Testo integrale con note e bibliografia
1. Il punto di partenza. Il lavoro agile tra legge Madia n. 124/2015 nel testo originario e legge n. 81/2017. La duplice funzione della direttiva n. 3 del 2017..
L’art. 18 comma 3 della legge n. 81/2017 prevede l’estensione della disciplina del lavoro agile anche al lavoro alle dipendenze della P.A. , non solo privatizzato, “in quanto compatibili ... e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”.
Già tre anni prima dell’emanazione della legge n. 81/2017, i commi 1 e 2 dell’art. 14 della L. 7 agosto 2015, n. 124 prevedevano che, nel rispetto della spending review, le P.A. adottassero per mezzo di obiettivi annuali “misure organizzative per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa”, “anche” al fine di tutelare e promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti della P.A. (anche per cure parentali) che permettessero, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, qualora ne avessero fatto richiesta, di avvalersi di tali modalità, senza penalizzazioni per professionalità e progressione di carriera. La conciliazione vita-lavoro, come indica la rubrica dell’art. 14, veniva tutelata in forma sperimentale e volontaria mediante modalità spazio-temporali definite come “nuove”, ciò che suggeriva l’obiettivo di distinguerle dal telelavoro .
Già dalla rubrica si coglieva come la conciliazione vita-lavoro fosse il bene giuridico tutelato in misura preponderante pur lasciando un margine, tra i sistemi di monitoraggio interni, ad indicatori per la verifica dell'impatto sull'efficacia e sull'efficienza dell'azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati.
In attuazione dell’art. 14, comma 3, della legge delega n. 124/2015, è stata poi emanata la Direttiva n. 3/2017 P.D.C., che al contempo corrisponde all’obiettivo dell’articolo 18, comma 3, della legge n. 81/2017, di fornire “indirizzi per l’attuazione delle disposizioni legali attraverso una fase di sperimentazione”.
Nella direttiva il lavoro agile (linee guida 1.D – misure organizzative) si conferma come modalità di svolgimento della prestazione che deve necessariamente essere instaurata mediante accordo tra le parti individuali, e che, senza alterare la natura subordinata del rapporto, deve svolgersi in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali, senza postazione fissa con riferimento a quest’ultima ipotesi. Si riconosce tuttavia come imprescindibile sia l’elemento della flessibilità spaziale della prestazione, sia quello della flessibilità temporale, ancorché (diversamente dalla normativa emergenziale, § 8.2) non si impone l’assenza di precisi vincoli di tempo/luogo di lavoro.
Nella Direttiva, inoltre, per l’attivazione del lavoro agile è prevista la stipula di un accordo in forma scritta, che sarebbe conforme agli artt. 18 e 19 della legge n. 81/2017, ma anche, in alternativa e senza sostegno alcuno nella norma, un’autorizzazione o un’adesione al programma, quasi a spezzare in due fasi distinte le manifestazioni di volontà , in termini di proposta alla quale il lavoratore può aderire o meno in blocco . Questa configurazione è però accettabile solo qualora la proposta sia conforme ai requisiti di cui agli artt. 18-19 ss. della legge n. 81/2017.
Nella direttiva n. 3/2017 sono da valorizzare la proposta di un passaggio del “Piano per la realizzazione di nuove modalità spazio-temporali” di cui all’art. 14 comma 1 legge n. 124/2015 per atto interno sia ai CUG, sia alle Organizzazioni sindacali, come pure l’idea di un “confronto preventivo con i sindacati”, seppure “limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro” .
2. (Segue) ..e il nuovo testo dell’art. 14 legge Madia. Obiettivi e contenuti del Piano Operativo Lavoro Agile (POLA).
Nell’ambito della disciplina emergenziale connessa all’epidemia Covid-19 sono state introdotte previsioni destinate ad incidere sul lavoro agile nel settore pubblico in modo stabile: in primis è eliminato il riconoscimento della natura sperimentale delle nuove modalità spazio-temporali (id est il lavoro agile) .
Successivamente, con le modifiche apportate dalla legge n. 77/2020 all’art. 14 della l. n. 124/2015 , si conferma che l’unica modalità spazio temporale alternativa al telelavoro per assicurare la promozione è il lavoro agile.
