L’indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali, avviata in data 07 aprile 2021 presso la Commissione XI Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati (d’ora in poi, “l’Indagine”), nasce dalla necessità di approfondire la dimensione lavoristica di donne e uomini che operano nella cosiddetta creator economy.
La dimensione del fenomeno è davvero rilevante atteso che, dal 9 marzo al 18 maggio 2020, verosimilmente a causa dell'emergenza sanitaria da Coronavirus Sars-CoV-2, su alcune piattaforme digitali si è toccata una media giornaliera di ben 26,5 milioni di visitatori negli Stati Uniti e di circa 4 milioni di italiani al mese.
Tali dati sono in linea con quanto emerso nel corso dell’Indagine dove sono state fornite stime relative alla presenza, a livello globale, di 50 milioni di creatori di contenuti digitali di cui oltre 7 milioni solo nella piattaforma Twitch.
La pandemia ha reso palese che, da un lato, le piattaforme di servizi di social network online sono diventati una dimensione sempre più importante della socialità, dall’altro si sono sviluppati modelli di business volti a valorizzare sul piano economico l’utilizzo dei dati e dei contenuti prodotti dagli utenti, favorendo in questo modo la nascita e la crescita della figura dei creatori di contenuti digitali.
Evidentemente, non si tratta più solo di voglia di socializzare o di utilizzare un servizio comunicazione. Invero, sul web esistono persone che si conoscono, interagiscono e creano vere e proprie comunità e la multidimensionalità potenziale della partecipazione alla comunità virtuale coinvolge inesorabilmente anche il lavoro.
La Commissione XI della Camera dei Deputati ha invitato operatori del settore, esperti e istituzioni che potessero confrontarsi e portare contributi in modo da definire meglio la platea dei creatori di contenuti digitali nel nostro Paese e svolgere una ricognizione delle caratteristiche delle attività svolte e un’analisi della tipologia dei rapporti che essi intrattengono con le piattaforme digitali.
In ossequio alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e del nostro dettato costituzionale, è stato aperto un dibattito orientato dapprima alla conoscenza di queste dinamiche digitali, per poi ricercare soluzioni giuridiche finalizzate a garantire condizioni di lavoro giuste ed eque.
Su un piano generale, è indubbio che i creatori di contenuti siano una delle componenti della più vasta galassia dei lavoratori delle piattaforme digitali.
In effetti, da un lato le piattaforme digitali sono organizzate per intermediare sostanzialmente ogni prestazione di servizio, erogabile tanto in presenza tanto a distanza , dall’altro, ogni utente di internet è potenzialmente un creatore di contenuti digitale.
Pur nella consapevolezza della problematicità di un approccio incentrato su definizioni in un contesto caratterizzato da una costante evoluzione, sono stati individuati alcuni elementi che potrebbero caratterizzare l’attività oggetto di indagine ossia:
i) la presenza di un certo grado di sforzo creativo per l’elaborazione di un contenuto nuovo o l’adattamento di contenuti esistenti al fine di elaborare un nuovo contenuto;
ii) la messa a disposizione di contenuti su un sito o su una pagina di un sito che opera come social network accessibile sulla rete internet;
iii) la creazione dei contenuti al di fuori di circuiti professionali e l’assenza di aspettative di remunerazione o di profitto;
iv) la monetizzazione tramite visualizzazione e, quindi, la presenza di una componente relazionale con la comunità virtuale.
Dall’Indagine è emerso che per alcuni utenti l’interazione con la piattaforma e la comunità virtuale nonché la creazione di contenuti digitali non è più il semplice utilizzo di internet per fini estranei all’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale eventualmente svolta . Tutt’altro.
Per molti l’interazione con la piattaforma e la propria comunità virtuale assurge a un vero e proprio lavoro.
Sembra, quindi, venir meno il concetto tradizionale di consumatore/utente con conseguente perdita delle tutele tipiche di cui al Codice del Consumo. Secondo quanto riscontrato anche dalla dottrina che ha esaminato su un piano più generale le forme di comunicazione digitale e i suoi rapporti con il mondo del lavoro, in questo ambito si è in effetti progressivamente registrata la perdita di una distinzione netta tra produttori e consumatori, che in molti casi tendono a sovrapporsi, tanto da far parlare di prosumers, prosommateurs o consom’acteurs. Inoltre, il rapporto con la piattaforma digitale è indubbio che sia caratterizzato da un significativo squilibrio contrattuale delle due parti del rapporto, tale da porre chi svolge tale attività in modo professionale in una condizione di dipendenza funzionale dalla piattaforma digitale.
In effetti, la presenza digitale, la visualizzazione del contenuto e la relativa monetizzazione, sono condizionati sia dall’algoritmo che dall'eventuale irrogazione di veri e propri provvedimenti sanzionatori da parte della piattaforma. Tra questi provvedimenti sanzionatori, vi è il cosiddetto «permaban» ossia l'espulsione a vita del creatore dalla piattaforma di riferimento a fronte di violazioni di codici di condotta stabiliti dalla piattaforma stessa, con conseguente perdita di storico di lavoro, video, materiali, contenuti e interazioni effettuate nel corso degli anni.
