In questo mio intervento ritengo opportuno distinguere le problematiche sindacali che si pongono per i rider autonomi da quelle che riguardano i rider subordinati. Mi aggancio, anzitutto, a quanto detto da Pasquale Monda, per sottolineare come condivida anch’io la tesi secondo la quale sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione una contrattazione collettiva destinata a regolare i rapporti di lavoro autonomo dei rider. D’altro canto, questa è anche l’unica strada che permette di andare oltre il discorso di livello eurounitario e di dare significato alle numerose questioni interne sorte sinora in merito alle relazioni sindacali di questi lavoratori.
Sui rider autonomi c’è da premettere che lo sviluppo delle relazioni sindacali è sta-to ritardato per volontà delle piattaforme digitali, che si sono dimostrate restie a confrontarsi con le controparti sindacali. Questo atteggiamento è una delle conse-guenze che derivano dalle modalità organizzative con cui il lavoro dei rider viene svolto: l’app consente al datore di lavoro di disporre di una moltitudine di soggetti che offrono la loro prestazione e, conseguentemente, rende meno necessario vinco-larsi tramite la stipula di contratti di lavoro subordinato; non sussiste, in altre paro-le, la necessità di garantirsi la disponibilità dei lavoratori, dal momento che le esi-genze di manodopera posso essere soddisfatte – così come è stato per lungo tem-po e in maniera pressoché esclusiva – con contratti di lavoro autonomo, anche a carattere discontinuo. Ne è derivato, così – almeno in un primo momento –, che il confronto con le organizzazioni sindacali, ai fini della stipula dei contratti collettivi, sia stato reso solo eventuale.
Come noto, su questa tendenza a ostracizzare le relazioni sindacali è intervenuto il legislatore con la legge 128 del 2019, introducendo un meccanismo di “coazione indiretta”, che ha reso necessario definire il trattamento economico dei rider auto-nomi tramite una contrattazione collettiva “qualificata” (art. 47 quater). La coazione indiretta stava nell’imposizione vincolante, alle piattaforme che non avessero dato autonoma applicazione a un contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sin-dacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (comma 1), del contratto collettivo di un settore affine o equivalente (comma 2), che di fat-to è quello della logistica.
Con questa operazione il legislatore ha ottenuto il fine che si prospettava, tant’è che, all’indomani dell’intervento, le piattaforme hanno deciso di organizzarsi con la costituzione di Assodelivery – che già nella fase iniziale ha rappresentato oltre il 90% delle piattaforme del food delivery (percentuale poi diminuita, più di recente, con la fuoriuscita di Just eat) – e di iniziare una trattativa con le organizzazioni con-federali dinnanzi al Ministero del lavoro.
Tutto è però stato compromesso dalla stipula, nel settembre del 2020, del contrat-to collettivo Assodelivery-Ugl, giunto a seguito di una negoziazione rimasta nasco-sta per diverso tempo e mossasi in maniera parallela a quella con i sindacati confe-derali.
Su tale accordo si sono poste una serie di problematiche legate alla sua capacità di attuare il disposto legislativo. La dottrina ha preso strade diverse e solo di recente la giurisprudenza – benché solo di merito – pare essersi consolidata nel discono-scere la validità dell’accordo, non solo ai fini dell’attuazione dell’art. 47 quater d.lgs. 81/2015, ma anche quale strumento per fare gli interessi dei lavoratori.
La strada utilizzata dalle organizzazioni confederali per far valere l’illegittimità del contratto è stato il procedimento per condotta antisindacale ex art. 28 St. lav., per il quale, non a caso, la dottrina ha parlato di nuova vitalità.
L’orientamento dalla giurisprudenza di merito si è posto, d’altro canto, in linea con le posizioni favorevoli a ricondurre questi rapporti nell’alveo del lavoro subordina-to evidenziate nella recente proposta di direttiva della Commissione europea e, inoltre, con la posizione assunta dall’Ispettorato nazionale del lavoro, che ha sotto-lineato come, in ragione delle modalità di organizzazione tramite app, questi rap-porti debbano essere ricondotti all’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81 del 2015.
Benché una parte della dottrina avesse inizialmente posto l’accento sul fatto che l’assenza di regole nella definizione delle categorie alle quali riferirsi per la stipula dei contratti collettivi nazionali, lasciasse alle organizzazioni la libertà di decidere i lavoratori da rappresentare ai sensi dell’art. 39 cost. – e che, dunque, il contratto dell’Ugl dovesse configurarsi come espressione della discrezionalità delle organiz-zazioni sindacali di tutelare, all’interno della categoria più ampia dei fattorini, quella ristretta dei rider –, la giurisprudenza di merito, al contrario, si è orientata per il ri-sultato opposto, ponendo l’accento sulla procedura con la quale si è giunti a stipu-lare tale contratto e spingendosi a qualificare l’Ugl come sindacato di comodo.
Le modalità con le quali si è evoluta la fase delle trattative per la stipula del con-tratto è stata ritenuta sintomatica, insieme ad altri elementi, di un atteggiamento privo di reale interesse per la tutela dei lavoratori. Di questo avviso è stato, ad esempio, il giudice della sentenza del Tribunale di Firenze di novembre 2021, che ha evidenziato, tra gli altri, come le trattative per la stipula del contratto non siano state precedute da specifiche rivendicazioni o vertenze da parte di quel sindacato. Allo stesso modo è stato evidenziato come, con il contratto collettivo dell’Ugl, si sia giunti a precludere i diritti sindacali a tutte le organizzazioni diverse dall’Ugl, quale ulteriore conferma della natura di sindacato di comodo.
