Testo integrale con note e bibliografia
1. Se pure lo si poteva sperare, con quella pretesa sempre più utopica di una Suprema Corte che, nell’espletamento della sua funzione nomofilattica, mettesse una parola ferma sulla gestione tramite piattaforme digitali dei rider, la cosa non si è certo verificata con la sentenza n. 1663/2020, fra l’altro pronunciata nel mentre la legislazione relativa era in evoluzione, sì da renderla attardata rispetto alla sopravvenuta modifica del d.lgs. n. 81/2015. Questa sentenza sembra essersi lasciata alle spalle problematiche destinate ad emergere inevitabilmente non solo nella folta dottrina che vi si è dedicata, ma ora anche nella giurisprudenza; sì che vale la pena di ritornare brevemente sulla sua argomentazione.
Volendo sintetizzare al massimo, ad aprire la lista è la definizione offerta della vecchia formula di cui all’art. 2, co. 1 d.lgs. n. 81/2015, come “norma di disciplina”. Un autentico escamotage per evitare di qualificarla come di lavoro subordinato o autonomo, senza cadere nella fumosa fattispecie del terzo genere; ma come tale rivelatosi un sofisma, perché ogni disciplina rinvia ad una fattispecie, con una relazione di reciproca influenza fra l’una e l’altra. Tanto da trovarsi poi in difficoltà nel ricondurvi a suon di legge l’intera disciplina della subordinazione, creata a misura della fattispecie di cui all’art. 2094 c.c., cavandosela alla buona con l’escludere in via eccezionale quanto di quella disciplina risultasse affetto da una ontologica incompatibilità, espressione evanescente lasciata alla discrezionalità ermeneutica della successiva dottrina e giurisprudenza.
Cosa ovvia, la questione è stata complicata dalla modifica della formula dell’art. 2, co. 1, che oggi risulta assai ampliata, sia quantitativamente sia qualitativamente, sì da rendere non solo la sua individuazione, ma anche la selezione a sua misura della normativa della subordinazione ancora più complicate. Comunque, l’operazione della Cassazione è stata quella di distinguere nella sequenza fattuale una fase genetica, costituita dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione, da una fase funzionale, comprensiva delle singole esecuzioni, attivate in forza di una libera scelta del rider. La prima risulterebbe in una premessa che parrebbe riducibile ad una sorta di contratto normativo destinato a disciplinare le successive esecuzioni, se ed in quanto attivate. Di conseguenza tutta l’attenzione dovrebbe concentrarsi su queste ultime, che alla fine sarebbero tali da dar inizio volta a volta a specifici rapporti di lavoro.
Da questo punto di vista la continuità sembrerebbe decadere ad una mera caratteristica di fatto, riscontrabile a posteriori, pure in assenza di alcun parametro preciso, se non per esclusione rispetto alla mera occasionalità, come proposta dalla dottrina quale chiave distintiva fra il novellato art. 2, co. 1 e il neo introdotto art. 47-bis del decreto legislativo in parola.
Non è tutto, però, perché occorreva anche evitare che ci fosse un esercizio del potere direttivo, fattore che di per sé avrebbe inevitabilmente portato a ravvisare l’esistenza di rapporti di lavoro subordinati; la Cassazione lo ha fatto alla luce di una sottile distinzione fra potere di conformazione diretto e indiretto, riconducibile quest’ultimo allo stesso assetto organizzativo, di per sé sufficiente a condizionare il lavoratore, senza alcun bisogno di un esercizio costante e regolare di tale potere . Qui, però, stava il punto di caduta più problematico, se pur tramite piattaforme digitali operanti secondo algoritmi, i rider erano guidati passo a passo, tramite le app aziendali, che servivano per dare direttive istruzioni precise e per trasmettere di ritorno conferme; cosa, questa, che, una volta concentrata tutta l’attenzione sulla fase funzionale, finiva per rendere la linea distintiva fra l’art. 2, co. 1 d.lgs. n. 81/2015 e l’art. 2094 c.c. impercettibile. Sì da giustificare la tentazione di adottare quest’ultimo articolo, in quanto tale da legittimare l’attribuzione dell’intera dote della subordinazione, senza apparentemente alcuna problematica relativa ad una eventuale selezione, trattandosi della fattispecie originaria su cui quella dote è stata costruita.
