TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Premessa
Difficilmente i ‘padri fondatori’ di questa materia avrebbero potuto pensare in passato che il futuro del diritto del lavoro sarebbe stata la gig economy, ma anche allora non avevano mai escluso che il lavoro e, soprattutto l’ organizzazione del lavoro, avrebbe potuto cambiare nel corso del tempo.
Eppure quello che è stato chiarito in passato basterebbe sempre e comunque, a prescindere dai cambiamenti del mercato.
Per capire i tempi moderni è necessario allora ripartire dal passato, muovendo cioè da considerazioni che oggi vengono date per scontate, prima tra tutte, la natura contrattuale del rapporto di lavoro .
Da questa premessa, va infatti ricordato che quasi trent’anni or sono era stato già chiarito come il lavoro subordinato potesse esistere anche al di fuori dell’impresa .
E quasi sessant’anni fa si era già affermato che il contratto di lavoro subordinato fosse ‘creativo’ dell’organizzazione dell’imprenditore , per poi essere chiarito quasi vent’anni più tardi che ne fosse ‘solo’ parte e ritornare anche nel post-taylorismo a considerarlo quale strumento attraverso cui l’imprenditore “si procaccia” il lavoro altrui.
Coerentemente a quest’ultima considerazione si collocava del resto, prim’ancora di tutti, ma su un piano diverso, quello processual-civilistico, il pensiero di Salvatore Satta , secondo cui il ricorso d’urgenza poteva essere invocato per tutelare solo situazioni giuridiche finali, poiché da queste deriva un obbligo da parte di tutti consociati a non impedire il godimento (ovvero l’esercizio) del diritto, negando invece l’irreparabilità del pregiudizio di un diritto nascente da situazioni giuridiche strumentali, giacché i diritti di credito derivanti da un contratto sono sempre risarcibili in un successivo giudizio.
Di conseguenza, un rapporto obbligatorio come quello di lavoro non può essere suscettibile di tutela cautelare ex art. 700 c.p.c., in quanto non vi sarebbe alcun danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione che non possa essere successivamente riparato.
Nonostante siano passati circa settant’anni da queste ultime affermazioni, si può dire che anche su un piano processualistico il diritto del lavoro non sia cambiato, se si pensa che i ricorsi aventi ad oggetto l’illegittimità del licenziamento (previa) e la riqualificazione del rapporto, sistole e diastole di questa materia, da cui muove (per l’appunto) il presente contributo, non celano mai (se non in astratto) un periculum in mora che giustifica un ricorso d’urgenza .
Partendo dal superiore assunto, non può dunque che venirne confermata la natura del contratto di lavoro subordinato come un semplice contratto a prestazioni corrispettive tra lavoro e retribuzione.
Se così non fosse, non si capirebbe nemmeno perché, a distanza di un anno, i riders non abbiano dato vita ad un contenzioso seriale per l’applicazione della disciplina dei rapporti di lavoro subordinato: un ciclofattorino non sente infatti il bisogno di fare ricorso alla giustizia per tutelare i propri diritti fin quando avrà la tangibile possibilità (anche solo potenziale, perché, come seguirà, dipende tutto apparentemente dalla sua volontà) di fare consegne.
Fin quando infatti un lavoratore è (nel senso che si sente) alle dipendenze di un imprenditore non sentirà il bisogno di far valere le proprie pretese creditizie per il timore reverenziale che ha nei suoi confronti: sentirà il bisogno di farle valere solo nel momento in cui verrà meno il rapporto. Tant’è vero che la prescrizione dei crediti da lavoro non decorre mai in costanza del rapporto, ma dal momento della sua cessazione .
Del resto, se solo si riflettesse bene, ai riders di Torino sembrerebbe essere bastata “la vittoria di Pirro” dell’applicazione dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, limitatamente al riconoscimento delle tutele ‘soltanto’ economiche, altrimenti avrebbero proposto ricorso incidentale in Cassazione per ricomprendere nell’articolo anche le (ulteriori) tutele del licenziamento .
