Testo integrale con note e bibliografia

1. La centralità della questione dei riders e il suo perché.
L’attenzione dei media, della politica, del legislatore, della dottrina, della giurisprudenza, a partire dal 2016/17, si è andata sempre più polarizzando sul lavoro dei riders fino a farne la “questione” per eccellenza del “moderno” diritto del lavoro, almeno fino all’irruzione delle tematiche indotte dal covid, ma anche dopo.
Le inchieste degli organi d’informazione, stampata e parlata, sono andate susseguendosi; gli esponenti dei partiti/movimenti politici hanno abbondato in dichiarazioni, denunce, promesse; il Ministero del lavoro, sia pure con discontinuità, ha profuso il proprio impegno in sterili consultazioni/audizioni delle parti sociali e l’Ufficio legislativo, organismo di “diretta collaborazione” del medesimo, si è segnalato per il proprio attivismo, prima con una lettera del suo Capo ad Assodelivery , poi con l’”intesa” prestata all’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella redazione della circolare n. 7/2020, infine addirittura con una circolare ministeriale (n. 17 del 19/11/2020) sempre firmata dal suo Capo; il D.l. n. 101/2019 (convertito il L. n.128/2019) ha inserito nel D. lgs. n. 81/2015 un intero capo (V-bis) dedicato ai riders (qualora autonomi); la dottrina ha trovato nella “questione” una inesauribile fonte di pagine scritte e di convegni/seminari, ultimamente, giocoforza, come suole dirsi, “da remoto”; i giudici di merito hanno emesso alcune (ancora poche) sentenze di diverso segno e la Suprema Corte ha ritenuto di esercitare dichiaratamente la propria funzione nomofilattica (sebbene in relazione ad una vicenda contenziosa datata sia quanto ai “fatti” di causa sia per loro anteriorità rispetto a successivi, significativi interventi del legislatore) al punto che è stata all’uopo ritenuta utile una preliminare riflessione di tutti i Consiglieri della Sezione lavoro a proposito della configurabilità o meno dell’art. 2, comma 1, D. lgs. n. 81/2015, quale “norma di mera disciplina”, id est quale norma generatrice di effetti autoproducentisi.
Lecito, mi pare, l’interrogativo sul perché di tutto ciò, trattandosi di un bacino di lavoratori ristretto, certo non nella misura di alcune centinaia, per lo più concentrate a Milano e Torino, come agli inizi, ma, anche se cresciuto ed espanso in altre grandi città con l’affermarsi del business, non eccedente le diecimila unità. Un bacino peraltro significativamente mutato nella composizione sociale.
All’inizio, prevalentemente giovani italiani, in buona proporzione studenti universitari. Ormai, in netta prevalenza giovani di colore che, sotto gli occhi di tutti, accampati nei luoghi cittadini prossimi alle maggiori concentrazioni di produttori di vettovaglie, attendono, in certe ore della giornata e con qualunque tempo, l’incarico proveniente dalla piattaforma aziendale mediante l’app cui sono registrati e cui si collegano per inforcare poi il loro mezzo e sfrecciare verso le destinazioni indicate.
Il descritto scenario reca con sé la suggestione di lavoratori marginali e sotto-protetti, alla mercé di strumenti tecnologici tanto perfidi quanto apparentemente impersonali. Quindi la tipologia di attività si presta mirabilmente -questa è la risposta all’interrogativo- ad essere utilizzata quale testa di ponte per l’abbattimento di ogni ostacolo all’indiscriminata estensione dei diritti che costituiscono il patrimonio garantistico del lavoro subordinato; estensione, segnatamente, in capo a tutti coloro che, bon gré mal gré, prestano la loro opera a favore di un altro soggetto che la utilizza, tramite la propria struttura organizzativa, per il perseguimento dei propri obiettivi economico-produttivi.
Per chiarezza e trasparenza ribadisco in limine la mia convinzione che ancor oggi la varietà di interessi, non solo di matrice padronale, innervati nell’apparato economico-produttivo ed altresì nel tessuto sociale del mondo del lavoro, implichi la persistenza di una larga area di attività che non sono riconducibili alla fattispecie dell’art. 2094 c.c. né, comunque, all’ambito di (integrale) applicazione della disciplina tipica del lavoro subordinato.
