Testo integrale con note e bibliografia
1. Premesse.
Le piattaforme digitali rappresentano un fattore di crisi dei tradizionali indici di subordinazione elaborati dalla giurisprudenza . La loro peculiarità è data dal fatto di non essere spazi fisici, ma basi virtuali che costituiscono un mercato, in cui vengono scambiati beni e servizi e anche un mercato del lavoro . La disintermediazione, o «uberizzazione», del mercato del lavoro, permessa e agevolata dalle piattaforme, ha trasformato in alcuni casi il prestatore, già dipendente dell’impresa fornitrice del servizio, in lavoratore autonomo . La (fittizia) microimprenditorialità diffusa che ne è derivata ha comportato una diversa allocazione del rischio di impresa, che è passata dalle strutture imprenditoriali tradizionali ai singoli collaboratori delle stesse .
La piattaforma, tramite l’algoritmo che utilizza, è in grado di dare vita ad una organizzazione imprenditoriale, alimentata dai dati acquisiti dalla rete e dal sistema di rating reputazione del lavoratore. Grazie all’apprendimento continuo l’applicazione riesce a garantire uno standard minimo di qualità, di selezione e di gestione della forza lavoro . Nel lavoro via app la neutralità dell’algoritmo di gestione dei lavoratori su piattaforma è solo apparente, in quanto i bias (pregiudizi) consci o inconsci dei programmatori, assieme al sistema reputazione e alla mole dei dati processati, costituiscono inedite forme di discriminazione algoritmica .
Il lavoro organizzato on-line, ma svolto off-line, ha attirato l’attenzione della dottrina, della giurisprudenza e anche dei legislatori. Il focus su questo universo di imprenditori senza impresa si è concentrato soprattutto sui rider e sugli autisti di Uber: da una parte, perché su tali figure si registrano rilevanti conflitti giudiziali volti alla corretta qualificazione del rapporto, dall’altra, perché le peculiarità del lavoro prestato su piattaforma non permettono una trattazione omogenea dell’intero fenomeno.
2. La normativa lavoristica a sostegno dei gig-worker
Il legislatore italiano, preso atto dell’esplosione del fenomeno della gig-economy, soprattutto a seguito dell’elevato clamore mediatico assunto dalla nota vicenda dei rider di Foodora , è intervenuto per garantire alcune tutele ai lavoratori impiegati tramite piattaforme digitali.
In particolare, dopo diversi disegni di legge che si sono fermati all’esame delle commissioni , l’intervento legislativo ha interessato il d.lgs. 81/2015, c.d. Jobs Act, con la modifica dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 e con l’introduzione del Capo Vbis, rubricato “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”.
L’opera di ammodernamento in chiave digitale operata sull’art. 2 cit. ha riguardato non solo interventi di carattere lessicale (la natura della prestazione passa da “esclusivamente” a “prevalentemente” personale e non è più organizzata “anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro”) ma anche l’esplicita estensione della norma “anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
Pertanto, qualora la collaborazione sia organizzata dal committente, anche tramite l’ausilio di piattaforme digitali, troverà applicazione la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Sicché il rider etero-organizzato avrà diritto a vedersi riconosciuta una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.
L’introduzione del Capo V-bis (artt. 47-bis e ss.) al d.lgs. 81/2015, attraverso il d.l. 3 settembre 2019, n. 101 (e conv. con mod. dalla l. 2 novembre 2019, n. 128) vorrebbe introdurre un apparato di tutele minimo per tutti i lavoratori impiegati per/su piattaforma . L’intento universalistico viene, però, smentito dall’art. 47-bis rubricato “Scopo, oggetto e ambito di applicazione” , ove, facendo salva l’applicazione dell’art. 2 cit., si prevede che tali disposizioni stabiliscono i livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore.
A eliminare ogni dubbio circa la riferibilità esclusiva ai rider interviene anche il secondo comma, il quale definisce le piattaforme digitali come “i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”.
Il Capo Vbis desta alcune problematiche di carattere sistematico perché se è la piattaforma a determinare il compenso e le modalità di esecuzione della prestazione, l’attività del rider dovrebbe essere ricompresa nell’art. 2 d.lgs. 81/2015. Per superare la difficoltà interpretativa, è stato sostenuto che le prestazioni dei rider di cui al Capo Vbis non devono avere il carattere della continuità .
Se i rider sono lavoratori autonomi ed è la piattaforma a determinare compenso e modalità di esecuzione della prestazione, è però giuridicamente “impossibile” ricomprendere tali lavoratori autonomi nello schema dell’art. 2222 c.c. . Allora, per mantenere una coerenza sistematica, si dovrà aderire a quanto autorevolmente sostenuto, in ordine alla formazione di una particolare categoria di lavoratori, che il Capo Vbis avrebbe individuato secondo il tipo di prestazione e di committente .