Inoltre, gli obiettivi annuali di promozione del lavoro agile sono sostituiti da un modello tipico per tutte le P.A., il Piano operativo per il lavoro agile (POLA), dedicato all’individuazione delle modalità attuative del lavoro agile con l’obiettivo di garantire, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 60% dei dipendenti possa avvalersene.
Tale soglia minima è un compito ambizioso che il legislatore sembra affidare ai dirigenti, poiché il POLA confluisce come sezione del Piano della performance, documento programmatico triennale previsto dall’art. 10 comma 1 lett. a) d. lgs. n. 150/2009 da pubblicare entro il 31 gennaio di ogni anno. La mancata adozione del piano della performance può determinare (art. 10, comma 5) il divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che abbiano concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti, oltre al divieto per la P.A. di assunzioni di personale o conferimento di incarichi.
La norma non contempla l’inesatta o incompleta adozione del Piano, ma solo la mancata adozione senza precisare se sia sufficiente un’adozione parziale. Si potrebbe ritenere che sia rilevante l’inattuazione parziale tale da rendere il piano adottato solo formalmente e non nella sostanza. Per altro verso, il riferimento del POLA ad un’apposita sezione del Piano potrebbe suggerire la necessità della sua previsione ed attuazione per ritenerlo adottato.
Di certo, l’unico effetto espresso della mancata adozione è che il lavoro agile si applica almeno al 30% dei dipendenti, ove lo richiedano. Anche in questo caso la previsione è laconica, e non esplica le conseguenze in caso di mancato raggiungimento della soglia, che formulate in modo così aperto non sembrano precludere al singolo dipendente la possibilità di invocare il diritto all’attivazione del lavoro in modalità agile da parte del dirigente.
3. La speciale interazione tra contrattazione collettiva e individuale.
Nel lavoro agile alle dipendenze della P.A. è senza dubbio speciale il rapporto tra contrattazione individuale e collettiva.
In generale, la legge n. 81/2017 non fa alcuna menzione alla contrattazione collettiva, se non in termini indiretti ed in funzione parametrica in due passaggi, ossia per i riposi (art. 18) e per la determinazione del trattamento economico complessivo di comparazione tra lavoratori agili e non (art. 20). Di certo l’autonomia collettiva non può sostituirsi alle parti individuali per l’attivazione del lavoro in forma agile o per il recesso.
Nel lavoro alle dipendenze della P.A., però, l’art. 40 comma 1, affida alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro riservandole anche alcune materie. Tale riferimento legittima la contrattazione collettiva pubblica ad integrare le pattuizioni individuali in forma qualificata.
Per ogni altro aspetto non specificamente regolato dalla legge n. 81/2017, il sindacato avrà il potere in generale di intervenire sulle modalità di esecuzione in forma agile, come per la determinazione dei criteri di precedenza, o ancora l’orario di lavoro da osservare ed eventuali misure a garanzia del lavoratore o l’esemplificazione delle condotte disciplinarmente rilevanti: come nel settore privato, resta ferma la possibilità per i contratti collettivi di espletare la consueta funzione normativa a tutela della parte debole del rapporto .
4. Vincoli retributivi e limitazioni dell’organizzazione del lavoro per fasi, cicli ed obiettivi.
È noto che in generale l’art. 20 della legge n. 81 impone un trattamento normativo ed economico del lavoratore agile non inferiore a quello di coloro che svolgono le stesse mansioni esclusivamente all’interno, e pone così un divieto di regresso, che contrasta il ricorso al lavoro agile per la riduzione del costo del lavoro : ciò almeno con riferimento al trattamento complessivo e non per singole voci funzionali .
Nell’adeguamento alla disciplina speciale del pubblico impiego, si combina con il disposto degli artt. 2 comma 3 e 45 d. lgs. n. 165/2001 configura una duplice tutela di trattamento per il lavoratore pubblico in modalità agile: una generale (non regressione del trattamento rispetto agli altri dipendenti a parità di mansioni svolte) ed una speciale (parità di trattamento del lavoratore agile rispetto agli altri lavoratori subordinati “interni” del medesimo inquadramento).