2. Oggetto dell’indagine
Forse non sarà il Manifesto della Poetica Nolaniana , ma «Non è tanto chi sei, quanto quello che fai, che ti qualifica» rappresenta invece da sempre la quintessenza del diritto del lavoro, poiché ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto - a seconda delle modalità di svolgimento - sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo .
Con due gradi di giudizio che negavano la conversione del rapporto , più uno che ne orientava normofilatticamente la natura autonoma a cui applicare per intero “la disciplina del rapporto di lavoro subordinato” , il tema della qualificazione dei riders (e non) avrebbe finito col diventare nel corso del tempo una semplice operazione giurisprudenziale, eppure a distanza di un anno dalla sentenza del 24 gennaio 2020 n. 1663, le cose sembrerebbero essere andate diversamente, perché appunto, nel diritto del lavoro, è “quello che fai, che ti qualifica” e non viceversa.
Secondo la sentenza del 24 novembre 2020 n. 3570 del Tribunale di Palermo il rider è adesso anche subordinato .
I riders non possono tuttavia essere allo stesso tempo autonomi e subordinati, perché le modalità di esecuzione della prestazione dei ciclofattorini sono le medesime per ogni servizio di delivery e si declinano indistintamente per ciascun lavoratore: come direbbe la Suprema Corte, v’è sempre una fase genetica in cui viene firmato un contratto ed una fase funzionale in cui interviene un’app.
È allora forse il caso di meditare nuovamente sulla natura giuridica di tutti coloro “che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali” .
Apparirebbe infatti anacronistico (e forse semplicistico) collegare – limitatamente a questa categoria di lavoratori ed in generale a quelli che lavorano tramite app – alla sola capacità probatoria delle parti la riqualificazione del rapporto. Si pensi infatti che, a tal proposito, il Tribunale di Palermo ha dichiarato la natura subordinata del rider sulla base di un’istruttoria esclusivamente documentale . E del resto a cosa servirebbe la prova testimoniale per una prestazione che prescinde da interazioni personali e viene esclusivamente svolta tramite l’utilizzo di piattaforme digitali?
Si rinnova così, ancora una volta, l’imperante tematica che contrappone la validità ed efficacia delle tradizionali categorie qualificatorie dei rapporti di lavoro alla tendenza espansiva delle tutele giuslavoristiche .
Bisogna infatti tenere debitamente conto della nuova tendenza del diritto del lavoro di andare “oltre la subordinazione” quale parte del “Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile” al fine di tutelare (tra gli altri) anche i ciclofattorini che svolgono la prestazione di lavoro ai sensi dell’art. 2222 c.c e soprattutto dell’art. 409, n.3, c.p.c., cosicché ai fini tutelari di questi ultimi «Basterà allora anche solo nel petitum “puntare alla subordinazione. Mal che vada, si è comunque etero-organizzati”» .
In altre parole, le tutele dei riders dovrebbero comunque prescindere da un approccio di tipo qualificatorio perché le loro problematiche sarebbero state già superate per mezzo di un approccio rimediale : come a dirsi che “Il rider non è lavoratore subordinato, ma è tutelato come se lo fosse” ovvero, più esplicitamente, che “non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini !abili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina” .
In quest’ottica, infatti, la Legge n. 128/2019 da un lato, ha specificato in un nuovo periodo che le disposizioni di cui all’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 81/2015 , “si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali” e dall’altro, ha inserito un nuovo Capo V-bis, genericamente rubricato “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”, per introdurre “livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui… attraverso piattaforme anche digitali” , considerando, ai fini del suo ambito applicativo, “piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche delle imprese che…organizzano le attività di consegna di beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione” .
Secondo anche lo stesso legislatore, dunque, il rider che consegna merci tramite piattaforme digitali è una categoria di lavoratore sempre meritevole di tutela, a prescindere dal carattere occasionale (Capo V-bis) ovvero continuativo della prestazione (art. 2).
Un volta analizzata la natura giuridica dei ciclofattorini, sarà pertanto consequenzialmente necessario soppesare l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, quale strumento effettivamente più antielusivo del precedente, cercando di capire soprattutto perché i giudici sembrino comunque continuare a preferire un approccio di tipo qualificatorio, a discapito di quello rimediale auspicato in questi anni dalla dottrina e dalla menzionata sentenza della Suprema Corte.