Nel corso del decennio novanta del secolo scorso la giurisprudenza aveva consentito, con attente operazioni ermeneutiche, che tali attività potessero essere ricondotte in modo controllato alla fattispecie delle collaborazioni continuative e coordinate senza subordinazione; la quale fattispecie non meritava perciò di essere additata indiscriminatamente quale strumento di fraudolenta evasione dalla disciplina garantistica del lavoro subordinato.
È notorio che tale ostilità “ideologica” impregnò di sé il c.d. Libro Bianco di Marco Biagi per essere poi fatta propria dalla legge delega n. 30/2003, comunemente a Lui intitolata, e trovare infine codificazione, cui Egli non poté purtroppo contribuire, nel d. lgs. n. 276/2003.
Da allora è stato un susseguirsi di (ancor più) infelici interventi legislativi, dalla c. d. legge Fornero del 2012 (art. 1, commi 23 e segg., L. n. 92/2012) al D. lgs. n. 81/2015 (art. 2, comma 1 e successive modifiche recate dall’art. 1, comma 1, lett. a, D.l. n.101/2019 come convertito in L. n. 128/2019), infine all’art. 15, comma 1, lett. a, L. n. 81/2017 contenente modifiche dell’art. 409, n. 3, c.p.c.
Il tutto, va aggiunto, senza che mai sia stata espunta dall’ordinamento la fattispecie delle c.d. co.co.co.
Ancora in limine, per affrancarmi dal rimprovero di ignorare le esigenze di tutela di una categoria di lavoratori sotto-protetti, rammento di aver sempre sottolineato la necessità della introduzione di tutele fondamentali per i riders, convinto tuttavia che la via maestra sia quella dell’arricchimento delle tutele già correlate alla fattispecie dell’art. 409, n. 3, c.p.c. con contestuale estensione del loro ambito di applicazione a tutte le collaborazioni coordinate senza subordinazione pur se non formalizzate alla stregua di tale fattispecie (in primis, quelle rese sotto il generico ombrello delle c.d. partite iva ovvero con lo schermo di una occasionalità risultante nei fatti pretestuosa).

2. La qualificazione del rapporto nella giurisprudenza.
Avendo molto scritto al riguardo sarò costretto a ripetermi. Lo farò però il più succintamente possibile anche perché in questa sede mi propongo di concentrare l’attenzione sulle tutele previste nel menzionato capo V-bis del D. lgs. n. 81/2015 e sulla successiva contrattazione collettiva di categoria.
Solo il Tribunale di Palermo si è spinto, finora, a qualificare come subordinata ai sensi dell’art. 2094 c.c. la collaborazione del rider ricorrente malgrado il committente non avesse il potere di imporgli il se, il quando e il dove della sua collaborazione.
Consapevole che nella formulazione di tale norma è elemento essenziale di fattispecie l’obbligo di lavorare quando e dove dispone il datore di lavoro, il Tribunale si è sforzato di sviluppare una serie di argomenti volti a disvelare la mera apparenza, nel caso di specie, della libertà del rider di decidere l’an, il quando, il quantum, l’ubi della prestazione. Argomenti tuttavia inconsistenti, come non ho avuto difficoltà di dimostrare , e comunque all’evidenza inconferenti una volta acquisito che in capo al rider non sussisteva l’obbligo giuridico di prestare la sua collaborazione (né in turni a lui graditi né tantomeno in turni a lui sgraditi).
Precedentemente la Corte d’Appello di Torino, dopo aver escluso la subordinazione, riformando la sentenza di I grado quanto al rigetto della domanda gradata, aveva però ricondotto (sia pure parzialmente) la collaborazione nell’ambito della disciplina tipica del lavoro subordinato attraverso quella che a me vien di definire la <porta di servizio> costituita dall’art. 2, comma 1, D. lgs. n. 81/2015.
Sebbene nella formulazione di questa norma non sia esplicitato, come nell’art. 2094 c.c., l’obbligo di lavorare, la Corte non ha potuto non riconoscere che essa, come minimo, “postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè di stabilire i luoghi e i tempi di lavoro” .
Anche la Corte torinese ha quindi dovuto spendere argomenti (in verità assai succinti) per avvalorare la compressione, nel caso di specie, della libertà di scelta del collaboratore (se non riguardo all’an) quantomeno riguardo ai “luoghi e tempi di lavoro”. E ha ritenuto di poterli desumere dalla unilaterale predisposizione dei c.d. slot (o turni) messi dal committente a disposizione dei collaboratori e nella indicazione di tre luoghi della città ove avrebbero potuto essere contattati dalla <piattaforma>.