Gli artt. 47bis e ss. cit. riconoscono un sistema di tutele minimo per i c.d. ciclofattorini. In particolare, le tutele riconosciute ai lavoratori impiegati tramite piattaforme digitali comprendono il dovere per la committente di consegnare ai propri collaboratori “ogni informazione utile per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza” , stabilendo, inoltre, la forma scritta ai fini della prova per il contratto. Nel caso in cui non venga consegnata l’informativa il rider ha diritto ad un’indennità risarcitoria ed è valutata come elemento di prova delle condizioni effettivamente applicate (art. 47-ter). Al pacchetto di tutele si somma anche l’espresso riconoscimento dell’estensione della disciplina antidiscriminatoria e di quella posta a tutela della libertà e dignità dei lavoratori subordinati e il divieto di esclusioni e/o riduzioni delle occasioni di lavoro derivanti dalla mancata accettazione della prestazione (art. 47 quinques). In aggiunta, è riconosciuta a tali lavoratori l’applicazione delle disposizioni contenute nel c.d. GDPR e nel c.d. Codice della Privacy (artt. 47-quinques e sexies). La normativa dedicata ai rider, infine, prevede l’obbligo per le piattaforme di rispettare a propria cura e spese le disposizioni contenute nel d.lgs. 81/2008 (art. 47-septies).
3. La determinazione del compenso dei rider autonomi
Il Capo Vbis dedica l’art. 47-quater al compenso del rider. In particolare, la norma prevede che la contrattazione collettiva possa “definire i criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente”. L’intervento della contrattazione collettiva, però, è solo eventuale : il successivo secondo comma prevede una disciplina in caso di mancata stipula di un contratto collettivo. I rider ex art. 47-bis, in particolare, “non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e ai medesimi lavoratori deve essere garantito un compenso minino orario parametrato ai minimi tabellari”.
Infine, il terzo comma prevede che in favore del ciclofattorino sia prevista una maggiorazione del 10% per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni metereologiche sfavorevoli. La norma pare essere formulata in maniera ampia e generica; nello specifico, non si comprendere né che dato debba essere maggiorato né che significato debba attribuirsi a condizioni sfavorevoli .
La determinazione del compenso affidata in via principale ad un contratto collettivo pare però presentare alcune criticità, sia perché l’esplicita qualificazione autonoma della prestazione pone questioni di compatibilità con la normativa antitrust dell’Unione , sia perché il settore del fooddelivery è ancora caratterizzato da un basso tasso di sindacalizzazione: ad oggi pare potersi stimare solamente il numero complessivo di rider (circa 30.000) , mentre non vi sono ancora dati e/o ricerche circa il tasso di sindacalizzazione .
4. (segue) La contrattazione collettiva
Nonostante la scarsa sindacalizzazione appena evidenziata, la delega alla contrattazione collettiva riconosciuta dal legislatore per la determinazione del compenso dei rider è stata attuata già il 15 settembre 2020 con la sottoscrizione del CCNL per i rider ex artt. 47-bis e ss. del d.lgs. 81/2015 tra la neocostituita Assodelivery e l’UGL riders.
Il CCNL “regola l’attività di consegna di beni per conto altrui, svolto da lavoratori autonomi” ed è il primo contratto collettivo in Europa specificatamente riguardante il lavoro dei ciclofattorini.
Il contratto si apre definendo i rider “come i lavoratori autonomi che decidono di svolgere attività di consegna di beni per conto altrui, sulla base di un contratto con una o più Piattaforme” (art. 1). La definizione riporta quanto contenuto nell’art. 47 bis del d.lgs. 81/2015, anche se, certamente, la qualificazione del rapporto spetta o al legislatore o al giudice .
Il CCNL prevede un compenso “equivalente a euro 10,00 (dieci/00) lordi l’ora” e pare remunerare il rider a cottimo perché la disposizione collettiva prevede “nel caso in cui il tempo stimato dalla Piattaforma per le consegne risultasse inferiore ad un'ora, l’importo dovuto verrà riparametrato proporzionalmente ai minuti stimati per le consegne effettuate”. Si noti come il contratto introduca un compenso a cottimo, nonostante il secondo comma dell’art. 47quater preveda il divieto di prevedere tale forma di remunerazione.
Nel caso in cui si verifichino particolari condizioni (lavoro notturno, festivo o in condizioni metereologiche sfavorevoli) viene prevista una maggiorazione dal 10% al 20% in relazione alla presenza di uno o più dei fattori appena citati, parametrato al compenso orario di 10 euro e al tempo di consegna stimato dalla piattaforma .