3. I riders pre 2015
Prima dell’etero-organizzazione, era il contratto a progetto a portare avanti la lotta contro l’elusione della disciplina del lavoro subordinato , ai sensi dell’art. 61, D.lgs. n. 276/2003, secondo cui ogni co.co.co. doveva essere ricondotto ad un progetto specifico, pena la riqualificazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 69 del medesimo decreto.
La Legge del 28 giugno 2012, n. 92 aveva poi specificato che il progetto non poteva però consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, e dunque le prestazioni a carico del lavoratore non potevano essere coincidenti con l’ordinaria attività aziendale , né “comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi”.
Prima del 2015, pertanto, la riqualificazione del rapporto poteva avvenire percorrendo due distinte cause petendi, ex art. 69, D.lgs. n. 276/2003 ed ex art. 2094 c.c.
Senza entrare nel merito della seconda via prospettata, che sarà analizzata nei prossimi paragrafi, in passato il rider avrebbe dovuto essere ricondotto ad un progetto, che sarebbe stato diretta riproposizione del core business delle aziende di delivery , nonché finalizzato allo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi.
Il ciclofattorino avrebbe così beneficiato di una piena riqualificazione del rapporto di lavoro ai sensi (e soprattutto ai tempi) dell’art. 69, D.lgs. n. 276/2003.
La fattispecie oramai è superata, ma nulla esclude che i principi possano essere utilizzabili anche oggi, specialmente se si pensa che proprio la Legge Fornero aveva anche predisposto un meccanismo di presunzione per contrastare il fenomeno delle false partite IVA , presumendo collaboratori a progetto, e in assenza dei requisiti, lavoratori subordinati, quelle collaborazioni che presentassero due delle seguenti condizioni ex art. 69-bis: «1. La collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore ad otto mesi annui per due anni consecutivi; 2. Il corrispettivo derivante da tale collaborazione costituisca più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni consecutivi; 3. Il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.»
4. I riders post 2015
Nel noto contenzioso di Torino post Jobs Act, la figura del rider post è stata (quasi del tutto) pacificamente assimilata a quella del pony express , avendo entrambi la possibilità di decidere se obbligarsi o meno alla prestazione.
La natura autonoma del rapporto di lavoro dei ciclofattorini deriverebbe pertanto dalla non obbligatorietà della prestazione : “la linea di confine tra autonomia e subordinazione è stata individuata soprattutto nell'effettivo grado di libertà del rider di determinare autonomamente, l'an, il quando e il quantum della prestazione” .
Una volta obbligato alla consegna delle merci, tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, il committente inizierebbe ad esercitare un potere organizzativo idoneo ricondurre la collaborazione nell’alveo dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, applicando – senza riqualificare – l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato .
Bisognerebbe dunque distinguere la fase genetica dalla fase funzionale, senza però che quest’ultima possa incidere del tutto sulla qualificazione del rapporto, essendo determinante ai fini dell’esclusione della subordinazione solo la prima.
Una libertà che in verità sarebbe del tutto apparente secondo quanto invece affermato dal Tribunale di Palermo , essendo comunque prestazione influenzata dalla continuità nella disponibilità dei ciclofattorini: più ti obblighi alla consegna, più potrai consegnare, meno ti obblighi, meno potrai farlo.
Il che sarebbe secondo il giudice palermitano di per sé sufficiente a confutare le motivazioni di Torino (e di Milano) nella parti in cui escludevano radicalmente la subordinazione dei ciclofattorini.
Il Tribunale di Palermo parte in verità da un potpourri di approcci metodologici – subordinazione, attenuata e non, e doppia alienità – per poi imputare la causa della riqualificazione del rapporto al solo sistema algoritmico premiante , come se la libertà apparente fosse determinante ai fini qualificatori della prestazione. In verità però, anche se solo implicitamente, il ragionamento del giudice è perfettamente coerente con la giurisprudenza di questi anni in merito alla subordinazione attenuata.
La libertà apparente può infatti rilevare tutt’al più quale effetto – nella variante cioè di spia ovvero di indice, se si preferisce – e non come causa della subordinazione .