L’attualità dei problemi posti dall’Indagine e di quelli emersi nel corso delle audizioni svolte è confermata dalla particolare attenzione che si sta prestando nell’ambito dell’Unione europea al settore dell’economia digitale, con l’adozione di importanti interventi normativi, a partire dal Regolamento (UE) 2019/1150, entrato in vigore il 21.07.2020, che ha inteso assicurare una protezione uniforme degli utenti commerciali delle piattaforme elettroniche. Ulteriori sviluppi si prospettano a seguito dell’adozione di un insieme di ulteriori iniziative normative volte a disciplinare il mondo digitale, nell’ambito del quale si possono annoverare le proposte relative al Regolamento sul mercato unico dei servizi digitali cd. Digital Service Act, il Regolamento relativo a mercati equi e contendibili nei servizi digitali c.d. Digital Market Act, nonché la recente proposta di direttiva dell’Unione europea relativa al miglioramento delle condizioni nel lavoro mediante piattaforme digitali, che recano una serie di misure volte a correggere le distorsioni e i disequilibri presenti nel mercato digitale.
Evidentemente, tali atti dovranno essere puntualmente armonizzati tra loro a livello internazionale e compiutamente implementati nel nostro Paese in modo che lavoratrici e lavoratori possano trovare nel compendio normativo un efficace punto di riferimento.
Rispetto a tali provvedimenti potrebbe essere utile, ad esempio, individuare in modo univoco la definizione di piattaforma digitale riferendosi al testo dell’Art. 2 del c.d. Digital Market Act per estendere al massimo l’ambito di applicazione delle tutele.
A fronte di un quadro normativo che è in continua evoluzione, dall’Indagine è emerso che nel nostro Paese manca ancora una soddisfacente ricostruzione del fenomeno della creazione di contenuti digitali, basata su dati amministrativi o statistici ufficiali.
In parte, si tratta di una difficoltà fisiologica, in quanto la creazione e la condivisione di contenuti online è un fenomeno in continua diffusione e crescita e, quindi, mal si presta ad essere cristallizzato in forme e dati prestabiliti. Come evidenziato dai rappresentanti di YouTube nel corso della propria audizione, ogni minuto che passa, ci sono più di 500 ore di nuovi contenuti video caricate sulla piattaforma stessa e gli utenti che accedono regolarmente alla piattaforma a livello mondiale sono oltre due miliardi.
Per altro verso, anche al fine di meglio definire i contorni di una fattispecie rispetto alla quale prevedere specifiche forme di tutela, è possibile individuare interventi che aiutino a censire i rapporti instaurati con le piattaforme digitali.
A tale riguardo, una novità di rilievo potrebbe essere rappresentata dalle disposizioni recentemente introdotte dall’articolo 27, comma 2-decies, del decreto-legge n. 152 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 233 del 2021. Con tale norma si è, infatti, previsto che sia oggetto delle comunicazioni obbligatorie da parte del datore di lavoro anche l’instaurazione di rapporti di lavoro intermediato da piattaforma digitale, comprese le attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all'articolo 67, comma 1, lettera l), del testo unico delle imposte sui redditi. Ai fini dell’applicazione della disposizione si considerano solo le fattispecie in cui il cui corrispettivo per la prestazione d'opera, compresa quella intellettuale, è erogato dal committente tramite una piattaforma digitale. In questi termini, la disposizione non sembra generalmente applicabile ai rapporti costituiti tra creatori di contenuti e piattaforme digitali che diffondono i medesimi contenuti, ma potrebbe essere suscettibile di ulteriori sviluppi, anche considerando l’accoglimento da parte dell’Esecutivo dell’ordine del giorno Barzotti n. 9/03354-A/101, nel quale si formula un invito a valutare l'opportunità di avviare le opportune iniziative normative volte ad assicurare ai lavoratori autonomi che svolgono attività di creazione di contenuti digitali livelli minimi di tutela comprendendo nell'ambito dei rapporti di lavoro intermediato da piattaforma digitale anche le prestazioni d'opera remunerate con le diverse modalità e il cui corrispettivo, è comunque intermediato dalla piattaforma digitale.
Quanto all’inquadramento giuridico, dall’Indagine è emerso che la dicotomia tradizionale di lavoro autonomo o subordinato fatichi a descrivere l’opera del cittadino che si presta totalmente alla dimensione virtuale.
Il lavoratore nella creator economy non è solo il prestatore di un’opera intellettuale o di un servizio di creazione, ma è al tempo stesso un utilizzatore della piattaforma, ancorché lo faccia (anche) a scopo lavorativo.
Spesso, i protagonisti di questa economia sono persone che si avventurano in un’impresa e che necessitano di un minimo di stabilità, prevedibilità e trasparenza rispetto a un mercato oligopolistico.
In questo senso, lo statuto di tutele da applicare ai creatori di contenuti potrà essere individuato traendo i propri elementi in parte dalla disciplina del lavoro autonomo e, in particolare, da quella del lavoro autonomo di seconda generazione e, in parte, dalla normativa di tutela dei consumatori e degli utenti.
A fronte della rapidità con cui si sta sviluppando la creator economy in tutte le sue diverse forme, è quanto mai opportuno che si realizzi un’opera di rielaborazione in un unico compendio normativo delle norme che regolano i rapporti che ne costituiscono la base, senza volerne cristallizzare la disciplina in modo rigido con la riconduzione a forme di lavoro tradizionali. In questo modo, raccogliendo anche i principi e le disposizioni elaborati nell’ambito dell’Unione europea, si potrà costituire uno statuto di tutele per questi lavoratori del web che tenga in considerazione tanto l’elemento della dipendenza funzionale dalle piattaforme che li caratterizza, quanto il significativo squilibrio proprio dei rapporti che vengo costituiti.
Il quadro fattuale e giuridico tracciato dall’Indagine è complesso. Ringrazio di cuore tutti coloro che si sono dedicati alla stessa con lo scopo esclusivo di aprire una porta verso qualcosa di nuovo, ma anche chi vi si chi approccerà per definire una rotta.