La fragilità di questi argomenti risulta dagli sforzi che, nel confermare la sentenza, la Corte di cassazione ha dovuto compiere per supportarli attingendo direttamente dalla narrativa dei fatti di causa rinvenibile nella sentenza stessa. La Suprema Corte infatti, affinché la essa potesse superare il vaglio di compatibilità con i requisiti richiesti dalla norma applicata e di interna coerenza dell’operazione ermeneutica intorno agli stessi, è stata costretta anzitutto a condividere la sufficienza della etero-determinazione de “il quando e il dove della prestazione personale e continuativa”. Poi ha dovuto altresì integrare la motivazione della sentenza impugnata al fine di renderla plausibile malgrado i riders potessero scegliere liberamente tra gli slot messi a disposizione (una volta avere, sempre liberamente, deciso di candidarsi) ed altresì revocare fino all’ultimo la disponibilità offerta.
Anche della sentenza della Suprema Corte mi sono ex professo occupato e non è il caso che qui mi ripeta. Fermo solo l’attenzione su due rilievi a mio avviso nodali, di ordine metodologico l’uno e logico l’altro.
La Corte utilizza, nell’interpretazione dell’art. 2, comma 1, le modifiche recate al testo della norma quale applicabile, ratione temporis, al caso di specie senza considerare il complessivo contesto sistematico in cui il nuovo testo risulta collocato.
La Corte critica l’applicazione solo parziale della disciplina tipica del lavoro subordinato da parte della sentenza impugnata in quanto “la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei giudici”.
Al tempo stesso riconosce che “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094 c.c.”.
La Corte tuttavia omette di avvertire, nell’esercizio della dichiarata funzione nomofilattica, che la coerenza logica impone allora ai giudici di prendere atto che simili situazioni non possono essere ricondotte alla norma dell’art. 2, comma 1; la quale norma presuppone la piena compatibilità delle collaborazioni a sé riconducibili con la disciplina di cui prescrive l’integrale applicazione.

3. La circolare dell’Ispettorato Nazionale del lavoro n. 7 del 30/10/2020.
Vengo ora alle operazioni ermeneutiche che definirei, pur impropriamente, “istituzionali” in quanto deputate ad offrire indicazioni orientative ai vari organi ed enti della c.d. Pubblica Amministrazione allargata operanti nel campo del lavoro. Ovviamente mi limiterò a considerazioni attinenti ai profili più strettamente connessi al discorso che sono andato fin qui conducendo.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro il 30 ottobre 2020 ha emanato la circolare n. 7 riguardante, in generale, gli artt. 2, comma 1, e 47-bis e segg. D. lgs. n. 81/2015.
La circolare, rilevato che l’intervento legislativo del 2019 ha abrogato, nel testo originario dell’art. 2, comma 1, il riferimento “alla necessaria predeterminazione da parte del committente dei tempi e dei luoghi di lavoro”, ne deduce che essi “pertanto non risultano più i parametri esclusivi per la definizione del modello etero-organizzato rimanendo tuttavia elementi di raffronto di assoluto rilievo per l’individuazione della fattispecie” (il neretto, come anche nei brani successivi, è nell’originale). L’Ispettorato continua osservando che “i primi arresti giurisprudenziali (Cass. Sent. 24 gennaio 2020, n. 1663) hanno individuato tale requisito nell’imposizione, da parte del committente, delle modalità esecutive della prestazione lavorativa, così determinando una sorta di inserimento del collaboratore nell’organizzazione aziendale”.
A parte il balbettio grammaticale, con il richiamo ad un requisito che nella frase precedente non compare, resta ancora irrisolta la questione dello stabilire quando l’imposizione delle modalità esecutive della prestazione sia, per qualità e quantità, tale da determinare l’inserimento del collaboratore nell’organizzazione aziendale.
La circolare ha però pronta la soluzione: “sussiste invece etero-organizzazione quando l’attività del collaboratore è pienamente integrata nell’attività produttiva e/o commerciale del committente e ciò risulti indispensabile per rendere la prestazione lavorativa”.
Ma quando può ritenersi realizzata siffatta integrazione? Quale ruolo gioca e quando può ritenersi verificata la etero-determinazione dei profili spazio-temporali della collaborazione che restano pur sempre “di assoluto rilievo per l’individuazione della fattispecie”?