Ma se non avesse considerato la libertà del ciclofattorino apparente, avrebbe comunque riqualificato il rapporto?
E se nel futuro prossimo un giudice aderisse ad autorevole dottrina considerando “paradossale che qui un meccanismo che spersonalizza la selezione del rider venga visto come veicolo di sopraffazione della sua libertà sol perché strumentale all’obiettivo aziendale, assai ragionevole, dell’efficacia del servizio” ?
Secondo lo scrivente, è allora necessario convertire il rapporto di lavoro dei riders movendo da iter agomentativi differenti (anche dal Tribunale di Palermo) onde evitare di incorrere in ulteriori corto circuiti qualificatori.
5. La libertà dei ciclofattorini
Nell’ottica di chi scrive, infatti, la riqualificazione del ciclofattorino prescinderebbe dalla libertà o meno di obbligarsi dalla prestazione.
Ove si volesse però per assurdo escludere la subordinazione dei ciclofattorini in ragione della genetica facoltà di obbligarsi, sarebbe comunque necessario partire da diversi approcci metodologici.
Se si vuole, da un approccio di tipo social-giuslavoristico.
La fase prodromica avrebbe dovuto essere vagliata dai giudici non sulla base del tempo della giornata, ma dal clima dell’epoca.
In altre parole, nel contenzioso torinese non avrebbero dovuto troppo frettolosamente sovrapporre la giurisprudenza dei pony express a quella dei riders: 1) perché siamo in un Paese di Civil Law ed i giudici non sono vincolati dai precedenti giudiziali ; 2) perché, se anche paradossalmente fosse vigente nel nostro ordinamento il principio dello stare decisis, i giudici non potrebbero comunque ignorare i cambiamenti culturali e normativi avvenuti dopo gli anni 90’.
La giurisprudenza su cui il Tribunale di Torino ha fondato l’esclusione della subordinazione dei ciclofattorini è infatti perfettamente coerente con il clima dell’epoca in cui furono emesse, ma stridono con una realtà che considera da quasi vent’anni lavoro subordinato un contratto con il quale il lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro per lo svolgimento di prestazioni lavorative discontinue o, appunto, intermittenti anche senza obbligo di accettazione.
Altrimenti, se si vuole, (e nel più è sempre ricompreso il meno) si potrebbe partire da un approccio di tipo civilistico.
Se è vero, come è vero, che è lavoratore subordinato chi si obbliga mediante retribuzione allo svolgimento della prestazione lavorativa, ciò che rileva ai fini qualificatori dei riders non è la fase genetica, ma quella funzionale, nel momento cioè in cui il ciclofattorino decide di obbligarsi alla consegna, poiché è in quel momento che viene a realizzarsi l’interesse della piattaforma rispetto tanto alle modalità di svolgimento della prestazione, quanto al risultato dalla stessa atteso .
È infatti lavoratore subordinato chi si obbliga e non chi viene obbligato.
Il contratto fisicamente firmato con la piattaforma non è fin da subito produttivo di effetti obbligatori per ambo le parti, ma è solo potenzialmente idoneo a produrre quegli effetti, che si avranno esclusivamente quando il lavoratore deciderà di loggarsi, ben cosciente che in quel momento andrà a soddisfare l’interesse tanto al ‘coordinamento’ quanto al risultato richiesto dalla piattaforma. E ciò prescinde anche dal fatto che poi nel concreto il lavoratore possa effettivamente ricevere – sulla base del sistema algoritmico premiante – un ordine, perché nel caso dei riders la continuità della prestazione deve essere vagliata non alla luce del consegne rese, ma della messa a disposizione delle proprie risorse alle esigenze (anche solo potenziali) della piattaforma , capitando spesso che il numero dei ciclofattorini disponibili sia maggiore degli ordini.
Partendo dal superiore assunto, tra piattaforme e ciclofattorini viene invero stipulato un contratto condizionato, in cui la condizione non incide però sulla conclusione del contratto e, conseguentemente, sull’esistenza dell’obbligazione, ma solo sull’efficacia del primo e, conseguentemente, sull’esigibilità della prestazione dovuta.