Inoltre, all’interno dell’orario di lavoro - quindi anche della retribuzione- non viene ricompreso né il tempo di disponibilità né il tempo di attesa tra una chiamata e l’altra, a conferma della retribuzione a cottimo variabile in base al tempo stimato dalla piattaforma e dai fattori di maggiorazione.
Il CCNL impone la fornitura delle strumentazioni di sicurezza da parte del gestore della piattaforma (art. 14), assicurazione INAIL e assicurazione per la responsabilità civile per danni a cose o a terzi (artt. 16 e 17) tutela della privacy (art. 22) e divieto di discriminazione (art. 20).
Senza approfondire qui i rilievi critici al CCNL che addirittura prevedrebbe livelli di tutela inferiori rispetto a quanto previsto dal legislatore , il contratto presenta dubbi di legittimità, in quanto il sindacato UGL-Riders non sarebbe rappresentativo della categoria. In ragione dei dubbi di rappresentatività dell’UGL-Riders, l’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro, “in un ottica di collaborazione istituzionale”, con la Nota 17 settembre 2020 inviata ad Assodelivery, ha evidenziato come “le disposizioni contrattuali sul compenso potrebbero essere ritenute, anche in sede ispettiva, contra legem e dunque sostituite dalla norma di legge”. Tali considerazioni sono state poi ribadite anche con la Circolare n. 17 del Ministero del lavoro .
Il CCNL rider non è il primo tentativo di dare tutela contrattuale ai rider, in quanto l’Accordo integrativo del CCNL logistica e trasporto merci sottoscritto il 18 luglio 2018 di recente richiamato dal Protocollo integrativo del 2 novembre 2020, prevede l’applicazione del CCNL Logistica e trasporto merci. Le parti firmatarie dell’Accordo e del Protocollo si rivolgono ai rider subordinati, rendendolo inapplicabile per il rider autonomo di cui agli artt. 47 bis e ss. . In aggiunta, i rider autonomi non sarebbero rappresentati dalle Federazioni firmatarie del Protocollo, in quanto quest’ultime non contemplano nei loro statuti lavoratori automi .
La contrattazione collettiva pare non essere ancora matura né per i rider né, più in generale, per la gig-economy, restituendo un’immagine delle relazioni industriali disordinata , in quanto, da un lato, le parti sociali insistono per un’estensione tout court della contrattazione collettiva per il lavoro subordinato , mentre, dall’altro, i rider non sono ancora sufficientemente rappresentati da alcun sindacato.
Certamente, contribuisce a questa situazione di incertezza, anche il legislatore con interventi dettati dalla contingenza del momento, come nel caso del Capo Vbis.
5. La proposta di direttiva sul salario minimo
La proposta di direttiva sul salario minimo legale (s.m.l.) , anche in considerazione del fatto che i maggiori effetti della crisi della pandemia sono riversati sulle fasce a basso reddito , assume oggi i caratteri di un intervento necessario .
Prima di procedere all’analisi della proposta di direttiva, per verificare se i rider autonomi possano beneficiare delle previsioni in essa contenute, è necessario rispondere al quesito se l’Unione possa di intervenire in materia salariale . L’apparente empasse è stato superato dalla Corte di Giustizia , la quale ha affermato che, sebbene la determinazione dei salari appartenga all’autonomia collettiva a livello nazionale e, comunque, rientri nella competenza dei singoli Stati membri, tale esclusione non può essere estesa a ogni questione avente un nesso qualsiasi con le retribuzioni . In altri termini, sono escluse dalla competenza dell’Unione solo le misure che si traducono in una ingerenza diretta nella determinazione dei salari, come, ad esempio, la previsione di un salario minimo europeo, mentre non sarebbero escluse le misure meramente connesse o incidenti alla materia.
La Direttiva, pare intenzionata a fronteggiare la questione dei c.d. working poors, ovvero soggetti che seppur impiegati presentano gravi insufficienze reddituali : l’emersione di tale fenomeno porta con sé la presa d’atto che la contrattazione collettiva non è sempre in grado in grado di garantire una retribuzione conforme con un livello di vita dignitoso e che molti settori non sono coperti dalla pattuizione collettiva, specie quelli di recente formazione come le piattaforme.
La Direttiva prevede quattro azioni principali: a) l’introduzione di criteri per fissare e aggiornare e valutare l’adeguatezza del quantum del salario minimo; b) supporto alla contrattazione collettiva; c) inclusività dei salari e d) effettività della tutela e monitoraggio .
La Proposta differenzia la propria azione in base alla presenza o assenza di una forma di salario minimo legale nel Paese membro.
