa, con caratteri sufficientemente netti, una ampia e variegata gamma di rapporti che, pur implicando una elevata interdipendenza e una marcata integrazione funzionale con l’organizzazione predisposta dal committente, si svolgono con modalità non riconducibili, se non con evidente forzatura, al paradigma della subordinazione in quanto non presentano un assoggettamento personale a vincolanti e continue direttive . Non si può certo celare la eterogeneità sociale, anagrafica, professionale e di potere contrattuale che caratterizza la variegata area delle collaborazioni che si pongono tra autonomia e subordinazione; così come non si può ignorare che talune di queste figure prediligono la libertà garantita da una simile formula contrattuale mentre altre contro voglia vengono sospinte fuori dello schema della subordinazione. E tuttavia un tratto di omogeneità le accomuna: la collaborazione continuativa alla impresa e la conformazione a talune sue esigenze senza entrare in un meccanismo di assoggettamento ad una stringente eterodirezione.
È appena il caso di affermare che una simile formula collaborativa dovrebbe essere assistita da ben altre tutele rispetto a quelle davvero minimali oggi previste, tutele agevolmente differenziabili (anche ad opera della contrattazione collettiva) in funzione delle caratteristiche delle singole figure; non estensibile dovrebbe invece rimanere il regime di garanzie riconosciute al lavoro subordinato, la cui fattispecie dovrebbe mantenere un forte aggancio ai tradizionali e consolidati indici tecnico-giuridici di soggezione ai poteri di direzione, controllo e disciplinare, senza eccessive concessioni a profili di dipendenza socio-economica.
In tale prospettiva classificatoria i platform workers, proprio per l’assenza del requisito della obbligatorietà della prestazione e di una capillare eterodirezione, andrebbero agevolmente inquadrati nell’ambito delle collaborazioni coordinate e continuative, ferma restando la necessità del riconoscimento di una serie di protezioni lavoristiche di natura contrattuale e legale compatibili con la peculiare forma di organizzazione del lavoro (ad esempio in tema di sicurezza del lavoro, assicurazione antinfortunistica, diritto di coalizione e di sciopero, divieto di discriminazioni, diritto al riposo giornaliero, settimanale, annuale).
In fondo anche per le fattispecie di lavoro utilizzate nella gig economy i criteri di qualificazione, almeno allo stato, non mutano anche se le direttive o il coordinamento vengono veicolati attraverso strumentazioni informatiche .
L’alternativa, che di tanto in tanto fa capolino in dottrina, a questa ricostruzione sarebbe quella di abbandonare l’aggancio alle fattispecie astratte delle discipline di tutela e semmai di eleggere a criterio distintivo la subordinazione socio economica, ma in realtà si tratterebbe di una prospettiva illusoria o estremamente impegnativa per il legislatore che dovrebbe costantemente ricostruire i confini applicativi delle singole discipline.
La soluzione sopra proposta si pone, invece, in sintonia con quella dottrina che più volte ha ammonito sulla opportunità di salvaguardare le specificità del lavoro autonomo anche quando “coordinato”, evitando il rischio di ammassare indiscriminatamente e forzatamente figure disomogenee nell’ambito del lavoro subordinato e/o delle sue tutele. Al lavoro autonomo coordinato vanno invece riconosciute più appropriate garanzie, calibrate sulle esigenze specifiche di coloro che operano in tale ambito, ma senza proporre traslochi pericolosi per la sopravvivenza della categoria e per le stesse esigenze di libertà e autonomia degli "autonomi".