La condizione menzionata ha carattere potestativo, ma non meramente potestativo, poiché l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza del ciclofattorino, ma è altresì idonea a soddisfare anche l'interesse proprio della piattaforma, senza che però rilevi come la relativa valutazione sia rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato .
Ne consegue che la fattispecie giuridica esiste, ma non produce effetti al momento genetico del rapporto, rendendo irrilevante ai fini qualificatori del rapporto la facoltà di obbligarsi dei ciclofattorini, poiché è la fase funzionale a qualificare la prestazione di lavoro nella sua interezza, non viceversa .
Cosicché può essere subordinato anche il rider che si logga mediante (potenziale) retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro manuale purché (e soprattutto se) alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
Ciò posto, sarà allora necessario porre sotto la lente di ingrandimento entrambi i profili (“alle dipendenze e sotto la direzione”), partendo però per motivi argomentativi dal primo, perché “ai fini qualificativi della prestazione/collaborazione (ex art. 2094 c.c.), quel che conterà sarà che l’obbligazione di lavorare sia adempiuta ‘sotto la direzione’ del datore di lavoro; ove questo requisito sussista il lavoratore potrà essere considerato ‘subordinato’ e pertanto ‘alle dipendenze’ del datore di lavoro, gravando su di lui anche la soggezione agli altri poteri legali” .
6. Sotto la direzione
Una volta superati i problemi derivanti dalla genetica libertà dei ciclofattorini, è necessario partire dai principi correttamente menzionati, ma mai effettivamente declinati dal Tribunale di Palermo, per vedere se effettivamente il rider sia sotto la direzione dell'imprenditore.
È infatti lavoratore subordinato chi svolge la prestazione sotto la direzione del datore di lavoro, posto che però non è sempre necessario, ai fini dello svolgimento della prestazione, l’esercizio di un potere direttivo capillare e continuo.
La subordinazione è piena se è l’etero-direzione è perfettamente tangibile, ma quando il potere direttivo non viene esercitato mediante ordini ed istruzioni precise, vuoi perché la prestazione richiesta è altamente professionale , vuoi perché si tratta di lavoratori apicali , vuoi perché si tratta di compiti meramente esecutivi e ripetitivi , la subordinazione può essere anche attenuata .
Posto che nel caso dei ciclofattorini, pur essendo le consegne di cibo compiti meramente esecutivi e ripetitivi, l’esercizio del potere direttivo è comunque tangibile , ma è (stato anche legittimamente) fuorviato dalla distinzione fra fase genetica e fase funzionale del rapporto (perché non è continuativo), sarà comunque necessario fare un ulteriore passo verso la subordinazione, dando per scontato che per i ciclofattorini possa essere solo in forma attenuata.
Nella subordinazione attenuata, ai fini qualificatori del rapporto, l’assenza dell’analitico potere direttivo deve essere controbilanciata da “una serie di indici sulla cui variabile combinazione, in relazione alle peculiarità dei casi concreti” la giurisprudenza “è andata fondando l’accertamento, in positivo o in negativo, dell’assoggettamento del lavoratore all’esercizio dell’altrui potere” .
Si è dunque cercato in questi anni di risalire alla etero-direzione attraverso un ragionamento abduttivo in cui la premessa maggiore è certa mentre quella minore è solamente probabile, partendo cioè dagli effetti/indici per poi raggiungere la causa. Gli americani direbbero «If it looks like a duck, swims like a duck, and quacks like a duck, then it probably is a duck.», mentre in Italia «Se sembra un lavoratore subordinato, è ‘alle dipendenze’ come un lavoratore subordinato ed è sottoposto ai poteri che derivano dal contratto di lavoro subordinato, allora probabilmente è un lavoratore subordinato.»
Ma per fugare i problemi derivanti da quel ‘probabilmente’ si è cercato nel 2015 di introdurre una norma scivolo verso la subordinazione da cui far derivare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, senza convertire il rapporto, cristallizzando alcuni degli indici menzionati all’interno di una disposizione.