Nel caso in cui sia presente un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti la Direttiva obbliga lo Stato membro a predisporre meccanismi di adeguamento della misura al costo della vita, al fine di garantire condizioni di vita e di lavoro dignitose . Nel processo di adeguamento viene riconosciuto un ruolo centrale alle parti sociali che devono essere coinvolte nella determinazione e dell’aggiornamento del quantum del s.m.l. . Lo Stato membro, inoltre, deve prevedere un sistema di garanzia per l’accesso dei lavoratori alla misura .
Nel caso in cui, invece, la determinazione del salario sia determinata esclusivamente dalla contrattazione collettiva la Proposta adotta un approccio light . In particolare, per i 6 Paesi (tra cui l’Italia) dove il livello minimo di retribuzione è fissato dalla contrattazione collettiva, la Direttiva prevede l’adozione da parte degli Stati membri di misure dirette all’aumento della copertura della contrattazione collettiva, tramite la promozione e lo sviluppo della partecipazione delle parti sociali nella determinazione dei salari a livello settoriale e intersettoriale .
La Proposta, inoltre, nel caso in cui la copertura della contrattazione collettiva sia inferiore al 70% dei lavoratori, così come definiti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, impone allo Stato membro di adottare e notificare alla Commissione europea un piano di azione da adottare per legge o tramite accordo con le Parti sociali per la promozione della contrattazione collettiva.
In conclusione, la Direttiva individua solamente gli obbiettivi da raggiungere senza indicare in concreto le misure da adottare, nel chiaro intendo di non invadere l’autonomia dei sistemi nazionali di fissazione dei salari e, in particolare, delle parti sociali .
5.1. L’(in)applicabilità ai rider autonomi
Apparentemente, dunque, pare potersi ritenere che la determinazione del salario per i rider autonomi operato da Assodelivery e UGL riders, sia congruo con quanto previsto dalla Proposta. Ma, analizzando la platea di destinatari della direttiva, i rider ex art. 47 bis del d.lgs. 81/2015 devono ritenersi esclusi dall’ambito di applicazione della Proposta medesima.
Il considerando 17 della Proposta individua i beneficiari delle disposizioni e prevede che “la presente direttiva dovrebbe applicarsi ai lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea per determinare lo status di lavoratore”. Il considerando prosegue specificando che “i lavoratori tramite piattaforma digitale … potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva a condizione che soddisfino tali criteri”, mentre “i lavoratori effettivamente autonomi non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, in quanto non soddisfano tali criteri. I falsi autonomi… non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva”. L’applicazione esclusivamente per i lavoratori non autonomi è poi confermata dall’art. 2 della Proposta .
Dalla lettura della platea di destinatari, pare che l’Unione sia ancora imbrigliata alla sentenza FNV Kunsten , la quale, detta i criteri della Corte di Giustizia per determinare lo status di lavoratore subordinato e di falso lavoratore autonomo. In particolare, con riferimento a quest’ultima categoria, la Corte ha precisato che rappresentano false self-employed i lavoratori autonomi che a) agiscano sotto la direzione dell’imprenditore, con riferimento al tempo, al luogo e all’oggetto della prestazione; b) siano costantemente inseriti nell’organizzazione del committente; c) non abbia il rischio di impresa . La Corte di Giustizia ha inoltre precisato come in assenza di tali requisiti, l’organizzazione sindacale che agisca a tutela di lavoratori autonomi non agirà come sindacato ma come associazione di imprese soggetta al diritto europeo della concorrenza .
Infatti, un contratto collettivo stipulato da rappresentanti di lavoratori autonomi può considerarsi legittimo solo se i lavoratori rappresentati sono lavoratori subordinati o “falsi autonomi”, ma tale accertamento può avvenire solo giudizialmente. Pare, dunque, che nessuna delle disposizioni della direttiva possa trovare applicazione per i rider autonomi e, addirittura, il CCNL riders stipulato rischia di dimostrarsi in violazione della normativa c.d. antitrust e pro-concorrenza dell’Unione. Riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva anche oltre la subordinazione rappresenta un passaggio di forte tensione, ormai strutturale, tra diritto del lavoro e diritto della concorrenza . La proposta di legge sui mercati digitali, in grado di garantire ai lavoratori protezione nel mercato del lavoro anche tramite la contrattazione collettiva , pone esattamente questo problema.
Nell’ultimo anno, in piena emergenza pandemica, l’Unione sembra aver riscoperto la categoria dei lavoratori autonomi : complice la remotizzazione forzata, il mondo dei ciclofattorini è emerso alla luce del sole. Seppur in via sperimentale, sono numerosi i progetti che ambiscono a garantire protezione sociale (anche) ai lavoratori non subordinati . La sfida che la digitalizzazione pone è però di concepire diritti universali e flessibili, come quello alla contrattazione collettiva, in grado di tutelare il lavoro in tutte le sue forme (art. 35 Cost.) a prescindere dalla qualificazione del rapporto .