La doppia tutela, peraltro agganciata a quella di tutti i colleghi del medesimo inquadramento, sicuramente ottima per evitare abusi, di fatto “depotenzia” la logica premiale insita nell’organizzazione per risultati, fasi e cicli del lavoro agile: nel trattamento economico fondamentale, anche in caso di organizzazione per risultati, il lavoratore agile non potrà essere retribuito meno dei colleghi interni di pari mansioni, ma neppure più di tutti coloro che abbiano lo stesso inquadramento.
5. Un riconoscimento non emergenziale bensì definitivo: la possibilità che gli strumenti di lavoro siano forniti dal lavoratore.
Sin dalla conversione del d.l. n. 18/2020 per opera della legge n. 27/2020, si è riconosciuto che la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso “strumenti informatici” nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall'amministrazione e che in tali casi, non ricorre la responsabilità del datore di lavoro per il buon funzionamento di tali strumenti . In tal caso si integra un elemento di distinzione aggiuntivo dal telelavoro, sia nel settore privato che nel pubblico .
Il riconoscimento corrisponde all’accoglimento di logiche di facilitazione nell’approccio al lavoro agile, per la possibile maggior dimestichezza con uno strumento informatico personale.
Tale scelta, nonostante un’interpretazione opposta fornita dall’INAIL , era a ben vedere già desumibile dal testo dell’art. 18 comma 2 per tutti gli strumenti di lavoro (informatici e non) nel lavoro agile , ed oggi è espressamente sancita dall’art. 87 comma 2 per le P.A., pur a fronte di paralleli, consistenti sforzi economici per migliorare le forniture di strumenti tecnologici .
A prescindere dall’art. 87 d.l. n. 18/2020, la libertà di utilizzo di strumenti informatici del lavoratore è comunque consentita per il lavoro subordinato in generale, dall’art. 90, comma 2, del d.l. n. 34/2020. Anche questa norma non è contemplata dalle abrogazioni del d.l. n. 83/2020 e dal relativo allegato 1 (si veda in particolare il numero 32, che non indica il comma 2) e non pone limiti al proprio operare, pertanto è destinata a produrre effetti anche al termine dell’emergenza stessa per i lavoratori privati e pubblici .
Sezione II: La disciplina emergenziale.
6. Il lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione nella P.A. nella fase di lockdown generalizzato (art. 87 d.l. n. 18/2020): effetti.
Dopo un’iniziale fase di potenziamento del lavoro agile circoscritta alle aree di iniziale diffusione del contagio , con il d.l. n. 87/2020 del 17 marzo 2020 si osserva un cambio di approccio tra lavoro privato e lavoro alle dipendenze della P.A.
Nel primo il lavoro agile continua ad essere uno strumento riconosciuto da decreti governativi emanati per fronteggiare lo stato di emergenza , attivabile in forme semplificate (art. 2, comma 1, lett. ff), d.l. 25 marzo 2020, n. 19).
Per il secondo, interviene una norma di legge ordinaria – l’art. 18 del d.l. n. 87 – sancendo che il lavoro agile è la “modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa (subordinata)” . Le due tecniche si assomigliano solo superficialmente, ma sono molto diverse.
Nel pubblico impiego non è rimessa al dirigente l’opzione di ricorrere al lavoro agile, che è la regola, ma si ammette la configurabilità di eccezioni per attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, dunque può esistere lavoro subordinato che non sia reso da remoto soltanto qualora l’amministrazione abbia (preventivamente) appurato la configurabilità di tale impossibilità allo svolgimento della prestazione in forma agile.
Entro tale sistema, almeno finché è applicabile la lettera a) dal 17 marzo 2020 al 19 maggio 2020 poteva forse trovare spazio un diritto al lavoro agile emergenziale, inteso come accertamento della utilizzabilità della prestazione agile, ma è certo vietato al lavoratore di auto-collocarsi in modalità agile, essendo necessario un impulso da parte della P.A. .
Nel lavoro privato non esiste un diritto al lavoro agile e la sua attivazione resta a discrezione del datore di lavoro, ma l’organizzazione del lavoro in forma agile o a distanza è sempre l’unica possibilità per esercitare le attività produttive . Peraltro per i lavoratori pubblici l’alternativa in caso di mancato svolgimento del lavoro agile è ben diversa dal collocamento in integrazione salariale (art. 87, comma 3) .