Uno degli indici sussidiari della subordinazione, rivelatore della dipendenza – considerato dalla dottrina anche quale potere connaturato al direttivo – è infatti positivizzato dall’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, nell’etero-organizzazione , che presuppone l’inserimento del lavoratore all’interno dell’organizzazione del committente, senza la quale non potrebbe operare sul mercato. Come preliminarmente analizzato dal Tribunale di Palermo, le piattaforme svolgono a tutti gli effetti attività d’impresa, non una mera intermediazione tra domanda ed offerta, motivo per cui la prestazione dei ciclofattorini non è auto-organizzata – «La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa» – ma è etero-organizzata da un committente che ha come oggetto sociale proprio la consegna di cibo. La prestazione dei ciclofattorini si identifica completamente con l’ordinaria attività delle piattaforme , tant’è vero che nessuno se la prenderebbe con il rider per la qualità del servizio. Certo, in quest’ultimo caso i clienti darebbero un voto basso alla persona che ha fatto la consegna, ma la responsabilità sarebbe comunque del tutto imputabile al delivery , il quale poi – sulla base di quella valutazione – eserciterebbe il proprio potere disciplinare, di cui però si parlerà nel prossimo paragrafo.
Da quanto sopra emerso non si può allora che concordare anche con la considerazione della subordinazione dei ciclofattorini in aderenza alla teoria “doppia alienità” , richiamata dal Tribunale di Palermo, senza però essere realmente calata all’interno del caso di specie: se il rider lavora in nome e per conto della piattaforma, è estraneo tanto al risultato per il cui conseguimento la sua prestazione di lavoro è utilizzata dalla piattaforma, quanto all’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce (per l’appunto, la c.d. etero-organizzazione).
Il che sarebbe già di per sé sufficiente ai fini (anche) qualificatori dei ciclofattorini, ma forse proverebbe troppo, perché non terrebbe conto – secondo il metodo tipologico di qualificazione – delle modalità fattuali della prestazione.
Un altro, o meglio, altri due indici sussidiari della subordinazione – considerati dalla giurisprudenza e dalla dottrina anche quali estrinsecazione dell’etero-direzione, essendo sempre (ed a maggior ragione lo sono nel caso dei ciclofattorini) funzionali a conformare o, meglio ancora, a ‘coordinare’ la collaborazione alle esigenze dell’imprenditore – erano stati positivizzati sempre dalla precedente formulazione dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, nella predeterminazione congiunta da parte del committente “anche dei tempi e del luogo di lavoro”.
L’avverbio anche e la congiunzione e avrebbero dovuto dunque indurre a ritenere che le modalità di esecuzione della prestazione dovessero essere etero-organizzate anche con riferimento sia ai tempi che al luogo di lavoro , un’operazione algebrica che in passato avrebbe ‘molto probabilmente’ individuato un rapporto di lavoro subordinato .
Ciò che avrebbe dunque dovuto (e sicuramente potuto) essere – sulla base del menzionato ragionamento abduttivo – subordinazione attenuata diventava allora post Jobs Act “parasubordinazione intensa” , con la conseguenza però che il rapporto di lavoro non sarebbe stato riqualificato : sarebbe rimasto autonomo, con le tutele però dei lavoratori subordinati.
Il riferimento “anche dei tempi e del luogo di lavoro” è stato soppresso dalla Legge n. 128/2019, onde evitare (magari) problemi di indisponibilità del tipo legale , ma ogni ciclofattorino continua ad essere sia etero-organizzato nelle modalità di esecuzione della prestazione, sia (si potrebbe dire anche etero-diretto) nei tempi e nei luoghi di lavoro.
Un rider post 2015 avrebbe dunque quantomeno potuto essere pienamente riqualificato proprio in virtù dell’applicazione di quell’articolo 2, che ne preserva(va) la natura autonoma a cui estendere le tutele del lavoro subordinato, in ragione della sussistenza di tutti gli indici richiesti dalla subordinazione attenuata per la conversione del rapporto.
Ciò posto, ove proprio non si volesse riqualificare la prestazione dei ciclofattorini per i motivi summenzionati, basti ricordare in questa sede che il potere di controllo è parte integrante dell’etero-direzione , laddove rilevi anche ai fini dell’obbligazione, non potendo loggarsi il rider che abbia meno del 20% di batteria ed il rider che non si sia riloggato con la stessa continuità degli altri lavoratori.