L’esame della giurisprudenza di merito consente anche di introdurre il tema dei ri-der subordinati. Prima di giungere alle conclusioni citate, ai fini della ammissibilità stessa delle domande giudiziali avanzate dai sindacati ricorrenti ai sensi dell’art. 28 st. lav., i giudici di merito si sono infatti dovuti confrontare con la questione quali-ficatoria. A questo proposito, le sentenze di merito sinora edite sono state concor-di nel ritenere (a parte l’iniziale decreto del Tribunale di Firenze del febbraio 2020) che i rider con prestazioni continuative debbano essere qualificati come eterorga-nizzati (o subordinati ex art. 2094 c.c.) e che ad essi sia applicabile l’intera discipli-na del lavoro subordinato.
Riferendoci specificamente al tema delle tutele collettive, diversi problemi si pon-gono comunque in rapporto alla qualificazione come lavoratori eterorganizzati. L’Inl, ad esempio, con la circolare 7 del 2020, ha stabilito che i collaboratori ete-rorganizzati ricevono le tutele della subordinazione che incidono sulla loro posizio-ne individuale, e non anche quelle “collettive” derivanti – ad esempio – dagli “isti-tuti normativi e contrattuali connessi alle soglie dimensionali dell’azienda”.
Si pone così il tema di distinguere tra gli istituti destinati alla tutela dei singoli lavo-ratori e quelli che hanno una funzione di tutela degli interessi collettivi.
Questa suddivisione pare artificiosa specialmente se si considera la finalità per la quale il legislatore e le parti sociali si servono delle soglie dimensionali, e cioè quel-la di contemperare gli interessi dei lavoratori espressi dall’istituto al quale sono col-legate, con l’interesse delle piccole imprese, che da una normativa di protezione dei lavoratori troppo incisiva potrebbero subire dei pregiudizi eccessivi: vi è dunque una sorta di bilanciamento tra tutele lavoristiche e favor per le piccole imprese.
In merito v’è da segnalare che la soglia dimensionale non è un istituto diverso da quello che intende regolare a seconda delle dimensioni delle imprese. Se un istituto è previsto a tutela dei lavoratori, come lo sono i diritti sindacali del titolo III dello Statuto, la sua dimensione applicativa a carattere collettivo si riverbera necessaria-mente anche su quella individuale.
In altre parole, quando il lavoratore eterorganizzato è computato nell’organico aziendale ai fini del superamento della soglia dimensionale per l’applicazione delle tutele sindacali, il fatto di esservi incluso, gli garantisce anche l’accesso alle prero-gative sindacali spettanti a tutti i lavoratori subordinati dell’unità produttiva.
Da un altro punto di vista, il riconoscimento ai collaboratori eteorganizzati dei di-ritti e delle tutele collettive potrebbe, comunque, fondarsi, come evidenziato dalla giurisprudenza di merito, anche sull’assenza di riferimenti testuali, nell’art. 2 com-ma 1, che consentano di escludere un’applicazione in toto della disciplina del lavoro subordinato. Pur dando peso, infatti, al richiamo all’ “ontologica incompatibilità”, presente nella sentenza delle Sezioni Unite del 2020 – e quindi al fatto che l’art. 2, co. 1 d.lgs. 81/15 consenta di applicare la disciplina del lavoro subordinato, fatte salve quelle tutele che sono, appunto, ontologicamente incompatibili con una col-laborazione di lavoro autonomo –, tale richiamo pare possa interpretarsi solo nel senso di escludere le tutele della subordinazione che presuppongono un esercizio del potere datoriale “ulteriore” rispetto a quello che deriva dalla stipula del contrat-to o che si evidenzia in concreto dallo svolgimento del rapporto. Nessuna questio-ne si porrebbe, dunque, per i diritti sindacali che non aumentano il debito contrat-tuale dei lavoratori, ma che riconoscono delle prerogative alle quali non sono colle-gati maggiori poteri del datore di lavoro.
Un cenno finale mi pare opportuno sul tema dell’unità produttiva: ai fini della so-glia dimensionale dell’art. 35 st. lav. v’è infatti la necessità di verificare quale sia l’unità produttiva alla quale riferirsi per il computo dei lavoratori subordinati.
È noto come il concetto risenta del fatto che è stato ideato negli anni ‘70 e che quindi non tiene conto degli effetti della dematerializzazione delle imprese, oltre che delle esternalizzazioni, rispetto alle quali esiste la questione di accettare che la-voratori impiegati in attività identiche, eseguite nello stesso luogo, ma assunti da differenti imprese (ad esempio perché alcuni di essi sono utilizzati in appalto), non godano egualmente dei diritti sindacali.
Pur con tutti questi limiti, la giurisprudenza ha utilizzato come criterio di calcolo del numero di dipendenti, quello dell’ “autonomia funzionale del risultato produtti-vo”: i lavoratori impiegati in attività che garantiscono un risultato funzionalmente autonomo possono essere computati ai fini della soglia dimensionale.
Questo criterio pare però difficile da applicare ai rider: non avrebbe alcun senso ri-ferirsi alla singola consegna, intesa come risultato funzionalmente autonomo; ma neppure sarebbe agevole ritenere unità produttiva funzionalmente autonoma quella composta dai rider che eseguono consegne per una singola attività di ristorazione, visto che i rider eseguono le consegne per una pluralità di attività.
Un criterio non risolutivo, ma utile, in una prospettiva de iure condito, potrebbe a mio parere essere quello dell’art. 35 comma 2, St. lav., laddove viene richiamato il contesto comunale, che in effetti meglio potrebbe essere collegato a un’attività che è eseguita nei centri urbani.
Le relazioni sindacali nel settore del food delivery: la prospettiva interna
- Di : Costantino Cordella
- Categoria: Lavori Atipici