2. Su questo sfondo non dovrebbe destare alcuna sorpresa l’ultima arrivata, Tribunale Palermo 24/11/2020, che completa il crescendo aperto da Tribunale Torino 7/5/2018 con riguardo alle piattaforme digitali operanti tramite rider, così da passare da rapporti di collaborazione autonoma a rapporti di lavoro subordinato, con riguardo ad una vicenda facente capo non più a Foodora, ma a Foodinho, azienda multinazionale spagnola dotata del marchio Glovo. La fattispecie fattuale è simile, ma non uguale, per la presenza di una variante valorizzata nella motivazione, proprio al fine di concludere per la riconducibilità sotto l’art. 2094 c.c.
Vale la pena di ripercorrere la via seguita dal Tribunale di Palermo, a partire dalla ricostruzione della vicenda offertane da parte ricorrente, dato che questa è stata sostanzialmente condivisa dal giudice, fino a costituire la base portante dell’argomentazione in diritto. Si procede dalla domanda del ricorrente circa, in via principale, l’esistenza di “una subordinazione in fase di attuazione del rapporto” e, in via subordinata, una “collaborazione etero-organizzata ex art. 2 del d.lgs. 81/15”, con la conseguente applicazione della disciplina del lavoro subordinato. Da qui, la richiesta del la nullità della sospensione dalla prenotazione ai turni, considerata come un licenziamento orale discriminatorio, nonché del “riconoscimento come tempo di lavoro delle frazioni temporali nelle quali è stato ‘a disposizione della società’ in attesa di ricevere un ordine ovvero è stato impegnato in attività ausiliarie”.
La premessa alla fase esecutiva è data dalla presenza di una società che, tramite una piattaforma digitale operante in base ad un algoritmo, calcola la domanda dell’utenza di una determinata area e fascia oraria, per poi stabilire per ogni settimana i turni di lavoro, slot. A tali turni possono accedere i rider che abbiano concluso un contratto di lavoro autonomo e provveduto a registrarsi sulla piattaforma, ricevendone un software, c.d. app, da installare sul proprio smartphone, poi collocato sul manubrio della bicicletta, per averlo “sempre in vista”; nonché una borsa termica, una batteria esterna di ricarica, un manuale comportamentale con le istruzioni da seguire nel corso dell’esecuzione.
L’attenzione resta concentrata sulla successiva attività, tramite “il coordinamento di una rete di rider, la cui prestazione è costantemente gestita e diretta dalla piattaforma digitale dalla fase iniziale di accettazione dell’ordine, al suo ritiro (la cd ‘presa in consegna’), sino al recapito e alla rimessa del denaro”. Una volta raggiunto il numero di rider necessario per ogni sessione di lavoro, viene scaglionata nel tempo la facoltà di prenotare i turni, secondo un punteggio di eccellenza, per cui i più produttivi accedono per primi, mentre i meno produttivi solo in seguito, quindi ai turni non ancora saturi o residui, così da avere “una minore possibilità di scelta e conseguentemente minori possibilità di lavoro venendo man mano estromessi”. Il regolamento del punteggio di eccellenza è calcolato in 100/100, con riguardo a vari parametri, quali l’attività svolta in c.d. “alta domanda”, efficienza, feedback dell’utente, esperienza, feedback dei partner; ma, può essere diminuito per alcuni comportamenti non conformi al modello lavorativo, sì da rivelare in negativo l’esercizio di un potere sanzionatorio.
Una volta prenotatosi per un turno di lavoro, il rider deve presentarsi nel giorno e nell’ora prestabiliti nella zona di lavoro, a meno che non abbia deciso di chiamarsi fuori con un preavviso di tre ore; qui effettua il collegamento alla piattaforma, cd. check in, che lo rende geo-localizzabile; riceve l’ordine, contenente l’indicazione del percorso ritenuto ottimale o comunque unilateralmente utilizzato dalla società per il calcolo della tariffa chilometrica; ritira la merce, con contestuale fotografia, inserzione nel sistema dello scontrino, sottoscrizione sullo schermo dello smartphone da parte del fornitore; rispetta un codice di condotta relativo alla soluzione di qualsiasi problema sorga con il cliente in sede di consegna.