Ma non solo.
Mai come nel caso dei riders il controllo è tanto sul risultato, quanto sulla persona: quanto al risultato, perché la consegna viene valutata da un cliente che darà contezza alla piattaforma; quanto alla persona, perché il percorso del ciclofattorino viene controllato in ogni minimo spostamento sia dal cliente che dalla piattaforma, a cui deve dare contezza delle modalità di esecuzione della prestazione.
Ma non solo.
È infatti attraverso il controllo del device che la piattaforma verifica anche il corretto adempimento dell’obbligazione stessa, da intendersi riferita anche al comportamento richiesto al debitore .
Il lavoratore così controllato è pertanto subordinato e dunque alle dipendenze del datore di lavoro, gravando su di esso l’esercizio anche del potere disciplinare, ancorché discriminatorio .
7. Alle dipendenze
Posto che, nell’ottica di chi scrive, mai come nel caso dei ciclofattorini, anche solo una giornata di obbligazione alla consegna rappresenterebbe il raggiungimento di quei risultati tipici dell’organizzazione del lavoro subordinato, non può dimenticarsi che il lavoratore sarà comunque obbligato alla prestazione fin quando vorrà, avendo sempre la facoltà di sloggarsi ovvero decidere di lavorare saltuariamente, prestando così il fianco alle critiche relative alla mancanza potenziale di continuità dell’attività.
La condizione risolutiva, infatti, risolverebbe potenzialmente il contratto e, dunque, per la nuova conclusione dello stesso servirebbe il consenso di entrambe le parti, mentre nel caso di specie sarebbe il rider a decidere unilateralmente quando riloggarsi dando nuovamente esecuzione al contratto.
Il rilievo sarebbe più che legittimo, ma non invincibile.
Si può infatti superare l’obiezione muovendo sempre da due differenti approcci metodologici.
Se si vuole, da un approccio di tipo giuslavoristico.
Come anzidetto, il Tribunale di Palermo imputa la riqualificazione alla realtà apparente dei riders, quale estrinsecazione del potere direttivo dell’imprenditore, ma nell’ottica di chi scrive la libertà apparente dei ciclofattorino inciderebbe quale effetto spia della subordinazione e non sua come causa: come dimostrato, infatti, è già subordinato il rider che decide di riobbligarsi, ma è in questo momento che si percepisce in modo ancor più tangibile la sua dipendenze dalla piattaforma.
Se il ciclofattorino si rilogga è perché è già (oltre che da un punto di vista organizzativo) socio-economicamente dipendente dalla piattaforma, che non gli permette di sentirsi libero fino in fondo. Pur tuttavia, come poc’anzi rilevato, non è questa libertà apparente a tipizzare la subordinazione del ciclofattorino .
È dunque (già) lavoratore subordinato chi, una volta obbligato e qualificato, continua ad obbligarsi sentendosi alle dipendenze di un datore di lavoro, ma è quando si logga nuovamente che viene ad “esprime[rsi] innegabilmente un generico ‘disequilibrio di poteri tra i due soggetti, di cui l’uno è sottoposto ad una posizione di supremazia dell’altro” .
Il ciclofattorino subordinato che dipende dalla piattaforma digitale decide infatti di riloggarsi alle condizioni summenzionate, perché è conscio che, ove non fosse performante e/o disponibile quanto gli altri lavoratori, la piattaforma eserciterebbe il proprio potere disciplinare, retrocedendolo nella priorità della prenotazione delle sessioni di lavoro , fino ad estrometterlo completamente dalle consegne.
Il rider alle dipendenze della piattaforma non cancella la prenotazione della sessione di lavoro senza il rispetto del preavviso imposto dalla convenuta (tre ore) e non chiede l’eventuale riassegnazione dell’ordine ricevuto, perché è conscio che, ove lo facesse sarebbe conscio di subire una penalizzazione nel punteggio di eccellenza.
La libertà apparente è dunque elemento complementare della dipendenza (anche) economica del lavoratore, in quanto manifestazione dello squilibrio di potere tra le parti, dipendendo comunque la collaborazione dalla piattaforma, rispetto alla quale il ciclofattorino - trovandosi costretto a mettere a disposizione le proprie energie – si trova in una netta condizione di inferiorità.