La risposta può rimanere avvolta nel mistero giacché, termina la circolare, “ciò che rileva è la circostanza che la prestazione necessiti della struttura organizzativa del committente <...> anche laddove tale struttura sia rappresentata da una piattaforma informatica che non si limiti a mettere in contatto il collaboratore con l’utente finale ma che realizzi una vera e propria mediazione, organizzando il lavoro anche attraverso il ricorso a funzionalità completamente automatizzate”. Come non riconoscere allora al concetto di mediazione una capacità taumaturgica?
Dopo una parte centrale dedicata all’eventuale applicazione della disciplina del lavoro subordinato, la circolare torna alla distinzione fra collaboratori autonomi ed etero-organizzati nella prospettiva di fornire agli ispettori suggerimenti pratici con specifico riferimento ai riders.
Riallacciandosi alla precedente speculazione teorica, l’Ispettorato riconosce che “nell’ambito delle attività di consegna dei beni tramite piattaforme digitali tale discrimine può risultare difficilmente apprezzabile” e ne deduce che “risulta tuttavia opportuno effettuare una valutazione complessiva che tenga conto contestualmente dell’aspetto organizzativo della prestazione e del carattere di continuità della stessa”. Cosicché “la natura etero- organizzata del rapporto dovrà fondarsi come di consueto su una serie di indici sintomatici da valutare complessivamente e contestualizzare nei diversi modelli organizzativi rinvenuti nella prassi”.
A tal fine, premesso che “la fase esecutiva è governata da algoritmi che, nella maggior parte dei modelli considerati, abbina i lavoratori ai clienti sulla base delle richieste e secondo metriche preimpostate dall’impresa committente”, la Circolare avverte che “questo aspetto organizzativo va valutato con attenzione nel suo concreto atteggiarsi poiché la sola previsione di funzioni di <no show> o <swap> o simili possibilità riconosciute al lavoratore per declinare la chiamata non è sufficiente ad escludere una etero-organizzazione. Occorre infatti valutare l’integrazione di tali sistemi con quelli interni ed esterni (cioè riservati ai clienti) di rating eventualmente previsti, nonché con altri meccanismi interni di tipo gestionale e valutativo che disciplinano la singola prestazione lavorativa e le ipotesi di recesso”.
La pregnanza dei suggerimenti offerti agli ispettori si commenta da sola.
Di più, disinvoltamente la circolare afferma assertivamente che “il rinvio alla <disciplina del rapporto di lavoro subordinato> contenuto nel primo comma dell’art. 2 cit. va quindi inteso come rinvio alla relativa disciplina legale e contrattuale concretamente applicabile”.
Orbene, detto rinvio, nel nostro ordinamento sindacale privatistico, non può affatto ritenersi inclusivo della disciplina contrattuale in assenza di iscrizione del datore di lavoro all’associazione padronale firmataria del contratto che si vorrebbe applicare.
Al riguardo giova sottolineare che la menzionata sentenza della Corte d’appello di Torino ha disposto l’utilizzazione della retribuzione stabilita dal CCNL Logistica esplicitamente quale parametro di riferimento “ex art. 36 Cost.” e solo relativamente alle ore effettivamente lavorate.
Nella parte finale la circolare tratta solo di sfuggita del Capo V-bis limitandosi a due avvertimenti.
a) Ove la specifica fattispecie non risulti riconducibile né all’art. 2094 c.c. né all’art. 2, comma 1, “si dovrà accertare <...> se esiste un contratto collettivo applicato dal committente e se questo contratto sia idoneo (in quanto sottoscritto dai soggetti indicati dall’art. 47 ter e cioè le organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative sul piano nazionale) a superare il divieto di cottimo e la garanzia di un compenso parametrato sui minimi dei contratti di settori affini” (qui il neretto è mio).
b) In mancanza di un contratto collettivo idoneo “saranno quindi applicabili i minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (art. 47 ter ultima parte), in sostanza quello della logistica”. Eclatante la disinvoltura con cui è assertivamente indicato uno specifico contratto collettivo, per di più attinente al lavoro subordinato.Su ciò tornerò più avanti.

4. La lettera del 27/9/2020 e la circolare n. 17 del 19/11/2020 del Ministero del lavoro/Ufficio Legislativo vis-à-vis del CCNL Assodelivery/Ubi Rider del 15 settembre 2020.