Il compenso determinato unilateralmente dalla piattaforma è a cottimo, cioè a consegna, calcolato città per città e integrato per il chilometraggio percorso secondo i tragitti più brevi fra il punto in cui è ricevuto l’ordine e il punto di ritiro e, rispettivamente, il punto di ritiro e il punto di consegna; più un forfait per i tempi di attesa e un eventuale bonus pioggia. Il corrispettivo viene saldato in forza di una fattura elaborata dalla società, con la sua trasmissione automatica sull’account di ciascun rider; a sua volta, il cliente paga per via di una carta di credito o di contanti, il cd. ‘saldo cassa’, che il rider deve versare alla società tramite bonifico, secondo una complessa procedura, che contempla anche due ipotesi in cui può trattenerlo, per pagare il fornitore all’atto del ritiro della merce e per percepire anticipi sul compenso.
Quanto all’attività prestata dal 5 ottobre 2018 al 4 marzo 2020, in forza di due contratti, qualificati di “prestazione d’opera”, sottoscritti, rispettivamente, il 28 settembre 2018 e 7 ottobre 2019, previa richiesta della società di apertura della p. iva, essa è stata svolta “prenotando le sessioni di lavoro che il sistema gli rendeva disponibili sulla base del giudizio di affidabilità posseduto”, con orari settimanali e mensili crescenti col passare del tempo, da ottobre-dicembre rispettivamente con 12 e 51 ore e dal 16 settembre 2019 a febbraio 2020 rispettivamente con 54 e 233 ore.
Qui non interessa seguire la successiva ricostruzione di una contesa alquanto vivace fra il ricorrente e la società, con una reazione di quest’ultima in termini di sospensione dell’ammissione ai turni di lavoro, che verrà interpretata dalla giudice come un licenziamento orale discriminatorio, quindi del tutto nullo, sì da giustificare la continuità del rapporto di lavoro subordinato.
3. Trattasi di una ricostruzione limitata a quella parte relativa all’esistenza della subordinazione, dove la giudice si pone preliminarmente una questione trascurata nella sequenza delle sentenze relative al caso Foodora, cioè “se l’obbiettivo di tali piattaforme … sia quello di mettere in contatto l’utenza, svolgendo una attività di mera intermediazione, ovvero se la loro sia una attività di impresa di trasporto di persone o di distribuzione di cibo e bevande a domicilio”. E, attraverso il richiamo della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della giurisprudenza internazionale ed interna, conclude nel secondo senso, di essere in presenza di una vera e propria attività di impresa di trasporto o distribuzione, con la conseguente possibilità de facto “che i suoi collaboratori lavorino per conto (e non semplicemente in nome) della piattaforma stessa e che, dunque siano inseriti in una organizzazione imprenditoriale , di mezzi materiali e immateriali, di proprietà e nella disponibilità della piattaforma stessa e così del suo proprietario e utilizzatore”.
La questione centrale postasi alla giurisprudenza è considerata quella della configurabilità a proposito dei rider di rapporti di lavoro autonomo o subordinato, con una ricognizione che da quella internazionale si prolunga fino a quella nazionale, dove i Tribunali Torino 7 maggio 2018 e Milano 10 settembre 2018 avevano escluso che potessero essere considerati subordinati in quanto “la libertà dei fattorini digitali di decidere se e quando lavorare compromette, ab origine, l’esercizio da parte dell’azienda del potere direttivo e disciplinare… guardando alla fase genetica del rapporto” e “omettendo di addentrarsi nella valutazione” della “fase esecutiva”. Cosa che, invece, ha fatto la Corte di Appello di Torino, ritenendo applicabile la disciplina dell’art. 2, co. 1 d.lgs. n. 81/2015, ma senza per questo concludere per la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto il rider resterebbe, comunque, tecnicamente autonomo.
Ma, proprio in forza di tale distinzione fra fase genetica (dove sussiste la facoltà di obbligarsi o meno alla prestazione) e funzionale (dove emerge la determinazione sostanziale delle modalità della prestazione tramite una piattaforma multimediale e un applicativo per lo smartphone), la Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante cercare di qualificare i rider come lavoratori autonomi o subordinati, trattandosi comunque di etero-organizzati ai sensi dell’art. 2, co. 1, come tali soggetti alla disciplina della subordinazione; senza, peraltro, escludere che, d’innanzi ad una specifica domanda dei lavoratori, possano essere qualificati come lavoratori subordinati, in ragione delle modalità effettive di svolgimento dei rapporti.