Inoltre nel pubblico impiego non esiste alternativa tra lavoro agile e altre forme di impiego a distanza, diversamente dal lavoro privato.
In entrambi i casi l’attivazione del lavoro agile, laddove sia esercitata, prescinde dagli accordi individuali previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 , ma nel pubblico impiego è espressamente escluso – incomprensibilmente – l’assolvimento in via telematica dell’informativa in materia di sicurezza, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile nel sito internet dell'Inail , e non è formalmente previsto il rispetto dei principi dettati dalle disposizioni della legge n. 81/2017, capo II, diversamente da quanto si osserva in generale (art. 90 comma 4 d.l. n. 34/2020). In concreto, però, non sembra eludibile la necessità di indicare al lavoratore, ad esempio, le modalità di esercizio del potere direttivo e di disconnessione, o ancora le condotte disciplinarmente rilevanti o le modalità di controllo per la prestazione agile.
7. La fase 2: soppressione del lavoro agile come modalità ordinaria e mantenimento delle attivazioni in forma unilaterale sino al 50% dei dipendenti.
Nella cd. fase 2, di graduale riapertura è successivamente intervenuto il d.l. n. 34/2020 del 19 maggio, il cui articolo 263 dapprima pone una deroga all’art. 87 nella parte in cui riconosce il lavoro agile come modalità ordinaria di lavoro subordinato (lett. a); supra, § 8) e dall’altra, dopo conversione per opera della legge n. 77/2020, sancisce la cessazione degli effetti di tale parte dell’articolo a decorrere dal 15 settembre 2020.
Quanto all’altra parte dell’articolo, essa non cessa di produrre effetti dal 31 luglio 2020 per effetto del d.l. n. 83/2020 : ciò perché l’applicazione della norma è fatta salva da una norma precedente e tuttora in vigore, che è l’art. 90 comma 4 d.l. n. 34/2020 . Pertanto l’art. 87 comma 1 resta in vigore, allo stato attuale, sino al termine dell’emergenza epidemiologica (infra, § 10).
Ad ogni modo, per effetto dell’art. 263 dello stesso decreto appena menzionato, dal 19 maggio 2020 e sino al 31 dicembre 2020 le P.A. organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso sistemi di flessibilità, anche in entrata e uscita. Entro tali misure, l’applicazione del lavoro agile è prevista nella forma semplificata di cui alla lettera b), del medesimo articolo 87, comma 1, al 50% del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità.
Viene meno in altri termini il “diritto al lavoro agile”, così come era stato definito nella cd. Fase 1 (§ 6), e l’attivazione, così come la scelta dei lavoratori da collocare in forma agile tornano nella disponibilità organizzativa del dirigente.
Fanno eccezione i lavoratori in condizioni di disabilità grave , i lavoratori fragili e altre particolari ipotesi, come quella del settore scolastico , per i quali si è posta e/o si pone ancora una configurazione espressa del diritto al lavoro agile. Ma anche in tali ipotesi, giova ribadire, l’attivazione del lavoro agile presuppone l’impulso unilaterale del dirigente.
Per tutti gli altri lavoratori, invece, si ripropone il dubbio (§ 2) circa la configurabilità di un diritto all’attivazione unilaterale in caso di mancato raggiungimento della soglia minima, poiché la formulazione legale sembra essenzialmente rivolta a porre un obbligo in capo alle amministrazioni (e quindi ai dirigenti) che a porre un diritto a favore dei lavoratori esclusi. Tuttavia non è da escludere un correlato riconoscimento del diritto dei lavoratori indebitamente esclusi dall’amministrazione interessata all’attivazione del lavoro in modalità agile, sul presupposto dell’utilizzabilità della prestazione agile, del rispetto dei criteri di rotazione e priorità ed ancor prima della corretta individuazione della base di calcolo delle percentuali (infra, § 8.2 b).
8. La situazione attuale: lavoro agile come “una delle modalità ordinarie”, attivabile unilateralmente..
A decorrere dal 13 ottobre 2020, è stato modificato l’art. 87 comma 1 d.l. n. 18/2020 nella parte in cui riconosceva il lavoro agile come la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa .
Attualmente il testo novellato individua nel lavoro agile “una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione”: se già dal 19 maggio 2020 il riconoscimento era privo di effetti, in virtù della deroga introdotta nella cd. Fase 2 (art. 263 d.l. n. 34/2020, supra, § 9), così modificata la definizione perde rilievo, perché con l’affermazione della fungibilità del lavoro agile rispetto al lavoro subordinato in presenza viene meno l’applicazione automatica della fattispecie e comunque, sino al termine dell’emergenza epidemiologica, l’attivazione unilaterale del lavoro agile è consentita.
Diversamente, per le regioni con un livello di rischio “alto” (le cd. regioni rosse), gli artt. 3, comma 1 e comma 4, lett. i) del d.P.C.M. 3 novembre 2020 e 3 dicembre 2020 replicano le previsioni originarie della cd. fase 1 di lockdown.
8.1 (Segue) ..e il mantenimento della soglia del 50% dei dipendenti in base ai d.p.C.M. emergenziali.
Al contrario, la previsione relativa all’adibizione di oltre il 50% dei lavoratori in modalità agile (art. 263 d.l. n. 34/2020) cessa di avere effetto al termine dell’emergenza epidemiologica e comunque entro il 31 dicembre 2020.
Sebbene la previsione legale venga meno, questa soglia è stata mantenuta sin dal 13 ottobre 2020 dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri , emanati nell’ambito delle misure dirette a fronteggiare l’emergenza epidemiologica (art. 1 lett. s, d.l. n. 19/2020) che il Governo può emanare sino al 31 gennaio 2021.
L’ultimo decreto del 3 dicembre conferma tale effetto all’art. 5 comma 3 e dunque assicura le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibilmente con le potenzialità organizzative e con la qualità e l'effettività del servizio erogato, e in ogni caso il rispetto della soglia del 50% di cui all’art. 263, affidato al dirigente (comma 4). Anche il d.m. 19 ottobre 2020 è stato prorogato al 31 gennaio 2021.
8.2 Riflessioni sulle misure per il lavoro agile nella pubblica amministrazione nel periodo emergenziale (d.m. 19 ottobre 2020) a) assenza di accordo e coinvolgimento dei soggetti sindacali.
In linea con le modifiche apportate a decorrere dal 13 ottobre all’art. 87 d.l. n. 18/2020 (supra, § 1), il decreto, recentemente prorogato fino all’attuale termine dell’emergenza epidemiologica (31 gennaio 2021) , riconosce che per accedere al lavoro agile non è richiesto l'accordo individuale di cui all'art. 19 l. n. 81/2017. Tuttavia, l’assenza di accordo non esclude la necessità in re ipsa di comunicare i contenuti minimi della prestazione di lavoro agile (modalità di esercizio del potere direttivo, modalità di utilizzo degli strumenti e disconnessione, eventuali precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, condotte disciplinarmente rilevanti, erogazione del trattamento economico e normativo), necessari per lo svolgimento della stessa.
Troppo generico, sul punto e in generale, appare il coinvolgimento dei soggetti sindacali, con i quali può essere attivato un confronto (art. 7) nel rispetto della disciplina contrattuale vigente, ai sensi del protocollo del 24 luglio 2020, ove invece sarebbe stato opportuno un passaggio preventivo obbligato almeno per le variazioni sulle materie di competenza della contrattazione collettiva (es. trattamento economico, sanzioni disciplinari).
b) rilevanza della figura del dirigente.
Importante la definizione tracciata dall’art. 2 del «dirigente», che per semplificare i processi di attivazione è identificato con il dirigente di livello non generale, responsabile di un ufficio o servizio comunque denominato e solo ove detta figura non sia presente, con la figura dirigenziale generale sovraordinata. Quest’ultima, comunque, ai sensi dell’art. 3, comma 3, deve collaborare per assicurare il raggiungimento delle percentuali più elevate possibili di lavoro agile in seno a ciascuna amministrazione. In mancanza di figure dirigenziali, il dirigente è una figura apicale assimilabile.