Quanto alla tematica qualificatoria, attesa la vacuità della speculazione teorica e dei suggerimenti pratici forniti, come s’è visto, dalla circolare dell’Ispettorato, non può sorprendere se l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, d’“intesa” con il quale essa è stata redatta, nella propria circolare n. 17 del 27 settembre 2020, specificamente dedicata ai riders, preferisca, per così dire, togliersi d’impaccio limitandosi ad individuare nella sostanziale continuità della collaborazione il discrimen tra la fattispecie di cui all’art. 2, comma 1, e quella di cui all’art. 47-bis.
Ciò malgrado, è ancora opportuno sottolinearlo, l’art. 2, comma 1, richieda anche che le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente mentre dal complessivo testo dell’art. 47-bis si evinca la compatibilità con l’autonomia del rider che il committente gli fornisca tramite la piattaforma le indicazioni indispensabili per l’individuazione del contenuto dell’obbligo che si è assunto proponendosi alla piattaforma stessa ed accettando l’incarico” .
La circolare invece, preceduta sul punto dalla Lettera del 17 settembre, si occupa ex professo dell’interpretazione della disciplina speciale per i riders “autonomi” contenuta nel Capo V-bis, art. 47-bis e segg., D. lgs. n. 81/2015. È allora opportuno richiamare preliminarmente i tratti essenziali di tale disciplina.
L’art. 47-ter, comma 1, stabilisce che “i contratti di lavoro <di cui al Capo> sono provati per iscritto” aggiungendo che “i lavoratori devono ricevere ogni informazione utile per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza”.
A parte che resta nel vago se detta informazione debba o meno essere inserita nel contratto, la formulazione è talmente generica che al confronto appare dettagliatamente circostanziata quella dell’art. 2087 c.c.
Il comma 2 dell’art. 47-ter prevede, in caso di violazione, “un’indennità risarcitoria”.
Ormai l’interprete non può sorprendersi se il nostro legislatore attribuisce disinvoltamente la qualifica di risarcitorio ad indennità di vario genere malgrado la babele giuridico-linguistica in cui tale qualifica va a calarsi.
L’art. 47-quinquies, comma 2, stabilisce che “l’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione sono vietate”.
Se da un canto l’equivocità della circostanza delle “riduzioni delle occasioni di lavoro” ben risulta dalla sentenza del Tribunale di Palermo, d’altro canto dalla norma si evince che non v’è divieto per esclusioni e riduzioni determinate dal negligente adempimento degli incarichi. Del resto è ovvio che la diligenza nell’esecuzione degli obblighi assunti incombe su qualunque collaboratore, sia egli subordinato, solo coordinato o autonomo tout court.
L’articolo su cui va peraltro in questa sede fermata maggiormente l’attenzione è il 47-quater in quanto contiene i tratti più “caldi” della disciplina speciale come testimoniato dalle reazioni immediatamente suscitate dalla stipulazione, il 15 settembre 2020, del CCNL di categoria tra Assodelivery e Ugl rider.
Il primo comma dell’articolo riconosce ai “contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale” la competenza a “definire criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente”.
Il secondo comma prevede che, “in difetto della stipula” di tali contratti, i riders non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate” e a loro comunque “deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.
Volendo, per inciso, chiedersi se siano adeguate le tutele ivi stabilite la risposta non potrebbe che essere negativa.
Ciò, in quanto è prevista la sola assicurazione obbligatoria INAIL contro gli infortuni e le malattie professionali. Nulla sulle coperture in materia di malattie non professionali e di trattamento pensionistico delle quali godono i c.d. co.co.co.; per i quali da ultimo è stata prevista anche l’indennità di disoccupazione.
Dunque il persistente ostracismo, che ho definito ideologico, nei riguardi della fattispecie di cui all’409, n. 3, c.p.c. continua a rivelarsi pregiudizievole per quei collaboratori per i quali resta irragionevole l’attrazione nell’ambito della disciplina tipica del lavoro subordinato.
Venendo ora alla lettera e alla circolare occorre sottolineare che il 15 settembre l’anzidetto CCNL non solo fu stipulato ma anche inviato al Ministero del lavoro.