Tuttavia, a divenire importante per il Tribunale di Palermo, è proprio l’esistenza di una effettiva libertà dei rider nella fase genetica, libertà chiamata in causa dalla Corte di Giustizia, per, poi, essere considerata dalla Corte Suprema Spagnola, in un caso Giovo, “solo apparente, anche con riferimento alla scelta del come e del quando lavorare, per essere egli assoggettato alla piattaforma nell’organizzazione del proprio lavoro, in relazione al funzionamento dell’algoritmo di assegnazione degli slot, funzionale al migliore servizio per il datore di lavoro, e al sistema premiale (punitivo) delle valutazioni”. Nell’aderire a quest’ultima pronuncia sta tutta la novità del Tribunale di Palermo, che, appunto mira a demolire la stessa posizione condivisa dalla giurisprudenza relativa al caso Foodora, per cui ci sarebbe una fase gestionale caratterizzata da una libertà di scelta da parte del lavoratore.
Prima, però, sottolinea la necessaria evoluzione della nozione di cui all’art. 2094 c.c., modellata sulla figura dell’operaio fordista, ma da interpretare ora in relazione all’attività prestata tramite piattaforma digitale, che può rivelarsi subordinata, come riconosciuto da Cass. n.1663/2020 e dalla circolare dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro 19.11.2020. Per attestarne l’acquisita elasticità è richiamata la giurisprudenza della Cassazione relativa alla figura di “subordinazione attenuata”, per attività altamente qualificate o meramente esecutive; e l’ormai classica sentenza della Corte costituzionale n. 30/1996, circa la duplice condizione della subordinazione, l’alienità del risultato e del processo produttivo.
Da qui risulterebbe la perdita di rilevanza della etero-direzione a favore dell’etero-organizzazione, come premessa alla disamina della controversia, in base all’istruttoria svolta, che inizia dalla ricostruzione dell’orario effettivo, cioè di consegna, escluso il tempo di attesa, che copriva, nel 2019, sostanzialmente tutti i giorni, per un numero di ore mai inferiore a quattro e spesso vicino alle otto; e nel 2018, nei primi mesi, quasi tutti i giorni, con meno di quattro ore, qui, con un anticipo di quello destinato a divenire un argomento vincente, che, cioè, tale orario ridotto risultava “connaturato al sistema che seleziona per norma per ultimi i collaboratori senza anzianità per la prenotazione degli slot”. Dal che deve dedursi che “detta modalità di prestazione quantitativa e prolungata nel tempo, dal 5.10.2018 al 3 marzo 2020, non può che condurre a ritenere che si tratti di una collaborazione di natura continuativa, non invece occasionale, né costituita dall’insieme di singoli innumerevoli contratti, come dedotto dalla società convenuta”.
Qui, però, emerge la forzatura ermeneutica, perché la continuità riscontrata a posteriori non spiega di per sé come sia riconducibile a priori ad una causalità giuridica, da cui dipenda unitariamente l’intera sequenza, visto l’esclusione dell’ipotesi di contratti attivati di volta in volta con l’inizio stesso delle esecuzioni. Così, dovrebbe essere il contratto iniziale, firmato in vista della registrazione nella piattaforma, quello da cui far discendere l’obbligatorietà di prenotarsi nei turni programmati, con esclusione di quella libertà di scelta di per sé incompatibile con la subordinazione. Solo che per il Tribunale che nella fattispecie considerata è proprio la libertà di scelta a “non essere reale, ma solo apparente e fittizia”. In base al meccanismo del premio di eccellenza uno è selezionato nell’accesso agli slot, secondo il suo punteggio: tanto più è alto, tanto più è in grado di prenotare quello che risponde meglio alle sue esigenze; tanto più è basso, tanto più è costretto a scegliere quello che rimane ancora libero. Solo che il punteggio matura in forza di determinati fattori relativi alla disponibilità e correttezza già dimostrata in precedenza, che quindi vincolano il lavoratore, traducendosi, in difetto, in sanzioni disciplinari atipiche, scontate in sede di scelta dei turni. Se pur solo con un accenno, il Tribunale di Palermo si spinge oltre, sostenendo che, comunque, lo stesso fatto di rifiutare un turno, avrebbe inciso negativamente nel punteggio, se pur con un contestuale inciso fra parentesi, cioè “tanto più se in ritardo al termine di tre ore in cui il rifiuto può essere effettuato sull’app”.