La definizione è importante perché aiuta a capire come le “soglie” di utilizzo del lavoro agile, ragionevolmente, debbano essere calcolate all’interno dello stesso perimetro entro cui la figura dirigenziale ha margini decisionali per attivare il lavoro agile: ossia l’ambito l’ufficio o il servizio di pertinenza, e solo in casi particolari ambiti più grandi.
Le ampie competenze del dirigente (art. 3, comma 1) riflettono tali considerazioni e tra queste spicca, nell’assicurare la rotazione tra i dipendenti nell’alternanza (lett. d) l’assegnazione di priorità (lett. e) che sono elencate in modo molto più articolato rispetto all’art. 18, comma 3-bis l. n. 81/2017, con opportuno riferimento alla distanza e raggiungibilità della sede di lavoro.
c) oggetto del lavoro agile e divieto di aggravio dell’ordinario carico di lavoro.
All’art. 1 comma 3, oltre al riconoscimento di un principio di alternanza giornaliera, senza inutili precisazioni circa la prevalenza della prestazione in presenza , è interessante l’individuazione dell’oggetto del lavoro agile sia in attività ordinariamente svolte in presenza dal dipendente, sia in attività progettuali specificamente individuate laddove sia possibile il loro svolgimento da remoto. In ambo i casi l’attività non deve comportare “aggravio dell'ordinario carico di lavoro”, a conferma del mantenimento della stessa quantità di lavoro.
Il mantenimento del carico di lavoro assegnato impedisce il regresso nel trattamento rispetto ai lavoratori interni e può premiare, al limite, lavoratori che a parità di quantità risultino più produttivi ed efficienti, ove impieghino meno tempo (art. 20, l. n. 81/2017). Già su un piano strettamente sinallagmatico, il divieto di regresso nel trattamento economico complessivo ex art. 20 induce a ritenere che, in difetto di specificazione, la quantità di lavoro (e la durata normale della prestazione, in caso di misurazione oraria) a parità di retribuzione debba rimanere identica e possa solo, casomai, ridursi.
La configurazione legislativa non implica neppure il superamento della durata normale di lavoro ed anzi riflette l’impostazione proposta a livello europeo che presuppone un orario di lavoro, ancorché gestito dal lavoratore.
Del resto l’assenza di “precisi vincoli di orario di lavoro” ammessa ipoteticamente dal’art. 18 comma 1 l. n. 81/2017 per mezzo di specifica pattuizione individuale, non esclude ed anzi sembra basarsi a monte sull’esistenza di un orario di lavoro e di vincoli di orario, ancorché generici. La considerazione riporta al punto di partenza: i vincoli minimi sarebbero in ogni caso quelli del riposo giornaliero o settimanale, ma è proprio l’applicabilità di tali limiti a confermare la necessità di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro per i riposi e quindi di un orario di lavoro.
d) assenza di precisi vincoli di orario e luogo di lavoro.
Sennonché l’art. 5 del decreto afferma che “il lavoro agile si svolge ordinariamente in assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro”.
Solo in considerazione della natura delle attività svolte dal dipendente o di puntuali esigenze organizzative individuate dal dirigente, il comma 2 dell’art. 5 afferma che “il lavoro agile può essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità”. In altre parole, il d.m. 19 ottobre 2020 adotta una ratio opposta a quella della legge n. 81/2017: in quella, è possibile un patto di lavoro agile “anche senza vincoli di luogo o orario di lavoro”, in questo, invece, il lavoro subordinato si presume senza precisi vincoli, e il limite al tempo dell’adempimento è individuato nei riposi minimi giornalieri e settimanali. Solo in presenza di obiettive esigenze, possono essere posti vincoli che, a loro volta, non si esprimono in un preciso tempo di disponibilità, bensì in fasce di contattabilità. Tale concezione è riflessa nell’art. 6, ove i metodi di valutazione sono formalmente “improntati al raggiungimento dei risultati” ed ai “comportamenti organizzativi”.