Credo di poter immaginare che in quel giorno e nei successivi le linee telefoniche ministeriali abbiano corso il rischio di andare in tilt. Prontamente, comunque, il 17 settembre l’Ufficio legislativo del Ministero ha inviato ad Assodelivery e p.c. alla Direzione Generale dei rapporti di lavoro e al Capo di Gabinetto una lettera nella quale, “in un’ottica di collaborazione interistituzionale per le più opportune valutazioni di codesta Associazione”, metteva fortemente in dubbio che detto contratto possa essere ascritto a quelli di cui al primo comma dell’art. 47-bis.
Tre i rilievi mossi al CCNL e ripresi poi dalla circolare: a) difetto di maggior rappresentatività comparativa sul piano sindacale dei soggetti stipulanti comparendo, sul versante sindacale, una sola sigla firmataria, mentre sarebbe lo stesso uso, nella norma, della forma plurale, “a suggerire la necessità che a stipulare il contratto stesso non possa essere una sola organizzazione, se non nel caso limite in cui detta organizzazione non realizzi -da sola- una rappresentanza largamente maggioritaria a livello nazionale”; b) illegittimità della deroga alla previsione del secondo comma, da cui si evince la necessaria determinazione del compenso su base oraria; c) esorbitanza dai poteri concessi alle parti stipulanti, a dispetto delle competenze dei giudici, essendosi esse ingerite nella qualificazione della fattispecie, “individuando una sorta di attività tipica cui attribuire la natura di lavoro autonomo”.
Si tratta di argomenti che hanno l’impronta della scrittura <a caldo> pur se, come detto, si ritrovano poi coltivati nella successiva circolare.
a) La forma plurale è all’evidenza imposta dall’unitario riferimento alle “organizzazioni datoriali e padronali”. Del resto, sul versante delle prime, Assodelivery è indiscutibilmente l’unica rappresentativa delle imprese di food delivery, cioè delle imprese che impiegano collaboratori (almeno potenzialmente autonomi) di cui al Capo v-bis.
L’argomento ha l’evidente arrière-pensée della rappresentatività comparativamente maggiore delle Federazioni aderenti alle grandi Confederazioni nella tradizionale area del lavoro subordinato mentre qui va predicata nella diversa area del lavoro autonomo e con esclusivo riguardo al settore considerato dal Capo v-bis. Su ciò tornerò nel prossimo paragrafo.
b) L’argomento è incontrovertibilmente contraddetto dal dato testuale dello stesso secondo comma, da cui risulta che la disciplina in esso contenuta è applicabile solo “in difetto della stipula dei contratti di cui al comma 1”. Ed infatti, come sottolineato prima, la circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ammette che la deroga possa riguardare anche la previsione di un compenso su base oraria.
c) La categoria contrattuale nel nostro caso è contraddistinta non solo dal settore o branca di attività economico-produttiva ma anche dal genere di collaborazione prestata, che per definizione non deve essere riconducibile né all’art. 2094 c.c. né all’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 81/2015.
Pertanto un’associazione sindacale ben può, nell’esercizio della libertà garantita dall’art. 39, comma 1, cost., decidere di organizzare e rappresentare specificamente i riders di cui all’art. 47-bis indicando i caratteri che a suo avviso la loro collaborazione deve possedere per essere ascrivibile a questa categoria; ciò, senza affatto invadere il potere di qualificazione del rapporto in spettante al giudice.
Tali caratteri, quali risultanti dal testo del CCNL in discorso, sono i seguenti: 1) possibilità per il rider di offrire o non offrire la collaborazione alla piattaforma, cioè di connettersi o meno ad essa; 2) possibilità di offrire la collaborazione a più piattaforme contemporaneamente anche nel medesimo tempo; 3) “facoltà di rifiutare le proposte di consegna , nonché la possibilità di scegliere come, dove, quando e quanto rendersi disponibile” senza obblighi di orario o reperibilità, fermo restando che è coessenziale al servizio, allorché la proposta viene accetta, l’indicazione dell’”indirizzo del luogo designato per il ritiro e per la consegna dei beni”; 4) trasparenza di ciascun ranking utilizzato e non riduzione delle “occasioni di consegna in ragione della mancata accettazione delle proposte offerte, anche con riferimento ai sistemi di ranking”.
Beninteso il giudice potrebbe assumersi, ma non credo, la responsabilità di affermare che i caratteri sopra descritti già come appaiono sulla carta comportano la riconduzione della collaborazione alle fattispecie di cui all’art. 2094 o all’art. 2, comma 1.