Una volta accertata l’assenza di una effettiva libertà di scelta e la presenza di una continua e puntuale attività confermativa, se pur attuata tramite direttive fornite dalla piattaforma sull’app del rider, la conclusione a favore della natura subordinata del rapporto risulta del tutto scontata. Ma, a questo punto, diventa interessante la liquidazione delle differenze retributive, con riguardo a un rapporto a tempo pieno cui deve essere applicato il trattamento economico previsto dall’inquadramento nel VI livello del CCNL Terziario, relativamente non solo alle ore non contestate, “lavorate dal ricorrente per effettuare le consegne”, ma parimenti, anche delle ore non specificamente contestate “in cui, al di fuori delle consegne al fine di operare le medesime, il lavoratore fu a disposizione del datore di lavoro”.
Ora la prima considerazione è data dalla peculiarità della vicenda caratterizzata, quale la previsione di un premio di eccellenza che servirebbe a selezionare la possibilità di accedere agli slot, resi disponibili a seconda del punteggio maturato. Di certo non potrebbe parlarsi di una libertà di scelta se il lasciare passare una tornata senza prenotarsi influisse negativamente sul punteggio. Che dire, però, se invece tale libertà fosse messa in questione per il fatto dell’essere ristretta in misura crescente dalla dinamica negativa dei fattori considerati rilevanti per il punteggio, quali l’attività svolta in cd. ‘alta domanda’, efficienza, feedback dell’utente, esperienza, feedback dei partner? Non ci sarebbe problema, se, invece, comportassero solo l’attribuzione di voci retributive, trattandosi di incentivazioni riconducibili ad una sorta di fidelizzazione. Ma non è detto che vi sia un problema, al di là di ogni dubbio, se, come qui, assumono la forma di premialità che creano precedenze nella presentazione dei turni, sì da rendere la facoltà di scelta, al tempo stesso, più ampia per alcuni e più ristretta per altri; ma tale premialità è basata su una valutazione della continuità ed efficienza dell’attività svolta, che di per sé non sembra trasformarsi in una obbligatorietà legale di prenotarsi ai turni sempre e comunque.
Tale obbligatorietà legale deriverebbe dal contratto iniziale qualificato come subordinato a tempo pieno, che sarebbe tale da assicurarla per tutte le prestazioni effettuate nel tempo della sua valenza, dando così vita ad una continuità giuridica, che, peraltro, resterebbe provata dalla rilevazione fattuale, condotta a posteriori alla luce dell’istruttoria. A questo punto questa continuità dovrebbe comprendere anche i periodi intercorrenti fra le prestazioni, intesi come di permanente disponibilità alla pubblicazione dei turni, nonché gli orari delle prestazioni fra quelli effettivi e quelli del tempo pieno; lo dovrebbe se si volesse forzare al limite la prospettazione fatta nella motivazione.
A prescindere da quest’ultima battuta, si deve dar atto dell’ingegnosità della soluzione circa la presenza sotto la veste di una libertà di scelta, di una vera e propria obbligatorietà occulta; ma al tempo stesso, rilevare come, a discapito della ricca citazione di giurisprudenza internazionale, non vi sia una disamina attenta della legislazione vigente, a partire dalla novella al d.lgs. n. 81/2015, tutta in funzione della disciplina dell’attività lavorativa svolta tramite piattaforme digitali, sia pure con una non facile relazione fra le nozioni di cui agli art. 2, co. 1 e 47-bis. Una relazione che viene liquidata, osservando come la norma di cui all’art. 47-bis e successiva disciplina “anche sulla scorta della interpretazione normativa fornita con circolare del 19.11.2020 dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro … appare finalizzata a regolamentare i casi residuali di lavoro occasionale dei rider, reso nelle forme del lavoro autonomo”. Così ritorna a costituire fonte di diritto quella circolare amministrativa già richiamata in precedenza a conferma della possibilità di individuare nella fattispecie rider la presenza di una subordinazione.
Se è vero che la stessa evoluzione giurisprudenziale in merito al caso Foodora aveva facilitata la strada ad una riconduzione all’art. 2094 c.c. del lavoro dei rider come fatto da questa sentenza del Tribunale di Palermo; è pur vero che tale articolo, per quanto dilatato in lungo ed in largo, non si presta affatto alla bisogna, in sé e per la normativa cui apre la porta. A chi tocca pronunciare una parola di certezza, al Parlamento o alla Cassazione?