La fascia di contattabilità assume allora una valenza intermedia tra il tempo di reperibilità, tradizionalmente associato al non lavoro, sovrapponibile al tempo del riposo e come tale soltanto indennizzato dalla contrattazione collettiva , e il tempo di lavoro-disponibilità, pienamente remunerato e conteggiato per il calcolo dei tempi di riposo. Più precisamente, mediante l’attivazione di fasce di contattabilità si presuppone il rispetto dei tempi di riposo minimi e della disconnessione, creando una sorta di “contenitore neutro” all’interno del quale, presumibilmente mediante connessione o altra forma di comunicazione multicanale, si attiva la disponibilità del lavoratore. Ma proprio nel presupporre il rispetto dei limiti di riposo, si conferma che nel lavoro agile esiste una misurazione (oraria) del tempo di lavoro, per quanto libera nella collocazione giornaliera. Viepiù ove si consideri che la quantità di lavoro resta inalterata e che non può aumentare.
Come è stato sottolineato di recente , la giurisprudenza europea vincola con particolare rigore gli Stati membri, sotto il profilo della tutela della salute mediante i riposi, a un sistema certo di misurazione della prestazione di lavoro sotto il profilo temporale, che può essere escluso soltanto laddove l’intera prestazione di lavoro sia rimessa alla libera determinazione del lavoratore della quantità di lavoro : sarebbero le ipotesi di deroga previste dall’art. 17, comma 5, d. lgs. n. 66/2003 .
Anche a voler omettere il rilievo per cui la prestazione agile è alternata ad una interna nella quale continua ad osservarsi l’orario di lavoro standard , rimane la considerazione per cui l’autodeterminazione della quantità di lavoro parrebbe in concreto configurabile solo nell’ipotesi di un’organizzazione del lavoro per fasi, cicli e risultati , piuttosto marginale nell’applicazione attuale e identificabile con un sistema – quello del d.m. 19 ottobre 2020 - basato sull’ordinario carico di lavoro e sul rispetto dei riposi.
9. Conclusioni.
Certamente l’emergenza epidemiologica è stata, nella tragedia, una formidabile occasione per una sperimentazione di fenomeni che, diversamente, non si sarebbero osservati su così larga scala se non dopo molti anni ed ha avvicinato tutti al concetto di lavoro agile, o quantomeno a quelli più generici del lavoro da remoto o a distanza. Nondimeno per ragioni di tipo sanitario ed economico la dimensione della conciliazione vita lavoro .
Un tratto comune entro la complessa stratificazione legislativa osservata è che, per tutelare il bene della salute e la continuità dell’azione amministrativa, questa ha inciso profondamente sui tratti essenziali della fattispecie lavoro agile, che identificano nell’accordo delle parti e nell’assenza di postazione fissa, intesa non come pluralità di postazioni (telelavoro mobile) bensì come libertà per il lavoratore di prescegliere il luogo di adempimento , che distingue la fattispecie anche dalla trasferta o dal distacco.
Libertà del lavoratore in tale scelta e modulazione mediante accordo delle parti si pongono in una relazione di reciproca funzionalità. Se temporaneamente è stata eliminata la dimensione consensuale, particolarmente critici si sono rivelati i vincoli posti alla libertà di circolazione, che comprimevano la libertà di scelta della postazione di lavoro, a rischio di snaturare la fattispecie, più simile all’home working che al lavoro agile .
Anche in questa delicata fase di ripristino del lavoro in presenza, resta viva l’esigenza di indicare i contenuti della prestazione di lavoro agile, ancorché decisi unilateralmente, nonché di calibrare il lavoro agile sulle necessità delle parti e tale compito dovrebbe essere rimesso al dirigente di cui all’art. 2 d.m. 19 ottobre 2020, sulla base di una valutazione discrezionale che tenga conto del contesto, della natura della prestazione e delle esigenze dei lavoratori.
Così ad esempio, imporre in via generalizzata a tutti gli uffici l’indeterminatezza del luogo e dell’orario di adempimento ed ancor più del tempo di adempimento sembra un’operazione non conforme ai principi che ispirano la legge n. 81/2017 e, ancor prima, illogica, ed al contempo i decreti dovrebbero prevedere obblighi di comunicazione di attivazione unilaterale del lavoro agile recanti informazioni essenziali sui comportamenti non solo per la sicurezza, ma anche per la corretta esecuzione della prestazione, in una sorta di ampliamento dei contenuti della Dir. 3/2017, punto 4.