Sono invece propenso a credere che il giudice si preoccuperà di controllare se, nello specifico rapporto in contestazione, le modalità di esecuzione della prestazione presentino caratteri devianti rispetto al modello descritto dal CCNL o comunque se siano riscontrabili ingerenze nell’esecuzione stessa integranti la c.d. etero-organizzazione.
Non posso neppur pensare di azzardare una mia valutazione di merito circa il contenuto contrattuale , che notoriamente è sempre il frutto di un compromesso tra le parti stipulanti. Posso solo ribadire che la sostanziale continuità di una collaborazione richiederebbe che questa fosse corredata di tutte le tutele assicurative, non solo di quella INAIL imposta dal Capo V-bis; ma il contratto (tra soggetti privati) non avrebbe potuto prevedere l’obbligo di iscrizione alle Assicurazioni INPS.
Certo l’anzidetto CCNL contempla l’ipotesi che l’impresa aderente stipuli con i riders un contratto di co.co.co. Ma dopo l’esperienza datata di Foodora non mi risulta che ciò si verifichi nella pratica del settore.
Concludendo dall’angolazione della sussistenza, nel CCNL qui considerato, dei requisiti richiesti dall’art. 47-quater, comma 1, va allora convenientemente tenuto conto che Assodelivery è l’unica organizzazione datoriale che associa le imprese del food delivery e che UGL rider è, a quanto consta, l’unica organizzazione sindacale che associ e rappresenti specificamente i riders operanti in tale settore.

5. L’Accordo 18 luglio 2018 e il Protocollo 2 novembre 2020 CCNL Logistica, Trasporti, Spedizione.
Già il 18 luglio 2018 le parti del CCNL Logistica. Trasporto merci, Spedizione avevano sottoscritto un accordo integrativo riguardante i riders presupponendo la natura subordinata del rapporto.
Per averne conferma è sufficiente osservare che prevedeva l’applicazione di “tutte le coperture assicurative e previdenziali previste dalla legge e dal CCNL” e la determinazione di un orario di lavoro settimanale (di 39 ore), sia pure riconosciuto come discontinuo per la non coincidenza tra “tempo di lavoro effettivo” e “tempi di presenza a disposizione”, in relazione alla particolare organizzazione produttiva ed il conseguente obbligo del lavoratore di rendere la prestazione “per la durata dell’orario assegnato”.
Successivamente è stato siglato dalle stesse parti il “Protocollo 2 novembre 2020 attuativo dell’art. 47 bis D. Lgs. n. 81/2020” che, ignorando evidentemente la natura autonoma del rapporto di lavoro ivi considerato , dispone l’applicazione ai riders delle “tutele relative alla disciplina della prestazione lavorativa e del relativo trattamento economico già definite nel Protocollo del 18 luglio, riferibili al c.c.n.l. logistica, trasporto merci, spedizione” (art. 2).
Il contenuto di tale contratto però, presupponendo la natura subordinata del rapporto di lavoro, è radicalmente incompatibile con la disciplina legale ex art. 47-bis e segg. In tale disciplina, infatti, al di là delle norme concernenti la forma del contratto e la misura dei compensi, l’autonomia del rapporto di lavoro è inequivocabilmente testimoniata, oltre che dalla qualifica espressa, dalla previsione, nell’art. 47-quinquies, del divieto di esclusione dalla piattaforma per la “mancata accettazione della prestazione”, ciò che implica l’insussistenza di un obbligo di rendere la prestazione lavorativa. Le parti stipulanti devono essersene avvedute giacché passano tale previsione sotto silenzio.
A monte, peraltro, è perfino lecito dubitare che il CCNL Logistica sia in generale il corretto referente qualora il giudice ritenga, in dipendenza delle caratteristiche del caso concreto, di ricondurlo all’art. 2094 c.c. o all’art. 2, comma 1.
Giova precisare, al riguardo, che la citata sentenza della Corte d’appello di Torino, è vero, ha dichiarato “il diritto degli appellanti a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione alla attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore dell’appellata sulla base della retribuzione, diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del V livello CCNL logistica, trasporto merci dedotto quanto percepito”. Ma, dopo aver rilevato che la società non risultava “iscritta ad alcuna associazione”, ha motivato la scelta solo con la circostanza che in tale livello di quel contratto “sono, infatti, inquadrati i fattorini addetti alla presa e consegna” (peraltro nel contesto di una specifica declaratoria professionale, ignorata dalla sentenza).