Altrimenti, se si vuole, (e nel più è comunque sempre ricompreso il meno) da un approccio di tipo civilistico.
Il contratto iniziale tra rider e piattaforma può essere configurato come un contratto normativo ovvero come un contratto quadro, cui segue poi la conclusione di singoli contratti esecutivi del primo nel momento in cui cioè il ciclofattorino decide di riloggarsi.
Singoli contratti esecutivi che, chiaramente, si configurano, come dimostrato in precedenza contratti di lavoro subordinato.
8. Considerazioni finali sull’art. 2
Un lettore del presente contributo potrebbe legittimamente obiettare che lo scrivente non sia un sostenitore dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, un giovane giuslavorista d’antan, che rimpiange la precedente “fattispecie trappola” del contratto a progetto ed il binomio autonomia/subordinazione.
L’obiezione sarebbe fondata, ma solo in parte.
Chi scrive ritiene infatti che l’art. 2, possa essere uno strumento adeguato nella lotta contro l’elusione della subordinazione, ma non lo è stato nella sua versione originale. Le collaborazioni organizzate dal committente sono divenute uno strumento più anti-elusivo del contratto a progetto solo nel momento in cui il legislatore ha soppresso il richiamo all’organizzazione “anche dei tempi e del luogo di lavoro”, su cui, come (di)mostrato, né giurisprudenza né dottrina sono unanimi.
Il problema è che la sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione – intervenuta proprio nel momento in cui la Legge n. 128/2015 ha riequilibrato il baricentro dell’etero-organizzazione, riespandendo la portata tutelare dall’art. 2 – ha finito col sminuire la soppressione del legislatore .
Non è però assolutamente vero che al giorno d’oggi le modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa non costituiscano più un reale fattore discretivo tra l’area dell’autonomia e della subordinazione .
Quantomeno secondo i giudici sembrerebbe possano essere ancora un fattore discretivo, specialmente se in combinato disposto con l’inserimento strutturale del lavoratore all’interno dell’organizzazione di un committente (e ragionevolmente anche con altri indici sussidiari della subordinazione), preferendo in quei casi “mantenere un impianto fondato su tre categorie dai confini ben precisi e ormai collaudati” .
Il legislatore può rendere infatti il lavoro subordinato più autonomo , ma non può rendere il lavoro autonomo (così tanto) più subordinato, senza che per l’effetto non ne derivi (almeno il legittimo dubbio di) una piena riqualificazione del rapporto perché “nel diritto del lavoro non è l’interpretazione del regolamento voluto dalle parti a stabilire la natura del contratto, ma è la qualificazione in base alla natura obbiettiva del rapporto a modellare la volontà delle parti entro uno schema contrattuale tassativo, in funzione di un ordine che, pur essendo fondato sulla volontarietà del vincolo, rispecchia interessi (collettivi, pubblici) in larga misura superiori ai loro” .
Ed è forse proprio quest’ultima considerazione a disvelare i motivi per cui a distanza di un anno da quella famosa sentenza della Corte di Cassazione, la collaborazione organizzata dal committente continua ad essere “un personaggio in cerca d’autore” .
Nell’ottica di chi scrive infatti, i giudici – non esplicitamente, ma implicitamente anche Palermo, che ha però rilevato un’ ulteriore spia – continuano a ricondurre tautologicamente l’etero-organizzazione anche all’organizzazione sia dei tempi che dei luoghi della prestazione, preferendo però in quel caso riqualificare il rapporto, anziché estendere la disciplina del lavoro subordinato.
Forse proprio perché ritengono che così venga provato troppo: direttive generiche, inserimento strutturale della collaborazione all’interno dell’organizzazione aziendale e l’obbligazione a conformarsi tanto ai tempi, quanto ai luoghi del committente, sono elementi idonei a qualificare ‘molto probabilmente’ un rapporto di lavoro subordinato nella sua interezza.
Mai come nel caso dell’art. 2 il peccato è (stato nella sua formulazione) originale.