La sentenza del Tribunale di Palermo, di contro, a fronte della domanda di inquadramento nel 5° livello CCNL logistica o, in subordine nel 6° CCNL terziario, ha accolto la subordinata disponendo la reintegra del ricorrente “con mansioni di ciclofattorino di cui al VI livello CCNL Terziario, Distribuzione e servizi pacificamente applicato dalla convenuta ai propri dipendenti”. Per inciso, il ciclofattorino è lì sconosciuto essendo solo menzionato il “fattorino” tout court o, se si preferisce, il “portapacchi con o senza facoltà di esazione”.
Orbene, tornando al Protocollo del 2 novembre 2020 è sufficiente leggere l’epigrafe del CCNL del settore della logistica, ove è indicato il suo ambito di applicazione, per rendersi conto che ad esso è estraneo il settore del food delivery; le cui imprese, come detto, sono esclusivamente rappresentate da Assodelivery.
Del resto è dato acquisito nel nostro ordinamento sindacale che l’ambito di applicazione del contratto collettivo è segnato dall’attività economico-produttiva esercitata dal datore di lavoro.
Senza dire che, sul versante opposto, le Federazioni sindacali firmatarie di quel contratto/protocollo (Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti) non annoverano statutariamente tra i propri associati lavoratori autonomi.
Al riguardo va altresì osservato che tra le organizzazioni sindacali firmatarie non figurano neppure le articolazioni delle grandi confederazioni che offrono assistenza anche a lavoratori atipici ed autonomi, cioè Nidil (Nuove Identità Lavoro) Cgil, Felsa Cisl e Uil Temp; le quali peraltro sono attive soprattutto nell’area del lavoro somministrato.
Deve pertanto escludersi che il Protocollo annesso al CCNL Logistica, vuoi, come visto, per il suo contenuto, vuoi per il difetto di specifica rappresentatività delle parti stipulanti, possa essere preso in considerazione agli effetti di cui al Capo V-bis di cui qui ho fin qui trattato.
Non è questa l’opinione espressa nella circolare dell’Ufficio legislativo; la quale, occupandosi peraltro solo del secondo profilo, contiene, certo non a caso, una affermazione mirata ad un risultato predeterminato: ”si deve ritenere che il criterio della maggiore rappresentatività comparata necessariamente si determini <forse sta per si applichi> avuto riguardo alle parti firmatarie del contratto collettivo del più ampio settore, al cui interno, in ragione di particolari esigenze produttive ed organizzative, si avverte la necessità di prevedere discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo dei lavoratori” . Beninteso, si tratta di un argomento che ha la giuridica consistenza del dogma.
Da quanto sopra osservato risulta al contrario corroborata l’opinione, esposta nel precedente paragrafo, secondo cui il contratto Assodelivery/Ugi rider, possiede, al di là di passati stereotipi, i requisiti richiesti dall’art. 47-quater essendo, allo stato, le sole associazioni rappresentative, sui contrapposti versanti rappresentano, delle imprese e dei lavoratori del settore del food delivery.
È anzi da aggiungere che, allo stato, nessuna delle menzionate organizzazioni sindacali avrebbe titolo giuridico per censurare l’applicazione ai riders autonomi, da parte di un’impresa di food delivery, del menzionato CCNL del 15 settembre 2020, tanto più se iscritta all’Associazione padronale di categoria che lo ha stipulato.
Infatti è appena il caso di rammentare come, nel nostro ordinamento sindacale privatistico, sotto l’egida dell’art. 39, comma 1, cost., il datore di lavoro e parimenti l’associazione cui è iscritto possano scegliere liberamente la propria controparte sindacale, naturalmente purché non si tratti di un sindacato fittizio ovvero, secondo comune definizione, <giallo>. A maggior ragione, ciò, in relazione a nuove branche di attività economico-produttiva e ad inediti lavori.
Nella fisiologia delle relazioni industriali privatistiche è naturalmente fuor di dubbio, e magari auspicabile, che associazioni aderenti alle grandi confederazioni possano conquistare sul campo una rappresentatività nello specifico settore che consenta loro di imporsi come ineludibili interlocutori negoziali dell’Associazione datoriale del settore medesimo.

 

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